TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Premessa
Nel mondo del lavoro contemporaneo, i sistemi automatizzati di creazione di conoscenza e di decisione, che si basano sugli algoritmi, hanno ristrutturato la gestione del personale, tanto nel settore privato quanto nelle pubbliche amministrazioni, sostituendo progressivamente le funzioni manageriali tradizionali, come la selezione del personale, l’assegnazione delle mansioni, la valutazione del lavoro svolto, l’incentivazione o l’irrogazione di sanzioni, anche con effetti estintivi del rapporto di lavoro. Gli algoritmi acuiscono il grado di asimmetria informativa e lo squilibrio di potere tra le parti contraenti: l’esercizio del potere direttivo si realizza attraverso dispositivi e applicazioni digitali, il lavoratore è sottoposto a forme di controllo permanente e di supervisione continua esercitati dal software e tutto ciò rende il datore di lavoro onnipresente e le sue prerogative potenziate .
Benché non si esaurisca in questo specifico ambito del lavoro digitale, il ricorso a sistemi automatizzati di decisione, monitoraggio e valutazione è un fenomeno le cui criticità sono state poste in risalto e portate ad evidenza soprattutto nel contesto del lavoro su piattaforma, dove questi sistemi, che sono implementati al fine di creare efficienze nell’abbinamento della domanda e dell’offerta dei servizi, incidono anche sulle condizioni di lavoro, con un marcato impatto negativo sul benessere mentale e fisico dei lavoratori, che subiscono la pressione di una micro-gestione e valutazione costante, in tempo reale e automatizzata .
Nel nostro ordinamento, il tema è stato già intercettato nelle aule giudiziarie, dove la sussistenza di forme di controllo algoritmico ha fornito supporto argomentativo ad alcune pronunce di merito concernenti la qualificazione dei rider quali lavoratori subordinati (Trib. Palermo 24.11.2020), ha consentito di disvelare l’assoggettamento degli stessi a condotte discriminatorie (Trib. Bologna 31.12.2020) ed è servito persino a smascherare pratiche illecite di caporalato digitale (Trib. Milano 18.11.2021) .
Significativa, a tal proposito, anche la posizione assunta dal Garante della Privacy, che, nei provvedimenti con cui ha condannato al pagamento di una cospicua sanzione amministrativa pecuniaria, rispettivamente, Foodinho (ord. 10 giugno 2021, n. 234) e Deliveroo Italy (ord. 22 luglio 2021, n. 285), per aver effettuato operazioni di trattamento dei dati personali nei confronti dei loro ciclofattorini in modo non conforme alla disciplina vigente in materia, violando una serie nutrita di disposizioni normative, ha ritenuto altresì di evidenziare come il funzionamento degli algoritmi di quelle piattaforme producesse effetti discriminatori.
Il legislatore euro-unitario si sta confrontando con il fenomeno della gestione algoritmica dei rapporti di lavoro nelle sue più recenti proposte regolative sulla digitalizzazione, nelle quali si affrontano - non sempre con la dovuta attenzione in verità, come si avrà modo di precisare nelle conclusioni - anche i riflessi sui rapporti di lavoro.
In particolare, in questo scritto, si intendono analizzare le disposizioni concernenti la gestione algoritmica del lavoro su piattaforma, contenute nella Proposta di Direttiva UE in corso di approvazione , in quanto costituiscono, allo stato, l’intervento più strutturato di disciplina della materia a livello sovranazionale.

2. Gestione algoritmica del lavoro su piattaforma: finalità e tecniche di tutela nella Proposta di Direttiva UE
Con la Proposta di Direttiva COM (2021) 762 del 9 dicembre 2021, la Commissione Europea si prefigge l’obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro e incrementare i livelli di tutela di coloro che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali. A tal fine, struttura il suo intervento regolativo su tre nuclei normativi, che riguardano rispettivamente: la qualificazione giuridica di tali rapporti di lavoro, introducendo una presunzione di subordinazione (artt. 3-5); la gestione algoritmica del lavoro mediante piattaforme digitali, promuovendone la trasparenza, l'equità e la responsabilità (artt. 6-10), la trasparenza del lavoro su piattaforma a beneficio delle autorità nazionali (artt.11-12). Completano l’articolato normativo le disposizioni a carattere rimediale e le previsioni inerenti all’applicazione della disciplina (artt. 13 ss.) .
Per quanto d’interesse in questa sede, va evidenziato come, per la base giuridica della Proposta di Direttiva, la Commissione faccia riferimento, oltre che all’art. 153 TFUE, legittimando così il proprio intervento per il miglioramento delle condizioni di lavoro, anche all’articolo 16, paragrafo 2, TFUE, poiché intende disciplinare appunto la condizione delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali in relazione alla protezione dei loro dati personali trattati mediante sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati.
Con le previsioni del Capo III, in particolare, la Proposta di Direttiva intende incrementare la trasparenza nell’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme di lavoro digitali, prescrivendo obblighi di informazione sui sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati (art. 6), garantendo il monitoraggio umano del rispetto delle condizioni di lavoro (art. 7) e conferendo il diritto di contestare le decisioni automatizzate (art. 8).
Questi nuovi diritti dovranno essere riconosciuti sia ai lavoratori subordinati, qualificati attraverso la presunzione introdotta dalla Proposta di Direttiva, sia ai lavoratori autonomi. Dispone, infatti, l’art. 1, c. 2 che i diritti stabiliti nella direttiva concernenti la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nel contesto della gestione algoritmica si applicano anche “a tutte le persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali nell’Unione”. Queste ultime sono identificate, nell’art. 2 della Proposta, con qualsiasi persona fisica che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali, indipendentemente dalla qualificazione contrattuale del rapporto tra tale persona e la piattaforma di lavoro digitale che le parti interessate abbiano inteso adottare. Quali fra i suddetti diritti si applicano effettivamente è, poi, prescritto dall’art. 10 della medesima Proposta, che opera in realtà una restrizione non secondaria rispetto agli intendimenti dichiarati, come si dirà più ampiamente nel prosieguo (par. 5).
La Proposta di Direttiva dispone anche il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori (art. 9), ai quali vengono riconosciuti specifici diritti di informazione e consultazione, oltre a prevedere che essi possano avvalersi dell’assistenza a supporto di personale esperto, qualora ne ravvisino l’utilità.

3. Obblighi di informazione
L’art. 6 della Proposta di Direttiva identifica quali sono i sistemi oggetto di informazione e quali sono le informazioni da rilasciare rispetto a questi sistemi . Nello specifico, con riferimento ai sistemi di monitoraggio automatizzati, il lavoratore deve essere informato tanto sull’introduzione e l’utilizzo di tali sistemi, quanto sulle tipologie di attività oggetto di monitoraggio e valutazione. Per quanto concerne i sistemi decisionali automatizzati, invece, il lavoratore, oltre a ricevere le predette informazioni, deve essere edotto in merito ai parametri dei processi decisionali automatizzati, all’impatto che su di essi possono avere i suoi dati personali e i suoi comportamenti, nonché alle motivazioni che determinano le decisioni che incidono in maniera più significativa sul rapporto di lavoro, come, ad esempio, limitare, sospendere o chiudere l’account del lavoratore delle piattaforme digitali o non retribuire il lavoro comunque svolto.
La norma stabilisce, poi, le modalità con cui devono essere fornite le informazioni, ovvero per iscritto, attraverso un documento che deve essere rilasciato, anche in formato elettronico, entro il primo giorno lavorativo e in ogni caso su richiesta del lavoratore, da formulare con un linguaggio semplice, intellegibile e facilmente accessibile.
Le informazioni relative ai sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati devono essere comunicate anche ai rappresentanti dei lavoratori e alle autorità nazionali del lavoro, sempre che gli uni e le altre ne facciano richiesta.
Il trattamento dei dati personali dei lavoratori su piattaforma è consentito a condizione che siano “intrinsecamente connessi e strettamente necessari all’esecuzione del contratto”. Si fa espressa esclusione del trattamento dei dati concernenti lo stato di salute, emotivo o psicologico del lavoratore, fatta eccezione per i casi di cui all’articolo 9, paragrafo 2, lettere da b) a j), del Regolamento (UE) 2016/679. È, altresì, vietato raccogliere dati relativi a conversazioni private del lavoratore, comprese quelle che si svolgono con i propri rappresentanti sindacali, nonché raccogliere qualsiasi dato nelle fasi in cui il lavoratore non è operativo o non si sta rendendo disponibile a lavorare.
La disciplina introdotta con la Proposta di Direttiva viene presentata come disciplina speciale, rispetto alle disposizioni che formano l’acquis dell’UE in materia sociale e di lavoro e stabiliscono tutele minime e garanzie generali, attraverso una pluralità di atti giuridici fondamentali. La scelta di adottare misure specifiche viene giustificata dalla necessità di fronteggiare le sfide che caratterizzano in maniera peculiare il lavoro mediante piattaforme digitali (considerando n. 13). D’altro canto, deve ritenersi che tali normative dell’Unione, di certo quelle richiamate nella Relazione illustrativa della Proposta, trovino comunque applicazione come norme residuali, per quanto non espressamente previsto nella Direttiva.
Con particolare riferimento agli obblighi imposti dal GDPR, questa opzione ermeneutica è chiaramente affermata nei considerando 29-31, ove si richiamano gli articoli 13, 14, 15 e 22 del Regolamento UE 2016/679, nonché l’art. 88 sul trattamento dei dati personali dei dipendenti.
Diversamente argomentando, del resto, si potrebbe incorrere nel risultato opposto a quello auspicato e, quindi, ridurre le tutele per i lavoratori delle piattaforme. Si pensi, ad esempio, alla previsione dell’art. 6, paragrafo 5, lettera b), della Proposta di Direttiva, che introduce una disciplina sul trattamento dei dati personali riferibile ai soli lavoratori mediante piattaforme digitali, la quale risulta contenutisticamente più ristretta rispetto alla normativa generale posta dal Regolamento (UE) 2016/679. Infatti, la predetta norma prende in considerazione, per escluderne il trattamento, solo i dati inerenti alla salute, come prima ricordato, mentre l’art. 9 GDPR non consente, salvi i casi indicati dal paragrafo 2, il trattamento di quei dati che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché di trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona. Il mancato rispetto di tali divieti di trattamento potrebbe agevolmente alimentare pratiche discriminatorie, anche inconsapevoli, operate dai sistemi automatizzati.
Resta, tuttavia, irrisolto il nodo cruciale della total disclosure, che le previsioni della Proposta di Direttiva sembrerebbero intese a perseguire. Tale obiettivo si infrange contro la possibilità per le piattaforme digitali di invocare i limiti del segreto commerciale e dei diritti di proprietà intellettuale, per non rivelare nel dettaglio il funzionamento dei loro sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati. Nel considerando 33 se ne dà atto, infatti, sia pure precisando che il rispetto di questi limiti non dovrebbe consentire alle piattaforme di opporre un diniego a fornire tutte le informazioni prescritte dalla direttiva.

4. Monitoraggio e riesame umano
Gli Stati Membri devono prevedere a carico delle piattaforme l’obbligo di monitorare e valutare periodicamente l’impatto sulle condizioni di lavoro delle decisioni algoritmiche e, dunque, non soltanto all’atto della loro introduzione.
Ferme restando le previsioni euro-unitarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro, le piattaforme devono operare una valutazione dei rischi specifici che i sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati che utilizzano possono comportare per la salute e sicurezza dei propri lavoratori, con particolare riferimento ai rischi psico-sociali ed ergonomici, oltre a quelli legati a possibili infortuni sul lavoro. Esse devono, inoltre, valutare l’adeguatezza delle garanzie che tali sistemi automatizzati prevedono, tenuto conto delle caratteristiche specifiche dell’ambiente di lavoro, nonché introdurre misure di prevenzione e protezione adeguate.
Le piattaforme sono tenute ad utilizzare i sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati così che questi non possano esporre a rischio né recare pregiudizio alla salute fisica e mentale dei lavoratori, né metterli indebitamente sotto pressione (art. 7, c. 2). Con queste previsioni, il legislatore europeo mostra di essere ben consapevole di quelle che sono le dinamiche gestionali e i metodi operativi tipici delle piattaforme, che non esitano a innescare comportamenti competitivi tra i lavoratori fino al limite dell’autosfruttamento.
La Proposta di Direttiva sposa, quindi, il principio del monitoraggio umano dei sistemi automatizzati, rinviando agli Stati Membri il compito di imporre alle piattaforme digitali di dotarsi, in misura che si assume “sufficiente”, di risorse umane dedicate, competenti e formate, provviste dei poteri necessari per esercitare tale funzione di controllo. Queste unità di personale devono beneficiare di tutele adeguate rispetto ad eventuali comportamenti ritorsivi, ai quali potrebbero essere esposte per non aver accolto le decisioni automatizzate o i suggerimenti del sistema (art. 7, c. 3).
L’intervento umano, tuttavia, non è richiesto soltanto con riferimento all’attività di monitoraggio dei sistemi automatizzati, ma anche per effettuare il riesame delle decisioni che questi assumono con riferimento alle condizioni di lavoro. Gli Stati Membri devono, infatti, garantire ai lavoratori delle piattaforme il diritto ad ottenere una spiegazione relativamente alle decisioni automatizzate che li riguardano, assicurando che le piattaforme designino una persona di contatto – competente, formata e dotata dei necessari poteri – “per discutere e chiarire i fatti, le circostanze e i motivi di tale decisione” . In particolare, per le decisioni maggiormente pregiudizievoli per i lavoratori, come quelle inerenti alla qualificazione del rapporto di lavoro, alla mancata retribuzione del lavoro svolto e alla sospensione o disattivazione dell’account, la motivazione deve essere rilasciata in forma scritta (art. 8, c. 1).
Qualora i lavoratori non siano soddisfatti della spiegazione ricevuta o ritengano che le decisioni automatizzate assunte li abbiano pregiudicati, hanno diritto di chiederne il riesame. A fronte di tale richiesta la piattaforma deve fornire una risposta motivata e tempestiva, non oltre una settimana dal suo ricevimento. Qualora risulti acclarata la violazione dei diritti del lavoratore per effetto della decisione automatizzata, la piattaforma deve rettificare quella decisione oppure, se non sussiste tale possibilità, deve offrire una compensazione adeguata. Trattandosi di meccanismi di intervento ex post, il rischio che l’eliminazione degli effetti già prodottisi e il ripristino dello status quo ante siano poco praticabili è alto, con la conseguenza che il sistema di tutela risarcitoria potrebbe risultare quello prevalentemente applicato. Restano, in ogni caso, impregiudicate le procedure di licenziamento previste dal diritto nazionale (art. 8, cc. 2-4).

5. Ambito di applicazione
Come si ricordava all’inizio di questo scritto, le misure per promuovere la trasparenza, l’equità e la responsabilità della gestione algoritmica del lavoro da parte delle piattaforme digitali, previste dalla Proposta di Direttiva, devono trovare applicazione nei confronti di tutte le persone che lavorano per le piattaforme, a prescindere dal rapporto contrattuale in essere con queste ultime.
Tuttavia, l’art. 10 non contempla tra le disposizioni applicabili l’art. 7, comma 2, e, quindi, esclude dalla tutela specifica per la salute e sicurezza sul lavoro i lavoratori autonomi, sul presupposto che, come si legge nel considerando n. 40, la normativa europea in materia di salute e sicurezza si applichi soltanto ai lavoratori subordinati.
Al riguardo, il legislatore europeo si mostra rigidamente ancorato alla tradizionale distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, che al più estende le tutele disposte dai provvedimenti normativi sovranazionali ai falsi lavoratori autonomi, sulla scorta delle pronunce della Corte di Giustizia , mostrandosi così indifferente alle soluzioni interpretative avanzate in dottrina e condivise da alcune pronunce della giurisprudenza nazionale , che, proprio sul versante della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, spingono in altra direzione.
Dell’opzione di favore per il modello binario si trae conferma, altresì, dal rinvio alle previsioni del Regolamento (UE) 2019/1150 del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione on-line, disposto per affermarne la prevalenza sulle disposizioni della futura Direttiva, eventualmente confliggenti con quello.
Utente commerciale, ai sensi del Regolamento, è anche il lavoratore autonomo, del quale resta confermata l’assimilazione agli imprenditori nel diritto dell’UE. L’unico fronte sul quale sembra aprirsi spazio per una diversa considerazione dei lavoratori autonomi è costituito dal nuovo progetto di Linee guida sull’applicazione del diritto dell’UE in materia di concorrenza ai contratti collettivi sulle condizioni di lavoro per i solo self-employed. In tale bozza, la Commissione sostiene che «nei casi in cui i lavoratori autonomi individuali siano considerati in una situazione paragonabile a quella dei lavoratori dipendenti, si dovrebbe concludere che i loro contratti collettivi esulano dall’ambito di applicazione dell'articolo 101 TFUE indipendentemente dal fatto che tale i lavoratori soddisfano i criteri per essere considerati falsi lavoratori autonomi» . In sintesi, la Commissione ritiene che dovrebbero essere esentati dall’ambito di applicazione della normativa antitrust europea non solo i falsi lavoratori autonomi, ma anche coloro che sono economicamente dipendenti e non possono determinare autonomamente le proprie condizioni di lavoro. Qualora queste linee guida venissero approvate, i lavoratori autonomi senza dipendenti potrebbero ottenere tutele almeno sul versante collettivo, restando pur sempre loro precluse quelle rivenienti dalle fonti di hard law.

6. Il ruolo del soggetto collettivo
La disamina delle disposizioni della Proposta di Direttiva fin qui svolta conferma l’opzione di favore del legislatore euro-unitario per la predisposizione di misure di tutela individuali per contrastare l’opacità dei sistemi decisionali e di monitoraggio algoritmici. Al riguardo, diversamente da quanto accaduto a proposito della presunzione semplice di subordinazione, non è stata tratta adeguata ispirazione dall’ordinamento spagnolo, che con la legge conosciuta come Ley Rider ha regolato il lavoro tramite piattaforma digitale . L’art 64.4 dello Estatuto de los trabajadores, come modificato appunto dalla l. n. 12/2021, prevede infatti che il comitato d’impresa debba essere informato dall’azienda in merito ai parametri, alle regole e alle istruzioni su cui si basano gli algoritmi o i sistemi di intelligenza artificiale, che influenzano il processo decisionale che può avere un impatto sulle condizioni di lavoro, l’accesso e il mantenimento dell’occupazione, ivi compresa la profilazione.
L’art. 9 della Proposta di Direttiva, invece, si limita a prevedere in capo agli Stati Membri l’obbligo di assicurare che le piattaforme digitali procedano all’informazione e alla consultazione dei rappresentanti dei lavoratori in merito alle decisioni che implicano l’introduzione o l’adozione di modifiche sostanziali nell’uso di sistemi automatizzati di monitoraggio e decisionali. Il contenuto delle informazioni da rilasciare, quindi, risulta meno approfondito rispetto alle previsioni della legge spagnola. Peraltro, qualora manchino i loro rappresentanti, l’informazione e la consultazione dovranno essere rivolte direttamente ai lavoratori interessati, che, in verità, sono destinatari di informazioni anche più approfondite ai sensi dell’art. 6.
Per le definizioni di informazione e consultazione si fa rinvio alla Direttiva n. 2002/14/CE, della quale si richiamano altresì le norme che si applicano per conseguenza delle suddette definizioni, nonché più in generale sono fatti salvi i diritti e gli obblighi da quella previsti.
Per esaminare le questioni oggetto di informazione e consultazione e formulare un parere, i rappresentanti dei lavoratori delle piattaforme o i lavoratori interessati, in assenza dei primi, quando lo reputino necessario, possono farsi assistere da un esperto a loro scelta. Le spese per questa consulenza saranno poste a carico della piattaforma, se questa ha più di 500 lavoratori in uno Stato Membro, a condizione però che risultino proporzionate.
La debolezza del ruolo riconosciuto al soggetto collettivo è certamente una delle criticità della Proposta di Direttiva, che rischia di inficiare il principio dello human centred approach, se solo si considera che contrastare l’opacità dei sistemi di management algoritmico significa sostanzialmente intervenire a porre limiti ai poteri del datore di lavoro – ma anche del committente - a tutela della dignità del lavoratore .

7. Una normativa ancora in itinere
L’adozione della Proposta di Direttiva sui lavoratori delle piattaforme è stata salutata prevalentemente con favore, negli ambienti istituzionali, dalle parti sociali e anche tra gli studiosi, pur non essendo mancati rilievi critici - già sulla scelta di adottare una misura specifica per questo settore, oltre che sui singoli contenuti del provvedimento - di alcuni dei quali si è voluto dar conto in questa sede.
Il procedimento legislativo è ancora in fieri, dovendo passare la Proposta al vaglio degli altri decisori europei, per cui si può ragionevolmente ipotizzare l’adozione del testo definitivo nel corso – se non proprio alla fine – del prossimo anno.
Il dibattito si prefigura già alquanto vivace in seno al Parlamento UE, dal momento che la Relazione che fungerà da base per la discussione avanza proposte di modifica significative, destinate ad incidere sullo stesso impianto della Direttiva.
Con riferimento al tema della gestione algoritmica dei rapporti di lavoro, in particolare, nella Relazione si propone l’applicazione generalizzata dell’obbligo di revisione umana e, quindi, di estendere tale obbligo con riferimento a tutti i lavoratori che devono interagire con gli algoritmi nel loro ambiente di lavoro, nonché il potenziamento del ruolo della contrattazione collettiva .
In merito a quest’ultimo profilo, le ragioni a favore di un maggior coinvolgimento degli attori collettivi sono già state evidenziate nel paragrafo precedente; quanto poi all’universalizzazione delle tutele a salvaguardia della dignità dei lavoratori a fronte della invasività e pervasività dei sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati e, dunque, alla sua estensione oltre i confini del lavoro su piattaforma, si tratta certamente di un obiettivo condivisibile e da perseguire. Resta qualche dubbio, invece, sull’opportunità - e forse persino la legittimità – della sede individuata.
Nel più ampio quadro delle misure sulla digitalizzazione in corso di approvazione da parte delle istituzioni dell’UE, sembrerebbe essere il Regolamento sull’Intelligenza Artificiale il contesto regolativo più opportuno deputato ad occuparsene. Si potrebbe, infatti, intervenire per potenziare le scarse previsioni che, allo stato, questo contempla con riferimento alla gestione dei rischi connessi all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nei rapporti di lavoro , se non proprio, come pure è stato prospettato, adottare un provvedimento ad hoc in materia, così da conservare alla Proposta di Direttiva sui lavoratori delle piattaforme quella caratteristica di disciplina speciale che le si è inteso assegnare.

 

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