testo integrale con note e bibliografia

1. Singolarità della disciplina della dirigenza sanitaria e di quella degli enti locali
Gli elementi di singolarità dei sottosistemi della dirigenza sanitaria e degli enti locali derivano dalla peculiarità delle relative fonti di produzione giuridica rispetto alla disciplina generale. Quest’ultima è conformata avendo come riferimento la dirigenza statale, quale specimen generale, cioè quale modello tendenziale sul piano ordinamentale; tuttavia, tale paradigma non è esaustivo, né esclusivo, in quanto concorre con modelli ulteriori, espressi dalle sottodiscipline di settore.
Le norme che regolano questi sottosistemi non possono propriamente definirsi di natura eccezionale, non trattandosi di regole stricto sensu derogatorie rispetto alla disciplina generale. Piuttosto, tali sottosistemi contengono norme di natura singolare, che realizzano una specifica declinazione dello schema regolativo di diritto comune, conformandolo ai diversi settori.
Tale particolare morfologia, e quindi la pluralità di modelli di dirigenza pubblica, costituisce il frutto della discrezionalità del legislatore, quale diretta ricaduta di disposizioni costituzionali, che legittimano l’esistenza di norme di legge contenenti trattamenti differenziati.
In ogni caso, sia per la dirigenza sanitaria che per quella propria degli enti locali, l’insieme di norme singolari non definisce un corpus regolativo separato ed autosufficiente, in quanto l’ordinamento generale conserva una funzione integrativa diretta ed indiretta di particolare rilievo.

2. Il complessivo sistema delle fonti
Risiede nella Costituzione il fondamento primario della pluralità di discipline, invero, per la dirigenza pubblica, l’art. 117 2° co., lett. l) riconosce la competenza statale esclusiva per i profili riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, come il trattamento economico, il regime dell’incompatibilità e del cumulo di incarichi (C. Cost., n. 78/20; n.257/16; n.61/14), con una specifica autonomia riservata alle Regioni a Statuto speciale.
Costituisce, invece, oggetto di competenza legislativa concorrente la disciplina del rapporto di lavoro dei dirigenti degli enti del servizio sanitario nazionale, attratta nella materia della «tutela della salute», di cui all'art. 117, co. 3, Cost.: pertanto spetta allo Stato fissare i principi fondamentali ed alle Regioni definire la disciplina attuativa (Corte Cost. n. 87/19; n. 159/18). Tale impianto si giustifica in quanto la disciplina della dirigenza sanitaria ha diretta correlazione con l'organizzazione del servizio e con le condizioni di erogazione delle prestazioni, influenzate proprio dalla capacità e dalla professionalità soprattutto dei dirigenti.
Non vengono invece in rilievo le competenze regionali in materia di «igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica» in quanto la competenza concorrente in materia di tutela della salute è più ampia di quella conferita dagli statuti speciali in ambito sanitario e comporta l'operatività della clausola di maggior favore di cui all'art. 10 l. cost. n. 3/01. Né può venire in rilievo la competenza regionale in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione e stato giuridico ed economico del personale», perché ciò contrasterebbe «con le caratteristiche fondamentali delle articolazioni locali del servizio sanitario nazionale quale disciplinato dalla legislazione nazionale … che, per questa parte, vincola espressamente le stesse regioni a statuto speciale e le province autonome» (Corte cost. n. 139/22; n. 189/22).
Infine, vi sono ambiti assegnati alla competenza regionale esclusiva, in particolare per i profili attinenti all’ordinamento e all’organizzazione amministrativa degli uffici (es. procedure di accesso al ruolo, criteri di conferimento degli incarichi e loro durata, spoils system).
Quanto al rango di legge ordinaria, si riscontra sia nella materia della dirigenza sanitaria, che in quella degli enti locali, un sistema composito, caratterizzato dalla concorrenza della disciplina generale di diritto comune e della specifica sottodisciplina di settore.
In forza dell’art. 27 del d.lgs.vo n. 165/01, cd. Testo unico per il pubblico impiego (TUPI), la disciplina ivi dettata è il modello paradigmatico, imponendo, in caso di non diretta applicabilità, uno specifico obbligo di adeguamento (Cass. n. 11015/17).
In modo più specifico, si applicano le seguenti discipline di settore: per la dirigenza sanitaria il d.lgs.vo n. 502/92 ed il d.lgs.vo n. 171/16, modificato dal d.lgs.vo n. 126/17; per la dirigenza degli enti locali, il d.lgs.vo n. 267/00 cd. Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL).
Nel presente saggio, per ragioni di sintesi, si tratteranno solo i profili più significativi del tema d’indagine, con specifica attenzione dedicata al contenzioso esistente in materia.

3. La dirigenza sanitaria
La prima fondamentale peculiarità di questo settore è che «organizzazione e funzionamento» sono definiti con «atto aziendale di diritto privato», ai sensi dell’art. 3, co. 1 bis, d.lgs. 501/92, con ogni conseguenza in termini di sindacato giurisdizionale e di giurisdizione. Quindi, vi è una differenza importante rispetto al sistema delle fonti del pubblico impiego generale, di cui all’art. 2 del TUPI (Cass., sez. un., n. 2031/08; n. 25048/16).
Inoltre, dal complesso delle disposizioni di settore, emerge che il legislatore, pur nell'unicità del ruolo dirigenziale, ha voluto valorizzare le specificità professionali di ciascun profilo, definendo il sistema di graduazione degli incarichi a seconda delle funzioni attribuite e delle connesse responsabilità e prevedendo che ciascun incarico di direzione comporti l'attribuzione di funzioni che si aggiungono a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali.
L’art. 15, co. 1, assegna un ruolo fondamentale alle parti sociali in questa materia e la Cassazione (n. 31387/19) ha, pur rinviandosi all'atto aziendale ed all'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 8 quater, co. 3, del d.lgs. n. 502/1992 l'individuazione delle strutture e del numero degli incarichi conferibili, il contratto individuale, nel definire oggetto, obiettivi e durata dell'incarico, deve attenersi ai «parametri indicati dal contratto collettivo nazionale ».
In questo contesto si trova, dunque, inserito a pieno titolo l’ampio contributo regolativo offerto dalla contrattazione collettiva, alla quale si deve l’istituzione di aree distinte della dirigenza del servizio sanitario, suddivisa in dirigenza medica e veterinaria, da un lato, e dirigenza sanitaria, professionale, tecnica, amministrativa, dall'altro.

4. Distinzione tra funzioni e incarichi dirigenziali nel settore sanitario
Nel sistema binario proprio del dirigente di ruolo, in cui vi è un rapporto organico di servizio, risulta essenziale la distinzione tra qualifica ed incarico dirigenziale.
La qualifica esprime una mera idoneità professionale (Cass. n. 8674/18) e si acquisisce attraverso il superamento della procedura concorsuale, con successiva conclusione di un contratto di lavoro, che comporta l’accesso al ruolo dirigenziale unico e la costituzione di un rapporto di lavoro pubblico dirigenziale a tempo indeterminato.
L’incarico invece definisce il contenuto concreto dell’attività assegnata ed è attribuito con un atto di nomina, cui segue la stipula di un contratto individuale.
L’art. 15, co. 4 del d.lgs 502/1992, in presenza delle condizioni previste, sancisce il diritto all’attribuzione di funzioni di natura professionale, per i medici in possesso dei requisiti previsti, mentre per gli incarichi di direzione, la disposizione precisa la facoltatività del loro conferimento. Nella medesima direzione, si pone l’art. 15-ter, che ribadisce la natura discrezionale della determinazione di assegnazione degli incarichi; ciò evidentemente impedisce la configurabilità di un diritto soggettivo pretensivo assoluto, in coerenza con l’art. 19 del TUPI (Cass. n. 17578/19). A conferma di ciò, l’art. 5, co. 7 del CCNL 2006 ai fini dell’attribuzione al dirigente di un incarico utilizza la clausola “ove disponibile”.
In linea generale, va poi segnalato che gli atti di conferimento degli incarichi hanno natura negoziale, quali determinazioni assunte dalla P.A. con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
L’Amministrazione gode di discrezionalità nell’esercizio di tali prerogative, ma resta obbligata al rispetto di determinati elementi, sui quali la selezione deve fondarsi, dei criteri fissati dall’art. 19 del TUPI e delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).
Tali criteri veicolano anche i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost, ciò per esempio ai fini dell’adozione di obblighi di pubblicità, di adeguate forme di partecipazione e di oneri di giustificazione sostanziale (Cass. n. 712/20; 26694/17; 15764/11).
In tal senso, in giurisprudenza, rispetto alla posizione dell’aspirante all’incarico si è parlato di interesse legittimo di diritto privato, rilevante ai sensi dell’art. 2907 c.c. (Cass. n. 5546/20; 13867/14; 18972/15).
Ai fini della tutela giudiziaria, è preclusa la possibilità di ottenere l’attribuzione dell’incarico ope iudicis: il giudice non può sostituirsi alla PA anche in presenza di predeterminazione dei criteri di valutazione, salvo che si tratti di attività vincolata e non discrezionale (Cass. n. 20979/09). E’ infatti principio consolidato quello per cui l’aspirante è titolare di un diritto soggettivo all'effettivo e corretto svolgimento delle operazioni valutative e può esercitare l'azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione della valutazione, nonché agire per il risarcimento del danno anche da perdita di chance, ma non può domandare al giudice di sostituirsi al datore di lavoro quanto alle valutazioni discrezionali. In via eccezionale, solo per procedimenti a punteggi numerici fissi e ad applicazione automatica e meccanica, il giudice può procedere alla nuova valutazione e all’attribuzione dei punteggi, valutando correttamente il titolo non riconosciuto (Cass. n. 22029/22; 23549/06; 18198/05). Non si pongono questioni di limiti dei poteri giudiziari verso la PA, che qui agisce con ordinari poteri negoziali di natura prettamente privatistica.
In argomento, va anche ricordato che l’atto (di conferimento ad altri) è invalidabile ex artt. 1324, 1418 c.c. se contrasta con norme imperative (cfr. art. 2, co. 2 TUPI), ma non è invalidabile se sussiste la violazione degli obblighi di buona fede, quali regole di comportamento, con la sola possibilità della tutela risarcitoria (Cass. n. 6308/21).

5. Applicabilità dell’art. 2103 c.c. Le sostituzioni
Il dirigente medico, una volta cessato il precedente incarico, non ha diritto ad ottenerne un altro equivalente. Infatti, il TUPI, all’art. 19, esclude l’applicabilità agli incarichi dirigenziali dell’art. 2103 c.c. e detta esclusione è stata ribadita per i dirigenti medici dalle parti collettive, pertanto "il dirigente medico non ha un diritto soggettivo ad effettuare interventi che siano qualitativamente e quantitativamente costanti nel tempo, sicché lo stesso non può opporsi né a scelte aziendali che siano finalizzate a tutelare gli interessi collettivi richiamati dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, né alle direttive impartite dal responsabile della struttura" (Cass. nn. 4986/18; 12623/22).
Tuttavia, ed in ogni caso, il datore di lavoro pubblico è tenuto a non mortificare la personalità del dirigente con l’attribuzione di funzioni che esulino del tutto dal bagaglio di conoscenze specialistiche posseduto, fermo il rispetto delle esigenze superiori di tutela della salute dei cittadini (Cass. n. 18194/19; 91/19). Pertanto, deve essere garantita solo la possibilità di svolgere un’attività correlata alla professionalità posseduta, risultando non corrette situazioni di sostanziale inattività o assegnazioni caratterizzate da finalità vessatorie.
In caso di sostituzioni, con orientamento ormai consolidato, la Cassazione (n. 23155/21; 23195/21 e da ultimo n. 27109/22), superando un isolato precedente di segno contrario (n. 13809/15), ha enunciato il principio secondo cui la sostituzione non si configura come svolgimento di mansioni superiori, poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c. ed al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito, ma solo la prevista indennità sostitutiva, senza che rilevi neppure la prosecuzione dell’incarico oltre il termine previsto.
Quanto ai profili relativi al mutamento di sede, in caso di dirigenti aventi diritto ai benefici previsti dall’art. 33 della legge n. 104/1992, la Cassazione (n. 7693/18) ha ritenuto che, quando lo spostamento di sede si ponga in conflitto col diritto del congiunto disabile, si offre al dipendente la possibilità di annullare la tensione tra i due interessi contrastanti mediante l'espressione della scelta di una sede preferenziale, la P.A. non è, però, obbligata ad accogliere la richiesta del dirigente, là dove la stessa non si riveli assecondabile, in quanto, l'esigenza di solidarietà arretra di fronte al "limite esterno" rappresentato dalla specificità del ruolo della dirigenza pubblica, intimamente correlato ai principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, la quale non consente il radicarsi, in capo al dirigente pubblico, di un diritto assoluto all'inamovibilità della posizione”.

6. Il trattamento economico ed in particolare la retribuzione di posizione
Nella determinazione del trattamento economico dei dirigenti sanitari trova applicazione il TUPI, che, all’art. 24, ha delegato alla contrattazione collettiva la materia, precisando che il trattamento accessorio deve essere correlato alle funzioni attribuite ed ha struttura omnicomprensiva (Cass. n. 8261/17).
Dato il contenzioso in materia, è importante analizzare la disciplina della retribuzione di posizione, composta da una parte fissa e una parte variabile, secondo la disciplina pattizia.
La componente fissa della retribuzione di posizione è determinata secondo le posizioni funzionali o economiche di provenienza, è garantita in misura costante e viene mantenuta nel tempo. Quanto alla parte variabile, il CCNL ne ricollega la determinazione alla "graduazione delle funzioni", quindi, ai fini del riconoscimento di tale componente, è imprescindibile l’intervenuta adozione dell'atto aziendale riconducibile all’art. 2, co. 1 del TUPI, quale atto di macro organizzazione (Cass., n. 6956/14; n. 7768/09). Pertanto, il dirigente non ha diritto, in assenza dell'atto aziendale di graduazione delle funzioni, alla parte variabile della retribuzione di posizione (Cass. n. 37004/22; n. 20480/20). In una recente sentenza (n. 7110/23), riferita ad un caso sottoposto ratione temporis, al previgente CCNL, la Cassazione ha anche rimarcato che, nell’ambito della fattispecie complessa di cui si è detto, il procedimento di negoziazione ha un significato prevalentemente politico-sindacale, con la conseguenza che la mancata conclusione delle trattative entro la data fissata, non costituisce di per se inadempimento da parte dell’Azienda ai suoi obblighi contrattuali verso i dipendenti (Cass. n. 7768/09).
Tuttavia, l’attività negoziale preliminare che coinvolge i sindacati e la stessa formazione e gestione del fondo assegnato rientrano fra gli atti esecutivi dell’obbligazione, che devono essere realizzati dalla P.A. nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Una volta scaduti i termini fissati dalla contrattazione collettiva per coinvolgere le parti sociali e costituitasi la provvista nel fondo, l’Azienda ha l’obbligo di attivare il procedimento che condurrà alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi.
Con riferimento al fondo dedicato, inoltre, la contrattazione pone un dovere di integrale utilizzo annuale delle risorse e, quindi, la P.A. non può opporre al dipendente la propria volontà di non utilizzarle per il fine al quale sono destinate. Qualora, invece, si verifichino eventi imprevedibili che incidano su questa fase procedimentale, la stessa P.A. sarà onerata ex art. 1218 c.c. della relativa prova.
Ovviamente, ove manchi la gradazione, non potendo riconoscersi l’indennità di posizione variabile resta ferma la tutela risarcitoria da perdita di chance, ove si dimostri che, in presenza della pesatura della funzione, sarebbe insorto il diritto ad ottenere una somma maggiore (Cass. n. 20480/20).

DIRETTORE GENERALE ASL
Il D.Lgs. n. 171/2016 all’art. 9 ha modificato il sistema di nomina di questa figura ed ha delineato una nuova procedura bifasica. La prima fase ha natura pubblicistica idoneativa su base nazionale, di carattere non concorsuale ed appartiene alla giurisdizione dell’A.G.A (Tar Lazio n. 8248/18).
La seconda fase ha natura privatistica, ai sensi dell’art. 2 dlg.vo n. 171/16 ed appartiene alla giurisdizione dell’A.G.O. (Tar Piemonte n. 1035/18).
Le regioni nominano direttori generali esclusivamente ed obbligatoriamente gli iscritti all'elenco nazionale dei direttori generali . La Regione pubblica l’avviso ai fini della manifestazione di interesse da parte dei soggetti iscritti nell'elenco; la valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione regionale tecnica, che propone al presidente della regione una rosa di candidati, nell'ambito dei quali viene scelto quello che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire.
Il provvedimento di nomina, e' motivato e pubblicato sul sito internet istituzionale della regione e delle aziende o degli enti interessati, unitamente al curriculum del nominato, nonché ai curricula degli altri candidati inclusi nella rosa. La Giunta regionale adotta il provvedimento motivato di nomina e viene stipulato il contratto d’incarico.
Alla cessazione dell'incarico, la nuova nomina, entro il triennio, può essere effettuata anche mediante l'utilizzo degli altri nominativi inseriti nella rosa, purchè i candidati risultino ancora inseriti nell'elenco nazionale.
Anche in questo caso, poiché le norme che disciplinano la procedura hanno natura imperativa, è possibile la declaratoria di nullità degli atti impugnati, ex art. 1418, con possibile responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 1337 c.c. In questa evenienza, poiché infatti non vi è un rapporto di servizio sottostante, non vi sono obblighi contrattuali preesistenti. In caso di vizi invalidanti, previa la necessaria integrazione del contraddittorio, è possibile ordinare il rinnovo della procedura.
Il sistema di verifica dei risultati dopo 24 mesi può portare alla contestazione (art. 2 co. 4 dlg n. 171) e alla risoluzione del contratto con decadenza dall’incarico.

Il direttore di struttura complessa
L’art. 15 co. 6 dlg.vo n. 502 cit. prevede che ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa sono attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura. Nell’ambito di questa figura è ricompreso l'incarico di direttore di dipartimento, di distretto sanitario o di presidio ospedaliero.
La riforma del 2022 ha profondamento modificato l’originario impianto fiduciario e discrezionale della procedura, avallato dalla primissima giurisprudenza sulla base della logica imprenditoriale e manageriale propria del d.lgs. n. 502/1992.
L’art. 15 co. 7 bis modificato con l. n. 118/22 prevede, in particolare, che le regioni disciplinino i criteri e le procedure per il conferimento di tali incarichi. La selezione e' effettuata da una commissione, composta dal direttore sanitario dell'azienda e da tre direttori di struttura complessa, la quale, sulla base dell'analisi comparativa dei curricula, attribuisce a ciascun candidato un punteggio complessivo secondo criteri prefissati e redige la graduatoria. Il direttore generale dell'azienda procede alla nomina del candidato che ha conseguito il miglior punteggio, a parità prevale il candidato più giovane.
La nuova disposizione rende quindi non più applicabile il principio espresso da Cass. SS.UU. n. 15764/11 secondo cui questa procedura non ha natura concorsuale, ma sottende una scelta di carattere fiduciario affidata alla responsabilità manageriale del decisore.
La modifica della norma pone oggi la questione della natura della procedura, che nella nuova morfologia si caratterizza per la presenza di profili di concorsualità (valutazione comparativa, assegnazione di punteggi secondo criteri predeterminati e formazione della graduatoria), ma anche di tratti propri della natura privatistica della materia del conferimento degli incarichi.
La natura del procedimento incide ovviamente anche sul riparto di giurisdizione.
Sul punto, il TAR Piemonte ha ritenuto che “nonostante le predette modifiche, la procedura per l’affidamento degli incarichi a termine di struttura complessa sanitaria continua ad essere priva di vere e proprie prove e, soprattutto, essa e il conclusivo atto di nomina del Direttore Generale rimangono atti organizzativi assunti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario” (n. 1149/22)2.
In ogni caso, ai fini del riparto di giurisdizione va ricordato l’art. 63 del TUPI che, anche sulla base del criterio desumibile dalla decisione n. 196 del 2005 della Corte costituzionale, fa riferimento al criterio decisivo fondato sulla materia.
La disciplina di legge ha comunque carattere imperativo “con la conseguenza che, in mancanza del rispetto di tale procedura, l’atto negoziale di conferimento dell’incarico è nullo, e tale nullità può e deve essere rilevata d’ufficio dal giudice (Cass., n. 2316/22, Cass. n. 6019/23).
In caso, di accertamento della violazione di norma imperativa può essere dichiarata la nullità dell’atto di nomina contestato, nel litisconsorzio necessario del (o dei) controinteressato(i).
In ogni caso, a norma dell’art. 2, co. 3 bis, del TUPI nel caso di nullita' delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo co., del codice civile.
Un particolare caso, nel quale sono venuti in rilievo non profili di inosservanza degli obblighi di correttezza, ma di violazione di norme inderogabili è stato trattato nella sentenza della Cassazione n. 6594/18, relativa ad un caso in cui il candidato prescelto non aveva fornito la certificazione dei titoli, come richiesto dall'art. 5 del d.P.R. n. 484 del 1997.

Il direttore di struttura semplice
A norma dell’art. 15 commi 4 e 7 quater, l'incarico di responsabile di struttura semplice, intesa come articolazione interna di una struttura complessa o di un dipartimento, e' attribuito dal direttore generale, su proposta del direttore della struttura complessa di afferenza o del dipartimento, a un dirigente con un'anzianità di servizio di almeno cinque anni nella disciplina oggetto dell'incarico. Si applica l’ art. 19 del TUPI.
E’ frequente, nel contenzioso relativo a tali incarichi, la contestazione sugli atti organizzativi a monte, per esempio, nel caso definito da Cassazione n. 14079/20 è venuta in rilievo la mancanza dell'atto aziendale organizzativo istitutivo dei Consultori Familiari come strutture organizzative semplici, profilo ritenuto irrilevante dal giudice di primo e secondo grado. La sentenza ha ribadito i principi ripetutamente affermati dalla Corte (nn. 4812/19, 92/19) secondo cui l'atto aziendale, riconducibile all’art. 2, co. 1 del TUPI, costituisce un elemento imprescindibile per il conferimento dell'incarico e per l'attribuzione del trattamento economico correlato alla specifica posizione organizzativa.
Circa la natura della struttura, la sentenza della Cassazione n. 33393/19 ha chiarito che la preposizione a due strutture semplici non comporta necessariamente la qualificazione dell’incarico come di preposizione ad una struttura complessa, atteso che la distinzione tra gli incarichi è qualitativa e tipologica e non quantitativa.

La dirigenza degli enti locali
Per i dirigenti degli enti locali, la disciplina fondamentale è contenuta nel Capo III del Titolo IV (artt. 107-111) del TUEL. L’art. 111 impone un obbligo di adeguamento degli statuti e dei regolamenti ai principi dello stesso TUEL ma anche del TUPI, comunque direttamente applicabile (Cass. n. 11015/17).
Dati i principi di autonomia valevoli in subiecta materia le fonti regolatrici offrono discipline differenziate, salve le regole generali di cui ora si dirà.
L’art. 109 del TUEL anche se è rubricato “Conferimento di funzioni dirigenziali”, in realtà tratta degli “incarichi”. La norma oltre a ribadire la regola per cui gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo determinato, precisa che il conferimento ai sensi dell'articolo 50, co. 10, richiede un provvedimento motivato e deve rispettare le modalità fissate dal regolamento.
Il conferimento dell’incarico dirigenziale avviene attraverso un provvedimento dell’organo politico di vertice dell’ente locale a soggetto già dipendente dell’ente locale, cd. di ruolo, o ad un soggetto estraneo all’amministrazione.
In tali ultimi casi, il soggetto l’interessato viene assunto come dipendente mediante contratto a tempo determinato. Si applica l’art. 110 TUEL e l’art. 19 co. 5-bis e 6, TUPI.
Secondo la giurisprudenza, pure se l’art.110 co. 1 del TUEL non richiede la previa valutazione circa l'esistenza di analoghe professionalità all'interno dell'ente, sussiste la necessità di leggere la norma in connessione con gli artt. 19 co. 6, 7 co. 6 e 36 del TUPI, come previsto dall'art. 88 TUEL. Inoltre, il conferimento richiede un‘esplicita motivazione, funzionale anche al controllo della Corte dei Conti (Cass. n. 4621/17).
Il Consiglio di Stato (n. 4600/20; in senso analogo T.A.R. Roma n.2479/21) ha sul punto precisato che l'impossibilità di rinvenire professionalità nei ruoli dell'Amministrazione deve intendersi estesa anche ai funzionari direttivi di categoria D, in caso di vacanza in organico di personale dirigenziale.
Va, infine, ricordato che il D.L. n. 13/23, conv. l. n. 41/23, ha disposto (con l'art. 8, co. 1) che, al fine di consentire agli enti locali di fronteggiare le esigenze connesse ai complessivi adempimenti riferiti al PNRR, le percentuali di contingentamento imposti dalla norma sono temporaneamente incrementati del 50%.
Le controversie relative al conferimento di incarichi dirigenziali, anche se implicante l'assunzione a termine di esterni, sono di pertinenza del giudice ordinario, in applicazione del co. 1 dell'art. 63, purché la selezione del destinatario dell'incarico non abbia carattere concorsuale (Sez. Un., n. 29080/18; n. 11171/18).
Il co. 2 dell’art. 110 affida al regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi di stabilire i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, con durata non superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia. La Corte Costituzionale ha evidenziato la natura straordinaria di questa modalità di reclutamento (n. 9/10) rispetto alla regola del pubblico concorso, imposta dall’art. 97, co. 3, Cost., trattandosi di eccezioni da delimitarsi in modo rigoroso (sent. n. 215/09, n. 363/06). Le deroghe sono cioè legittime solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico (sent. n. 293/09).

La revoca dell’incarico e lo spoils system
L’art. 110 cit. consente che gli incarichi siano revocati in caso di inosservanza delle direttive del superiore o in caso di mancato raggiungimento annuale degli obiettivi assegnati o per responsabilita' particolarmente grave o reiterata o negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro, come previsto dall’art. 109.
I diversi CCNL di settore che si sono succeduti nel tempo hanno di volta in volta disciplinato variamente sia i casi di possibile revoca ante tempus dell’incarico, sia il relativo procedimento.
E’ da notare che il nuovo CCNL non ha riproposto la previsione del previgente art. 13 del c.c.n.l. dirigenza enti locali 1998-2001, secondo cui la revoca anticipata dell'incarico rispetto alla scadenza poteva avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive (Cass. n. 2972/17), tra le quali non rientrava l’esigenza di rotazione, elemento da doversi considerare in sede di attribuzione dell’incarico, ma non ai fini della revoca (Cass. n. 21482/20).
Secondo le Sezioni unite (n. 3766/09), in caso di illegittimità, per contrarietà alla legge, del provvedimento di riforma della pianta organica di un comune, con soppressione delle posizioni dirigenziali, questo deve essere disapplicato dal giudice ordinario, con conseguente perdita di effetti dei successivi atti di gestione del rapporto di lavoro, costituiti dalla revoca dell'incarico dirigenziale, non sussistendo la giusta causa per il recesso ante tempus dal contratto a tempo determinato che sorge a seguito del relativo conferimento, con diritto del dirigente alla riassegnazione di tale incarico, per il tempo residuo di durata, detratto il periodo di illegittima revoca. Ovviamente, in caso di sopravvenuto pensionamento, quale fatto preclusivo di una riassegnazione, residua solo un’eventuale tutela risarcitoria (Cass. 21482/20).

Lo spoils system
In generale, anche nell’ambito di funzionamento dell’attività amministrativa degli enti locali, resta ferma la distinzione tra il livello d’indirizzo politico e quello proprio dell’azione amministrativa degli uffici. Gli organi d’indirizzo politico in generale non possono quindi intervenire nell’attività dei dirigenti (art. 14, spec. co. 3) al fine di garantire la stabilità, l’autonomia e la responsabilità propria della dirigenza, nel rispetto dei principi imposti dall’art. 97 Cost.
L’elemento strutturale indicato, cioè la distinzione tra i due livelli, caratterizza, anche nell’ambito dei diversi CCNL che si sono succeduti, le procedure di valutazione e responsabilità.
Lo spoils system risulta per conseguenza un istituto di natura eccezionale, previsto in alcuni casi tassativi, come l’art. 14, co. 2, TUPI per uffici di diretta collaborazione, l’art. 19, co. 8 e 3, TUPI per uffici apicali delle Amministrazioni dello Stato, l’art. 110, co. 3 TUEL per specifici contratti di dirigenza negli enti locali.
La Corte costituzionale è tuttavia intervenuta in più occasioni in questa materia, seguendo un itinerario evolutivo ben ricostruito nella sentenza della Cassazione n. 11015/17.
In particolare, la copiosa giurisprudenza costituzionale (ex multis n. 161/08; n. 103 e 104/07; n. 228/11, n. 20/16, n. 27/14), a cui si è conformata la giurisprudenza di legittimità (n. 20177/08; n. 13232/09; n. 2555/15; n. 14593/16) è pervenuta ai seguenti approdi:
a) l'art. 110, co. 3, TUEL non consente l'applicabilità dello spoils system ad incarichi non apicali e di tipo tecnico-professionale, a meno che non sia dimostrato che la fiduciarietà iniziale si configuri come preventiva valutazione soggettiva di consonanza politica e personale col titolare dell'organo politico;
b) tutte le norme in materia di spoils system devono essere interpretate in senso costituzionalmente orientato al rispetto dell'art. 97 Cost.;
c) è incompatibile l'attribuzione all'espressione "in carica" posta alla fine della prima frase dell'art. 110, co. 3, del significato di consentire la decadenza automatica dall'incarico tutte le volte in cui il sindaco per una qualunque ragione non sia più in carica, in quanto questo equivarrebbe a legittimare il ricorso allo "spoils system" anche in ipotesi nelle quali ciò si porrebbe in contrasto con l'art. 97;
d) la norma non può che essere intesa come diretta a stabilire un limite oggettivo di durata massima degli incarichi attraverso un implicito riferimento al precedente art. 51 TUEL, ove è stabilita la durata quinquennale del mandato elettivo;
e) nello stesso modo devono, quindi, intendersi tutti gli atti che per gli incarichi in parola fanno riferimento alla durata del mandato.
Nel caso giudicato dalla sentenza della Cassazione n. 11015/17, per esempio, trattavasi di un incarico lavorativo di tipo tecnico-professionale, che non implicava il compito di collaborare direttamente al processo di formazione dell'indirizzo politico dell’ente. Tale incarico era stato affidato dal sindaco mediante un contratto che prevedeva la coincidenza del termine finale del rapporto con "lo scadere del mandato elettorale del sindaco". In tale ipotesi, la Suprema corte ha chiarito che tale incarico non può essere oggetto di dichiarazione di anticipata cessazione da parte del comune, in conseguenza della morte improvvisa del primo cittadino, sull'assunto del carattere fiduciario del medesimo e ciò in forza dell’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme.
Secondo la giurisprudenza costituzionale non è comunque possibile l'applicazione dei principi in tema di spoils system alla figura del segretario comunale.
Infatti, pur trattandosi di figura apicale che intrattiene con il sindaco rapporti diretti, il medesimo non è tenuto necessariamente ad una personale adesione agli obbiettivi politico-amministrativi del sindaco. La scelta del segretario, infatti, pur fiduciaria e condotta intuitu personae, presuppone l'esame dei curricula di coloro che hanno manifestato interesse alla nomina e richiede quindi la valutazione del possesso dei requisiti prescritti e delle pregresse esperienze.
Inoltre, il segretario non si limita ad esercitare le sole funzioni di certificazione, di controllo di legalità o di attuazione di indirizzi altrui, ma esegue funzioni di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi comunali in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti (art. 97, co. 2, TUEL) nonché funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta (art. 97, co. 4, lettera a,), redige il parere di regolarità tecnica su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta e al consiglio dell'ente che non costituisca mero atto d'indirizzo (art. 49), in piena coerenza con il ruolo del segretario quale controllore di legalità. Pertanto, secondo la Consulta (n. 23/19), “la previsione della sua decadenza alla cessazione del mandato del sindaco non raggiunge la soglia oltre la quale vi sarebbe violazione dell'art. 97 Cost., non traducendosi nell'automatica compromissione né dell'imparzialità dell'azione amministrativa, né della sua continuità”.
Non è quindi stata considerata fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 99, commi 2 e 3, del TUEL.

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