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Il problema nella gestione dei rapporti di lavoro in questo periodo difficile di emergenza sanitaria sta nel fatto che non sono previste cause legittime di sospensione del rapporto di lavoro per eventi di questo genere. Chi paga, dunque? Devono pagare i lavoratori, anticipando le ferie, se si può chiamare ferie lo stare reclusi in casa, oppure rinunziando alla retribuzione? O devono pagare le aziende, pagando la retribuzione in assenza di prestazione lavorativa? Deve pagare lo stato? E con quali soldi? In questo periodo anche gli alfieri più saldi del pareggio di bilancio degli stati invitano ad allentare la presa sui conti pubblici: il 26 marzo scorso l’ex presidente della BCE Draghi ha dichiarato al Financial Times che la risposta deve essere un incremento significativo del debito pubblico, e il 30 aprile il presidente della FED Powell ha dichiarato che non è questo il momento di preoccuparsi del debito pubblico.
Ma specialmente nei paesi già gravati da un debito pubblico significativo i problemi si scaricano in buona parte sugli attori economici che ne sono vittime, imprese o lavoratori che siano: ecco allora che chi può influenzare le scelte governative ha esitato a chiudere le fabbriche, e ha fretta di ripartire. Ecco allora che il governo dice usate per prima cosa le ferie: ma alcuni hanno ferie maturate, altri no, che fanno le aziende con loro? devono pagare egualmente la retribuzione? Ecco allora che i lavoratori interinali e a termine alla prima scadenza basterà non rinnovarli, e salvaguardare i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Ecco allora che nei Tribunali né giudici né avvocati siamo ancora avvezzi al lavoro a distanza, e udienze, conciliazioni, discussioni e sentenze non stanno arrivando neanche per chi attende di riavere un posto di lavoro, o una somma con cui deve vivere.
Si propone dunque una scelta difficile: da un lato, pur con tutte le riserve con cui possiamo riguardare i dati forniti dal governo cinese, scrutando la curva epidemica dei paesi occidentali rispetto a quelle di Cina e Corea possiamo scoprire che le loro già da varie settimane ha assunto una forma completamente diversa da quelle europee e da quella che sta assumendo negli USA. Ma allora sorge un sospetto: abbiamo fatto abbastanza? Se queste curve statistiche corrispondono al vero, le misure adottate in Europa, e ancor peggio negli USA, a differenza che in Cina e Corea, sono riuscite a ridurre, ma non a eliminare il contagio. E se è così, il virus è ancora ben presente, e qualunque modulazione della “fase 2”, cioè della fase di sperimentazione, che i comitati scientifici stanno ipotizzando in questi giorni nei vari paesi rischia di essere destinata a far ripartire il contagio.
Dall’altro lato della scelta, però, c’è anche chi ha osservato acutamente che l’UE non ha coordinato la riapertura delle attività nei vari paesi membri. Risultato, ci può essere chi ha iniziato a esercitare uno sport nobile: quello di cercare di soffiare clienti alle aziende italiane in generale, e lombarde in particolare. Ma la fretta di ripartire non solo può far ripartire il contagio, può anche portare a un’altra bella frittata: che fra sei mesi ci siano i piazzali delle concessionarie pieni di automobili che nessuno va poi a comprare.
Che fare, dunque? Propongo di chiederlo agli economisti. Sono loro che dovrebbero dare le risposte. Al mondo ci sono in giro almeno una ventina di Nobel per l’economia ancora vivi: dove sono in questi giorni? Non ne ho visto neanche uno che venga a spiegare alla gente come ci si debba regolare. E allora, vien da chiedersi quale sia il ruolo della teoria economica nel mondo di oggi.
Tanto più se pensiamo che per mettere mano alla spesa pubblica l’Italia si trova in condizione di dover chiedere ogni volta il permesso all’Europa, come un bambino deve chiedere alla mamma il permesso di comprare le caramelle.
Se dunque non venissimo da decenni di politiche che hanno lasciato salire il debito pubblico in modo sconsiderato, scaricandone il peso sulle generazioni future, non sarebbe poi un problema così grave far fronte a una singola situazione eccezionale.
Colpa dei governanti del passato, dunque? Se andassimo a chiederne conto a loro, ci risponderebbero con un argomento ancora più problematico: hanno dato ascolto agli economisti, direbbero, che avevano spiegato loro che la spesa pubblica è di stimolo per l’economia. Ecco dunque il punto.
La situazione di questi giorni sta evidenziando il fatto che il dilemma di fondo della teoria economica del nostro tempo sta nel contrasto tra i cultori del dogma della spesa pubblica, che fa lievitare il debito pubblico, e i cultori del pareggio di bilancio, che può gettare nella miseria parte delle popolazioni, e i cultori di entrambe le sette economiche non sanno da che parte uscire da questo dilemma. Ma allora ci si può meravigliare, se sia l’uomo comune, sia i parlamenti e i governi non sappiano come uscirne, e navighino a vista, quando sono gli economisti, che dovrebbero spiegare come uscirne, a non saper offrire una soluzione?

 

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