testo integrale con note e bibliografia

I contributi qui raccolti traggono origine dal seminario “Contrattazione collettiva, lavoro autonomo e gig economy” tenutosi nell’Università di Torino il 20 aprile 2023: seminario nel quale le riflessioni sul problematico status nell’ordinamento euro-unitario degli accordi collettivi per i lavoratori autonomi, sollecitate dalla recente adozione da parte della Commissione di «orientamenti» volti a chiarire i margini di compatibilità degli stessi con le regole a presidio della libera concorrenza nel mercato unico europeo , si sono intrecciate coi risultati di una ricerca, co-finanziata dall’Unione e sviluppata da studiosi di 17 Paesi, confluiti nel volume “Contrattazione collettiva e gig economy” (a cura di J.M. Miranda Boto, E. Brameshuber, P. Loi, L. Ratti; Giappichelli, 2022) .
L’attenzione che la contrattazione collettiva riguardante i lavoratori autonomi sta conquistandosi nell’era attuale , in effetti, non è slegata dalle trasformazioni intervenute con la digitalizzazione dei processi produttivi e con l’espansione dell’economia delle piattaforme, che hanno determinato la moltiplicazione, accanto a forme di lavoro d’incerta natura che mettono duramente alla prova la tenuta della tradizionale dicotomia qualificatoria, di lavoratori autonomi in condizioni di debolezza e vulnerabilità e dunque bisognosi di protezione, anche sotto il profilo collettivo.
La mappatura dei confini del lavoro autonomo e delle esigenze di tutela che si annidano all’interno di questa categoria (non a caso ampiamente rappresentata nelle statistiche sull’in-work poverty, non solo a livello nazionale) è resa complicata dall’estrema eterogeneità delle figure che la popolano, com’è univocamente indicato dalle ricerche in materia e ben evidenziato nel contributo di Luca Ratti, che prova a ricavare dai frammenti rinvenibili nel diritto dell’Unione – soprattutto nella giurisprudenza della Corte di Giustizia – gli elementi utili a fissare una nozione di lavoratore autonomo di portata europea avente carattere inevitabilmente residuale, risultando “schiacciata”, come lui scrive, fra quella del «lavoratore» destinatario della libertà di circolazione e delle direttive di politica sociale e quella di «impresa» rilevante ai fini delle regole sulla concorrenza.
La variegatissima composizione dell’universo del lavoro autonomo, dovuta alla marcata diversità non solo delle professioni ivi incluse ma anche delle posizioni economiche e contrattuali occupate dalle persone che svolgono la stessa professione, rende difficoltosa l’aggregazione delle istanze individuali intorno a un interesse collettivo e l’emersione di soggetti capaci di rappresentarlo: il che, insieme alla problematica individuazione della controparte contrattuale, spiega la modestia dei risultati sinora conseguiti per i lavoratori autonomi sul fronte della negoziazione collettiva, come rileva Josè Maria Miranda Boto assumendo i lavori non subordinati della gig economy quale punto d’osservazione privilegiato dell’analisi. Nel suo contributo, come in quello di Tiziano Treu, viene tra l’altro in rilievo il ruolo non trascurabile che possono giocare nella contrattazione per il lavoro autonomo le organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, qualora riescano ad operare non in contrapposizione ma in sinergia coi nuovi soggetti rappresentativi, in atteggiamento di apertura verso le istanze emergenti e non limitandosi alla pura riproduzione dei modelli consolidati.
Ai consistenti ostacoli che occorre superare per rendere il contratto collettivo uno strumento di autotutela concretamente ed efficacemente praticabile per i lavoratori autonomi si aggiunge poi, com’è noto, la spada di Damocle rappresentata dal rischio che tale contratto sia censurato quale accordo restrittivo della concorrenza tra imprese vietato dall’art. 101 TFUE.
Il problema, già postosi per gli accordi collettivi dei lavoratori subordinati – la cui funzione anticoncorrenziale, a prima vista, diverge dalla logica ispiratrice delle regole a garanzia della concorrenza nel mercato europeo – e superato dalla Corte di Giustizia con l’esenzione ritagliata dalla famosa sentenza Albany , si è presentato con riguardo appunto a clausole collettive relative a lavoratori autonomi (dopo il rigido precedente Pavlov) nel caso FNV Kunsten : ove, ferma restando la «nozione sovrainclusiva di impresa» – comprendente al proprio interno anche i lavoratori autonomi – adottata nell’interpretazione del diritto anti-trust dell’Unione, la Corte ha posto al riparo dall’applicazione del citato art. 101 i cd. falsi-autonomi (di fatto lavoratori subordinati) e compiuto un’analoga apertura verso i lavoratori autonomi genuini che si trovano in posizione paragonabile a quella dei dipendenti.
Da questa decisione prendono le mosse i contributi di Antonio García-Muñoz e di Massimo Pallini per illustrare la portata e le implicazioni degli orientamenti della Commissione europea richiamati in apertura e dedicati agli accordi collettivi dei «lavoratori autonomi individuali», definiti come prestatori di servizi che ricorrono «principalmente al proprio lavoro personale». Per la Commissione tali accordi esulano dall’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE quando riguardano lavoratori autonomi individuali «paragonabili a lavoratori subordinati», concetto (ripreso da FNV Kunsten) che le linee-guida cercano di precisare indicando e descrivendo tre situazioni in cui esso si concretizza (ovvero quando i lavoratori autonomi individuali «si trovano in una situazione di dipendenza economica», «lavorano “fianco a fianco” con lavoratori subordinati» oppure «lavorano tramite piattaforme di lavoro digitali»); mentre rispetto agli accordi stipulati per lavoratori autonomi individuali che, pur al di fuori di questa possibilità di paragone, si trovano comunque in una condizione di debolezza negoziale rispetto alla loro controparte (condizione anche qui meglio esplicitata con l’indicazione di due sotto-categorie), la Commissione dichiara che non intende intervenire al fine di far valere le regole sulla concorrenza euro-unitarie.
La valutazione sugli orientamenti emergente dai contributi qui raccolti converge nel ritenere, a livello di base e in modo del tutto condivisibile, che gli stessi segnano un passo avanti nell’allargamento dell’anti-trust immunity agli accordi collettivi dei lavoratori autonomi bisognosi di protezione (quand’anche non siano lavoratori subordinati mascherati), ma lasciano aperte molte incertezze e scontano il grave difetto della loro efficacia vincolante nei confronti della sola Commissione. Al di là di queste comuni linee di fondo, però, i limiti che segnano gli orientamenti paiono ai diversi autori più o meno pesanti.
A fronte del riduttivo inquadramento della contrattazione collettiva come deroga al diritto della concorrenza operato sin dal principio dalla Corte di Giustizia e delle proposte avanzate dalla dottrina europea per una revisione strutturale del rapporto tra i diritti del lavoro (in particolare quelli collettivi) e il diritto anti-trust, in modo tale da renderlo più sintonico con gli avanzamenti sul piano sociale recati dal Trattato di Lisbona e con l’assetto valoriale che permea la maggior parte degli ordinamenti nazionali , Antonio García-Muñoz riconosce che il rilievo attribuito dagli orientamenti allo squilibrio di potere sul mercato dei lavoratori autonomi potrebbe essere letto come un’apertura verso la costruzione di una relazione complementare anziché oppositiva fra i due settori giuridici; ma – come Tiziano Treu, che peraltro avanza seri dubbi sulla possibile complementarietà di ambiti con spessore giuridico così diverso – non vede realizzata dalla Commissione una svolta significativa rispetto alla sentenza FNV Kunsten e alla logica regola-eccezione (anche) lì seguita.
Più positivo è invece il giudizio di Massimo Pallini che, evidenziato il carattere innovativo dell’approccio “rimediale” adottato dagli orientamenti evitando l’utilizzo delle tradizionali e problematiche nozioni del diritto anti-trust europeo, ritiene superato il rapporto tra diritto della concorrenza e diritto alla contrattazione collettiva in termini di regola-eccezione costruito dalla Corte di Giustizia a favore di un più equilibrato rapporto «di bilanciamento tra valori fondanti».
La conclusione pare troppo ottimistica, considerato che le indicazioni della Commissione si sviluppano vistosamente “nell’ombra dell’art. 101 TFUE” – per riprendere l’espressione usata da Tiziano Treu – e che la debolezza giuridica dell’atto in cui sono contenute stride con la rilevanza del sostanziale cambio di passo in esse intravisto. Nel carico di ostacoli che l’esperienza ancora embrionale degli accordi collettivi dei lavoratori autonomi è chiamata ad affrontare, comunque, gli orientamenti adottati dalla Commissione segnano un indubbio punto di alleggerimento ed è quindi auspicabile che ricevano attenzione anche da parte di soggetti formalmente non vincolati ad osservarli, come la Corte di Giustizia e le autorità anti-trust degli Stati membri.

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