Testo integrale con note e bibliografia

Il 13 febbraio 2019, il Parlamento Europeo ha votato la risoluzione sull’attuale regresso dei diritti delle donne e dell'uguaglianza di genere nell'UE (2018/2684(RSP)).
Il percorso per il riconoscimento dei diritti delle donne e della parità di genere, iniziato con la firma della Carta delle Nazioni Unite nel giugno del 1945 – ed arricchitosi nei decenni di epocali conquiste e storiche rivendicazioni , fino a diventare trasversale in tutte le politiche comunitarie (gender mainstream), sembra essere ad un preoccupante punto di stallo.
Desta molta preoccupazione il fenomeno rilevato dal Parlamento EU e relativo ad una involuzione rispetto ai diritti acquisiti ed al mantenimento, nonostante i numerosi passi avanti compiuti nel campo del gender balance, di uno status quo non paritario.
Tale diffusa condizione risulta particolarmente allarmante poiché, seppur in proporzione differente nei vari Paesi membri e nelle varie regioni, esse riguarda quasi tutti gli Stati europei.
E se è vero che “in alcuni casi tale fenomeno è rimasto a livello retorico in altri si è concretizzato in misure e iniziative” .
Una responsabilità del regresso è determinata, secondo la risoluzione del PE, anche da una certa assenza di politica a tutela della promozione della parità.
Il Gender Equality index 2019 (l’Indice sull’uguaglianza di genere), elaborato dall’ EIGE (l’European Institute for Gender Equality), l’agenzia europea che monitora l’uguaglianza di genere nei ventotto Stati Membri, restituisce l’immagine di un Paese, l’Italia, che con un indice di 63 rimane (lo era anche nel 2017) la Nazione europea che compie i maggiori progressi verso la parità di genere. Purtroppo, quello che fa non è abbastanza e, sebbene in 12 anni abbia guadagnato quasi 14 punti, i risultati non sono ancora sufficienti a raggiungere la media europea (di 67 punti). La voce in cui l’Italia registra il punteggio più basso di tutti gli altri Stati membri dell’UE riguarda le discriminazioni nell’accesso al mondo del lavoro.
Il complesso percorso politico e legislativo, intrapreso in Italia per le politiche di genere, ha compiuto senza dubbio passi importanti, ma ciò nonostante le tematiche di genere hanno ancora un posizionamento negativo rispetto alla maggioranza dei paesi europei. Questa evidenza è da ricondursi più che a un’inadeguatezza delle norme, a un deficit di interiorizzazione sociale delle regole esistenti.
Le ragioni sono molteplici e vanno ricercate anche in un insieme di esperienze, obblighi e aspettative che compongono quella barriera invisibile (cosiddetto glass ceiling) che spesso frena le donne verso una piena realizzazione professionale.
Il mondo delle professioni e nello specifico quello dei commercialisti nel territorio milanese non fa eccezione. Sebbene si sia in presenza di una costante crescita della componente femminile in termini di Iscritte all’ Albo professionale (nell’anno 2019 sono state 2871 le professioniste Iscritte all’Odcec Milano, +0,43% rispetto all’anno 2018, il cui numero era di 2806), il gender gap tra uomo e donna rimane, così come permane il divario reddituale a seconda del genere .
Secondo i dati raccolti dalla Commissione Rilevazione Dati Statistici Milanesi dell’Odcec Milano per l’anno 2019, la media IRPEF degli Iscritti maschi degli Ordini territoriali della Lombardia è di 110.587 euro, la media delle Iscritte scende drammaticamente a 58.982 euro.

 

 

Per questo motivo l’ODCEC è impegnato in politiche di welfare che agevolino la conciliazione famiglio- lavoro.
Sicuramente l’adozione di politiche di genere può essere uno strumento efficace per accellerare il mutamento culturale.
La normativa, nota con il nome delle sue due promotrici On. Golfo e On. Mosca, introduce per tre rinnovi consecutivi degli organi societari, il criterio di gender balance con il vincolo delle quote a vantaggio del “genere meno rappresentato” nelle società quotate in borsa e nelle società a “controllo pubblico”.
Il CNDCEC, all’interno del Bilancio di genere 2019, ha presentato i dati rilevati alla presenza femminile nei vertici di dette società, evidenziando come, nel corso degli anni successivi all’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca (entrata in vigore nel 2011 e valida fino al 2022), vi sia stato un significativo aumento della presenza femminile in posizioni apicali. “Dal resoconto sull’attuazione della legge, pubblicato ad aprile 2019 dal Servizio Studi del Senato nell’ambito del dossier relativo ai due disegni di legge nn. 1028 e 1095, finalizzati a prorogare a sei mandati l’operatività delle norme introdotte dalla Golfo-Mosca, risulta, infatti, sulla base dei dati diffusi dalla CONSOB, che dal 2011 al 2018 la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate è passata dal 7% circa al 36%, mentre nei collegi sindacali è salita dal 6,5% al 38%” si legge nel BdG 2019 del CNDCEC . Per quanto riguarda invece le società a partecipazione pubblica, secondo i dati messi a disposizione dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del consiglio dei ministri e riportati nel dossier del Servizio Studi del Senato, relativi a marzo 2019, “la presenza femminile tra gli organi apicali delle società a controllo pubblico è pari al 32% del totale.
In particolare, le donne rappresentano il 28,5% dei componenti dei consigli di amministrazione e ricoprono più di un terzo delle cariche nei collegi sindacali (33,4%)” .
Per abbattere quelle barriere, superare gli stereotipi che, in maniera quasi naturale, condizionano l’agire delle donne e ne frenano lo sviluppo professionale e progredire nella parità di genere, non basta dunque solo una solida cornice normativa, ma servono azioni e progettualità, ma soprattutto servono donne in ruoli di potere.
Nel promuovere lo sviluppo lavorativo delle donne professioniste si dovrebbe tener conto della dualità in cui una donna, madre e lavoratrice, si trova a vivere, e di tutte le difficoltà derivanti dalla gestione e dalla conciliazione della sfera privata e di quella lavorativa, alla luce poi, dell'assenza di azioni di sostegno.
Svolgere la professione di Commercialista oggi, comporta l’assunzione di impegni che, risultano molto difficili da conciliare con le esigenze di vita familiare.
Occorre, dunque, un cambio di paradigma. L'uguaglianza, anche a livello professionale, non può essere un semplice obiettivo tecnocratico ma deve saper coinvolgere, in ogni tempo e ad ogni condizione, tutti gli ambiti politici, affinché non vi sia più un regresso delle condizioni e, le conquiste ottenute, diventino realmente il fondamento della società che verrà.

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