TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Mi ha colpita l’introduzione del seminario che presenta in modo molto positivo la nuova curvatura impressa dal legislatore alla cassa integrazione che (nella forma straordinaria) diviene uno strumento proattivo alla formazione di nuove competenze, necessarie nella fase di transizione energetica e digitale.
In effetti la cd. riforma Orlando del 2021 imprime alla nuova disciplina della cassa straordinaria questa curvatura sia con la definizione della nuova causale cigs (riorganizzazione aziendale, anche per realizzare processi di transizione individuati e regolati con decreto del ministro del lavoro sentito il ministro per lo sviluppo economico), sia con la previsione dell’accordo di transizione occupazionale che consente il prolungamento della cigs per ristrutturazione e per crisi in presenza di azioni concordate con il sindacato finalizzate alla rioccupazione o all’autoimpiego, quali formazione e riqualificazione professionale.
Perché mi ha colpita? Perché sono decenni che discutiamo della necessità di ricondurre la cassa integrazione alla sua finalità originaria, che è quella di consentire alle imprese economicamente sane, e con un equilibrato rapporto tra esigenze produttive e manodopera impiegata, di superare le situazioni di crisi conservando il proprio personale. Anche le proposte di riforma, almeno quelle discusse in sede accademica, andavano in questa direzione: mettere al bando l’impiego assistenziale della cassa integrazione, che si limita a rallentare il declino di imprese in crisi irreversibile, posticipando semplicemente i problemi occupazionali che ne derivano (un impiego tra l’altro di dubbia compatibilità con la normativa europea sugli aiuti di Stato).
Questa impostazione ha effetti disincentivanti sul mercato del lavoro: congelando la manodopera su posti di lavoro destinati ad essere soppressi, diminuisce maggiormente la ricerca di un nuovo posto di lavoro.
Ricordo, per non citare la recente proposta della Commissione di cui ho fatto parte , tra le proposte che hanno avuto un buon grado di condivisione, quella della Commissione Onofri, risalente al 1997.
Ma anche la storia della legislazione sulla Cassa integrazione è una storia di tentativi di ricondurla alla sua finalità originaria (pensiamo alla l. n. 223 del 1991 e, in parte, anche al Jobs Act): tentativi poi inesorabilmente falliti a causa delle urgenze economico-sociali che via via si sono presentate.

2. La cd. riforma Orlando, specie con la nuova causale cigs (riorganizzazione aziendale anche per realizzare processi di transizione) e con la previsione dell’“accordo di transizione occupazionale” , si adegua in sostanza ad un principio di realtà, nel momento in cui dà per scontato che l’intervento per ristrutturazione o crisi possa essere utilizzato anche quando è evidente che alla scadenza i lavoratori (o almeno parte di essi) non potranno più essere reimpiegati nell’impresa . Tanto vale allora cercare di utilizzare questo periodo per la formazione o la riqualificazione professionale non solo di quelli che continuano ad essere impiegati nell’impresa, ma anche di coloro che dalla stessa dovranno essere espulsi.
Intendiamoci: forse non c’è solo l’adeguamento al principio di realtà (che ha sempre vanificato tutti i tentativi di arginare un uso distorto della cigs); potrebbe esserci anche la considerazione della maggiore complessità ed imprevedibilità per le stesse imprese degli esiti occupazionali delle situazioni di crisi o di riorganizzazione nella attuale transizione ecologica e digitale.

3. In questo contesto – di sostanziale impossibilità di riformare la disciplina della cigs e forse anche di maggiore mobilità del sistema economico viste le molte transizioni che deve affrontare – la curvatura della cigs verso l’acquisizione di nuove competenze da utilizzare nell’impresa o nel mercato può essere apprezzata . Si tratta di verificare se gli strumenti apprestati sono adeguati e/o se da questa impostazione possano emergere controindicazioni.

4. Ancora prima della messa in campo degli strumenti di politica attiva ipotizzati, è decisiva qui la previsione della condizionalità.
L’art. 25-ter del d.lgs. 148 del 2015, rubricato “condizionalità e formazione”, impone l’obbligo per i lavoratori che beneficiano dell’integrazione salariale allo scopo di mantenere o acquisire le competenze, in vista della ripresa della attività e “in connessione con la domanda espressa dal territorio”, di partecipare alle iniziative di carattere formativo e di riqualificazione professionale, anche impartite tramite i fondi interprofessionali. La sanzione per la mancata partecipazione, senza giustificato motivo, oscilla tra la decurtazione del trattamento e la decadenza dallo stesso secondo i criteri fissati da un decreto ministeriale .
E il d.m. 2 agosto 2022 ha previsto un décalage delle sanzioni, fino ad arrivare alla decadenza nel caso di mancata partecipazione, senza giustificato motivo, ai corsi proposti nella misura dell’80% delle ore complessive.
Non mi soffermo sulla dissuasività delle sanzioni previste. Risulta evidente da questa disposizione che oggetto della condizionalità sono la formazione e riqualificazione professionale, piuttosto che la ricerca attiva di un’occupazione. Se ciò è pienamente coerente con la funzione tradizionale della cassa integrazione lo è senza dubbio meno con la nuova curvatura datale dalla riforma che la configura espressamente (anche) come strumento pre-disoccupazione. Tale incongruenza vi è anche nell’ambito della disciplina dell’assegno di ricollocazione in costanza di integrazione salariale (art. 24-bis, d.lgs. n. 148 del 2015) in cui è confermata la esclusione dell’obbligo di accettare una offerta congrua di lavoro: il lavoratore ha una mera facoltà di accettare, incentivata attraverso la sola esenzione del reddito del lavoratore imponibile ai fini IRPEF .

5. Le controindicazioni di questa impostazione innovativa che vuole piegare la sospensione dal lavoro e la cigs alla acquisizione di nuove competenze richieste dalla transizione ecologica, digitale ed energetica (da spendere non solo nell’impresa, ma anche nel mercato del lavoro) si legano alla sua realizzabilità.
Dando per scontato di riuscire a mettere in campo gli interventi di formazione professionale ipotizzati, c’è da considerare se i requisiti di condizionalità previsti siano sufficienti ad indurre i lavoratori ad accettare responsabilmente di essere coinvolti. Tanto più che tutta la fase di individuazione degli esuberi viene anticipata nella procedura di consultazione sindacale, assai meno scandita (e garantista) della procedura sui licenziamenti collettivi. Questo meccanismo “anticipatorio” ricorda, in un certo senso, le procedure di mobilità di antica memoria in cui, nel divieto dei licenziamenti collettivi, si perseguiva l’obiettivo di far passare il lavoratore esuberante da posto di lavoro a posto di lavoro, senza soluzione di continuità, evitando la parentesi della disoccupazione . Un’operazione fallimentare, non solo perché dirigistica, ma anche perché al momento della “dichiarazione di esuberanza” non prevedeva alcun controllo preventivo della eccedenza di personale prevista e dichiarata dall’impresa e circa i soggetti dichiarati esuberanti.

6. Solo l’esperienza applicativa ci dirà se l’impianto della riforma Orlando reggerà e darà i risultati sperati con l’utilizzazione (e quindi “riconversione”) della cig in funzione dell’acquisizione di nuove competenze da spendere sia all’interno dell’impresa sia nel mercato del lavoro.
Non sono a conoscenza di sufficiente esperienza applicativa. Ad oggi mi consta che vi siano pochi accordi di transizione occupazionale, mentre non ho contezza di esperienze applicative in ordine alla nuova causale di intervento straordinario per riorganizzazione aziendale al fine di gestire processi di transizione che, non bisogna dimenticarlo, dovrebbe essere finalizzato ad un consistente recupero occupazionale “anche in termini di riqualificazione professionale e di potenziamento delle competenze, del personale interessato alle sospensioni o alle riduzioni di orario” (art. 21, co. 2, d.lgs. n. 148 del 2015).
Sarà dunque necessaria un’opera di monitoraggio, come un’opera di monitoraggio sarebbe necessaria per gli altri strumenti già messi in campo per la qualificazione - riqualificazione professionale (re-skilling o up-skilling) come il fondo nuove competenze e il contratto di espansione (art. 41, d.lgs. n. 148 del 2015) , per il quale mi pare emerga una certa tendenza ad utilizzare più la prevista opportunità di esodo incentivato che quella di formazione e riqualificazione professionale volta al (re)inserimento lavorativo .

7. Infine, un cenno alla piccola impresa. La transizione digitale ed ambientale interessa tutte le imprese, anche le piccole imprese, così come le esigenze di qualificazione e riqualificazione professionale interessano i lavoratori loro dipendenti. L’impressione, tuttavia, è che le misure in generale messe in campo per supportare la transizione occupazionale nella stessa azienda o in un’altra, vuoi per la soglia di accesso, vuoi per la complessità delle procedure previste, si attaglino essenzialmente alle imprese medio-grandi . E ciò nonostante che anche, se non soprattutto, la piccola impresa abbia necessità di riqualificarsi e riqualificare i suoi lavoratori.

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.