Testo integrale con note e bibliografia

Il lavoro agile o “ smart working” è stato individuato nella legislazione d’emergenza legata all’epidemia da COVID 19 ( D.P.C.M. del 4.3.2020 lett. N) art 1 e D.P.C.M. dell’8.3.2020 lett. R) art 1, D.P.C.M dell’11.3.2020 art 1 n.6 ,Direttiva del ministro della Pubblica amministrazione n.1/2020 del 25.2.2020 Circolare n. 2/2020 del Ministero della pubblica amministrazione)come modalità ordinaria di svolgimento del lavoro subordinato, anche in assenza di apposita contrattazione collettiva e di previa informativa e ove ovviamente compatibile con la tipologia di attività svolta: pertanto in linea teorica tutte le attività che ad oggi vengono prevalentemente eseguite mediante un pc sono autorizzate allo svolgimento “ da remoto” mediante una postazione esterna attrezzata con collegamenti telematici all’ufficio.
Il senso delle disposizioni è stato quello di ridurre gli spostamenti lavorativi e la presenza fisica nei luoghi di lavoro garantendo , nei limiti possibili, la continuità della prestazione professionale e nel contempo il contenimento della pandemia.
Ma da modalità emergenziale il lavoro “ agile”nel pubblico impiego può invece diventare la soluzione a molteplici problematiche che da tempo immemorabile affliggono il settore impattando in maniera significativa sul tessuto sociale del paese e allontanando il lavoro pubblico dai prototipi di efficienza del settore privato.
La riforma del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni , insieme alla riforma della scuola e della giustizia è infatti elemento imprescindibile per il rilancio culturale ed economico del paese: dallo storico dlgs 29/1993 numerosi sono stati gli interventi diretti a migliorare e potenziare specifici istituti del comparto pubblico ma nessuno di essi ha avuto caratteristiche realmente riformiste( si pensi alle leggi Bassanini o alla riforma Brunetta contenuta nel dlgs 150 2009).
Storicamente il” posto pubblico”ha svolto la funzione di stabilizzatore del consenso elettorale; funzione favorita dall’aumento della burocrazia e degli interventi statali nei servizi essenziali dal dopo-guerra ad oggi.
Si è così determinata una ipertrofia del lavoro pubblico con la creazione di innumerevoli posizioni lavorative : la progressiva retrocessione della mano pubblica dai settore strategici degli ultimi 30 anni le ha rese a dir poco superflue in molti ambiti.
Sta di fatto che questo trend di implementazione ha prodotto una forte settorializzazione delle competenze : per ogni servizio/funzione sono stati assegnati soggetti con profili professionali eterogenei (funzionario/ assistente esecutivo/ ausiliario).
E se da un lato questo ne ha incrementato la competenza e la resa individuale, dall’altro ha finito con l’ingessare il singolo servizio/funzione e le mansioni in esso comprese: nelle pubbliche amministrazioni ogni dipendente sa spesso svolgere solo le incombenze quotidiane a lui assegnate, ma generalmente ignora quelle che svolge parallelamente e in modo complementare un collega di pari qualifica funzionale ed addetto al medesimo servizio.
Questo stato di cose , peggiorato dalla congenita rigidità delle piante organiche – garanzia di trasparenza e di parità di accesso nelle procedure di selezione-ha determinato nel tempo una scarsa fungibilità nelle competenze e una limitata circolazione delle relative informazioni favorendo in alcuni settori logiche individualistiche , nel lungo periodo inefficienti nonché foriere di conflitti ambientali.
Ora questo stato dell’ arte è certamente destinato ad essere superato per la convergente azione di svariati interventi:
-la digitalizzazione dei procedimenti amministrativi:
il processo di informatizzazione, già in corso peraltro, consentirà da un lato la riduzione delle professionalità meramente esecutive ( dattilografi,commessi, etc.)che dovrebbero andare ad esaurimento - sempre che le politiche pensionistiche nazionali lo consentano- riportando quindi a numeri congrui il lavoro pubblico. Dall’altro consentirà una più agevole e tracciabile condivisione dei compiti all’ interno del singolo servizio .
-la ridefinizione delle piante organiche.Ne conseguirà quindi la necessaria ridefinizione delle piante organiche che dovranno essere sostituite da “ macroaeree lavorative” più estese nelle quali far confluire con maggiore elasticità profili professionali variegati ma complementari.Questo potrà essere utile anche per velocizzare i meccanismi di selezione concorsuale che potranno quindi riguardare più qualifiche accorpabili con tempi di svolgimento più celeri.
-l’aggiornamento periodico del fabbisogno.Una maggiore duttilità nella individuazione delle mansioni all’interno di un servizio/ funzione renderà possibile individuare meccanismi di aggiornamento periodico del fabbisogno favorendo interscambiabilità tra dipendenti di diverse amministrazioni secondo equilibri di bilancio ( se c’è un surplus in un’amministrazione potrà essere utilizzato per compensare carenze in altre) con il progressivo accantonamento degli istituti del distacco e del comando troppo rigidi nei presupposti applicativi e di scarsa resa perchè spesso utilizzati solo per assecondare istanze di trasferimento altrimenti precluse.
-la progressiva diffusione dello “ smart working” o lavoro agile come strumento di miglioramento della performance lavorativa nel comparto pubblico
Di lavoro a distanza nella Pubblica Amministrazione come modalità di impiego flessibile delle risorse umane si parla già dalla fine degli anni ’90; grazie all’ accordo quadro sul telelavoro siglato nel 2000 in attuazione del DPR n. 70 dell’8.3.1999 viene consentito , per alcune tipologie di dipendenti e per una percentuale limitata di essi, di svolgere, a parità di salario e di durata lavorativa la prestazione professionale “ a distanza” attraverso l’uso di postazioni informatiche certificate e collegate ai sistemi dell’ ufficio .
In realtà con la modalità “ tele lavoro” la prestazione rimane identica nello svolgimento e nella tempistica e deve effettuarsi esclusivamente con il collegamento certificato ma elimina i tempi di spostamento casa-ufficio migliorando la produttività e l’organizzazione personale del lavoratore.
Nonostante dunque già da tempo regolamentato, l’istituto non ha però avuto grande diffusione:i lavoratori pubblici hanno ritenuto più conformi al soddisfacimento di esigenze personali forme di part- time orizzontale e verticale.
Il Lavoro agile, già presente da circa dieci anni in molti settori produttivi privati, presuppone invece un’auto-gestione del dipendente che organizza in base alle esigenze dell’ufficio il tempo del proprio lavoro che certifica e rendiconta sulla base degli obiettivi e dei progetti assegnatigli o con dispositivi forniti dall’ ufficio oppure con propri supporti informatici opportunamente abilitati.
In questi anni le Amministrazioni non sono state in grado di sfruttare le potenzialità del lavoro “ da remoto” in ragione sia della scarsità delle risorse informatiche che della scarna attenzione dedicata alla formazione digitale del personale; né tantomeno in sede di contrattazione collettiva sono state accuratamente approfondite queste problematiche.
Nel pubblico impiego il lavoro da remoto viene ancora visto con diffidenza e solo nell’ottica di strumento di agevolazione del dipendente e della sua qualità di vita ( il disegno di legge n.1320 sul lavoro presentato in Senato il 3.6.2019 dichiarava nelle premesse di volere garantire “una maggiore conciliazione dei tempi di vita e lavoro”).
E’ invece necessario anche nel pubblico comprendere i vantaggi in termini di efficienza di un’organizzazione gestionale in grado di avvalersi di postazioni da remoto.
Si pensi alla possibilità di lanciare progetti condivisibili su più aree o settori anche su più uffici territoriali ( i grandi accorpamenti organizzativi della stagione della “ spending review” hanno creato sedi operative interregionali unitarie con notevoli disagi per i dipendenti delle sezioni soppresse).
O anche alla riducibilità delle assenze per assistenza di familiari o ancor di più di minori ( congedi parentali) o per malattie non inficianti le capacità lavorative .
E ancora alla possibilità di contrarre i fitti passivi degli immobili adibiti ad uffici che possono essere sostituiti da sedi di ben più piccole dimensioni non dovendo alloggiare contemporaneamente tutto il perosnale.
La minore presenza fisica in ufficio in ambiti lavorativi conflittuali consente anche di limitare i danni alla produttività spesso generati da situazioni di tensione con altri colleghi.
Senza contare gli innumerevoli benefici in termini ambientali e sociali che potrebbero derivare dalla ridotta movimentazione di persone per motivi lavorativi ( le misure restrittive da emergenza Covid 19 tristemente lo confermano).
In realtà il maggiore ostacolo alla diffusione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni è rappresentato dalla difficoltà del controllo “ da remoto” sul dipendente;controllo ritenuto esercitabile solo mediante rilievi per così dire “ fisici.
Il controllo sul dipendente pubblico più intenso rispetto al comparto privato si giustifica in ragione del fatto che il lavoratore contribuisce con la sua prestazione al compimento di un segmento dell’ azione amministrativa e alla realizzazione dell’interesse pubblico: dunque il controllo sull’operato è anche controllo sull’ efficacia e sull’efficienza dell’intervento pubblico.
Per superare queste preclusioni più concettuali che operative è indispensabile allora ripensare completamente al potere datoriale di controllo sul lavoratore: la prestazione va valutata non più in termini quantitativi ( durata giornaliera e presenze annuali) ma qualitativi.
E’ necessario dare al dipendente progetti e obiettivi anche ancorati a parametri ponderali ( ad es il numero di pratiche aperte in un arco temporale definito) ma finalizzati al raggiungimento di un determinato standard di performance.
Ma nel contempo prevedere una durata minima di attività in smart working ( da rilevare con fasce giornaliere di reperibilità) da valutare in un lasso temporale più ampio della singola giornata e , ove ritenuto possibile, introdurre degli accessi a campione sulle singole postazioni da remoto per verificarne i contenuti.( di recente la Cassazione- sentenza n. 3266 2018 si è occupata della questione ritenendo legittimo nell’ interesse aziendale il controllo da remoto sui dispositivi aziendali in dotazione per il lavoro agile).
E in ogni caso il potere direttoriale e quello disciplinare rimarrebbero comunque esercitabili per i presupposti e nei limiti già consentiti.
Con questa modalità sarebbe possibile anche valorizzare maggiormente il merito in un ambito, come quello pubblico, in cui troppo spesso rimane confinato in rigide schede di presenza.
Ed è quella che viviamo una particolare contingenza storica in cui acquisire e valorizzare la competenza professionale nel pubblico diventa fondamentale anche per il superamento della difficile crisi economica e sociale in corso.
Di recente il lavoro da remoto è stato avviato in via sperimentale in diverse pubbliche amministrazioni e con buoni risultati:nelle Agenzie fiscali è migliorato il livello di produttività del personale autorizzato a lavorare da remoto e si sono ridotte le assenze nei giorni di presenza fisica in ufficio.
Particolare è poi il caso dell’ Agenzia del territorio che grazie al progetto “ Office to office” è riuscita a far fronte alle carenze di organico di alcuni uffici affidando lo smaltimento dell’ arretrato a dipendenti che lavoravano a distanza presso altre sedi.
Ma non basta pensare al lavoro agile come forma eccezionale “ premiale” per i dipendenti o occasionalmente utile al reperimento di personale:la flessibilità deve diventare lo strumento di governo e di rilancio del lavoro pubblico.
Dunque immaginando a breve la fine di questa drammatica emergenza sanitaria che ha colpito così gravemente il paese, la ripartenza nei settori pubblici strategici tra cui anzitutto il pubblico impiego dovrà incominciare proprio dalla semplificazione che non vuole essere assenza di controllo ma piuttosto flessibilità e capacità di adattamento alle nuove soluzioni gestionali offerte dalle tecnologie digitali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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