testo integrale con note e bibliografia

1. La regolazione del contratto di servizi di logistica: una questione di responsabilità
Con il nuovo art. 1677 bis del codice civile vengono regolati alcuni aspetti fondamentali dei contratti del settore logistico, e secondo alcune letture con tale disposizione si ha finalmente l’espresso riconoscimento legislativo (e dunque la tipizzazione del contratto di logistica). Una prima versione dell’articolo in quesitone era stata introdotta con il comma 819 dell’art. 19 della legge di bilancio 234/21. In base a questa prima formulazione, ove l’appalto avesse avuto per oggetto “congiuntamente, la prestazione di più servizi relativi alle attività di ricezione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro” si sarebbero applicate “le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili”. L’art. 37 bis del d.l. n. 36/22 d.l. 30 aprile 2022, introdotto con la legge di conversione n. 79/22 ha modificato l’art. 1677 bis del codice civile, sostituendo le parole “la prestazione di più servizi” con la formula “la prestazione di due o più servizi di logistica” e aggiungendo tra le prestazioni indicate quelle di trasformazione”.
Questa seconda disposizione ha avuto molto più eco mediatico della prima, perché riprende la Proposta di Assologistica presentata al Senato nel 2020 in occasione della conversione in legge del d.l. semplificazioni n. 76/20. La finalità dichiarata è quella di “eliminare in radice alcune difficoltà di inquadramento emerse in ambito giurisprudenziale e favorite dall’assenza di un riconoscimento esplicito sul piano normativo”. Si vuole fondamentalmente chiarire che “ciascuna attività della quale si compone il contratto di logistica è disciplinata dal complesso di disposizioni (disposizioni codicistiche, leggi speciali) che si applica alla specifica prestazione, garantendo in tal modo da un lato che la singola attività sia soggetta alla disciplina ad essa più naturale e pertinente, dall’altro che vi sia piena uniformità di regime giuridico e responsabilità tra il prestatore dei servizi logistici e i vari soggetti di cui si avvale” .
La richiesta risponde effettivamente a una serie di importanti problematiche derivanti dall’evoluzione dei servizi di logistica cui si è assistito negli anni più recenti. Le attività delle imprese logistica sono infatti molto diversificate e in continua espansione. Oltre alle operazioni espressamente menzionate nel nuovo art. 1677 bis c.c. esse possono includere ad esempio attività di organizzazione delle catene del valore e di fasi significative della produzione, quali la personalizzazione dei prodotti, la gestione dei rapporti tra venditori e partner, la gestione dei resi e la c.d. reverse logistics. La tendenza sembra inoltre portare al superamento dei confini tra le attività logistiche per la fornitura, per la produzione e per la distribuzione. L’inclusione fra le attività dei grandi player del settore della ricerca e acquisizione dei terreni e degli immobili destinati alla logistica determina inoltre l’evoluzione delle stesse società specializzate, note come 3PL (Third Party Logistics) verso la nuova configurazione di 4PL . È utile sottolineare come il processo in questione non abbia subito rilevanti conseguenze negative dalla crisi derivante dalla pandemia da Covid 19 e sia tuttora in fase di ulteriore espansione. Ciò anche in relazione alle risorse stanziate nell’ambito del Pnrr, non solo in termini di predisposizione di infrastrutture adeguate, ma anche attraverso meccanismi incentivanti e facilitanti, quali la creazione delle nuove Zone logistiche semplificate prevista dall’art. 37 d. l. 36/22 conv. in l. 79/22 (Pnrr 2).
Sinora la gestione dei servizi di logistica è avvenuta mediante contratti definiti nella letteratura di settore “contract logistics” o, secondo il termine italiano, contratti di logistica integrata. Il modello di riferimento è quello prodotto da Assologistica , che ha per oggetto prestazioni diversificate: ricezione, controllo qualità, magazzinaggio, spedizione, trasporto. Peraltro, i diversi contratti variano sia per la gamma dei servizi offerti, sia per il grado di integrazione che si ha tra operatore e committente. Tale schema contrattuale tuttavia pone “problemi non trascurabili di identificazione della disciplina giuridica applicabile”, sia su di un piano di diritto interno, sia, più ampiamente, a livello di disciplina internazionale . Le varie operazioni previste dal contratto afferiscono infatti a più tipi contrattuali contemplati dal codice civile, come il deposito, la spedizione e il trasporto. Inoltre, alcune di esse potrebbero essere ricomprese alternativamente o nell'uno o nell'altro dei suddetti tipi, ove si configurassero come accessorie rispetto alla prestazione principale. Si è quindi ipotizzato di ricorrere alla figura mista dello spedizioniere-vettore, già regolata dall’art. 1741 c.c.. Tale inquadramento, però non dà adeguatamente conto della complessità dell’attività in questione, pertanto si è preferito ricondurre la fattispecie in questione alla più ampia categoria del contratto di appalto di servizi. Anche quest’ultimo tuttavia non costituisce una soluzione del tutto soddisfacente in quanto, pur essendo particolarmente idoneo ad applicarsi ad una fattispecie complessa come quella del contratto di logistica, lascerebbe insoluto il problema costituito dalla necessità di integrare la disciplina generale con quella specifica dei singoli servizi che vengono in considerazione, richiedendo quindi una particolare e complessa attività di coordinamento normativo . Anche questa tesi, prevalente in giurisprudenza, è stata sottoposta a severa critica. Si osservato come l’applicazione della disciplina del contratto considerato prevalente, o carismatico, operata secondo la c.d. teoria dell’assorbimento, risulti lesiva della libertà negoziale e sia di fatto “una sconfitta del contratto atipico e dei sempiterni valori di matrice liberale costituenti la roccaforte dell’autonomia individuale” . Si è quindi ritenuto che, al fine di non stravolgere i tratti identitari del contratto, si debba evitare di cercare di ricondurlo a unità e applicare, invece, a ogni singola prestazione, la disciplina a essa più adattabile . La disputa è tutt’altro che meramente teorica. Il problema principale che deriva dalla qualificazione del contratto è costituito dalla necessità dell’operatore di logistica di limitare la propria responsabilità per la perdita o l’avaria delle merci, così come previsto, per il vettore, dalla disciplina speciale del contratto di trasporto di cose , cui si aggiunge l’ulteriore problema, che non è possibile affrontare in questa sede relativo ai brevi termini prescrizionali previsti per il contratto di trasporto. La questione della regolazione della responsabilità dell’operatore logistico è di non poco conto anche ove la si osservi dal punto di vista economico: una totale esenzione da responsabilità potrebbe condurre ad un abbassamento degli standard di qualità delle prestazioni; all’opposto l’esclusione di ogni limitazione risarcitoria potrebbe determinare un notevole incremento dei costi del servizio.
Il nuovo art. 1677 bis ha dunque anzitutto l’effetto primario di risolvere il problema principale del settore, consistente nell’applicazione della speciale disciplina della responsabilità per il carico nelle attività di trasporto. Molto più complesso però è comprendere se la disposizione codicistica innovi anche con riferimento all’individuazione delle specifiche disposizioni da applicarsi alle altre operazioni logistiche, secondo l’intento della proposta originaria di Assologistica. Sotto questo profilo, infatti, la norma lascia aperti parecchi dubbi interpretativi. Ad avviso di chi scrive, l’incipit della disposizione in base al quale “Se l’appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica…” determina una tipizzazione del contratto di logistica. Anche la collocazione della norma nel titolo III, capo VII (e non nel capo VIII dedicato al trasporto) fa propendere per la sua qualificazione come sottotipo del contratto di appalto. Per questa ragione, la norma parrebbe confermare l’interpretazione prevalente, che già prima della riforma riconduceva i contratti di logistica all’art. 1655 c.c.. Il problema dell’applicabilità delle specifiche disposizioni normative dettate per le singole operazioni logistiche veniva già risolto integrando la disciplina contrattuale attraverso il rinvio contenuto nell’art. 1677 c.c. alle norme sulla somministrazione per quanto riguarda gli appalti di servizi e il rinvio contenuto nell’art. 1570 c.c. in materia di somministrazione all’applicazione delle regole che disciplinano il contratto a cui corrispondono le singole prestazioni . Per questo , secondo alcuni commentatori la norma ha scarsa valenza innovativa e secondo altri lascerebbe comunque aperto il problema dell’individuazione della disciplina applicabile alle altre operazioni. Ciò anche perché, rispetto alla proposta originaria di Assologistica per la quale ad ogni singola prestazione avrebbe dovuto applicarsi la relativa disciplina, la nuova formulazione della norma codicistica prevede espressamente solo l’applicazione della disciplina relativa al trasporto di cose . Va detto che è stata suggerita anche una diversa interpretazione. La dottrina che critica le teorie dell’assorbimento nel contratto c.d. carismatico, vede nel nuovo art. 1677 bis la loro sconfessione. La novella confermerebbe la tesi dell’applicabilità a ciascuna operazione della relativa disciplina. Il contratto di logistica resterebbe innominato e le norme in materia di appalto sarebbero applicabili esclusivamente in via residuale, per colmare eventuali vuoti di disciplina. È bene notare subito, anche se sulla quesitone si tornerà diffusamente al §2 che secondo questa lettura il richiamo all’appalto sarebbe stato introdotto proprio al fine di acquietare i timori relativi all’applicabilità dell’art. 29 ,co. 2, d. lgs. 276/03 ai contratti di logistica .

2. Quali ripercussioni sui rapporti di lavoro?
La nuova formulazione dell’art. 1677 bis c.c. risultante dalle modifiche apportate con la l. 79/22 ha suscitato numerose proteste e preoccupazioni, per le sue possibili ricadute sotto il profilo lavoristico. Il timore principale è che la norma possa avere l’effetto di sottrarre l’intero settore logistico dall’ambito di applicazione della responsabilità solidale del committente per i crediti retributivi e gli obblighi previdenziali che gli appaltatori e i subappaltatori hanno nei confronti dei loro dipendenti ex art. 29, co. 2, d. lgs. 276/03. Ciò in quanto per il settore dei trasporti vige il particolare regime di responsabilità delineato dall’art. 83 bis, d.l. 112/08, conv. in l. n. 133/08, così come modificato dalla l. n. 190/14. In base alla versione attualmente vigente il committente è responsabile in solido per il periodo di un anno per le retribuzioni e contributi previdenziali (oltre che per gli adempimenti fiscali e le eventuali sanzioni derivanti dalla violazione del codice della strada) dovuti dal vettore e dal subvettore solo ove non provveda a verificare, prima della stipulazione del contratto, la regolarità contributiva attraverso l’acquisizione di “un'attestazione rilasciata dagli enti previdenziali, di data non anteriore a tre mesi, dalla quale risulti che l'azienda è in regola ai fini del versamento dei contributi assicurativi e previdenziali”, sostanzialmente del Durc. Riservandoci di ritornare più avanti sulle debolezze degli attuali sistemi di verifica della regolarità del lavoro, ci si sofferma ora sulla specifica questione dell’individuazione della disciplina applicabile ai rapporti di lavoro.
Secondo alcune interpretazioni, infatti, l’emendamento inserito nella legge di bilancio mirerebbe proprio a vanificare l’orientamento giurisprudenziale che si è formato intorno alle vertenze relative a Poste italiane sull’applicabilità del regime della responsabilità solidale in questione anziché della speciale disciplina vigente in materia di trasporto, che, come si vedrà tra breve, a determinate condizioni consente l’esenzione del committente da detta responsabilità. La novella è stata conseguentemente definita una “manovra scandalosa” in quanto consentirebbe di “usare start up in appalto e subappalto, con un DURC immacolato ma pronte a fallire alla bisogna” . Altri, pur ritenendo che la nuova norma debba essere riferita esclusivamente ai rapporti commerciali tra le imprese, hanno sottolineato come essa possa prestarsi a interpretazioni “assolutamente errate e fortemente limitative dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori” proponendo l’adozione di una norma di interpretazione autentica in base alla quale “in caso di appalto di servizi di logistica abbinati a trasporto non si considerano compatibili con il contratto di trasporto disposizioni che escludano o limitino i diritti dei lavoratori addetti agli appalti” .
I sindacati, in occasione della consultazione delle parti sociali del 12 luglio scorso, hanno richiesto un intervento chiarificatore, ottenendo dal Ministro del lavoro un impegno a emettere una precisazione che ribadisca il mantenimento, nell’ambito degli appalti di logistica, della validità dall’art. 29, co. 2, d. lgs. 276/200 . In tal senso si è da ultimo coerentemente espresso il Ministero in risposta all’interpello n. 1/2022 presentato da Filt-Cgil e Uilt-Cisl .
Nonostante il chiarimento del Ministero, la questione richiede ulteriori approfondimenti, soprattutto perché, come si cercherà di evidenziare qui, restano aperti numerosi problemi.
Anzitutto, pare sufficientemente chiaro dalla collocazione della norma e dal suo incipit (“ se l’appalto ha per oggetto…”) che quello di logistica integrata è un contratto di appalto o quanto meno che, anche ove si volesse negare detta interpretazione a favore della persistenza dell’atipicità del contratto, le disposizioni in materia di appalto vi si applicano in assenza di diversa disciplina. È altrettanto sufficientemente chiaro che l’applicazione delle disposizioni in materia di trasporto all’interno dei contratti per servizi di logistica è riferibile esclusivamente al solo trasferimento di cose e non ad altre attività, che restano soggette alle regole generali . Ne consegue che la regola dell’applicazione dell’art. 29, co. 2 in materia di responsabilità solidale del committente per crediti retributivi e previdenziali si continua pacificamente ad applicare con riferimento alle operazioni di logistica non consistenti nel trasporto . La questione rimane quindi circoscritta alla verifica se l’art. 83 bis, d.l. 112/08 si applichi ai soli contratti di trasporto ovvero anche alle sole attività di trasporto svolte nell’ambito di un contratto per servizi continuativi di trasporto o di un appalto di servizi di logistica integrata.
La finalità della norma, consistente nella tipizzazione giuridica di detti contratti al fine di assicurare una disciplina uniforme nell’intero comparto, fa propendere per un’interpretazione volta limitare l’applicazione delle regole vigenti in materia di contratto di trasporto ai soli aspetti relativi alla responsabilità per la perdita o il danneggiamento/deperimento delle merci. Tale lettura restrittiva trova conferma nell’utilizzo da parte del legislatore dell’espressione “alle attività di trasferimento di cose” laddove l’uso della parola “cose” rinvia immediatamente alla disciplina relativa agli obblighi e alle responsabilità connesse al trattamento delle merci.
Inoltre, secondo la lettera della nuova disposizione “si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili”. Occorre dunque verificare detta compatibilità. L’orientamento prevalente in giurisprudenza seguendo la teoria dell’assorbimento, che come si è visto privilegia la disciplina dell’elemento in concreto prevalente , ritiene applicabile la disciplina generale degli appalti ai contratti aventi oggetto lo svolgimento di servizi di trasporto che si caratterizzino per la molteplicità e sistematicità dei trasporti, per la pattuizione di un corrispettivo unitario per le diverse prestazioni, nonché per l'assunzione dell'organizzazione dei rischi da parte del trasportatore . Conseguentemente i giudici ritengono gli appalti di servizi di trasporto soggetti alla regola di responsabilità di cui all’articolo 29, co. 2, d. lgs. 276/03 anziché alla speciale disciplina di cui all’art. 83 bis, d.l. 112/08.
La scarsa compatibilità dell’interpretazione volta ad estendere il meccanismo di esonero della responsabilità solidale di cui all’art. 83 bis d. l. 112/08 alle attività di trasporto svolte nell’ambito dei contratti di logistica e, alla luce del suddetto orientamento, altresì nell’ambito degli appalti per servizi continuativi di trasporto, deriva anche dalla necessità di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata di quest’ultimo . Ciò sempre ammesso che non si debba giungere, come qui si ritiene e come è stato da altri convincentemente sostenuto, a ritenere tale meccanismo irrimediabilmente incostituzionale . Punto di partenza della riflessione non può che essere la decisione della Corte costituzionale n.254/2017 relativa all’applicabilità del regime di responsabilità solidale di cui all’art. 29 co. 2, d. lgs. 276/03 ai contratti di subfornitura. In tale occasione la Corte ha dichiarato la questione infondata ritenendo possibile dare un’interpretazione compatibile con il quadro costituzionale, riconoscendo la possibilità di applicazione estensiva e analogica dell’art. 29, co. 2. Ciò in quanto la ratio della norma è quella di evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale . Detta tutela, afferma la Corte “non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento” atteso che l’esclusione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. Le argomentazioni addotte dai giudici delle leggi sono qui particolarmente rilevanti. In primo luogo perché da subito è stato riconosciuto al principio espresso dalla Corte con riferimento alla subfornitura una valenza che va oltre lo specifico contratto in questione nel caso di specie, potendosi estendere a tutte le situazioni di decentramento diverse dalla subfornitura. Anche la dottrina più scettica in proposito suggerisce di individuare l’ambito di applicazione dell’art. 29 co.2, così come risultante dall’interpretazione costituzionalmente orientata, ai contratti aventi per oggetto prestazioni di fare , e chiaramente rientrano in tale categoria i servizi di trasporto e di logistica integrata. In secondo luogo perché la subfornitura condivide con il contratto di logistica e con quello di servizi continuativi di trasporto il forte livello di integrazione contrattuale, essendo i servizi di trasporto strettamente coordinati con le altre operazioni logistiche o comunque soggetti a complessi sistemi di tracciamento e controllo, implicanti l’impiego di rilevante know-how, che fanno capo normalmente al committente. Inoltre, le fattispecie condividono gli stessi problemi di qualificazione giuridica: in entrambi i casi la sovrapposizione, totale o parziale degli elementi delle fattispecie concreta rispetto al contratto di appalto è risultata dibattuta in dottrina e giurisprudenza . Ora, uno degli effetti dell’art. 1677 bis c.c. è proprio quello della riconduzione del contratto di logistica alla disciplina dell’appalto (ancorché secondo la lettura più critica in via residuale). Se con riferimento al contratto di subfornitura la Corte costituzionale ha ritenuto potersi prescindere dalla possibilità di ricondurre la fattispecie al contratto di appalto ritenendo possibile l’applicazione analogica dell’art. 29 co.2, d.lgs. 276/03, a maggior ragione la regola varrà per i contratti che il legislatore ha esplicitamente ricondotto all’appalto.
Una volta riconosciuto con la Corte costituzionale e la migliore dottrina che l’eccezionalità della responsabilità del committente è tale rispetto alla disciplina ordinaria della responsabilità civile ma non lo è più se riferita all’ambito della lavoro, si deve convenire che la specifica disciplina materia di responsabilità solidale del committente e di relativo esonero delineata per il contratto di trasporto all’art. 83 bis, d.l. 112/08 si configura come eccezionale rispetto alla regola generale della responsabilità solidale posta a tutela dei rapporti indiretti di lavoro di cui all’art. 29 co. 2, d. lgs. 276/03. Ciò implica anzitutto che si possa dubitare della legittimità costituzionale del più breve limite di un anno dalla cessazione del contratto di trasporto della durata dell’obbligazione solidale e, altresì, del meccanismo di esenzione da detta responsabilità. Il dubbio che non vi siano ragioni tali da giustificare il regime più favorevole previsto per il settore dei trasporti trova conferma nell’andamento del settore. Secondo la Relazione sull’attività svolta dall’Ispettorato nazionale del lavoro, anno 2021 , Trasporto e magazzinaggio hanno un tasso di irregolarità del 69,25%, il terzo in assoluto, più alto, tra l’altro, di quello del settore delle costruzioni (63,68%) e del settore minerario (62,07%). Oltretutto, il rapporto precisa nei “servizi di supporto alle imprese” e nelle “altre attività di servizi” gli indici di irregolarità sono riconducibili, in primo luogo, a esternalizzazioni e interposizioni illecite. Il settore è inoltre al primo posto come tasso di irregolarità in diverse regioni, tra cui Abruzzo, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Pemonte e Puglia, con punte di irregolarità che si aggirano tra il 70 e il 75%.
In conclusione, aAuspicando un intervento della Corte costituzionale sul tema o un intervento del legislatore, pare doversi ritenere che l’unica interpretazione compatibile con il quadro costituzionale del nuovo art. 1677 bis, sia quella che riferisca l’applicazione delle norme sul trasporto ai soli aspetti relativi alla gestione della merce ed escluda invece l’applicazione dell’art. 83 bis ove le attività di trasporto siano svolte nell’ambito di un contratto per servizi di logistica e altresì, in linea con l’orientamento giurisprudenziale di cui si è detto sopra, ai contratti di appalto di servizi di trasporto. . Lungo la stessa linea interpretativa si è mosso anche il Ministero del lavoro nella recente risposta all’interpello n. 1/2022, che pur richiamandola come conforme, ha riconosciuto un ambito di applicazione più ampio, alla luce della sentenza della Corte cost. n. 254/17 all’art. 29 co. 2, d. lgs. 276/03 rispetto a quanto affermato nella nota circolare n. 17/12, per la quale si sarebbe dovuto accertare di volta in volta la prevalenza delle operazioni di magazzino o di trasporto per definire quale disciplina applicare.
Ciò peraltro non esclude la perdurante vigenza del meccanismo di esonero dalla responsabilità solidale prefigurato dall’art. 83 bis con riferimento ai contratti di trasporto non riconducibili all’appalto, in quanto non continuativi.
Anche ove non si volesse condividere l’interpretazione qui prospettata, il carattere eccezionale della norma sulla responsabilità dettata per il trasporto esigerebbe in ogni caso un’interpretazione restrittiva. Ciò implica innanzitutto riconoscere che l’accertamento della regolarità contributiva attraverso l’acquisizione del Durc riguarda esclusivamente i profili relativi all’adempimento degli obblighi contributivi e assicurativi e non le retribuzioni e che dunque, in assenza di una verifica riguardante il regolare pagamento delle retribuzioni ai lavoratori, l’esenzione di responsabilità cui all’art. 83 bis non potrà estendersi a queste ultime . In secondo luogo, il riferimento contenuto nel nuovo art. 1677 bis al “trasferimento di cose” implica l’applicabilità del meccanismo di esonero in questione non a tutte le attività che possono essere poste in essere nell’ambito del contratto di appalto, sia esso per servizi integrati di logistica, o solo per servizi di trasporto, ma solo a quelle relative appunto al trasferimento delle cose. Ne consegue che tutte le altre attività che siano svolte nell’ambito del contratto ricadono sotto la regola generale di cui all’art. 29, co. 2, d. lgs. 276/03. Saranno dunque incluse nella tutela prevista da quest’ultima disposizione anche le attività svolte dallo stesso trasportatore che non si concretino nel trasporto, quali ad esempio l’organizzazione del carico sul mezzo di trasporto, le attività necessarie per definire il percorso da seguire, le operazioni di carico e scarico, la gestione della documentazione connessa al trasporto, la consegna del bene al destinatario.

3. Tutto a posto, niente in ordine. Le catene del valore tra Due Diligence e strategie di deresponsabilizzazione delle imprese e dei legislatori
Come si è accennato al §1, il nuovo art. 1677 bis non risolve tutti i problemi di individuazione della disciplina applicabile che i contratti di logistica integrata sollevano, né con riferimento ai profili più prettamente civilistici, né con riguardo a quelli lavoristici. Per quanto riguarda in specifico questi ultimi non si può chiudere il discorso senza osservare che né l’art. 29 co. 2, d. lgs. 276/03 né l’art. 83 bis, d.l. 112/08 sembrano godere di buona salute. Anzi, entrambi presentano limiti importanti sui quali occorre riflettere, al fine di predisporre regole di ripartizione delle responsabilità più adeguati. Non è possibile qui analizzare in dettaglio tutte le problematiche che l’attuale regime ha sollevato. Si sottolinea però che il contenzioso ha anzitutto investito gli imprenditori corretti per aver sospeso i pagamenti a fronte della presentazione da parte dell’appaltatore di Durc irregolari ; ha riguardato l’ambito di applicazione dell’art. 29, co. 2 d. lgs. 276 , le possibilità di recupero dei contributi omessi da parte degli enti previdenziali , le difficoltà di individuazione dei lavoratori impiegati negli appalti , la definizione delle voci retributive coperte , i termini di decadenza in caso di successione di appalti .
Nell’affrontare questi temi non si può non tener conto di alcune tendenze di fondo che caratterizzano da un lato il settore logistico e dall’altro la più ampia questione della responsabilità lungo le catene del valore. La prima è il favore di cui gode questo settore da parte del legislatore, che è manifestato su più piani nel corso del tempo, sino ad approdare alle ingenti risorse messe a disposizione e alla creazione di zone logistiche speciali . Non si vuole certo mettere in dubbio l’importanza del settore, né discutere la scelta di politica industriale sottesa all’approccio del legislatore. Si sottolinea invece come tale approccio sia stato sostanzialmente accompagnato da una riduzione delle tutele giuslavoristiche. Si deve infatti ricordare che oltre allo speciale regime di responsabilità previsto per il settore dei trasporti, il comparto si è avvalso anche di un’ampia esenzione sotto il profilo dell’adempimento degli obblighi di tutela della salute sicurezza sul lavoro. In base all’art. 26, d. lgs. n. 81/08 infatti, l’obbligo di valutazione dei rischi da interferenza non si applica sia nei casi in cui il committente non abbia la disponibilità giuridica dei luoghi di lavoro, sia per le attività di mera consegna. Purtroppo, l’analisi della giurisprudenza relativa agli infortuni sul lavoro nel settore logistico e i dati riportati dall’Inail confermano l’inadeguatezza della disciplina attualmente in vigore .
Il suddetto quadro di favore si innesta nella più ampia strategia di deresponsabilizzazione dei grandi player della logistica, nitidamente espressa nell’articolo 19 del contratto tipo predisposto da Assologistica, ove si consente di escludere la responsabilità dell’operatore ove questi fornisca “la prova che egli, i suoi dipendenti, preposti o collaboratori di qualsiasi genere, hanno adottato tutte le misure che potevano essere ragionevolmente prese per adempiere regolarmente il presente contratto ed evitare eventuali perdite o avarie della merce” stabilendosi poi altresì i limiti massimi di risarcimento ammissibili. Si tratta certo di una clausola di esenzione di responsabilità riferita ai danni alle merci, che tuttavia rispecchia abbastanza fedelmente anche l’idea predominante nel mondo imprenditoriale che il mero assolvimento delle procedure di Due Diligence possa automaticamente fungere da esimente della responsabilità dell’impresa verso la catena del valore .
La tendenza del legislatore ad assecondare tale visione è emersa chiaramente altresì nei numerosi provvedimenti che in vario modo hanno interessato l’art. 29 co. 2 d.lgs. n. 276/03. Già l’art. 6, d.lgs. n. 251/04 aveva introdotto una prima possibilità di deroga al regime della responsabilità solidale mediante previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative. La norma ebbe vita breve perché venne abrogata dal co. 911 della l.n. 248/06. Quest’ultimo, pur ampliando l’ambito di applicazione della responsabilità solidale, viene affiancato da un meccanismo di esenzione, limitato però alle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente e ai contributi previdenziali e assicurativi, contenuto nel co. 28 dell’art. 35, l.n. 248/06. L’esenzione avrebbe operato qualora l’appaltatore avesse ottemperato all’accertamento preventivo della regolarità fiscale e contributiva secondo procedure da stabilirsi con decreto interministeriale . Tale decreto venne emanato con notevole ritardo e il meccanismo definitivamente abrogato poco dopo. Un ulteriore tentativo, apparentemente incondizionato, di derogabilità era previsto nell’art. 8 d. l. 138/11, conv. in l.n. 148/11, che è però implicitamente abrogato dalla successiva riscrittura dell’art. 29, co. 2, d. lgs. 276/03 . Anche il tentativo pur meritorio di estendere la responsabilità dell’impresa appaltatrice per il versamento, oltre che delle ritenute fiscali, anche dell’Iva fatto con l’art. 13 ter della l. 34/12, di conversione del d. l. n. 83/12 (che modificava il co. 28 del cit. art. 35) ebbe vita breve, venendo cancellato poco dopo la sua emanazione . Nuovamente, l’art. 4, l.n. 92/12 affidava alla contrattazione collettiva la possibilità di derogare alla solidarietà, norma che, come noto, fu soppressa al fine di evitare un referendum abrogativo con l’art. 2, d. l. 25/17, conv. in l. n. 49/17.
L’idea che una volta svolti determinati accertamenti l’impresa possa ritenersi esente da responsabilità non è affatto nuova e, anzi, oggi trova nuova linfa nel diritto europeo e nel dibattito sulla proposta di direttiva in materia di Due Diligence. Un meccanismo di esenzione da responsabilità è previsto dall’art. 17 della dir. 2014/36 relativa all’ingresso per lavoro stagionale, che estende la responsabilità per l’inadempimento agli obblighi stabiliti dalla direttiva anche al fatto compiuto dagli appaltatori e subappaltatori., qualora il committente non abbia adempiuto ai propri obblighi con la dovuta diligenza come previsto dal diritto nazionale . Altra esenzione da responsabilità è stata prevista dalla dir. 2009/52 per il caso di impiego di lavoratori migranti irregolari, ove il datore di lavoro non fosse a conoscenza della falsità dei documenti di soggiorno del lavoratore . Infine, 12 della dir. 2014/67 sul distacco dei lavoratori, prevede la possibilità di adottare misure per garantire che nei casi di subcontratto a catena il committente possa, in aggiunta o in luogo del datore di lavoro, essere tenuto responsabile dal lavoratore distaccato riguardo a eventuali retribuzioni nette arretrate corrispondenti alle tariffe minime salariali e/o contributive dovute a fondi o istituzioni comuni delle parti sociali previsti dalla legge o dai contratti collettivi. Anche da questa breve disamina pare evidente che il legislatore europeo non ha adottato un modello uniforme di attribuzione della responsabilità al committente e nemmeno di esonero della stessa. La responsabilità si fonda infatti in talune circostanze sull’inadempimento a specifici obblighi, riguarda l’applicazione delle relative sanzioni, e l’eventuale esenzione dipende dalla colpevolezza del comportamento, mentre in altre, la responsabilità del committente, pur rimanendo ispirata all’intento di evitare possibili frodi, può assumere carattere oggettivo ma rimane limitata alle retribuzioni e ai contributi previdenziali.
Il dibattito si è riacceso a seguito dell’adozione in diversi Paesi europei di specifici provvedimenti in materia di Due Diligence (di cui la legge francese del 2017 costituisce il prototipo e la punta più avanzata di riconoscimento) con la Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021 e poi con la Proposta di direttiva della Commissione europea relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 del 23 febbraio 2022 . Quest’ultima prevede l’introduzione di sistemi di gestione delle imprese e delle catene del valore volti a minimizzare i rischi e gli impatti sui diritti umani e sull’ambiente. L’art. 22 obbliga gli Stati ad adottare norme che disciplinino la responsabilità civile della società per i danni derivanti dal mancato rispetto degli obblighi di diligenza. Tale responsabilità è tuttavia limitata ai casi di inadempienza alle procedure di diligenza ed è esclusa quando i danni sono causati dall’attività di un partner, ferma restando la responsabilità quando (se ben intendo) sia dimostrata l’irragionevolezza dell’intervento correttivo posto in essere secondo le procedure di due diligence.
Va chiarito subito che si tratta di disposizioni che sono state pensate e scritte con gli occhi rivolti verso i Paesi in via di sviluppo e guardano quindi ai fenomeni di delocalizzazione al di fuori dell’Unione. Le norme in materia di responsabilità sono infatti destinate a superare il limite derivante dal fatto che il diritto applicabile non è quello di uno Stato membro e le violazioni prese in considerazione non sono riferite l’acquis sociale dell’Unione ma ai diritti e divieti che figurano negli accordi internazionali sui diritti umani.
E’ utile ricordare inoltre che secondo l’art. 22 le norme in materia di responsabilità civile lasciano impregiudicate le norme nazionali che prevedono forme di responsabilità in situazioni non contemplate dalla direttiva o una responsabilità più rigorosa. Come è stato puntualmente precisato dai migliori studi in materia l’adozione di meccanismi di Due diligence fa salve le disposizioni di cui all’art. 29, co.2, d. lgs. 276/03 e non può sostituirsi ai meccanismi di responsabilità solidale attualmente prefigurati dall’ordinamento italiano.

4.Prendere la Due Diligence sul serio
Al di là di quelle che saranno le vicende della proposta europea sulla Due Diligence e dei meritori tentativi della dottrina italiana di salvaguardare il meccanismo della responsabilità solidale, che, come detto, meriterebbe quanto meno un rinforzo, pare imprescindibile ritornare a ragionare sulle tecniche di prevenzione finalizzate alla regolarità del lavoro lungo le catene del valore. Questi sono essenziali per proteggere i diritti dei lavoratori, messi in discussione non solo dall’utilizzo fraudolento del decentramento, ma anche in occasione del suo dispiegarsi fisiologico. Ma proprio volendo guardare alla fisiologia delle catene del valore, ci si rende conto che il sistema attualmente delineato, oltre a non proteggere adeguatamente il lavoratore, non mette nemmeno al riparto l’impresa che voglia agire correttamente e che si trova a operare in un contesto di scarsa legalità. Non si condivide quindi l’idea, pur non del tutto di priva di ragioni, che solo i meccanismi di esenzione della responsabilità renderebbero conveniente l’accertamento preventivo del committente : in un contesto diffusa irregolarità e di contestuale ampia e durevole conflittualità qual è quello logistico, la selezione di partner affidabili assume un valore e tutela interessi dell’impresa che vanno ben oltre la mera responsabilità per le retribuzioni spettanti ai lavoratori. Basti pensare agli effetti benefici che deriverebbero dalla riduzione del conflitto e del turn over, dalla maggiore sicurezza in termini di regolare svolgimento delle operazioni, oltre che dalla espulsione dal mercato di operatori operanti a scorrettamente e/o a rischio di infiltrazione della criminalità. Per questo si ritiene che ogni intervento in materia che aspiri ad avere un minimo di efficacia non possa prescindere dall’introduzione di misure volte ad assicurare la regolarità dell’obbligo che più di tutti rende appetibili le pratiche elusive: l’Iva. Una specifica forma di controllo della regolarità dei versamenti era stata introdotta con l’art. 4, d.l. 124/2019, che tuttavia aveva un ambito di applicazione limitato, prevedeva numerose eccezioni e non è stata approvata dalla Commissione europea .
Tornando alle questioni più strettamente lavoristiche, e ripatendo dal meccanismo principale usato dal legislatore italiano, occorre anzitutto constatare che il sistema di accertamento tramite Durc è del tutto inadeguato. È evidente che si tratta di un’arma spuntata per diversi ordini di ragioni: in primo luogo perché non è in grado di intercettare la presenza di lavoratori non dichiarati, consentendo al datore di lavoro che abbia regolarmente versato i contributi per una sola parte dei propri dipendenti di ottenere comunque l’attestazione di regolarità; in secondo luogo perché la verifica preliminare alla stipula del contratto (prevista dall’art. 83 bis co. 4 bis) non mette al riparo il committente dal rischio di successivi inadempimenti. Infine perché l’Inps ha serie difficoltà a identificare i committenti poiché la prassi è quella di indicare come luogo di svolgimento del rapporto di lavoro la sede del datore di lavoro anche quando il rapporto si svolge presso le imprese appaltanti. Quest’ultimo limite, peraltro, dovrebbe essere in via di superamento, attraverso l’accordo con l’Agenzia delle entrate di accedere ai dati relativi alle fatturazioni elettroniche . Un aspetto problematico concerne poi le imprese appena costituite, che ottengono il Durc appena iniziata l’attività e riescono a risultare adempienti, pur versando una sola mensilità di contribuzione, per un periodo di 10 mesi . Considerando la funzione essenziale che il sistema di responsabilità solidale svolge nella selezione di contraenti affidabili sul piano economico e organizzativo , in un contesto di diffusa irregolarità, non resta che prendere atto che la questione sembra porsi allo stato attuale in termini di alternativa secca: se si applicano i sistemi di esenzione basati sul solo Durc o su altri meccanismi eccessivamente semplificati, i lavoratori restano privi di tutela ed esposti all’inadempimento degli appaltatori e subappaltatori. Viceversa, saranno i committenti ad essere esposti ove si dia applicazione ai meccanismi di responsabilità solidale . Con il paradosso che a farne le spese saranno maggiormente le imprese responsabili e non conniventi con gli illeciti che si svolgono a valle della catena del valore. Tale situazione esige pertanto che si ricerchino soluzioni in grado di tutelare al contempo il committente che voglia operare nel rispetto della normativa e i lavoratori. Non è possibile qui approfondire la questione di quali possono essere i criteri e le tecniche per la qualificazione delle imprese e la verifica della correttezza del loro operato. Pare tuttavia doveroso dare conto di quelli che sono stati sino ad ora i principali tentativi in tal senso.
Anzitutto si deve sottolineare come una protezione convenzionale sia talvolta inserita nei contratti di appalto, ove si prevede una consegna trimestrale del Durc e si riconosce al committente il diritto di richiedere documentazione aggiuntiva, oltre che di sospendere in via cautelare i pagamenti sino all’esibizione di detta documentazione. La Direzione Antifrode, anticorruzione e trasparenza dell’Inps consiglia, oltre che particolari attenzioni nella selezione dell’impresa appaltatrice, di richiedere il modello F24 relativo al versamento dei contributi, copia del Lul relativa ai lavoratori impiegati nell’appalto, prova documentale del versamento delle retribuzioni, copia dei modelli delle denunce mensili Uniemens, e delle comunicazioni ai Centri per l’impiego relative alle variazioni dei rapporti di lavoro.
Sistemi di controllo e tutela sono altresì previsti nel Ccnl Logistica, Trasporti merci, Spedizioni. Nel rinnovo del 3 dicembre 2017 si sono introdotte specifiche disposizioni in materia di qualificazione delle imprese e di appalti. Val la pena soffermarsi su queste ultime, perché sembrano rappresentare uno dei pochi tentativi di impedire che il settore logistico venga fagocitato da operatori senza scrupoli. Le parti hanno manifestato impegno a contrastare i crescenti fenomeni di illegalità attraverso “ogni utile strumento atto a garantire il pieno rispetto della normativa e della disciplina sugli appalti”. Oltre al vincolo di applicazione del Ccnl logistica da parte delle imprese appaltatrici e al divieto di subappalto, si prevede che queste siano in possesso di capacità ed esperienze tecnico professionali e organizzative nonché adeguata solidità finanziaria ed economica. Si fa altresì espressamente riferimento agli aspetti fiscali e contributivi, che devono risultare da una certificazione semestrale di rating rilasciata da una società specializzata e dal Durc semestrale. Il mancato rispetto delle disposizioni relative al versamento dei contributi, l’applicazione di Ccnl di settore diverso e la mancata o incongruente corresponsione degli istituti contrattuali di carattere economico nei confronti di più lavoratori costituiscono motivo di risoluzione del contratto. L’aspetto più interessante è certamente il ricorso alle società specializzate per il rating delle imprese.
Non risulta peraltro che detta previsione abbia avuto implementazione tramite accordi collettivi. Si registra piuttosto la tendenza delle aziende e delle associazioni imprenditoriali a procedere autonomamente. Ne è un esempio l’Osservatorio Tcr-Transport Compliance Rating, un’associazione di imprese che ha elaborato uno specifico protocollo al fine di attribuire un rating alle imprese . Il protocollo si basa su otto indici diversi, tra i quali, oltre alla struttura dell’organizzazione dell’impresa vi sono la sicurezza sul lavoro e l’integrità e la reputazione (quest’ultima comprendente la regolarità del lavoro). La valutazione delle aziende è fatta da enti terzi che devono essere in possesso di specifici requisiti. L’esperimento avviato a partire dal 2019 nel settore dei trasporti e poi esteso al complesso delle attività logistiche meriterebbe un’analisi più approfondita, soprattutto relativamente al tipo di verifiche che vengono fatte sul piano del rispetto della normativa del lavoro, che non può essere condotta qui. Al di là dei limiti che detta esperienza potrebbe mostrare, in particolare sul piano della definizione degli aspetti del lavoro da verificare, essa rimane una valida testimonianza della necessità per le imprese di procedere verso un più evoluto sistema di controllo e qualificazione.
Sarebbe dunque opportuno che il legislatore desse un significativo contributo in questa direzione, soprattutto ora che si presenta l’opportunità di farlo indirizzando al meglio le risorse del Pnrr.
Un esempio di controllo più incisivo (ma come si è visto naufragato) rispetto al Durc era stato compiuto dall’art. art. 13 ter d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012 che in materia di responsabilità per gli adempimenti fiscali consentiva l’esenzione solo subordinatamente alla “verifica di tutti gli adempimenti scaduti alla data del versamento del corrispettivo convenuto”, consentendo altresì di ricorrere a sistemi di asseverazione da parte di professionisti.
Non ha avuto miglior sorte il tentativo di migliorare le condizioni di sicurezza del lavoro mediante la realizzazione di sistemi di qualificazione delle imprese previsto dall’art. 26 d. lgs. 81/08, che ha avuto attuazione limitatamente ad alcuni particolarissimi settori e che sul piano generale è rimasto sostanzialmente al palo49. Anzi, gli obblighi di cooperazione e coordinamento sono stati via via svuotati di contenuto dai numerosi provvedimenti di semplificazione che si sono succeduti nel corso degli anni.
Di estremo interesse è però la recente azione dell’Inps, peraltro scarsamente pubblicizzata e decisamente poco nota, per quanto consta. In una prospettiva di sanificazione del mercato, l’ente previdenziale ha previsto la possibilità di ottenere il Documento di Congruità Occupazionale Appalto (DoCOA) che viene elaborato dalla procedura dell’applicativo Mocoa ogni mese, dopo la scadenza del termine di trasmissione delle denunce mensili. Se ho ben inteso, le aziende registrandosi volontariamente all’applicativo e inserendo i contratti di appalto avrebbero la possibilità di verificare sistematicamente e in tempo reale la regolarità degli adempimenti dell’appaltatore . Questo sistema consentirebbe anche di ovviare alla critica mossa da parte imprenditoriale alla sproporzione, ammesso che di sproporzione si possa parlare alla luce dei dati, tra oneri amministrativi di controllo rispetto alle esigenze di contenimento delle irregolarità .
Come si vede soprattutto da quest’ultimo esempio, la digitalizzazione consente oggi di predisporre strumenti e metodi di verifica efficaci e non eccessivamente dispendiosi. È auspicabile un maggiore confronto e approfondimento sui sistemi di qualificazione delle imprese, anche al fine di evitare che le energie da più parti profuse nei tentativi di controllo delle catene del valore si disperdano in iniziative che prescindono dalla necessaria partecipazione delle organizzazioni dei lavoratori e del controllo pubblico.

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