Testo integrale con note e bibliografia

1. La tutela delle collaborazioni etero-organizzate e dei lavoratori su piattaforma digitale: la Corte di Cassazione italiana e la pronuncia della Corte di Cassazione francese del 4.4.2020
Il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 , all’art. 2, disciplina le “collaborazioni organizzate dal committente”. Il legislatore con una tecnica che ha dato adito ad un vivace dibattito dottrinale ha applicato alle collaborazioni etero-organizzate la disciplina del lavoro subordinato.
La disposizione è stata oggetto di una modifica molto importante, apportata dal d.l. 3 settembre 2019, n. 101, convertito con modificazioni dalla l. 2 novembre 2019, n. 128.
Si riporta di seguito la comparazione del testo originario con quello attualmente in vigore per maggiore chiarezza:

 

Testo previgente:
(…) si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Testo vigente:
(…) si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente.

Gli elementi che caratterizzano tali collaborazioni sono:
a) la prestazione di lavoro prevalentemente personale: se prima la norma richiedeva una prestazione esclusivamente personale, oggi la nozione è più ampia. Talché il collaboratore potrebbe “avvalersi, a sua volta, di collaboratori” , il cui apporto, però, “dev’essere secondario rispetto allo svolgimento personale della prestazione da parte del collaboratore” . Sul punto, va specificato che il “prevalentemente personale” lascia spazio anche ad un’altra interpretazione, potendo far riferimento “ad altri fattori materiali se del caso necessari per realizzare la prestazione”
b) la “continuità della prestazione”: il rapporto giuridico va qualificato “di durata in senso tecnico”, ove “assume rilievo la prestazione lavorativa in sé considerata” ;
c) le “modalità di esecuzione organizzate dal committente”: la versione originaria della norma individuava due “indici sussidiari” utili affinché potesse riconoscersi l’etero-organizzazione, ovvero il «luogo e tempo di lavoro». Tale indicazione è venuta meno in seguito alla modifica del 2019. Ne consegue, per l’effetto, che gli “elementi distintivi tra potere organizzativo e potere direttivo” non sono individuati dal legislatore, così la valutazione è interamente rimessa all’autorità giudiziaria.
La produzione giurisprudenziale con riferimento all’art. 2 è esigua, ma l’unica sentenza della Cassazione intervenuta in materia ha suscitato notevoli ed importanti riflessioni .
Il dibattito sull’art. 2 ha riguardato, tra l’altro, la natura giuridica dell’art. 2: trattasi di norma “di fattispecie” o “di disciplina”?
Le interpretazioni che ne sono scaturite sono molteplici , ma la Corte di Cassazione, con la famosa sentenza del caso Foodora , seppur con un obiter dictum, ha affermato che l’art. 2, comma 1, è una “norma di disciplina” che “non crea una nuova fattispecie” .
La pronuncia della Cassazione, tuttavia, non ha affatto assopito il dibattito, permanendo alcune perplessità in merito a tale qualificazione giuridica.
Gli ermellini, invero, disconoscono l’esistenza della “fattispecie” lavoro etero-organizzato, ma ne riconoscono “la disciplina” . Si tratterebbe, dunque, di norma che estende la disciplina del lavoro subordinato ad “una eterogenea fascia di rapporti correntemente inquadrati nelle collaborazioni autonome i quali, ciò nondimeno, sono accomunati da alcuni elementi strutturali e indiziari congeniali alla classica subordinazione tecnico-funzionale al punto da indurre ad uniformare il regime protettivo” .
A prescindere dal dibattito circa la natura giuridica della norma, un dato sembrerebbe pacifico: la ratio della norma è “anti fraudolenta” e la funzione “rimediale” .
L’art. 2 cit. esplica i suoi effetti in sede giudiziale, all’esito del ricorso proposto dal prestatore di lavoro o, al più, dall’ente previdenziale . La disposizione legislativa, pertanto, consente al giudice di applicare lo statuto del rapporto di lavoro subordinato a quei rapporti di lavoro che presentano alcuni tratti tipici della subordinazione (ma non tutti), così da non poter essere qualificati tali.
Il legislatore, in sostanza, “senza creare un nuovo tipo contrattuale rispetto al contratto di lavoro autonomo e subordinato, ha ritenuto di intensificare le tutele di quelle collaborazioni continuative nelle quali la prestazione resa dal collaboratore non è (più soltanto) coordinata, ma organizzata dal committente; un dato quest’ultimo (quello della etero-organizzazione) che viene assunto dal legislatore (art. 2, comma 1) come fattispecie di riferimento per l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato” .
Anche la Corte di Cassazione, seppur con riferimento alla fattispecie regolata dal testo previgente dell’art. 2 d.lgs. cit., ha rilevato che “quando l’etero-organizzazione accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione rende il collaboratore comparabile ad un lavoro dipendente, si impone una protezione equivalente e quindi il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato” .
Questo quadro si evidenzia ancora di più leggendo le poche pronunce giurisprudenziali intervenute in materia. Dalle stesse emerge che l’art. 2 ha attribuito al giudice la possibilità di estendere la disciplina del lavoro subordinato ad ipotesi in cui ciò non sarebbe stato possibile, poiché il rapporto di lavoro non poteva essere qualificato come subordinato. Autorevole dottrina, infatti, definisce l’art. 2 “una norma scivolo” .
Il giudice, dunque, accertata la sussistenza dei caratteri essenziali delle collaborazioni etero-organizzate, potrà applicare la disciplina del lavoro subordinato “senza dar rilievo ad un diverso giudizio qualificatorio, così facendo intendere non essere necessario affaticarsi a etichettarlo come subordinato, tertium genus, autonomo” .
Nella pratica non si è verificato che le parti si accordassero per stipulare un contratto di collaborazione continuativa etero-organizzata, perché gli effetti sarebbero esattamente gli stessi di un contratto di lavoro subordinato . È stato efficacemente rilevato, invero, che nei formulari non si rinvengono “formule contrattuali” riferite all’art. 2, comma 1 . In definitiva, non vi è una nozione unitaria di collaborazioni etero-organizzate, ma una molteplicità di tipologie di lavoro, tutte caratterizzate da esigenze di protezione analoghe a quelle dei lavoratori subordinati.
All’atto della stipulazione del contratto di lavoro le parti prediligono gli schemi classici, ossia quello del rapporto di lavoro subordinato o quello della collaborazione autonoma .
La ratio della norma in commento, allora, è insita nell’esistenza di “un’ampia area grigia, passibile di una utilizzazione abusiva” venutasi a creare “a seguito della abrogazione del lavoro a progetto, con la contestuale salvezza del vecchio art. 409, n. 3 c.p.c.” .
La norma persegue una finalità protettiva di situazioni di debolezza di una delle parti contrattuali che conduce a risultati analoghi a quelli che si sono realizzati in altri paesi europei, come la Francia, nei confronti dei lavoratori che operano su piattaforme digitali.
In Francia, per esempio, le pronunce intervenute sino a questo momento, hanno riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro dei riders e degli autisti di UBER .
Nella sentenza Chambre Sociale del 28.11.2018, n. 1737 , sui riders, la Corte francese ritiene che non si possa escludere la qualificazione giuridica del lavoro subordinato, perché la piattaforma digitale esercita un potere sanzionatorio attraverso un meccanismo di bonus-malus da ritenersi equivalente al potere disciplinare ed un penetrante controllo sull’attività svolta dai riders avviene tramite la geolocalizzazione da assimilare al potere direttivo.
Nella recente sentenza del 4 marzo 2020, n. 374, sugli autisti di UBER, invece, la Corte si è soffermata sulla circostanza che le prestazioni dell’autista Uber sono effettivamente “inserite in un service organisé”, essendo manista la loro “flessibilità, riconosciuta entro parametri, regole e limiti altrove determinati” .

2. La disciplina del rapporto di lavoro subordinato applicabile alle collaborazioni etero-organizzate e le ontologiche incompatibilità
Tornando alla Corte di Cassazione italiana, considerato l’art. 2 come norma “rimediale”, ci si chiede quali siano le norme dello statuto del lavoro subordinato applicabili al collaboratore etero-organizzato e quali norme siano, invece, le norme “ontologicamente incompatibili” . E, soprattutto, se possa essere realizzata una selezione teorica, a prescindere dagli elementi fattuali del caso concreto.
Nella citata sentenza, la Suprema Corte ha evidenziato che “al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della subordinazione. Si tratta, come detto, di una norma di disciplina, che non crea una nuova fattispecie” (par. 39).
La norma, inoltre, “non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici” (par. 40). Ciò nonostante, (par. 41) “non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell’ambito dell’art. 2094 cod. civ.”.
In effetti, il legislatore non ha indicato alcun criterio utile a individuare la disciplina applicabile, anzi, nulla dice a riguardo. Il rinvio operato all’art. 2 sembrerebbe integrale, coinvolgendo tutta la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, senza alcuna selezione di essa .
Come è stato rilevato, invero, la norma non sembra avere “un proprio contenitore di destinazione che possa supportare l’esistenza di un tertium genus e la selezione di una disciplina che darebbe luogo ad un contratto distinto, tanto dal lavoro coordinato quanto da quello subordinato” . Così il rischio di una selezione in sede giurisprudenziale senza alcun parametro di riferimento legislativo potrebbe generare alcune criticità .
In questa prospettiva, l’affermazione della Suprema Corte secondo cui “non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con la fattispecie da regolare” è stato interpretato nel senso di voler “piuttosto raccordarsi a quanto previsto dall’art. 2, lett. a), d.lgs. n. 81/2015, e cioè alla deroga a favore dell’autonomia collettiva, molto problematica nell’esegesi già per il motivo che non è chiaro se ci si riferisca alla contrattazione già esistente o a quella futura” .
Non può negarsi, tuttavia, che vi siano alcune norme la cui applicazione desta talune perplessità, si pensi a “quelle norme che sono intrinsecamente e strettamente connesse alla subordinazione (art. es. 2104 c.c., 2106, ecc.), e che risultino dunque incompatibili con la natura autonoma delle stesse collaborazioni, oggi ancor più evidenziata (…) dall’impiego dell’espressione «prevalentemente personali” .
La dottrina ha ravvisato tale incompatibilità, ad esempio, con riferimento “al potere direttivo e di conformazione in materia di mutamento di mansioni o del luogo di esecuzione della prestazione (art. 2103 c.c.) o lo specifico potere di controllo che è riconosciuto al datore di lavoro nei riguardi del dipendente o quello disciplinare” .
A ben vedere, però, in queste ipotesi non si ravvisa una incompatibilità, bensì una “totale estraneità di queste tutele alla disciplina delle collaborazioni, in quanto il committente, non essendo titolare dei predetti poteri, non ha titolo per esercitarli nei confronti del collaboratore che, conseguentemente, non ha alcun interesse a fruire della protezione stabilita rispetto ad essi” .
In assenza di indicazioni legislative in merito alla selezione della disciplina da applicare, in conclusione, potremo solo attendere le pronunce della giurisprudenza di merito per comprendere fino a che punto tale selezione possa essere realizzata.

3. Il ruolo della contrattazione collettiva
Come accennato brevemente, l’art. 2, al comma 2, lett. a), introduce una deroga al rinvio generalizzato alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato: “la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento: a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”.
La disposizione ha sicuramente un carattere “innovativo” , poiché “potrebbe rappresentare l’occasione (…) per svolgere un ruolo regolativo originale, traghettando le nuove e sottoprotette forme di lavoro verso inediti orizzonti di tutela riguardanti il loro trattamento economico e normativo” .
La norma, fino ad ora, ha trovato applicazione in una pronuncia giurisprudenziale di merito intervenuta con riferimento all’attività dei call center outbound. Si tratta della sentenza del Tribunale di Roma, 6 maggio 2019, n. 4243, ove il giudice specifica che “l’alternativa alla disciplina legale deve essere una disciplina specifica riguardante sia il trattamento economico sia normativo, quindi non solo una tutela economica con riferimento al compenso minimo, come era per l’art. 63 d.lgs. n. 276/03, ma anche con la previsione di tutele sul piano normativo” .
La deroga opera, dunque, alle seguenti condizioni:
a) gli accordi collettivi devono essere stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale “in modo da garantire la loro forza e genuinità” ;
b) gli accordi devono prevedere “discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo”, ossia “regole ad hoc relative ai trattamenti economici e normativi dovuti ai collaboratori” ;
c) gli accordi devono essere giustificati da “particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”. Tali ragioni, tuttavia, sono state definite “assai generiche”, in quanto rimesse alla “piena discrezionalità giudiziaria” .
Sicuramente, dal punto di vista pratico, resta qualche perplessità, soprattutto dopo l’intervento della giurisprudenza di legittimità sull’art. 2. L’applicazione dell’intera disciplina del lavoro subordinato, ribadita dalla stessa Cassazione, rende più difficile per le organizzazioni sindacali stipulare accordi che “deroghino in peius” a quella stessa disciplina , così come intervenire “per privare del tutto (o quasi) i lavoratori interessati dalle tutele che hanno ormai acquisito in virtù della disposizione legislativa” .
Potrebbe essere interessante, allora, la lettura dell’intervento dell’autonomia collettiva in “termini di adeguamento e di integrazione” della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
In definitiva, al di là dell’enfasi del dettato normativo sulla piena derogabilità, la norma in concreto, sino ad ora, non ha avuto molte applicazioni .
Proprio in questi giorni, infatti, in data 15 settembre 2020, Assodelivery e Ugl Rider hanno sottoscritto il primo contratto collettivo nazionale che regola l’attività di consegna di beni per conto altrui, svolta dai lavoratori autonomi di cui al capo V-bis del d.lgs. 81 del 2015, attraverso piattaforme anche digitali, ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a), del d.lgs. 81 del 2015 .

4. La disciplina previdenziale
Al fine di individuare i possibili scenari con riferimento al regime previdenziale dei collaboratori etero-organizzati è necessaria una premessa.
I collaboratori coordinati e continuativi, ai fini previdenziali, beneficiano della Gestione Separata Inps . Il regime di distribuzione degli oneri contributivi è “per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del collaboratore” . La Gestione separata, dunque, è “soggetta alle aliquote contributive oggi parificate a quelle previste per il lavoro subordinato” . Si precisa, inoltre, che il committente è obbligato a versare anche la quota a carico del lavoratore, mediante una “trattenuta in busta paga all’atto della corresponsione del compenso” .
Per quanto concerne la tutela previdenziale dei collaboratori etero-organizzati, sono state avallate più ipotesi .
Secondo una prima ricostruzione, ai collaboratori etero-organizzati si applica la tutela previdenziale dei lavoratori subordinati, proprio per il rinvio generico ed integrale operato dal legislatore all’art. 2 .
Un’altra tesi, invece, ritiene che “l’unica esclusione può riguardare le tutele assicurativo-previdenziali che, oltre ad essere riconducibili ad un distinto rapporto giuridico instaurato con l’ente previdenziale, parallelo al rapporto lavorativo, richiedono imprescindibilmente un’analitica regolamentazione che definisca modalità organizzative, adempimenti contributivi e correlative prestazioni” .
Alle collaborazioni etero-organizzate si applicherebbe, dunque, la Gestione Separata INPS, così come avviene per le collaborazioni coordinate e continuative . Di stesso avviso anche l’Inps, come si evince dalla circolare n. 102 del 2018, nella quale l’ente ha affermato che per i collaboratori etero-organizzati trova applicazione la gestione separata.
Si ritiene che i medesimi lavoratori siano anche destinatari delle prestazioni dell’assegno per maternità e dell’assegno per il nucleo familiare (art. 59, comma 16, legge 27 dicembre 1997, n. 449), delle prestazioni di malattia, pure in caso di ricovero ospedaliero (art. 1, legge 23 dicembre 1999, n. 488), della dis-coll (art. 15, d.lgs 4 marzo 2015, n. 22), nonché dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali .
D’altronde, appurato che gli accordi collettivi possano derogare alla disciplina del lavoro subordinato, sicuramente con riferimento ai trattamenti economici e normativi, non può affermarsi, allo stesso tempo, che gli stessi possano derogare a favore della disciplina previdenziale atteso il “carattere assolutamente inderogabile e indisponibile del regime previdenziale applicabile ai rapporti di lavoro (art. 38 Cost., art. 2115 c.c.), che spetta unicamente al legislatore amministrare e regolare” .
In realtà, occorre distinguere la fase che potremmo definire fisiologica (al momento della stipulazione del contratto di collaborazione etero-organizzata) da quella rimediale-giudiziale.
L’art. 2, come accennato, opera quale norma rimediale, dunque, in via giudiziale. Ne consegue che se al momento della instaurazione della collaborazione etero-organizzata e durante il relativo svolgimento non vi sono dubbi in merito alla operatività della gestione separata, maggiori perplessità potrebbero sorgere in sede giudiziale.
Qualora il collaboratore dovesse impugnare il contratto di collaborazione, il giudice, accertata la etero-organizzazione, dovrebbe applicare “la disciplina del lavoro subordinato”.
Questo comporterebbe il riconoscimento per il collaboratore della retribuzione, al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, prevista per i lavoratori subordinati. Il meccanismo di estensione della tutela retributiva, dunque, trascinerebbe con sé anche gli aspetti contributivi. Se dovesse essere effettivamente così, allora dovrebbe riconoscersi l’applicazione anche della relativa disciplina previdenziale.
In sostanza, dunque, la funzione rimediale – derivante anche, in ipotesi, da iniziativa giudiziale dell’ente previdenziale - potrebbe determinare l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato comprensiva anche di quella previdenziale.
Ma, quando si ragiona sugli esiti della fase rimediale-giudiziale, si entra in un campo minato che non si presta a troppe generalizzazioni se non altro perché molto dipende dalla domanda delle parti, secondo le regole processuali ed il principio della domanda. Si prospettano, tuttavia, scenari in cui verrà in considerazione anche la disciplina particolare della prescrizione dei contributi in materia previdenziale correlata ai tempi della eventuale rivendicazione da parte del lavoratore e alla necessità o meno di chiamare in giudizio l’ente previdenziale. Tutto ciò peraltro, allo stato, non si intravede ancora, in quanto il contenzioso in materia è molto scarno, sicché anche la funzione rimediale della norma non ha ancora avuto modo di dispiegarsi pienamente nelle aule di giustizia.
Non è escluso, inoltre, che la funzione rimediale possa essere per così dire ridimensionata da domande di riconoscimento della subordinazione tout court di fronte alle quali il giudice non è vincolato dalle norme, ma dalla realtà del rapporto di lavoro emergente nel giudizio, secondo i principi della indisponibilità del tipo contrattuale sanciti dalle note sentenze della Corte Costituzionale .
In questo modo, dunque, il problema qualificatorio tornerebbe in auge con riferimento ad un aspetto di notevole rilevanza pratica, quale quello previdenziale.
Anche sul tema della disciplina previdenziale applicabile, pertanto, occorre attendere la giurisprudenza che è l’unica titolare della funzione rimediale.

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