testo integrale con note e bibliografia

1. Il momento europeo della contrattazione collettiva?
Non è un caso che il dibattito sull’estensione della contrattazione collettiva al settore dei lavoratori autonomi sia coinciso temporalmente con le prime riflessioni nel campo della gig economy. Attualmente si può affermare con certezza che nell’Unione Europea la situazione è favorevole allo sviluppo del dialogo sociale e della contrattazione collettiva. Peraltro, la possibile proiezione del principale meccanismo di difesa collettiva dei lavoratori subordinati a queste forme di lavoro atipiche presenta diversi aspetti comuni. In questo contributo si cercherà di esporre quanto osservato nell’ambito della gig economy negli ultimi anni, cercando di presentare sia buone prassi che possono essere utili nel campo del lavoro autonomo, sia insidie da evitare.

Se si guarda alla mole di documenti prodotti negli ultimi anni dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo, è impossibile non notare l’impegno nei confronti del dialogo sociale e della contrattazione collettiva . Già nella Dichiarazione di Roma che commemorava il 60° anniversario della firma del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, si poteva leggere un riferimento a “un’Unione che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo fondamentale delle parti sociali”. Il Pilastro dei diritti sociali si è mosso nella stessa direzione, includendo nei suoi articoli affermazioni rilevanti come quelle contenute nel principio 8, secondo cui “Le parti sociali sono consultate per l’elaborazione e l’attuazione delle politiche economiche, occupazionali e sociali nel rispetto delle prassi nazionali. Esse sono incoraggiate a negoziare e concludere accordi collettivi negli ambiti di loro interesse, nel rispetto della propria autonomia e del diritto all’azione collettiva. Ove del caso, gli accordi conclusi tra le parti sociali sono attuati a livello dell’Unione e dei suoi Stati membri (…). È incoraggiato il sostegno per potenziare la capacità delle parti sociali di promuovere il dialogo sociale”.

Su questa linea, le Direttive adottate negli ultimi anni hanno insistito sul ruolo fondamentale del dialogo sociale e della contrattazione collettiva nella loro attuazione. La Direttiva UE 2022/2041, del 19 ottobre 2022, sui salari minimi adeguati, per esempio, si basa proprio sull’incentivazione della contrattazione collettiva, incontrando comunque la resistenza di alcuni Stati nordici che considerano questa disciplina un’invasione delle loro competenze e una minaccia per il loro modello di relazioni industriali.
È soprattutto dai recenti Orientamenti della Commissione Europea dedicati ai lavoratori autonomi , in ogni caso, che si evince come l’attuale momento politico sia propizio per affrontare la questione.

Non si può trascurare che un punto di intersezione preliminare tra le due sfere è la qualificazione giuridica del rapporto che i lavoratori delle piattaforme digitali intrattengono con queste ultime. Negli ultimi anni, non solo la dottrina ha discusso sul loro status di lavoratori subordinati o autonomi, e sulle diverse fonti di regolazione , ma si è osservato anche il proliferare di controversie giudiziarie a livello nazionale ed europeo. In alcuni casi si è dovuto ricorrere a tribunali superiori per raggiungere una decisione, come nel caso di Francia, Italia, Spagna o Regno Unito . Anche se il modello imprenditoriale delle piattaforme varia molto, questi lavoratori sono stati generalmente classificati come subordinati. Tuttavia, in altri casi, lo status di lavoratore è stato loro negato: basti pensare all’ordinanza della Corte di Giustizia nel caso Yodel (C-692/19) o a quello in cui un tribunal de l'entrepris belga ha negato lo status di lavoratore ai conducenti di Uber.
È evidente, dunque, il collegamento tra le protezioni dei lavoratori tramite piattaforma e la tutela del lavoro autonomo. Da qui l’importanza dell’idea di una contrattazione collettiva “mista” come potenziale formula unificante per il futuro. Tradizionalmente, i contratti collettivi vengono stipulati per regolare un rapporto di lavoro. Pertanto, dal lato dei lavoratori, l’ambito soggettivo di applicazione è limitato ai lavoratori subordinati, mentre i lavoratori autonomi sono generalmente esclusi dalla contrattazione collettiva, fatta eccezione per formule specifiche adottate in alcuni paesi, come la Germania.

La Corte di Giustizia UE, in linea con la sua precedente giurisprudenza, nella sentenza FNV Kunsten (C-413/13) ha affermato che gli unici contratti collettivi che non violano il diritto comunitario della concorrenza sono quelli negoziati tra “parti sociali”. Tuttavia, nella medesima decisione (par. 42), la Corte ha anche affermato che i contratti collettivi per “prestatori che si trovano in una situazione paragonabile a quella di (...) lavoratori” non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE. Ha inoltre spiegato che un prestatore di servizi può perdere “la qualità di operatore economico indipendente, e dunque d’impresa, qualora non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma dipenda interamente dal suo committente, per il fatto che non sopporta nessuno dei rischi finanziari e commerciali derivanti dall’attività economica di quest’ultimo e agisce come ausiliario integrato nell’impresa di detto committente” (par. 33). Questa sentenza sembra consentire un’interpretazione a favore della conclusione di contratti collettivi per “prestatori che si trovano in una situazione paragonabile a quella di (...) lavoratori” senza violare il diritto antitrust dell’UE. Tuttavia rimangono incertezze, ad esempio su come determinare quali fornitori di servizi siano comparabili ai lavoratori. Il diritto della concorrenza è quindi visto come uno degli ostacoli più importanti sulla strada verso un nuovo modello di contrattazione collettiva con un campo di applicazione ampliato. Forse è arrivato il momento di ripensarse la relazione tra diritto del lavoro e diritto della concorrenza e rivedere tutto quello che è accaduto dal caso Albany (C-67/96) fino a oggi. Forse è arrivato il momento che la contrattazione collettiva divenga la regola e la tutela della concorrenza l’eccezione.

2. I soggetti collettivi della contrattazione
Dal punto di vista dei lavoratori delle piattaforme, si possono identificare due principali questioni problematiche riguardo all’ambito soggettivo di applicazione della contrattazione collettiva, che hanno entrambe un riflesso sulla prospettiva dei lavoratori autonomi. In primo luogo, la situazione negli Stati membri varia considerevolmente da uno Stato membro all’altro. Mentre in molti Stati membri i contratti collettivi si possono stipulare solo per i lavoratori subordinati, in altri Stati membri i contratti collettivi possono essere stipulati anche per lavoratori che non si possono classificare come subordinati. In altri ancora, è possibile dichiarare che i contratti collettivi sono applicabili ai lavoratori non subordinati.

Il secondo grande problema condiviso dai lavoratori autonomi e da quelli della gig economy è la formazione e la scelta dei rappresentanti. Chi parlerà per loro? Chi darà voce ai loro interessi? Nella maggior parte dei paesi, il quadro giuridico esistente segue la logica dei vecchi modelli di organizzazione del lavoro. Pertanto, l’applicazione dei diritti collettivi per le persone che lavorano nell’economia delle piattaforme è piuttosto difficile, così come lo è per gli autonomi. Una struttura di contrattazione basata sull’approccio della singola unità produttiva e del singolo datore di lavoro, insieme alla regola della maggioranza che esiste in molti Stati membri, implica difficoltà strutturali nel perseguire la solidarietà tra i lavoratori delle piattaforme e tra questi e i dipendenti che lavorano nella stessa unità di contrattazione.

Tutti questi problemi valgono anche per i lavoratori autonomi, tra i quali vi è la stessa mancanza di spazio condiviso, di interessi comuni e di solidarietà diretta, elementi che sono necessari alla formazione di una voce unitaria a difesa dell’interesse collettivo di un gruppo di lavoratori.

Questo è particolarmente vero in quegli Stati membri in cui la contrattazione a livello aziendale prevale sulla contrattazione a livello settoriale. Senza un intervento legislativo, in molti paesi, questo modello decentralizzato non incentiva i sindacati a sostenere i lavoratori delle piattaforme e neanche la contrattazione collettiva per gli autonomi. Aprire un dibattito sui diritti dei nuovi lavoratori atipici può essere un’opportunità per ripensare i modelli di contrattazione esistenti e, in alcuni paesi, per incoraggiare la contrattazione collettiva a livello settoriale.

In tale situazione, dopo un decennio di lento adattamento, i vecchi attori sembrano essere nella posizione migliore per integrare le prerogative tradizionali con le nuove tecnologie. Tuttavia, un’analisi della realtà mostra che i lavoratori delle piattaforme sono talvolta riluttanti ad aderire ai sindacati tradizionali. Inoltre, gli stessi sindacati, almeno inizialmente, non erano preparati ad affrontare la questione. Al fine di stabilire un modello solido, si dovrebbe includere nel dibattito l’idea dei sindacati smart , che alla fine potrebbe anche portare a far sì che le app si facciano concorrenza tra loro. Incoraggiando il dibattito, sensibilizzando, creando correnti di opinione, utilizzando lo stesso modello di business dell’economia delle piattaforme, si potrebbero raggiungere più facilmente i lavoratori delle piattaforme. In un modello di business basato sulla reputazione digitale, propria sia dei lavoratori che delle aziende, non si può ignorare questo aspetto dell’attività dei sindacati.

I nuovi attori portano con sé anche nuove forme di intervento collettivo: questi nuovi gruppi, però, non sono mai riusciti a concludere un accordo collettivo. Hanno apportato nuove modalità di espressione dei conflitti lavorativi, come flash mob, manifestazioni in bicicletta o blocchi. Nonostante abbiano attirato attenzione sulla loro condizione, non sono considerati attori negoziali efficaci. Non è stato concluso un solo contratto collettivo in cui essi siano stati gli interlocutori del datore del lavoro.

Quanti di questi insegnamenti sono esportabili al settore del lavoro autonomo? Il punto di partenza è più o meno lo stesso. Nella maggior parte degli Stati membri dell’UE i lavoratori autonomi non sono considerati una componente fondamentale di un sindacato. Tuttavia, alcuni Stati hanno esteso loro certi diritti. La Spagna ne è un esempio.
L’articolo 3.1 della Ley orgánica sulla libertà sindacale (Ley 11/1985, de 2 de agosto) stabilisce che “i lavoratori autonomi che non hanno lavoratori al loro servizio (...) possono aderire a organizzazioni sindacali costituite in conformità con le disposizioni della presente legge, ma non possono fondare sindacati il cui scopo è proprio quello di proteggere i loro interessi individuali”. In questo modo, i lavoratori autonomi possono far confluire i propri interessi con quelli dei lavoratori dipendenti. Gli interessi che sono esclusivi per loro sarebbero affidati a organizzazioni di natura diversa, associazioni e non sindacati. La pratica spagnola, tuttavia, dimostra che possono verificarsi alleanze tra queste organizzazioni e i sindacati tradizionali (UPTA e UGT, per esempio), dando così vita a nuove forme di tutela collettiva.

Infine, in questo scenario di contrattazione collettiva non va dimenticato il punto di vista dei datori di lavoro. Nel campo delle piattaforme, è facile individuare una rinuncia alla loro posizione tradizionale. Non c'è alcuna volontà di essere un datore di lavoro ai fini del diritto del lavoro individuale, ma ancora meno per la dimensione collettiva. Si può tranquillamente affermare che la difficoltà di trovare una controparte è uno dei principali ostacoli allo sviluppo di una contrattazione collettiva efficace.
Il ruolo delle organizzazioni dei datori di lavoro nel campo delle piattaforme è il più opaco di tutti. Non risponde più a un conflitto di classe, ma piuttosto di interessi, perché le aziende tradizionali non condividono la loro posizione e prospettiva con le nuove piattaforme. Secondo molte delle parti interessate, la posizione delle piattaforme non è aperta nei confronti della contrattazione collettiva.

Questo è vero sia nel campo del lavoro su piattaforma che in quello del lavoro autonomo. È difficile immaginare uno scenario che rispetti le regole del diritto della concorrenza e che sia diverso dalla relazione dei lavoratori autonomi “satelliti” di un'azienda principale. L’area più fruttuosa per un possibile sviluppo di questo tema, a mio avviso, è legata al decentramento della produzione. Si pensi, in tal senso, al TRADE spagnolo quale accordo di interesse professionale, nonostante questo modello abbia successo in un limitato numero di casi.

3. Il livello della contrattazione
Lo scenario più probabile per quanto riguarda il futuro della contrattazione collettiva nell’economia delle piattaforme è che rimangano in vigore i sistemi attuali. Tuttavia, la loro efficacia dipenderà in larga misura dalla qualificazione giuridica dei lavoratori delle piattaforme. Ciò che rimane irrisolto è il dilemma del livello di contrattazione: gli accordi si devono stipulare a livello aziendale o settoriale? La risposta a questa domanda dipende in larga misura dalla forza dei rispettivi attori negoziali.
Il panorama dei contratti collettivi attuali mostra che i primi accordi settoriali relativi all’economia delle piattaforme, ad esempio in Spagna nel settore alberghiero e della ristorazione, sono stati conclusi da sindacati (e organizzazioni datoriali) che non hanno tenuto conto delle peculiarità di questa attività, ma hanno solo ampliato l’ambito di applicazione soggettivo dei contratti collettivi e assorbito nel sistema l’economia delle piattaforme. Le condizioni del lavoro subordinato non sono invece esportabili automaticamente a questo campo di attività, e questo scenario risulta difficilmente replicabile nell’ambito dei primi esperimenti sul lavoro autonomo.

Anche l’accordo tra il sindacato danese 3F e Dansk Erhverv, la Camera di Commercio danese, ha seguito il vecchio modello relativo agli attori, ma ha fatto un passo avanti, poiché è stato negoziato specificamente per i lavoratori dell’economia delle piattaforme. Inizialmente erano coperti dall’accordo solo i dipendenti di Just Eat, trattandosi fondamentalmente di un accordo a livello aziendale in termini di ambito soggettivo. Tuttavia, è stato poi diffuso ad altre aziende di consegna. Può quindi essere considerato il primo vero accordo settoriale relativo all’economia delle piattaforme nel suo proprio ambito. In Austria, si è concluso anche un accordo collettivo nel settore dei rider, tra gli operatori tradizionali, le camere di commercio che rappresentano i datori di lavoro e la federazione sindacale austriaca dall'altra parte. Tuttavia, il suo ambito di applicazione soggettivo è limitato ai soli lavoratori subordinati.

Il terzo esempio è il più degno di nota: l'accordo nazionale italiano per la consegna delle merci effettuato dai rider. Gli attori negoziali sono una nuova organizzazione specifica dei datori di lavoro, AssoDelivery, composta da piattaforme, e un sindacato tradizionale, UGL, attraverso il suo dipartimento specifico, UGL Rider. Questo accordo dimostrava, in principio, la capacità di adattamento e trasformazione degli attori quando c'è la volontà di negoziare. Deve segnalarsi, tuttavia, che questo accordo è stato dichiarato invalido da un tribunale del lavoro per mancanza di rappresentatività dell’organizzazione sindacale stipulante.

D’altra parte, ci sono degli accordi a livello aziendale, come quello tra il sindacato danese 3F e Hilfr del 2018 o quello nel Regno Unito tra il sindacato GMB e Hermes del 2019. Il modello, per quanto riguarda la rappresentanza dei lavoratori, è lo stesso. Gli attori tradizionali hanno successo nel loro ruolo tradizionale quando possono fare pressione sugli altri attori negoziali. Penso che, nello scenario descritto di decentramento della produzione, questa è la possibilità più prossima: l’identificazione di campi d’interessi comuni per lavoratori subordinati e autonomi.

Qualunque sia il livello di negoziazione, si possono trarre conclusioni chiare e dirette. Nei pochi contratti collettivi che sono stati conclusi nell’ambito dell’economia delle piattaforme, i sindacati tradizionali sono stati gli attori principali, e hanno seguito le norme tradizionali. Dunque, i lavoratori autonomi debbono, prima di tutto, creare le proprie strutture oppure entrare in quelle tradizionali. E, dall’interno, attuare una riforma per la loro tutela, forse.

4. Le materie negoziate
C'è consenso tra gli studiosi e le parti interessate sul fatto che la questione del contenuto della contrattazione collettiva dovrebbe essere lasciata alle parti sociali. Nessuna regolamentazione legale è considerata necessaria in tale ambito. L’analisi dei contenuti reali della contrattazione collettiva nell’economia delle piattaforme ci fornisce una risposta molto variegata. La classificazione principale comprende contenuti astratti, generali e specifici.

Il primo gruppo si riferisce ai casi in cui i lavoratori dell’economia delle piattaforme sono stati inseriti in accordi settoriali già esistenti, come è avvenuto in Spagna con il settore alberghiero e della ristorazione. Questi contratti collettivi non contengono nessuna norma specifica relativa ai lavoratori delle piattaforme, ma hanno semplicemente esteso il loro ambito di applicazione personale. L’analisi di questi contenuti, quindi, è priva di qualsiasi interesse. Nella mia opinione, questo può essere il primo scenario di una contrattazione collettiva mista nel futuro, dove i lavoratori autonomi saranno “incorporati” nel canone di quelli dipendenti, in quanto sia applicabile anche ai primi quanto contrattato per i secondi. Il livello aziendale sarebbe ottimo, secondo me, e rispetterebbe le regole della Corte di Giustizia.

Il secondo gruppo di contenuti include categorie tradizionali di regolamentazione che hanno una dimensione speciale nell’economia delle piattaforme. Gli esempi più evidenti sono la retribuzione e l’orario di lavoro, questioni che sono sempre state presenti nel mercato del lavoro, ma che oggi assumono maggiore complessità, considerato ad esempio il ruolo che hanno le app nel determinarle.

Il primo accordo aziendale, firmato dal sindacato danese 3F e da Hilfr Aps, è l’esempio perfetto di questa situazione, poiché copre tutte le questioni tradizionali. Per quanto riguarda le retribuzioni, ad esempio, contiene la seguente norma: “Attraverso la piattaforma, il lavoratore può fissare la sua retribuzione individuale. Nel frattempo, non potrà mai essere inferiore alla retribuzione stabilita in questo contratto collettivo”. Un contenuto simile e ancora più dettagliato si trova nell'accordo nazionale italiano. Non sono clausole innovative, ma l’espressione visibile dello spazio potenziale che i contratti collettivi possono occupare nell'ambito dell'economia delle piattaforme. Negli stessi accordi, tuttavia, ci sono regole che riguardano i nuovi aspetti tecnologici dell’estinzione del contratto di lavoro: “La cancellazione o altra spersonalizzazione del profilo del dipendente sulla piattaforma sarà considerata un licenziamento”, secondo l’accordo danese. Un contenuto simile si trovava anche nell’accordo nazionale italiano. Si percepisce chiaramente che questo accordo sta adattando le strutture esistenti al lavoro su piattaforma. In realtà, la maggior parte delle piattaforme prevede un ampio diritto di sospendere il lavoratore o di porre fine alla sua collaborazione, di solito senza l’obbligo di fornire una giustificazione o solo in base a criteri relativamente generici (ad esempio facendo riferimento al suo punteggio senza indicare quale sia il livello accettabile) e senza un periodo di preavviso. La contrattazione collettiva può essere anche uno strumento utile per proteggere i lavoratori autonomi, poiché può modulare questi ampi poteri.

Un’area soggetta a profondi cambiamenti è quella dell’orario di lavoro. Mentre la legislazione del lavoro non dovrebbe impedire ai lavoratori e ai datori di lavoro di trarre vantaggio dalle moderne tecnologie, sono necessarie garanzie minime di orario di lavoro per tutti i lavoratori, anche per i lavoratori autonomi. Questo non significa che tutti gli istituti e i limiti legali tradizionali possano essere applicati senza aggiustamenti. Tuttavia, l'adattamento non deve essere inteso come un'esclusione volontaria: ragioni puramente tecniche non possono giustificare la mancata applicazione delle garanzie dell'orario di lavoro. La contrattazione collettiva può essere una soluzione per conciliare le esigenze dei nuovi tipi di lavoro e la normativa sull'orario di lavoro. La contrattazione collettiva può introdurre adeguate misure di protezione contro un'eccessiva enfasi sulla flessibilità a favore del datore di lavoro, il che implica un processo di definizione delle norme più trasparente e formale di quello delle contrattazioni individuali.

A differenza della legislazione, le parti della contrattazione collettiva hanno una comprensione migliore delle priorità del posto di lavoro o del settore interessato e sono in grado di reagire rapidamente ai cambiamenti delle esigenze del mercato. La legislazione dell’UE dà un ampio margine alla contrattazione collettiva nella definizione delle norme sull’orario di lavoro. L’articolo 18 della Direttiva sull’orario di lavoro (Direttiva 2003/88/CE) permette deroghe agli articoli sul riposo giornaliero, le pause, il periodo di riposo settimanale, la durata del lavoro notturno e i periodi di riferimento attraverso contratti collettivi. L’evidenza empirica mostra che le norme sull'orario di lavoro stabilite dai contratti collettivi nei luoghi di lavoro digitali non sono solo una questione teorica. Tuttavia, resta ancora da vedere come le parti possano utilizzare la clausola di deroga della Direttiva sull’orario di lavoro per stabilire misure specifiche pensate proprio per i lavoratori delle piattaforme, anche nel quadro del rapporto di lavoro.

Il terzo gruppo di contenuti è il più "esplorativo". È l'ambito in cui la contrattazione collettiva può essere uno strumento di innovazione, affrontando questioni che finora non sono state una preoccupazione tradizionale. Il decreto francese no. 2021-952, per esempio, ha stabilito una normativa sui dati dei lavoratori delle piattaforme e sull'accesso individuale ad essi. I punteggi che ricevono i lavoratori e il loro controllo, facendo un passo avanti, potrebbero essere anch'essi regolati da contratti collettivi. La negoziazione e il monitoraggio dell'algoritmo utilizzato dalla piattaforma o il regime di punteggio che i lavoratori ricevono è la più notevole di queste possibilità.

La legislazione spagnola ha già aperto una possibile strada per lo sviluppo collettivo, dato che la legge rider (Ley 12/2021) ha incluso il diritto dei rappresentanti dei lavoratori di «essere informati dall’azienda in merito ai parametri, alle regole e alle istruzioni su cui si basano gli algoritmi o i sistemi di intelligenza artificiale che influiscono sul processo decisionale che possono influenzare le condizioni di lavoro, l’accesso e il mantenimento dell'occupazione, compresa la profilazione». Questo è, ovviamente, un primo passo limitato poiché riguarda i diritti di informazione e non la contrattazione collettiva. Ma la porta è stata aperta a nuovi regolamenti.

In ogni caso, si deve garantire il diritto di esigere trasparenza nelle decisioni e nei risultati dei sistemi di IA, nonché degli algoritmi sottostanti, stabilendo il diritto di impugnare le decisioni adottate dagli algoritmi e di farle controllare da un essere umano. Attraverso accordi collettivi raggiunti dalle parti sociali, le parti potrebbero regolamentare, ad esempio, sia l’inserimento di dati nei sistemi automatizzati di reclutamento e promozione dei lavoratori, sia il controllo dei lavoratori sulla vita successiva dei dati creati da questi sistemi. E tutte queste possibilità servono anche ai lavoratori autonomi.

5. Una breve conclusione
Le conclusioni tratte dal progetto COGENS per i lavoratori delle piattaforme sono esportabili al lavoro autonomo. La contrattazione collettiva, adattata alle loro circostanze, potrebbe facilmente diventare uno strumento di intervento in questo campo. In tal modo, questo diritto (fondamentale) sarà riconosciuto a persone le cui condizioni di lavoro non sono molto diverse da quelle degli attuali beneficiari della contrattazione collettiva. In modo analogo, i meccanismi di informazione e consultazione esistenti potrebbero essere estesi in futuro a questi gruppi. Se concepiti, come auspicato dalla Commissione europea, come strumenti di anticipazione del cambiamento e di dialogo a favore della produttività, potrebbero rappresentare un notevole miglioramento nella gestione del mondo del lavoro moderno. Ma per raggiungere questo risultato c’è ancora molto più della metà del cammino da percorrere entro la selva oscura.

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