Testo integrale con note e bibliografia

1. La tutela dei lavoratori nella legge delega n. 155/2017 e il ripetuto rinvio dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza sino al 15 luglio 2022. 
La legge 19 ottobre 2017, n. 155 contiene la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza e, più specificamente, per la riforma organica delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, più comunemente nota come legge fallimentare.
Tra i principi generali di delega contenuti nella l. n. 155/2017 si rinvengono alcuni profili di più immediata rilevanza lavoristica: l’art. 2, c. 1, lett. p) annovera l’obiettivo di «armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori che trovano fondamento nella Carta sociale europea, … e nella direttiva 2008/94/CE …, nonché nella direttiva 2001/23/CE …, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea», vale a dire rispettivamente la direttiva relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro e la direttiva concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti. Principi di delega e criteri direttivi specifici di rilevanza lavoristica sono poi contemplati nell’ambito della liquidazione giudiziale: l’art. 7, c. 7 della l. n. 155/2017 afferma che «la disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato è coordinata con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro, per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità di insinuazione al passivo».
In attuazione della legge delega è stato emanato il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 recante il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (d’ora in poi: CCI).
Fatta eccezione per gli articoli 27, c. 1, 350, 356, 357, 359, 363, 364, 366, 375, 377, 378, 379, 385, 386, 387 e 388, vigenti sin dal 16 marzo 2019, l’entrata in vigore del CCI – soprattutto a causa dell’irrompere della pandemia da Covid-19 – è stata più volte differita, sino a quando il Governo Draghi ha approvato l’art. 42 d.l. 30 aprile 2022, n. 36 (convertito in l. n. 79/2022), stabilendo l’entrata in vigore del CCI per il 15 luglio 2022, anche in ragione della volontà governativa di operare i necessari adeguamenti alle previsioni della Direttiva UE 2019/1023 (c.d. “Direttiva Insolvency”), poi inclusi nel d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83.
In considerazione di questi ulteriori interventi, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al d.lgs. n. 14/2019 (come modificato da ultimo dal d.lgs. n. 83/2022) è, quindi, entrato integralmente in vigore il 15 luglio 2022 (fatte salve le assai limitate eccezioni di cui all’art. 389, comma 3).

2. La tutela del lavoro nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. 
Il d.l. 24 agosto 2021, n. 118 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l’istituto della composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa, un nuovo strumento di ausilio alle imprese in difficoltà, di tipo negoziale e stragiudiziale, e ha modificato alcune norme della legge fallimentare con l’anticipazione di alcune disposizioni del CCI ritenute utili ad affrontare la difficile situazione economica in atto anche in conseguenza dell’emergenza pandemica. La procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa rappresenta uno strumento con il quale si intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell’azienda o di un ramo di essa. La scelta compiuta è quella di affiancare all’imprenditore un esperto nel campo della ristrutturazione, terzo e indipendente e munito di specifiche competenze, al quale è affidato il compito di agevolare le trattative necessarie per il risanamento dell’impresa.
L’art. 46 del d.lgs. n. 83/2022 ha, peraltro, abrogato quasi integralmente le previsioni “emergenziali” del d.l. n. 118/2021, in ragione della scelta del legislatore delegato di far confluire nel CCI le disposizioni contenute nel d.l. n. 118/2021.
Con riguardo agli specifici profili di tutela del lavoro e di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali nell’ambito della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, si rileva in primo luogo l’esclusione dei diritti di credito dei lavoratori dalle misure protettive del patrimonio che – ai sensi dell’art. 18, c. 1, CCI – l’imprenditore può chiedere con l’istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza: dal giorno della pubblicazione dell’istanza, i creditori non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore, né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. Tuttavia – ai sensi dell’art. 18, c. 3 del CCI e come previsto dalla direttiva UE 2019/1023 – sono esclusi dalle misure protettive i diritti di credito dei lavoratori, che quindi potranno far valere i loro crediti senza limitazioni avvalendosi del privilegio generale di cui all’art. 2751-bis, c.c. ed attraverso azioni esecutive o cautelari.
In secondo luogo, l’art. 22, c. 1, lett. d), CCI stabilisce che il Tribunale, su richiesta dell’imprenditore e verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, possa autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’art. 2560, c. 2, c.c.; resta però esplicitamente fermo il disposto dell’art. 2112, c.c., in relazione al quale non si contemplano quindi margini di deroga in relazione al mantenimento dei diritti dei lavoratori previsti da tale disposizione del codice civile.
Ne risulta, in definitiva, la sostanziale salvaguardia dei diritti dei lavoratori nell’ambito della composizione negoziata per la soluzione della crisi.
Peraltro, ad ulteriore tutela dei lavoratori durante una fase comunque delicata della vita dell’impresa, l’art. 4, c. 3, CCI prevede una specifica ipotesi di informazione e consultazione sindacale: si stabilisce, infatti, che – ove non siano previste, dalla legge o dai contratti collettivi di cui all’art. 2, c. 1, lett. g, del d.lgs. n. 25/2007 (ovvero i contratti stipulati tra le organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) diverse procedure di informazione e consultazione – se nel corso delle trattative della composizione negoziata e nella predisposizione del piano nell’ambito di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, sono assunte rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni, il datore di lavoro che occupa complessivamente più di quindici dipendenti informa con comunicazione scritta i soggetti sindacali di cui all’art. 47, c. 1, della l. n. 428/1990 (vale a dire le rappresentanze sindacali unitarie, ovvero le rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’art. 19 della l. n. 300/1970, ovvero i sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate alla procedura; in mancanza delle predette rappresentanze aziendali, i sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi). I soggetti sindacali, entro tre giorni dalla ricezione dell’informativa, possono chiedere all’imprenditore un incontro. La conseguente consultazione deve avere inizio entro cinque giorni dal ricevimento dell’istanza e, salvo diverso accordo tra i partecipanti, si intende esaurita decorsi dieci giorni dal suo inizio. La consultazione si svolge con vincolo di riservatezza rispetto alle informazioni qualificate come tali dal datore di lavoro o dai suoi rappresentanti nel legittimo interesse dell’impresa. Alla consultazione svolta nell’ambito della composizione negoziata partecipa anche l’esperto ed è redatto, ai soli fini della determinazione del compenso dell’esperto, un sintetico rapporto sottoscritto dall’imprenditore e dall’esperto. È prevista quindi una procedura di informazione e consultazione sindacale, che si aggiunge a quelle già previste e disciplinate dall’ordinamento, da attivare ogni qual volta l’imprenditore intenda adottare determinazioni rilevanti che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni.

3. I rapporti di lavoro nel concordato preventivo. 
Nell’ambito degli «Strumenti di regolazione della crisi» disciplinati dal Titolo IV del CCI al concordato preventivo è specificamente dedicato il Capo III. L’art. 84, c. 1 – nella formulazione vigente, modificata rispetto al testo originario dall’art. 19, d.lgs. n. 83/2022 – prevede che «l’imprenditore …, che si trova in stato di crisi o di insolvenza, può proporre un concordato che realizzi, sulla base di un piano …, il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività ad un assuntore o in qualsiasi altra forma».
L’art. 84, c. 2 del CCI – come riformulato dal d.lgs. n. 83/2022 – prevede che «La continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro. La continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell'attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo». Si afferma, quindi, come già nella legge fallimentare, la preminenza della tutela dell’interesse dei creditori e la conservazione dei livelli occupazionali rappresenta un mero auspicio (l’espressione «ove possibile» è oltremodo indicativa in tal senso), privo di valore normativo e, conseguentemente, di sanzione.
Va peraltro rilevato che tutte le ipotesi individuate dall’art. 84, c. 2 ai fini della continuità indiretta (id est «la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo») sembrano pacificamente rientrare nell’ambito applicativo delle norme di tutela dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda, sia pure con la disciplina speciale prevista per l’azienda in crisi (v., in proposito, il commento dell’Avv. Adelio Riva che verrà pubblicato sul prossimo numero di Lavoro Diritti Europa).
Per il resto, con riguardo ai rapporti di lavoro subordinato non si registra – analogamente a quanto previsto nell’art. 169-bis, c. 4, legge fallimentare – durante il concordato alcuna “deviazione” dall’ordinaria disciplina lavoristica. Infatti – ai sensi dell’art. 97 («Contratti pendenti»), c. 13 del CCI – la speciale disciplina inerente «i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo» non si applica «ai rapporti di lavoro subordinato», che quindi proseguono de plano e senza subire effetti. In via interpretativa si deve ritenere che la continuazione automatica riguarderà anche i rapporti di lavoro “etero-organizzato”, cui si applica – per espressa previsione dell’art. 2, c. 1, d.lgs. n. 81/2015 – la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Di rilievo, inoltre, la previsione di cui al c. 7 dell’art. 84, in base al quale «i crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile sono soddisfatti, nel concordato in continuità aziendale, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione. La proposta e il piano assicurano altresì il rispetto di quanto previsto dall’articolo 2116, primo comma, del codice civile».
Infine, l’art. 100 («Autorizzazione al pagamento di crediti pregressi»), c. 1, ultimo periodo del CCI – come modificato dall’art. 21, c. 2, del d.lgs. n. 83/2022 – dispone che «il tribunale può autorizzare ... il pagamento delle retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti il deposito del ricorso ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione», se un professionista indipendente attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

4. I rapporti di lavoro nella liquidazione giudiziale. 
Il CCI opta per l’introduzione di una disciplina specificamente applicabile ai rapporti di lavoro subordinato in caso di liquidazione giudiziale. Il c. 1 dell’art. 189 afferma, nel primo periodo, che «l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento», mentre, nel secondo periodo, dispone la sospensione dei «rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa» della liquidazione giudiziale. I rapporti di lavoro subordinato «restano sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso». Il legislatore delegato ha quindi condivisibilmente – alla luce dei possibili confliggenti interessi dei creditori e dei lavoratori – attribuito il potere di autorizzazione in ordine al subentro o al recesso al giudice delegato, limitando ad una mera funzione consultiva il ruolo del comitato dei creditori. La sorte dei rapporti di lavoro subordinato è, quindi, soggetta ad un vaglio giudiziale preventivo ad opera del giudice delegato, che appare funzionale anche al bilanciamento, nell’ambito di una situazione di insolvenza, tra gli interessi dei creditori e i diritti costituzionalmente tutelati dei lavoratori. Quanto agli adempimenti formali, il curatore – ai sensi dell’art. 189, c. 2, terzo e quarto periodo – è tenuto a trasmettere all’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale, entro trenta giorni dalla nomina, l’elenco dei dipendenti dell’impresa in forza al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale stessa. Su istanza del curatore il termine può essere prorogato dal giudice delegato di ulteriori trenta giorni, quando l’impresa occupa più di cinquanta dipendenti. I rapporti di lavoro restano sospesi – in assenza di determinazioni del curatore in ordine al subentro o al recesso – per un periodo di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale (art. 189, c. 3, terzo periodo), durante il quale non sono dovute retribuzione e contribuzione. Durante il periodo di quattro mesi di sospensione ex lege del rapporto, non è prevista la facoltà del lavoratore di mettere in mora il curatore per indurlo ad esercitare la scelta tra il subentro nel rapporto ovvero il recesso.
Ai sensi dell’art. 189, c. 2, secondo periodo, se durante il periodo di sospensione il curatore decide – con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori (art. 189, c. 1) – di subentrare nei rapporti di lavoro, tale subentro decorre dalla comunicazione dal medesimo effettuata ai lavoratori, non essendo quindi dovute retribuzioni e contribuzioni per il lasso di tempo dalla data di apertura della liquidazione giudiziale sino alla comunicazione di subentro da parte del curatore. Successivamente al subentro del curatore, ai rapporti di lavoro tornerà ad essere applicabile la disciplina lavoristica “ordinaria”, ivi compresa quella inerente al licenziamento ed il relativo sistema sanzionatorio in caso di illegittimità dello stesso, dovendosi ritenere esaurita con la scelta del subentro la possibilità per il curatore di avvalersi della disciplina speciale di cui all’art. 189. Di conseguenza, il subentro determinerà a carico della liquidazione giudiziale il sorgere di obbligazioni retributive e contributive mensili da soddisfare in prededuzione, così come quelle relative all’indennità sostitutiva del preavviso (una volta intervenuto l’eventuale licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo o soggettivo ovvero il licenziamento collettivo ovvero ancora le dimissioni per giusta causa del lavoratore), alle quote di Tfr maturate dalla data di apertura della procedura (mentre le quote maturate presso l’imprenditore in bonis hanno natura concorsuale).
Maggiori problematiche interpretative ed applicative genera, invece, l’ipotesi in cui il curatore decida di recedere dal rapporto. Il già citato c. 1, primo periodo, dell’art. 189 afferma che «l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento», mentre il c. 3, primo e secondo periodo prevedono che «qualora non sia possibile la continuazione o il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo o comunque sussistano manifeste ragioni economiche inerenti l’assetto dell’organizzazione del lavoro, il curatore procede senza indugio al recesso dai relativi rapporti di lavoro subordinato. Il curatore comunica la risoluzione per iscritto». Ai sensi del c. 2, primo periodo, «il recesso del curatore dai rapporti di lavoro subordinato sospesi ai sensi del comma 1 ha effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale». Le disposizioni in materia di recesso hanno generato un dibattito molto consistente in dottrina e portato ad orientamenti divergenti ed eterogenei in relazione all’interpretazione della disciplina del recesso. In uno sforzo di semplificazione si possono individuare tre orientamenti, pur nell’ambito di interpretazioni molto articolate. Un primo orientamento ritiene che debba trovare applicazione la disciplina limitativa dei licenziamenti e, segnatamente, quanto al recesso del curatore dal singolo rapporto, quella del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo. Un secondo orientamento opta, invece, per la tipizzazione di una nozione speciale di giustificato motivo, non riconducibile entro la fattispecie tradizionale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ad avviso di un terzo orientamento va infine privilegiata un’interpretazione propriamente “civilistica”, tale da prevedere – almeno apparentemente e stando al tenore letterale della norma – una nuova ipotesi di recesso ad nutum ai sensi dell’art. 2118, c. 1, c.c. (con ciò attribuendo al lavoratore solo il diritto all’indennità di preavviso) e una vera e propria eccezione al principio di giustificazione e motivazione del licenziamento.
Non meno problematica e controversa appare la disciplina della risoluzione di diritto (ex art. 189, c. 3, terzo periodo), secondo la quale «in ogni caso ... decorso il termine di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro subordinato che non siano già cessati si intendono risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale», salva la scelta del curatore di procedere al licenziamento collettivo o l’eventuale proroga del periodo di sospensione dei rapporti di lavoro.
Un regime particolare riguarda anche il caso delle dimissioni rese dal lavoratore. Al riguardo, l’art. 189, c. 5, dispone che «Salvi i casi di ammissione ai trattamenti di cui al titolo I del decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 148, ovvero di accesso alle prestazioni di cui al titolo II del medesimo decreto legislativo o ad altre prestazioni di sostegno al reddito, le eventuali dimissioni del lavoratore nel periodo di sospensione tra la data della sentenza dichiarativa fino alla data della comunicazione di cui al comma 1, si intendono rassegnate per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale». Fatta eccezione per i casi in cui il lavoratore abbia accesso a prestazioni di sostegno al reddito, con particolare riguardo ai trattamenti di integrazione salariale di cui al Titolo I del d.lgs. n. 148/2015 ovvero ai fondi di solidarietà, di cui al Titolo II del medesimo decreto, costituiti da organizzazioni sindacali ed imprenditoriali nei settori che non rientrano nell’ambito di applicazione del Titolo I, la norma consente quindi al lavoratore di rassegnare le dimissioni per giusta causa durante il periodo di sospensione del rapporto lavorativo in pendenza della liquidazione giudiziale (e prima che sia intervenuta la comunicazione del curatore in ordine al subentro ovvero al recesso), ottenendo il pagamento dell’indennità di mancato preavviso e l’accesso al trattamento Naspi. Come è ovvio, tuttavia, le dimissioni determineranno la cessazione del rapporto di lavoro, impedendo al lavoratore di giovarsi della tutela del posto di lavoro conseguente ad un eventuale trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda.
Un intervento incisivo ad opera dell’art. 189, c. 6 e dell’art. 368, c. 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 14/2019 ha riguardato anche la procedura di licenziamento collettivo ed il relativo sistema sanzionatorio, pure in questo caso prevedendo una disciplina speciale per la liquidazione giudiziale. Peraltro, stando al tenore letterale del c. 6 dell’art. 189 («Nel caso in cui intenda procedere a licenziamento collettivo ...»), lo svolgimento della procedura di cui agli artt. 4 e 24 della l. n. 223/1991 (ovviamente in presenza dei relativi requisiti numerici, temporali e spaziali) pare non un obbligo, ma una mera facoltà lasciata al curatore in alternativa al recesso e alla risoluzione di diritto di cui ai c. 3 e 4 dell’art. 189, modalità di cessazione del rapporto di lavoro certamente molto più semplici dal punto di vista operativo e gestionale. Tale soluzione interpretativa ha tuttavia ricevuto numerose critiche in ambito giuslavoristico ed è suscettibile di comportare alcuni profili problematici inerenti la possibile violazione della direttiva 98/59/CE in materia di licenziamenti collettivi, con particolare riferimento all’elusione dell’informazione e consultazione con i rappresentanti dei lavoratori. In ogni caso, qualora il curatore decida di optare per il licenziamento collettivo, la procedura viene resa dalla specifica disciplina contenuta nell’art. 189 più semplice e rapida in caso di liquidazione giudiziale (v. l’art. 189, c. 6).
Ai sensi dell’art. 189, c. 8, d.lgs. n. 14/2019, «in caso di recesso del curatore, di licenziamento, dimissioni o risoluzione di diritto secondo le previsioni del presente articolo, spetta al lavoratore con rapporto a tempo indeterminato l’indennità di mancato preavviso che, ai fini dell’ammissione al passivo, è considerata, unitamente al trattamento di fine rapporto, come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale. Parimenti, nei casi di cessazione dei rapporti secondo le previsioni del presente articolo, il contributo previsto dall’articolo 2, comma 31, della legge 28 giugno 2012, n. 92, che è dovuto anche in caso di risoluzione di diritto, è ammesso al passivo come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale». Le tre ipotesi disciplinate dall’art. 189, c. 8 sono accomunate dalla loro ammissione al passivo quali crediti anteriori all’apertura della liquidazione giudiziale (non si tratta, quindi, di crediti prededucibili). Con riferimento all’indennità di mancato preavviso, è stato sostanzialmente recepito l’orientamento giurisprudenziale – relativo all’applicazione dell’art. 72 legge fallimentare – secondo cui in caso di cessazione totale dell’attività aziendale scaturente dal fallimento, ove il curatore dichiari di sciogliersi dal rapporto, il lavoratore ha comunque diritto al preavviso lavorato o, in mancanza, all’indennità sostitutiva ex art. 2118 c.c., per non aver il datore di lavoro adempiuto al corrispondente obbligo di preavviso e tale indennità ha natura meramente concorsuale. Ove, invece, il curatore opti per il subentro nel rapporto di lavoro o per l’esercizio dell’impresa del debitore e successivamente il rapporto cessi per una causa che determina il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso, tale indennità sarà riconosciuta in prededuzione. Quanto al trattamento di fine rapporto, la soluzione accolta dal legislatore delegato conferma che il credito per Tfr – salvo il caso di subentro del curatore nel rapporto di lavoro e/o di esercizio dell’impresa del debitore da parte del curatore – ha natura concorsuale. Infine, viene considerato credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale anche il contributo di licenziamento – introdotto con l’art. 2, c. 31, l. n. 92/2012 – diretto al finanziamento della Naspi, da versarsi in tutti i casi di interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato per cause diverse dalle dimissioni, dalle risoluzioni consensuali e dal decesso del lavoratore. Ai sensi dell’art. 189, c. 8, secondo periodo, il “contributo Naspi” sarà dovuto «parimenti nei casi di cessazione dei rapporti secondo le previsioni del presente articolo ... anche in caso di risoluzione di diritto»: si deve intendere che, nel caso della liquidazione giudiziale, tale contributo dovrà essere versato in caso di recesso del curatore, di licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione di diritto.
Uno specifico regime trova applicazione nell’ipotesi in cui il curatore sia autorizzato ai sensi dell’art. 211 CCI all’esercizio dell’impresa del debitore in liquidazione giudiziale: in tal caso i rapporti di lavoro subordinato in essere proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderli o procedere al licenziamento ai sensi della disciplina lavoristica vigente. Analoga conclusione è possibile sostenere con riferimento ai rapporti di lavoro c.d. “etero-organizzato” cui si applica – ai sensi dell’art. 2, c. 1, d.lgs. n. 81/2015 – la disciplina del lavoro subordinato. La prosecuzione dei rapporti di lavoro determinerà a carico della liquidazione giudiziale il sorgere di obbligazioni retributive e contributive mensili da soddisfare in prededuzione, così come quelle relative all’indennità sostitutiva del preavviso (una volta intervenuto l’eventuale licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo o soggettivo ovvero il licenziamento collettivo ovvero ancora le dimissioni per giusta causa del lavoratore), alle quote di Tfr maturate dalla data di apertura della procedura (mentre le quote maturate presso l’imprenditore in bonis hanno natura concorsuale), come pure al c.d. “contributo di licenziamento” previsto dall’art. 2, c. 31 della l. n. 92/2012.
L’art. 190 (« Trattamento Naspi ») del CCI – attuativo dell’art. 7, c. 7 della legge n. 155/2017 nella parte in cui prevede il coordinamento tra la disciplina degli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro subordinato e le forme assicurative e di integrazione salariale – stabilisce che «la cessazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 189 costituisce perdita involontaria dell’occupazione ai fini di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 e al lavoratore è riconosciuto il trattamento Naspi a condizione che ricorrano i requisiti di cui al predetto articolo, nel rispetto delle altre disposizioni di cui al decreto legislativo n. 22 del 2015». In sintesi, tale disposizione regola per i lavoratori subordinati dell’impresa in liquidazione giudiziale un regime di accesso alla Naspi sostanzialmente ordinario ai sensi del d.lgs. n. 22/2015, che opera quindi solo in presenza dei relativi requisiti e in caso di cessazione del rapporto di lavoro. La norma appare sostanzialmente pleonastica: deve, al riguardo, essere rilevato che tale previsione è mutata in modo pressoché integrale nel suo contenuto rispetto alla formulazione inclusa nello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri l’8 novembre 2018, che all’art. 190 contemplava fondamentalmente l’anticipazione del trattamento Naspi durante la fase di sospensione dei rapporti di lavoro nell’ambito della liquidazione giudiziale. Nello specifico, si prevedeva che al lavoratore fosse corrisposto – sussistendo i requisiti previsti dall’art. 3, c. 1, lett. b) e c) del d.lgs. n. 22/2015 – a partire dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, un trattamento equivalente a quello di Naspi, denominato Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego nella Liquidazione Giudiziale-NaspiLG. Peraltro, onde evitare aggravi di spesa, si prevedeva che la sommatoria del trattamento NaspiLG e del trattamento Naspi per il tempo successivo all’eventuale cessazione del rapporto non potesse superare la durata massima prevista dal d.lgs. n. 22/2015. In sostanza, il punto di equilibrio tra gli interessi dei creditori e quelli dei lavoratori si realizzava in tale schema attraverso lo scambio tra una maggiore flessibilità per la liquidazione giudiziale nelle regole relative alla cessazione dei rapporti di lavoro ed un immediato riconoscimento ai lavoratori di un sostegno al reddito attraverso la corresponsione della NaspiLG. Un tale bilanciamento era, del resto, funzionale ad agevolare (soprattutto in termini pratici) il curatore nella ricerca, con maggiore tranquillità e senza la pressione sindacale e dei lavoratori, di soluzioni idonee a garantire la continuità aziendale a più riprese auspicata dalla riforma. La NaspiLG è, tuttavia, venuta meno in sede di approvazione definitiva del CCI e si è ritenuto preferibile tutelare il reddito dei lavoratori non già prevedendo la sostanziale anticipazione del trattamento Naspi durante la sospensione ex lege del rapporto (ciò che sarebbe avvenuto attraverso la NaspiLG ed avrebbe inoltre permesso ai lavoratori di giovarsi, per esempio, della eventuale tutela del posto di lavoro a seguito di un trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda), ma consentendo le dimissioni per giusta causa (con relativo diritto al trattamento Naspi) sin dal momento di apertura della liquidazione giudiziale, a fronte tuttavia della ovvia cessazione del rapporto di lavoro.

5. L’emergere della tutela dei lavoratori pur nell’ambito della prevalente tutela dei creditori.
In conformità a quanto previsto dalla legge delega n. 155/2017 (v. supra § 1), la tutela dei lavoratori – pur nell’ambito di una gerarchia di interessi che tende ancora a privilegiare l’interesse primario dei creditori – ha finalmente ricevuto nel CCI una significativa e, in alcuni casi, rilevante attenzione. Per quanto non si venga a configurare un organico ed autonomo statuto protettivo dei lavoratori nell’ambito delle diverse procedure, nel CCI emerge – in misura e modi inediti rispetto alla legge fallimentare, anche in ragione di alcune sollecitazioni provenienti dalla direttiva UE 2019/1023 – una specifica considerazione per la salvaguardia, ove possibile ed entro certi limiti, dei posti di lavoro (e non solo dei crediti dei lavoratori) e per il coinvolgimento degli stessi lavoratori o delle loro rappresentanze nelle diverse fasi della gestione della crisi e dell’insolvenza. Da altro punto di vista, è apprezzabile la scelta di introdurre una disciplina specifica per i rapporti di lavoro in caso di liquidazione giudiziale (v. il § 4). L’intento di definire il quadro normativo è certamente opportuno e sotto alcuni profili pare condivisibile anche negli esiti: basti pensare al riguardo alla definizione di periodi di sospensione dei rapporti di lavoro ben definiti entro i quali il curatore deve (rectius: dovrebbe) optare per il subentro od il recesso oppure alla opportuna semplificazione della procedura di licenziamento collettivo in caso di liquidazione giudiziale. Ciò non toglie che dalla lettura ed interpretazione delle norme ora entrate in vigore nasca qualche motivo di riflessione, in ordine sia ai profili applicativi delle stesse, sia al raggiungimento o meno di un punto di maggiore equilibrio tra le esigenze, da un lato, di celerità e certezza delle procedure concorsuali (e specificamente del concordato preventivo e della liquidazione giudiziale), di soddisfazione degli interessi dei creditori e di ricerca della continuità aziendale e, dall’altro lato, di salvaguardia dell’occupazione e più in generale di tutela dei diritti dei lavoratori, oltre la “tradizionale” e risalente tutela dei diritti di credito degli stessi lavoratori.

 

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