Testo integrale con note e bibliografia

1. Troppe norme.
Il diritto del lavoro, iniziato alla fine dell’800, dopo più di un secolo è ridotto in condizioni disastrose.
Infatti dopo la Costituzione del 1948 si sono accavallate tantissime norme, che rendono quasi incomprensibile l’ordinamento lavoristico.
I giudici, gli avvocati e i professori si aggirano con fatica in questo labirinto, ma le persone comuni non riescono a capire nulla.

2. La causa: l’incompetenza del legislatore.
La causa di questa moltitudine di norme è l’incompetenza dei legislatori che si sono succeduti nel tempo.
La democrazia è un’ottima cosa, ma così attuata fa male al popolo.
Qui di seguito saranno trattate, a titolo di esempio, disposizioni abbastanza recenti, che hanno accresciuto l’incertezza del diritto.
A) Il c.d. rito Fornero (art. 1, c. 47 e ss., legge n. 92/2012), applicabile alle controversie relative al licenziamento fondate sull’art. 18 stat. lav., ha complicato l’ordinamento processuale, perché nel primo grado di giudizio ci sono due fasi, quella sommaria e quella di opposizione, come se non bastasse il procedimento cautelare previsto dall’art. 700 cod. proc. civ. L’altra complicazione è che in questo rito possono essere proposte altre domande solo se fondate su identici fatti costitutivi, sicché la parte deve proporre un altro giudizio con il rito ordinario se la domanda è fondata su altri fatti. Non a caso il rito Fornero non si applica ai nuovi assunti (art. 11, d. lgs. n. 23/2015), ma sarebbe stato meglio abrogarlo del tutto, anche perché questa distinzione è insensata.
B) La disciplina del licenziamento per i lavoratori assunti dopo il 5 marzo 2015 è contenuta nel d. lgs. n. 23/2015 ed è abbastanza diversa da quella precedente (legge n. 604/1966; art. 18 stat. lav. come modificato dalla legge n. 92/2012; legge n. 223/1991). Le differenze più marcate sono: l’eliminazione di due dei tre casi di ingiustificatezza qualificata sanzionata con la reintegra previsti dall’art. 18, commi 4 e 7, stat. lav.; l’indennità risarcitoria collegata solo all’anzianità di servizio (c.d. tutele crescenti), regola questa poi dichiarata incostituzionale (Corte Cost. nn. 194/2018 e 150/2020); il massimo dell’indennità risarcitoria di 36 mensilità (art. 1 d. l. n. 87/2018 conv. legge n. 96/2018), mentre per i vecchi assunti è di 24 mensilità; l’abolizione per il licenziamento collettivo della tutela reale per violazione dei criteri di scelta; la disapplicazione del rito Fornero. Questo doppio regime, uno per i vecchi assunti e uno per i nuovi assunti, è irragionevole, perché complica l’ordinamento senza alcun reale motivo.
C) Per il lavoro parasubordinato è stato soppresso il progetto (art. 52, c. 1, d. lgs. n. 81/2015) ed è stata emanata una norma per le collaborazioni personali e continuative organizzate dal committente a cui si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato (art. 2, d. lgs. n. 81/2015) anche se il rapporto è sempre di lavoro autonomo (Cass. n. 1663/2020). Ma il problema, quasi irrisolvibile, è quello della distinzione tra l’eterodirezione del lavoro subordinato e l’eterorooganizzazione delle collaborazioni autonome. Sicché la norma in esame è stata pensata da un incompetente.
D) Il potere disciplinare degli enti pubblici relativi ai dipendenti privatizzati è attualmente disciplinato dagli artt. 55 e ss. d. lgs. n. 165/2001 come novellato dal d. lgs. n. 150/2009 e dal d. lgs. n. 75/2017. Quest’ultimo decreto è molto complesso, perché invece di sostituire, come sarebbe stato opportuno e semplice, le norme pregresse ha abrogato, modificato o aggiunto commi ed ha inserito altri articoli. Sicché l’interprete è sconvolto.
E) La disciplina del contratto a termine (artt. 19-29 d. lgs. n. 81/2015) è stato in parte modificato dall’art. 1, d. l. n. 87/2018 conv. legge n. 96/2018, che ha ridotto la durata del contratto da 36 a 24 mesi, ha di nuovo prescritto giustificazioni tassative per i contratti di durata superiore a dodici mesi e per le proroghe intervenute dopo dodici mesi e ha prescritto la conversione in contratto a tempo indeterminato in mancanza di giustificazione. Queste modifiche si sono verificate poco tempo (tre anni) dopo l’ultima riforma solo perché la maggioranza parlamentare era cambiata. In democrazia può avvenire anche questo, ma, purtroppo, nel caso di specie è la certezza del diritto che viene distrutta. E non a caso i datori di lavoro, vedendo che le giustificazioni erano di difficile interpretazione (tranne quelle della sostituzione di un lavoratore) hanno stipulato contratti a termine di durata non superiore a dodici mesi. Mentre l’obiettivo del legislatore di accrescere il numero dei contratti a tempo indeterminato non è stato realizzato, perché le norme varate non erano adatte a perseguire il predetto obiettivo.

 

3. L’effetto: incertezza del diritto.
Il nostro diritto del lavoro è ridotto in condizioni vergognose al pari dell’intero ordinamento vigente. L’incertezza regna sovrana, con costi fortissimi per l’individuo incapace di orizzontarsi nella giungla di norme.
La funzione del diritto è di rassicurare ciascuno nei rapporti con gli altri consentendogli di vivere, di scegliere e di programmare, mentre l’ordinamento attuale atterrisce ostacolando la vita.
In una società complessa che ha fatto del cambiamento permanente la sua incivile bandiera, il diritto deve essere il più possibile semplice e stabile per dare certezza. Invece la velocità del cambiamento ha investito in pieno anche l’ordinamento, che ormai non governa l’economia, ma ne è governato.
La persona si scontra ogni giorno nelle complicazioni e nei continui mutamenti del diritto non più degno di questo nome, perché non crea ordine ma disordine.
Perfino i giudici hanno difficoltà a conoscere tutte le norme in base alle quali dovrebbero costruire il sistema. Diventa sempre più difficile insegnare discipline in continuo mutamento, scovare disposizioni nascoste all’interno di leggi chilometriche, individuare l’effettiva volontà normativa nelle pieghe di ambigui compromessi, rinvenire un minimo di coerenza tra disposizioni irrimediabilmente contraddittorie.
Eppure i giuristi non possono rassegnarsi a questo degrado consumando in silenzio le loro energie su di un ordinamento che non le merita, ma devono gridare alta la loro indignazione, segnalando instancabilmente la barbarie del diritto, sperando che le coscienze così rischiarate possano un giorno ribellarsi alla schiavitù del disordine che preclude qualsiasi vera realizzazione della persona.
Oggi i più gravi pericoli per la libertà dell’individuo vengono proprio dall’incertezza del diritto, che finisce per privilegiare i furbi e i forti nei confronti dei semplici onesti. Sicché libertà e ordine non possono più essere disgiunte.

4. Il rimedio: codice del lavoro e volontà individuale assistita.
Il rimedio a questa barbara incertezza può essere solo il codice del lavoro e una norma secondo cui l’accordo individuale sottoscritto in sede assistita può derogare disposizioni di legge e di contratto collettivo.
Il codice del lavoro deve essere redatto da giuristi imparziali, come è avvenuto per il codice civile del 1942 che non a caso ancora vige dopo più di 70 anni. Ed infatti ho saputo, negli anni ’70 del secolo scorso da un vecchio professore, che Mussolini alle volte andava a trovare questi giuristi nella loro riunione e proponeva qualche norma. I giuristi prendevano appunti, ma quando Mussolini se ne andava stracciavano gli appunti e continuavano a fare il loro lavoro senza alcun condizionamento.
Pertanto gli elaboratori del codice del lavoro devono essere scelti non da una maggioranza parlamentare, che è sempre mutevole, ma da tutto il parlamento con voto unanime. Ovviamente i giuristi designati avranno idee diverse, ma poi si accorderanno con un intelligente compromesso.
L’importante è che tutte le norme si leghino tra loro senza alcuna contraddizione e siano brevi e semplici.
Mentre il governo composto dal Movimento 5 stelle e Partito democratico nato nel 2019 invece di semplificare l’ordinamento lo ha complicato notevolmente, emettendo decreti legge e dpcm lunghissimi e incomprensibili.
La burocrazia è astretta da tante norme legislative, che non riesce a trovare o ad interpretare e quindi ha paura di essere incriminata per abuso d’ufficio o di dover pagare danni erariali. Pertanto la colpa dell’incertezza del diritto non è della burocrazia, ma del legislatore.
L’altro rimedio è la volontà assistita individuale che può derogare disposizioni di legge o di contratti collettivi.
Il primo passo è stato l’art. 8 del d. l. n. 138/2011 convertito in legge n. 148/2011, secondo cui i contratti collettivi aziendali e territoriali (c.d. di prossimità) possono derogare norme di legge e disposizioni di contratti collettivi nazionali in molte materie. Sicché queste norme invece di essere come in passato inderogabili, sono diventate norme semimperative.
Il passaggio successivo, ancora non compiuto ma molto auspicabile, sarà una norma di legge che autorizza l’accordo individuale stipulato in sede assistita a derogare disposizioni di legge o di contratti collettivi.
Infatti la norma inderogabile, che sostituisce le previsioni difformi dal contratto individuale, ha un difetto gravissimo, sia perché crea una oppressiva uniformità non idonea a disciplinare la variabilità del reale, sia perché tante norme inderogabili sono a precetto generico e quindi accrescono l’incertezza del diritto.
Non a caso tante imprese italiane si sono delocalizzate nei paesi in cui le norme sono abbastanza certe. Se poi le imposte di questi paesi sono più basse di quelle italiane, questi due fattori si combinano tra loro ed aumentano il numero delle aziende che si delocalizzano.
In conclusione se non ci sarà a breve un buon codice del lavoro, una norma fondata sulla volontà individuale assistita e una riduzione delle imposte, l’economia italiana non si riprenderà, economia attualmente in condizioni disastrose per effetto della stupida chiusura decisa dalla Stato per proteggere la salute dei cittadini, senza capire che i morti di COVID 19 sono per lo più vecchi e afflitti da altre morbilità e quindi sarebbero comunque deceduti in breve tempo.

 

 

 

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