TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Nel diritto del lavoro fin dall’art. 2087 del codice civile si osserva l’ingresso della buona fede contrattuale come fonte di obblighi di protezione in modo inequivocabile, codificato, antesignano rispetto alla stessa Costituzione e peculiare fra i diritti secondi. L’imprenditore, verso tutti i suoi collaboratori, non solo subordinati, è tenuto ad adottare le misure necessarie a tutelarne l’integrità fisica (leggi oggi la salute, come insieme delle condizioni psico-fisiche) e la personalità morale.
Per ragioni comprensibili, nell’interpretazione sistematica delle disposizioni del codice civile sull’imprenditore, non è stata valorizzata la vicinanza e lo stretto collegamento con l’art. 2086, che precede immediatamente l’art. 2087, e che tuttavia può dare indicazioni interpretative specifiche sull’obbligo di sicurezza e sulla ricostruzione complessiva della distribuzione dei poteri e dei doveri dell’imprenditore, e quindi sul peso che il diritto riconosce alla sua responsabilità in materia di risarcimento dei danni alla persona del lavoratore. Recita in incipit l’art. 2086 che l’imprenditore è il capo dell’impresa e che da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.
Avulsa dalla linguistica dell’epoca la disposizione è in grado di essere letta come l’affermazione chiara e netta della responsabilità del vertice per quanto accade nell’organizzazione d’impresa, e indicandolo a capo di essa lo individua come l’ultimo soggetto giuridico in grado di assicurare la copertura dei danni che possono derivare dall’esercizio d’impresa, dandogli, peraltro, con quel riferimento alla gerarchia, la possibilità di introdurre nell’organizzazione stessa un meccanismo di delega che proprio in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro ha trovato adeguate specifiche normative nel testo unico.
L’idea di fondo è racchiusa nella intenzione del legislatore di consentire la distribuzione fra più soggetti della funzione di esercizio dei poteri datoriali e di assolvimento dei suoi doveri in modo da renderla efficace e veritiera, e di preludere così ad una identificazione di responsabilità all’interno dei soggetti che rivestono un ruolo manageriale nell’impresa e che dalla loro posizione nell’organigramma derivano la propria responsabilità.
I danni, è naturale, vanno a completare la rappresentazione anche economica degli effetti di ogni attività di impresa e dei relativi rischi di esercizio, in quanto insopprimibili. E la posizione del diritto a richiamo della apicalità dell’imprenditore e della legittimità dell’azione dei delegati finisce per costituire l’argine alla irresponsabilità e il ponte verso il risarcimento. Il discorso meriterebbe molte distinzioni ulteriori, che non è possibile esaminare nello spazio di questo contributo, quanto meno fra responsabilità civile, amministrativa e penale dell’imprenditore, e fra danni alla salute e danni alla personalità morale, oltre che fra danni patrimoniali e non.
Rimane il fatto che nelle disposizioni del codice civile, con la sintesi che gli è propria, era già iscritto un sistema di tutela della persona del lavoratore che partiva da due presupposti: l’assunzione del rischio di impresa come elemento di responsabilità e la necessità di applicarne il meccanismo a protezione di persone inserite nell’impresa specialmente da subordinati, e quindi con una certa estraneità all’origine e alle finalità dell’organizzazione stessa.
La Costituzione italiana irrobustisce l’indicazione, facendola propria in una serie di disposizioni che guardano alla persona e alla salute del lavoratore come beni di rango elevatissimo in grado di prevalere eventualmente anche nel giudizio di contemperamento che prelude a quello di ragionevolezza e in un certo senso gli appartiene. Basti pensare agli artt. 1 e 4, e poi 35, ma prima ancora all’art. 32 e oggi al nuovo testo dell’art. 41 che introduce il limite del danno alla salute, all’ambiente, oltre alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana rispetto all’esercizio delle attività di impresa.
Nella ricostruzione quadrilatera delle obbligazioni fondamentali derivanti dal contratto di lavoro subordinato, l’obbligo di protezione della salute e della personalità morale dei collaboratori dell’imprenditore assume una centralità di rilievo non solo normativo, ma anche, e non a caso, culturale, per lo straordinario valore della vita e della salute e della personalità morale di chi si avvicina alle organizzazioni per rendervi il proprio utile contributo, nell’adempimento delle obbligazioni di lavoro.
La disciplina privatistica si affiancava e si affianca ad un solido impianto di tutele pubblicistiche, da che l’interpretazione dell’art. 38 Cost. si è consolidata attorno al principio non solo risarcitorio ma anche prevenzionistico, a ciò finalizzando le tutele previdenziali in caso di infortunio (leggi infortunio sul lavoro e malattia professionale).
Non sfugge la modernità di una lettura che riconosce la persona al centro del disegno costituzionale e il suo contributo di lavoro come via normale per concorrere al progresso materiale o spirituale della società, come testualmente recita l’art. 4 quando dopo l’enunciazione del diritto al lavoro sposta l’ottica sull’importantissimo dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione, in sostanza un lavoro.
Solo così inquadrata l’obbligazione di protezione del lavoratore che scaturisce dal suo collaborare all’impresa si può comprendere l’apporto e il limite del rinvio alle categorie privatistiche che il diritto del lavoro opera quando si tratta della persona del lavoratore, e in particolare il corso evolutivo della interpretazione dell’art. 2059 c.c., in materia di responsabilità civile certo, ma indicativo, se la risarcibilità del danno non patrimoniale rinvia ai casi previsti dalla legge, ora dalla Costituzione.
A lato si consolida la categoria del danno biologico, anche differenziale, l’affinamento dei comparti di responsabilità tra datori di lavoro inadempienti alla legislazione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e l’ente previdenziale che provvede in caso di danno, e il freno al principio della risarcibilità dei danni punitivi nel nostro ordinamento, in linea anche con il divieto dell’ingiusto arricchimento.
E’ che i confini della responsabilità per danno, che sono la cartina di tornasole delle regole sulla sua risarcibilità, appartengono al diritto del lavoro in misura e modo originali, perché la materia si è formata sul principio di tutela dei lavoratori, prima solo con riguardo alle condizioni economiche poi via via ampliandosi agli elementi che ne toccano la personalità, e così nel tempo, oltre un secolo, avviando il diritto del lavoro a doversi confrontare con le sue proprie soluzioni in parte originali con le categorie classiche del diritto privato.
La lettura del volume di M. Biasi, Studio sulle funzioni del risarcimento del danno nel diritto del lavoro, segue l’ordine logico del sottotitolo, dalla compensazione, alla sanzione, alla deterrenza, quasi si tratti di un filo che taglia discipline con modi assolutamente originali e sviluppi giurisprudenziali suoi propri.
La chiave di lettura dei diversi punti di vista agevola un commento che tenga presente l’ottica del danneggiato e del danneggiante, e di sfondo il rapporto con le funzioni classiche del risarcimento, quella sanzionatoria e deterrente, ma anche quella preventiva.
È utile ricordare come il mobbing abbia preso corpo a partire dall’art. 2087 c.c. in nome della esigenza, che era diventata ineludibile, di tutela delle persone negli ambienti di lavoro non solo da comportamenti dannosi, ma molesti.
Ed è anche utile richiamare la complessa vicenda, e lo stato dell’arte, della disciplina sulla reintegrazione nel posto di lavoro e/o sul risarcimento del danno di chi sia stato ingiustamente privato del posto di lavoro, secondo una linea innovativa e combinatoria di tutele che probabilmente richiederanno ancora un percorso di razionalizzazione, semplificazione, uniformazione.
Ma l’aspetto centrale della relazione fra il diritto del lavoro e la questione dei danni risarcibili merita di essere preso alle radici della letteratura sul senso della disposizione normativa che fissa gli elementi della fattispecie dannosa perché ne scaturisca il diritto al risarcimento.
Ci troviamo così alle fondamenta della funzione del diritto, prima ancora che del risarcimento, perché la linea della responsabilità è quella che rende prevedibile il riparto dei costi degli incidenti, avverte dell’investimento necessario per prevenirli, garantisce le persone che li subiscano.
E il diritto del lavoro pone anche qui una specificità notevole, se nell’insieme delle fattispecie si tratta di distinguere continuamente i casi di responsabilità contrattuale e di responsabilità extra-contrattuale, che convergono nella relazione dettando i criteri e i filtri per l’applicazione di discipline che portano a risultati diversi.
La prima funzione del risarcimento resta quella compensativa, con quanto sopra scritto, e già di suo si caratterizza per i molti apporti del diritto del lavoro alla sistematica del diritto privato che derivano dalle linee sopra accennate.
Ma in senso moderno il discorso sulla funzione sanzionatoria del risarcimento del danno, al di là della letteratura comune sulle funzioni della pena, permette alla materia di aprire uno scenario ancora più originale rispetto agli schemi classici, anche grazie agli innesti del diritto europeo, perché nella funzione di garanzia dell’effettività gioca un aspetto di generale funzione della norma lavoristica che guarda non solo, come rimane, al ristoro della posizione del singolo, ma alla natura di una disciplina che, essendo ancorata all’inderogabilità se non in meglio, o è effettiva o non è.
Forse è da questo inizio di scostamento dalle maglie del diritto primo che trova origine anche la specificità lavoristica della disciplina sul risarcimento del danno. Si conferma l’utilità di ripartire da una materia nata su un corpo di disposizioni di tutela non dispositive ma tutte imperative a favore del contraente debole, che ha trovato nel contratto la fonte del rapporto facendo prevalere il contrattualismo ai venti pur benefici dell’istituzionalismo, e che colla inderogabilità della disciplina si è smarcata presto dalle origini pubblicistiche della legislazione sociale per approdare ai lidi sicuri del diritto privato.
Qui, nel diritto privato, la materia ha saputo introiettare con categorie giuridiche sicure il fenomeno originalissimo e radicato sul piano economico e sociale della contrattazione collettiva, ripartendo dalle sue origini ed evolvendo negli anni verso un diritto che si raccorda non solo ai principi costituzionali, ma anche a quelli internazionali ed euro-unitari, e che proprio nell’afflato internazionale reinquadra il contratto collettivo sciogliendolo dalle esclusive maglie del diritto privato per rendergli sotto diversi aspetti la dignità di fonte.
Ed è così che anche il prisma del risarcimento del danno si trova oggi a poter riflettere i diversi aspetti di una disciplina che nel rispetto delle categorie ha nella sua natura di puntare diritto alla tutela della persona, e così facendo, indirettamente, ma nella sostanza, anche alla tutela della buona impresa.
Il volume che qui si presenta, sulla polifunzionalità del risarcimento del danno nel diritto del lavoro, ripercorre queste linee sovrascrivendo con originalità una terna di funzioni che in parte riassume una serie classica di distinzioni, in parte ne innova la sistemazione, attribuendo esempi calzanti alle tre linee del ragionamento: la funzione compensativa, la funzione sanzionatoria, la funzione deterrente.
Ne emerge un quadro prismatico di notevole valore interpretativo, sia dogmatico sia ermeneutico, e il lettore sente di trovare nelle righe dello scritto quella continuità essenziale ai volumi che colmano lacune nello stato della ricerca, là dove sollevano i problemi riconducendoli, con le dovute differenze, a sistema.

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