Testo integrale con note e bibliografia

1. Verso una governance societaria sostenibile?
Negli ultimi anni si è via via intensificato il dibattito sull’introduzione di strumenti normativi volti a governare il comportamento delle imprese, con particolare riferimento alla materia dei diritti umani, e dei diritti sociali fondamentali in particolare . Ciò è indubbiamente dovuto all’azione di pressione esercitata dalle istituzioni internazionali, dalle Organizzazioni non governative e dalla società civile a seguito dell’emersione di una nuova diffusa consapevolezza in ordine alle aspettative, sociali ed ambientali, espresse a livello globale nei confronti delle imprese transnazionali. Sullo sfondo l’esigenza di agire sulle scelte strategiche delle imprese circa il dove e il come dell’organizzazione economica, ovvero sulle leve determinanti dalle quali dipendono i destini dei lavoratori coinvolti.
Questo apparato eterogeneo di previsioni, contenute in atti aventi una valenza politica ma privi di immediata rilevanza giuridica , rappresentano dei micro-cosmi regolativi che hanno trovato un collante strategico sia nei Principi Guida dell’Onu elaborati dall’Alto Rappresentante per i diritti umani e il business, John Ruggie, e promulgati nel giugno 2011 dalle Nazioni Unite (nel proseguo Principi Guida) , sia nell’Agenda Onu 2030 sullo sviluppo sostenibile, all’interno della quale viene dato ampio spazio al tema del business responsabile e sostenibile.
La legge francese sul devoir de vigilance del 27 marzo 2017 rappresenta la prima disciplina, adottata da uno stato europeo, con lo scopo di attribuire alle imprese una responsabilità “transnazionale” per comportamenti tenuti al di fuori dei confini nazionali . Prendendo esempio dal legislatore francese altri governi hanno legiferato sul tema. Tra questi l’Olanda con la legge sulla due diligence in materia di lavoro minorile, la Norvegia con il Transparency Act sul decent work 2021 , la Svizzera e, da ultimo, la Germania che con la legge del 16 giugno 2021 (Gesetz über die unternehmerischen Sorgfaltspflichten in Lieferketten) ha introdotto un obbligo di due diligence nelle catene di approvvigionamento per quanto riguarda i diritti umani e determinati standard ambientali .
Invero si tratta di una tendenza che trova conferma anche oltre i confini europei, come ben rappresentato sia dal disegno di legge canadese C-262 del 22 marzo 2022, con lo scopo di prevenire, affrontare e rimediare agli impatti negativi sui diritti umani che si verificano in relazione alle attività commerciali condotte dalle imprese all'estero, sia dall'Alien Tort Statute Clarification Act (ATSCA) degli Stati Uniti che tenta di mitigare l’impatto degli orientamenti giurisprudenziali restrittivi affermatesi con i casi Kiobel , Jesner e, più recentemente, Nestlé . Le Corti americane, nelle sentenze richiamate, hanno infatti ridotto significativamente il campo di applicazione dell'Alien Tort Statute, consentendo alle aziende di evitare responsabilità per violazioni dei diritti umani commesse all'estero. L'obiettivo dell'ATSCA è quindi quello di introdurre una forma di giurisdizione extraterritoriale, ovvero garantire che le vittime possano adire i Tribunali americani in caso di violazioni di diritti umani commesse all’estero da società con sede negli Stati Uniti.
Se Francia e Germania sono ad oggi considerati gli stati più avanzati sul piano delle disposizioni in tema di due diligence, vi sono poi altri governi accusati di un sostanziale immobilismo rispetto al tema. Tra questi si colloca anche il nostro paese. In questi termini si è infatti espresso il Gruppo di Lavoro nelle Nazioni Unite su imprese e diritti umani nel corso della sua prima visita ufficiale in Italia nel 2021. L’esito della visita non è stato particolarmente positivo, evidenziandosi non secondarie criticità rispetto alle azioni intraprese dal governo italiano per dare attuazione ai Principi Guida .
2. Accelerazioni e convergenze dei processi regolativi in Europa
Il contesto europeo manifesta da tempo inedite sensibilità in ordine al rapporto tra business e diritti umani e, in questa luce, si presenta come un terreno particolarmente fertile e dinamico . Il dibattito delle origini, sorto per lo più su deboli segnali che registravano l’urgenza di interventi volti a comporre le tensioni tra business e diritti umani, è avanzato e ha dato vita ad un movimento diversificato nella composizione ma accomunato negli obiettivi: sostenibilità e buona governance devono rappresentare una leva comune per la crescita e lo sviluppo della società globale . Le azioni intraprese dalle istituzioni europee sono molteplici e vanno apprezzate nel quadro di insieme, pur evidenziando, come vedremo, talune distonie e criticità.
Già nel dicembre 2019 più di 100 Organizzazioni non governative avevano sottoscritto una dichiarazione congiunta in cui chiedevano a gran voce un’azione legislativa dell’UE in materia di diritti umani e due diligence. Dopo numerose discussioni interne il Consiglio dell’UE, nel dicembre del 2020, ha sollecitato l’elaborazione di una proposta per un quadro giuridico europeo sul governo societario sostenibile e, da qui, il 10 marzo 2021, è stata promulgata la Risoluzione del Parlamento europeo che contiene una serie di raccomandazioni alla Commissione concernenti la dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese. Dopo una consultazione pubblica, la proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità ha finalmente visto la luce lo scorso 23 febbraio 2022 .
Nella prospettiva di responsabilizzare l’attore economico nel mercato globale, devono essere interpretate anche molte altre iniziative in questo momento in corso a livello europeo . Tra queste la discussione sulla Revisione della Direttiva sulle informazioni non finanziarie (rinominata Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità, Proposta della Commissione, 21 aprile 2021), con la finalità di rendere più incisivi gli obblighi per le imprese e, in questo senso, soddisfare la ratio originaria dell’intervento, che muoveva per lo più da istanze di trasparenza delle operazioni societarie. Sono inoltre molteplici le direttive, aventi ad oggetto l’organizzazione e la gestione della società per azioniy, in cui abbondano i riferimenti alla governance sostenibile (dalla Direttiva UE 2017/828 – c.d. Shareholders II – alla Direttiva UE 2019/2121 sulle trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere) . Il tema è particolarmente vibrante anche se indaghiamo l’ambito finanziario. Basti qui richiamare il Regolamento UE 2020/852 che si inserisce nella Strategia per la Finanza sostenibile della UE ed è finalizzato ad indirizzare gli investimenti finanziari verso le attività economiche che possono contribuire alla Just transition. Sullo sfondo l’iniziativa lanciata nel 2020 dall’Unione europea in tema di governo societario sostenibile .
Pur nell’eterogeneità delle iniziative adottate, emerge una sostanziale convergenza dei processi regolativi europei. Avvalendosi di fonti regolative plurime, in un gioco di intrecci tra soft e hard law, le istituzioni europee hanno agito entro due assi di intervento: per un verso la responsabilizzazione del soggetto economico può essere realizzata attraverso processi strutturati di reporting, che muovono da istanze di trasparenza dell’agire economico; per altro verso, come vedremo, la due diligence si afferma come architrave sul quale edificare nuovi assetti di governo dell’impresa con un’inedita tensione verso modelli di tutela dotati di implicazioni extraterritoriali. Si vengono così affermando nuovi presidi di garanzia all’interno di un quadro normativo dinamico che aspira a disciplinare in modo più articolato l’operato delle imprese e a soddisfare le istanze di tutela dei lavoratori.
3. La Proposta di Direttiva del 23 febbraio 2022 relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità
Prendendo spunto dai Principi Guida, più volte richiamati nei Considerando della Proposta di Direttiva, la due diligence europea ha preso finalmente forma. Nonostante il contenuto della Proposta abbia in parte deluso le aspettative alimentate dalla ben più garantista Risoluzione del Parlamento europeo dello scorso 15 marzo 2021, l’intervento della Commissione e del Consiglio va accolto favorevolmente, rappresentando un ulteriore tassello nella definizione di nuovi assetti di governance dell’impresa.
Nella parte iniziale la Proposta contiene disposizioni che definiscono l’oggetto, l’ambito di applicazione e il significato dei termini utilizzati nel testo (artt. 1-3), e si sviluppa poi con previsioni volte a delineare le modalità di implementazione dell’obbligo di due diligence (artt. 4-16), i meccanismi di monitoraggio e controllo (artt. 17-19) e, ancora, il regime sanzionatorio, anche con riferimenti alla responsabilità degli amministratori (artt. 20-26).
La Proposta muove dall’esigenza di promuovere in modo più efficace ed efficiente la gestione del rischio di sostenibilità nelle strategie aziendali, ma altresì di evitare la frammentazione degli obblighi di dovuta diligenza nel mercato unico, promuovendo nuovi percorsi di responsabilizzazione delle imprese dinanzi agli impatti negativi dalle stesse prodotti. Per realizzare ciò è essenziale intervenire anche sulla definizione di chiari ed efficaci sistemi di accesso alla giustizia per la tutela delle persone lese.
La Proposta di Direttiva, in quanto strumento di armonizzazione normativa, risponde all’esigenza, da tempo manifestata in seno alle istituzioni europee, di introdurre una base comune di riferimento per gli stati e per le imprese sul tema della due diligence. Da qui la creazione di un quadro comune di previsioni attraverso il quale l’Unione europea si impegna a promuovere la responsabilizzazione delle imprese e la tutela dei diritti umani, garantendo al contempo un’equa concorrenza e il buon funzionamento del mercato interno.
Ciò spiega la base giuridica della Proposta di Direttiva che si ritrova negli Art. 50 e 114 TFUE. Così operando le istituzioni europee hanno inteso evitare i rischi legati alla frammentazione “regolativa” del mercato interno, e alle sue conseguenze sulle libertà economiche e sulle dinamiche concorrenziali. In questi termini va letto il richiamo, di cui all’art. 1 della Proposta, al fatto che “coordinando le garanzie per la tutela dei diritti umani, dell'ambiente e della buona governance, tali obblighi di dovuta diligenza sono volti a migliorare il funzionamento del mercato interno”. Viene in questo modo riconosciuta la rilevanza bifronte della due diligence. Per un verso la Proposta di Direttiva va letta in chiave funzionale al mercato, in quanto introduce un comune assetto regolativo a livello europeo. Per altro verso, la due diligence si impone come vettore di protezione dei diritti sociali fondamentali, indipendentemente dai luoghi in cui operano i lavoratori e, di conseguenza, si assume come viatico attraverso il quale estendere la tutela all’interno di tutta la catena del valore.
3.1. I contenuti dell’obbligo di due diligence
Entrando nel merito della Proposta di Direttiva, essa introduce un sistema di obblighi “rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell'ambito delle loro attività, delle attività delle loro filiali e delle attività nella catena del valore svolte da soggetti con cui la società intrattiene un rapporto d'affari consolidato (art. 1).
I parametri presi a riferimento per circoscrivere l’ambito soggettivo di applicazione della Proposta sono il numero di dipendenti ed il fatturato. Oltre alle società di grandi dimensioni (con più di 500 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale che supera i 150 milioni di Euro), vi sono le società, operanti in settori ad elevato rischio (es: settore minerario, tessile, ecc.), le quali, pur non raggiungendo le soglie poc’anzi richiamate, hanno più di 250 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale pari o superiore a 40 milioni di Euro. Infine, ci sono le imprese di paesi terzi con una soglia del fatturato generato nell'Unione Europea in linea con i requisiti di cui sopra. Il fatturato va calcolato a livello globale per le aziende europee e a livello Ue per quelle di Paesi terzi.
E’ questo un profilo destinato a far discutere. Nei limiti di queste brevi note basti richiamare l’attenzione sul fatto che la violazione dei diritti umani riguarda tutti i settori e prescinde, evidentemente, dalla dimensione delle imprese e/o da vincoli di fatturato. Peraltro la Proposta di Direttiva si pone in aperta controtendenza rispetto all’approccio adottato dai Principi Guida. Non si comprendono quindi le ragioni di una tale limitazione alle imprese di grandi dimensioni, oltre al fatto che un simile distinguo potrebbe indurre le imprese ad adottare comportamenti opportunistici, e riorganizzare quindi il proprio modello di business così da sfuggire ai vincoli posti dalla Proposta di Direttiva.
Quanto alla tipologia di rapporti tra imprese che sono oggetto di intervento se, nel passato più recente, l’attenzione delle istituzioni internazionali e dei legislatori nazionali si è concentrata sui rapporti all’interno dei gruppi societari, a partire dai Principi Guida ONU i riflettori si sono accesi sulle catene globali del valore. Esemplificativa di questo cambio di passo è anche la Risoluzione dell’OIL sulla governance delle catene dalla quale emerge chiaramente l’esigenza di costruire un reticolato normativo capace di regolare le dinamiche tra i nodi della filiera garantendo al contempo il rispetto dei diritti dei lavoratori.
La Proposta di Direttiva conferma tale orientamento definendo, come ambito di applicazione della due diligence, sia i rapporti tra imprese e proprie sussidiarie (art. 3 lett. d), sia i rapporti tra l’impresa dominante e i partner commerciali.
Mentre nel primo caso la due diligence discende dal controllo esercitato dalla lead firm sulle sussidiarie, e quindi su quanto previsto nella Direttiva 2004/109/CE, nel secondo caso sono le relazioni commerciali e, nello specifico, le established business relationship (art. 3 lett. f) a dover essere attenzionate in quanto ampliano, indipendentemente dal territorio in cui si collocano, gli obblighi in capo all’impresa. Nel considerando n.20 si chiarisce che per “established business relationships” possono intendersi sia rapporti diretti che indiretti. I criteri individuati si riferiscono all’intensità del rapporto, alla sua durata e al fatto che non rappresenti una parte residuale nelle dinamiche della catena.
La formula utilizzata è mutuata dalla legge francese, ma si presenta distonica rispetto a quanto previsto dagli standard internazionali in tema di due diligence. In particolare i Principi Guida adottano una prospettiva regolativa più ampia, ovvero non circoscrivono l’ambito di applicazione ai "rapporti commerciali consolidati". In quell’accezione, evidentemente, si volevano contrastare i comportamenti opportunistici delle imprese finalizzati ad ignorare gli impatti prodotti nelle parti più remote della catena del valore, e considerare quindi solo i rischi relativi ai propri partner strategici.
Tra l’altro un’indicazione di questo tipo potrebbe condurre le imprese a privilegiare partner non stabili, così da evitare di assolvere agli obblighi di due diligence. La mappatura dei rischi dipende evidentemente da ciò che accade all’interno di tutti i nodi della catena e, di conseguenza, il piano di vigilanza può dirsi trasparente ed efficace solo se presuppone a monte l’individuazione di tutti i partner commerciali e delle sussidiarie dell’impresa.
Gli Stati membri devono assicurare che le imprese adottino la due diligence sui diritti umani e sull’ambiente, secondo quanto previsto dagli artt. 5-11, mettendo in atto una serie di azioni finalizzate in primo luogo ad integrarla nelle politiche aziendali (art. 5) e, da qui, individuare, attraverso una mappatura dei rischi, gli effetti negativi, reali o potenziali, sui diritti umani e sull'ambiente (art. 6); evitare o attenuare gli effetti potenziali; porre fine o ridurre al minimo gli effetti reali (artt. 7 e 8); istituire e mantenere una procedura di denuncia (art.9); monitorare l'efficacia delle politiche e delle misure di dovuta diligenza (art. 10); dar conto pubblicamente del dovere di diligenza (art. 11).
La Proposta di Direttiva chiarisce che gli obblighi in materia di dovuta diligenza devono essere assolti attraverso un processo dinamico continuo e strutturato nel tempo che prevede un monitoraggio costante al fine di porsi in linea con la natura dinamica ed evolutiva dei rischi riconducibili alle attività di business (punto 16). Nella definizione di tali procedure la Proposta di Direttiva prevede il coinvolgimento dei portatori di interesse e, in particolare, delle organizzazioni sindacali (art. 5) affermando che “gli Stati membri garantiscono in particolare il diritto dei sindacati al livello pertinente, incluso a livello settoriale, nazionale, europeo e globale, e dei rappresentanti dei lavoratori di essere coinvolti in buona fede nella definizione e nell'attuazione della strategia di dovuta diligenza della loro impresa”. Così le imprese “conducono discussioni e coinvolgono i sindacati e i rappresentanti dei lavoratori in un modo che sia adeguato alle loro dimensioni nonché alla natura e al contesto delle loro operazioni”.
Sempre ai sensi dell’art. 5, gli stati membri sono tenuti a monitorare affinchè le società integrino il dovere di diligenza in tutte le politiche aziendali e definiscano una policy ad hoc sul tema. In particolare le imprese devono descrivere l’approccio adottato, nel lungo periodo, al fine di attuare la due diligence; esse sono inoltre obbligate a redigere un codice di condotta che illustra le norme e i principi cui devono attenersi dipendenti e filiali della società. Infine, è richiesta la descrizione delle procedure predisposte per l'esercizio del dovere di diligenza, comprese le misure adottate per verificare il rispetto del codice di condotta ed estenderne l'applicazione ai partner con i quali si intrattengono rapporti d'affari consolidati.
Taluni profili di criticità discendono dall’enfasi attribuita alle c.d. clausole contrattuali di garanzia. Le imprese sono infatti tenute a richiedere ai partner commerciali diretti il rispetto di clausole contrattuali il cui scopo è quello di garantire, a tutti i livelli del sistema a cascata contrattuale, il rispetto del codice di condotta della società e, se necessario, di un piano operativo di prevenzione (art. 7). Pur se si tratta di clausole che assolvono ad una funzione di garanzia, non possiamo escluderne un utilizzo distorto da parte delle imprese che potrebbero adottarle per trasferire i rischi e le responsabilità sui nodi più deboli della catena.

Al fine di rafforzare la portata vincolante degli obblighi di due diligence il legislatore europeo ha espressamente previsto un regime di responsabilità risarcitoria ex post: gli stati membri devono adoperarsi al fine di introdurre le misure necessarie per garantire che le imprese siano considerate responsabili dei danni arrecati e, conseguentemente, siano sanzionate per non aver correttamente adempiuto agli obblighi di due diligence (artt. 7 e 8)
Le vittime potranno intentare un'azione di responsabilità civile dinanzi ai tribunali nazionali competenti. La responsabilità civile riguarda il danno identificabile ed evitabile, o attenuabile, con adeguate misure di diligenza, causato nell'ambito delle attività svolte dall'impresa e dalle sue controllate e dei rapporti commerciali instaurati con altri soggetti con cui l'impresa coopera in modo regolare e frequente. Le aziende sono considerate responsabili qualora violino il loro dovere di cura e, come risultato di tale violazione, determinino un “effetto negativo” da cui scaturisce un danno.
3.2. I diritti oggetto di tutela
Per quanto concerne l’ambito ratione materiae della due diligence, l’Allegato alla Proposta identifica, in 20 punti, i diritti umani e gli standard ambientali la cui violazione deve essere impedita, rinviando nello specifico ad una serie di fonti di diritto internazionale tra le quali la Dichiarazione Universale dei diritti umani, le Convenzioni fondamentali in materia di protezione dei diritti umani, quali i Patti delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici (ICCPR) ed economici, sociali e culturali (ICESCR); le Convenzioni sulla lotta alla discriminazione, quella che protegge le persone con disabilità, quelle contro il genocidio, la tortura e il crimine organizzato, e quelle che tutelano rispettivamente i diritti di bambini, indigeni e minoranze; ancora le Convenzioni fondamentali dell’OIL.
L’elenco degli strumenti internazionali richiamati nell’Allegato della Proposta di Direttiva omette di richiamare convenzioni e trattati di estrema importanza. Pensiamo, ad esempio, alla Convenzione OIL n. 190 sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro, alla Convenzione europea dei diritti umani, alla Carta europea dei diritti fondamentali dell’UE. La parzialità dell’Allegato rileva anche se consideriamo gli strumenti richiamati in materia ambientale. Per questi manca ad esempio il rinvio all’Accordo di Parigi, diversamente enunciato nell’art. 15 della Proposta di Direttiva.
La Proposta di Direttiva si discosta quindi dai Principi Guida e, in modo particolare, dal Principio n.12 che mette ben in evidenza l’onnicomprensività dei diritti che possono essere oggetto di violazione a seguito delle operazioni societarie. In altri termini l’impatto potenziale del business riguarda tutti i diritti umani e, di conseguenza, appare discutibile la scelta di delimitare l’ambito di applicazione sulla base di un rinvio tutt’altro che esaustivo alle fonti di riferimento in materia.
Non pare risolutiva sul punto la norma di chiusura secondo cui “ la violazione di un divieto o di un diritto non contemplato dai precedenti punti da 1 a 20 ma incluso negli accordi sui diritti umani elencati nella sezione 2 della presente parte, che arreca direttamente pregiudizio a un interesse giuridico tutelato da tali accordi, purché la società fosse ragionevolmente in grado di accertare il rischio di pregiudizio e di adottare misure adeguate per assolvere gli obblighi ai sensi dell'articolo 4 della presente direttiva, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche delle sue attività, quali il settore e il contesto operativo”.
Tra l’altro, la disposizione poc’anzi richiamata solleva ulteriori questioni che attengono al piano strettamente probatorio . Ci appare necessario un intervento chiarificatore sul punto e, soprattutto, la previsione di un regime di inversione dell’onere della prova a carico dell’impresa. Solo in questi termini potrà essere garantito un sistema di accesso alla giustizia efficace ed effettivo per le vittime.
3.3. I meccanismi di enforcement
La Proposta di Direttiva interviene sia sui meccanismi per il trattamento dei reclami (art. 9), sia sulle misure di riparazione extragiudiziale che le imprese devono adottare (art. 10), pur chiarendo che gli stati membri devono comunque assicurare ai portatori di interessi di poter avviare un procedimento civile conformemente al diritto nazionale al fine di attestare la responsabilità civile dell’impresa (artt. 10 e 19), sia infine sulle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva (art. 18).
Con l’obiettivo di promuovere l’osservanza e l’applicazione degli obblighi di due diligence la Proposta prevede inoltre la costituzione di un sistema di monitoraggio e controllo affidato ad autorità amministrative nazionali e ad un’autorità europea costituitesi ad hoc per garantire l’enforcement della due diligence (artt. 17 e 18).
In particolare gli stati membri sono tenuti a designare “una o più autorità di controllo incaricate di vigilare sul rispetto degli obblighi previsti dalle disposizioni nazionali adottate a norma degli articoli da 6 a 11 e dell'articolo 15, paragrafi 1 e 2” (art. 17). Vi è un distinguo da fare rispetto all’autorità competente in quanto per le società che sono costituite in territorio europeo si fa riferimento all’istituzione del paese in cui hanno la sede legale; diversamente, per società di uno stato extraeuropeo l’autorità competente è quella dello stato in cui hanno sede le succursali. Ancora, in caso di più succursali, si fa riferimento all’autorità dello stato in cui la società ha generato la maggior parte del fatturato netto.
La delicatezza e complessità dell’attività attribuita alle autorità di controllo richiede evidentemente di vigilare sull’operato dei predetti organismi e, in questo senso, la Proposta di Direttiva prevede che “gli stati membri provvedono in particolare a che l'autorità sia giuridicamente e funzionalmente indipendente dalle società che ricadono nell'ambito d'applicazione della presente direttiva o da altri interessi di mercato e che il suo personale e le persone responsabili della sua gestione siano esenti da conflitti di interessi, fatti salvi gli obblighi di riservatezza, e si astengano da qualsiasi atto incompatibile con le funzioni che esercitano” (art. 17 p.8).
Le autorità nazionali possono ordinare la cessazione della violazione delle disposizioni adottate in attuazione della direttiva, così come l'astensione da qualsiasi reiterazione della condotta in questione e, se del caso, l'adozione di provvedimenti correttivi proporzionati alla gravità dei comportamenti. L’autorità può inoltre imporre sanzioni pecuniarie e adottare misure provvisorie al fine di evitare il rischio di danni gravi e irreparabili.
Molto significativa la previsione secondo cui le autorità di controllo possono richiedere informazioni, ma anche avviare indagini d’ufficio o a seguito di una segnalazione pervenuta dai soggetti legittimati e, fatto ancor più rilevante, hanno il potere di svolgere ispezioni previo avviso alla società. Si tratta di ispezioni che possono riguardare anche imprese collocate in un diverso stato membro, nel qual caso è necessario richiedere l’assistenza dell’autorità nazionale competente. Se, dall’esito dei controlli, emerge che l’impresa non ha debitamente attuato il dovere di vigilanza, l’autorità di vigilanza può richiedere l’adozione di provvedimenti correttivi, ma ciò non preclude l’irrogazione di sanzioni pecuniarie, né tanto meno l’eventuale accertamento della responsabilità civile per i danni arrecati alle vittime.
Altrettanto significativa è la previsione secondo cui gli stati membri sono tenuti, ai sensi dell’art. 18 p. 7 della Proposta di Direttiva, a provvedere affinchè “ogni persona fisica o giuridica abbia il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo avverso una decisione giuridicamente vincolante dell'autorità di controllo che la riguarda”. In particolare “gli stati membri provvedono a che la persona che trasmette la segnalazione circostanziata a norma del presente articolo e che, in conformità del diritto nazionale, ha al riguardo un interesse legittimo abbia accesso a un organo giurisdizionale o altro organo pubblico indipendente e imparziale che abbia competenza a riesaminare la legittimità procedurale e sostanziale delle decisioni, degli atti o delle omissioni dell'autorità di controllo”.
Inoltre “gli Stati membri provvedono a che ciascuna persona fisica o giuridica abbia il diritto di trasmettere all'autorità di controllo una segnalazione circostanziata se ha motivo di ritenere, in base a circostanze obiettive, che una società non rispetti le disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva" (art. 19).
Pur nelle criticità che sappiamo investire i sistemi ispettivi nazionali, la previsione di autorità amministrative deputate all’enforcement della direttiva è certamente da accogliere con favore. Posta la complessità dell’attività di controllo e l’eterogeneità dei rischi nei diversi settori produttivi, potrebbero essere utile potenziare le azioni nei settori più vulnerabili. Ciò si porrebbe peraltro in linea con l’esigenza di introdurre forme rafforzare di due diligence per le aree con rischi più elevati.
Un secondo profilo innovativo contenuto nella Proposta di Direttiva attiene alla responsabilità degli amministratori. Le previsioni, contenute in particolare negli artt. 25 e 26, riflettono chiaramente quell’evoluzione, di cui si è detto, in tema di governance societaria sostenibile. Da qui “gli stati membri provvedono a che gli amministratori delle società tengano conto, nell'adempiere al loro dovere di agire nell'interesse superiore della società, delle conseguenze in termini di sostenibilità, a breve, medio e lungo termine, delle decisioni che assumono, comprese, se del caso, le conseguenze per i diritti umani, i cambiamenti climatici e l'ambiente” (art. 25).
Taluni dubbi interpretativi insistono sulla portata della responsabilità degli amministratori posto il richiamo alla formula, invero alquanto generica, dell’obbligo di “tenere conto dell’impatto delle decisioni prese sulla materia dei diritti umani e dell’ambiente”.
Qualche chiarimento può discendere dall’art. 26 ai sensi del quale gli stati membri provvedono affinchè gli amministratori siano ritenuti responsabili non solo di adeguare la strategia aziendale in relazione agli impatti negativi e potenziali sui diritti umani e sull’ambiente, ma anche della definizione delle azioni volte ad implementare in concreto la due diligence, tenuto altresì conto delle osservazioni espresse dai portatori di interesse e dalle organizzazioni della società civile. In questa prospettiva, gli amministratori sono tenuti a riferire nel merito al consiglio di amministrazione anche all’esito di un dialogo necessario con gli stakeholders.
La Proposta di Direttiva presenta sul punto evidenti lacune che dovranno essere colmate, vuoi sul piano del limitato coinvolgimento soprattutto delle organizzazioni sindacali, vuoi in merito ai parametri e ai criteri funzionali a valutare l’operato degli amministratori. In altri termini gli organi di controllo dovrebbero poter valutare il comportamento dei propri amministratori non sulla base di una maggiore o minore sensibilità degli stessi rispetto al tema, quanto sulla base di criteri oggettivi individuati ex ante. Il profilo da ultimo richiamato solleva questioni di notevole portata e richiederebbe interventi anche sul piano del diritto societario. Soprattutto, come osservato in dottrina, l’ampliamento degli interessi rilevanti nelle decisioni degli amministratori, per essere effettivo, richiede necessariamente l’introduzione di meccanismi di tutela ad hoc attivabili dagli stakeholders .
4. Uno sguardo in prospettiva
Nella nuova cornice regolativa introdotta con la Proposta di Direttiva la due diligence si impone come paradigma generale di riferimento, una sorta di “super principio” funzionale ad affrontare in modo innovativo le sfide poste dai processi economici globali, spingendosi oltre la territorialità dei sistemi giuridici coinvolti nell’attività delle filiere – e in questo modo imponendosi come meccanismo dotato di implicazioni extraterritoriali –, ed altresì oltre la molteplicità delle entità giuridiche separate che compongono le catene. Quasi a dire che tale innovativa prassi di riduzione dei rischi sociali funge da collante, a fronte della moltiplicazione dei territori nei quali le imprese globali operano, e dei soggetti attraverso i quali si sviluppano le attività economiche transnazionali. La due diligence può rappresentare, in questa visione, lo strumento regolativo che riporta a sistema e razionalizza un modello economico basato sulla polverizzazione delle responsabilità e sull’esternalizzazione dei rischi, riconducendo l’impresa all’impegno di riduzione delle minacce sociali e ambientali di cui essa stessa è potenziale portatrice.
Al contempo, pur riconoscendo le potenzialità aperte grazie alla Proposta di Direttiva, vi sono molteplici aspetti sui quali è auspicabile un intervento del legislatore europeo, anche al fine di renderla in linea con gli standard internazionali sul tema .
Le note dolenti attengono anzitutto al linguaggio utilizzato nella Proposta di Direttiva. Basti evocare concetti come quello di “established business relationship” (art. 3 lett. f), di “direct or indirect business relationship” (art.7), di “severe adverse impact” (art. 3 lett. l), di “appropriate measure” (art. 3 lett. q) per comprendere l’urgenza di un intervento chiarificatore. E, ancora, è quantomeno opportuno ridefinire l’ambito di applicazione della due diligence, estendendolo a tutte le imprese, sia integrare l’Allegato alla Proposta che menziona le fonti regolative oggetto di tutela. Per essere allineata ai Principi Guida la due diligence dovrebbe essere applicata a tutti i diritti umani universalmente riconosciuti.
Un altro profilo delicato verte sul coinvolgimento degli stakeholders, e in particolare delle organizzazioni sindacali, sia nella fase preventiva di individuazione dei rischi, sia nella definizione delle misure funzionali a prevenirli, sia ancora nel monitoraggio. Dev’essere altrimenti rafforzata la dimensione dello “stakeholder engagement”, nel senso della previsione di meccanismi e processi strutturati di consultazione e coinvolgimento di tutti i portatori di interesse, con particolare riferimento poi alle categorie più vulnerabili (comunità locali, popolazioni indigene, lavoratori). Una partecipazione effettiva richiede, necessariamente, anche la previsione di adeguati meccanismi di reclamo, oltre alle misure sanzionatorie per le imprese che non ottemperano agli obblighi di due diligence.

 

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