TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Introduzione.
Il lavoro si trasforma, non è una categoria astratta dello spirito. Ogni epoca ha le sue logiche organizzative, i suoi specifici rapporti di produzione . Non sfugge a questo dinamismo, espressione dell’attrito con la storia che incessantemente ridefinisce l’esperienza giuridica, il lavoro mediante piattaforme il cui avvento, accompagnato da formule retoriche, in bilico tra la magniloquente etichetta della “economia collaborativa” e subdole forme di sfruttamento preindustriale, ha prodotto una certa sensazione di smarrimento, derivante dalla difficoltà di analizzare il complesso fenomeno della gig economy in termini universali e omogenei. Le istanze emergenti in ciascun ordinamento, oggi decisamente metabolizzate seppur all’interno delle differenti tradizioni giuridiche, hanno indotto soluzioni giurisprudenziali e normative caratterizzate da un minimo comun denominatore: stabilire condizioni di lavoro decenti all’interno di un settore che almeno inizialmente ha mal digerito le tradizionali categorie assiologiche e ha reso più vulnerabili i lavoratori.
I nuovi modelli digitali di produzione hanno senza dubbio creato plurime occasioni di lavoro, ma allo stesso tempo contribuito a ridestare il dibattito sui requisiti selettivi della disciplina del lavoro subordinato, riconfigurando la dialettica tra principî direttivi e tecniche di tutela . E “l’enigma qualificatorio” porta con sé l’immagine delle tutele .
L’individuazione dei nuovi caratteri costitutivi del tempo e del luogo della prestazione, del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro in contesti ormai dematerializzati, sfuggenti, rappresentano interrogativi costanti del dibattito dottrinale che non può più riposarsi sulla contemplazione del mondo di ieri.
E allora guardando avanti è opportuno uscire dalla logica manichea per cui i nuovi scenari digitali costituiscono moderne forme oppressive di alienazione del lavoro ovvero opportunità salvifiche per i lavoratori. Appare, invece, più utile interrogarsi sulla conformità delle scelte regolative che non possono prescindere da legittime esigenze di giustizia sociale, soprattutto se si considera che i tempi del diritto del lavoro non sono quelli delle rivoluzioni tecnologiche.
I processi digitali ripropongono, in modo radicale, una sfida non molto diversa da quella che quasi quotidianamente l’economia prescrive: come un moderno Le Penseur, il diritto del lavoro si trova a dover riflettere sulle categorie tradizionali, in particolar modo sul rapporto tra subordinazione e autonomia .
In fondo è sempre la stessa vecchia storia, riproposta in chiave contemporanea . Il diritto del lavoro è in grado di materializzare i nuovi lavoratori invisibili e di soddisfare dunque quell’ancestrale bisogno di protezione?

2. L’incerta presunción de laboralidad in Spagna.
In coerenza col titolo del contributo assegnatomi dal Professor Biasi, devo sùbito precisare che il tema della presunzione di subordinazione non è nuovo per la Spagna, tanto da essere considerato, quello spagnolo, un esempio, se non un archetipo.
Ancor prima dell’emanazione della cosiddetta Ley rider (Ley 12/2021), lo Estatuto de los trabajadores ha disseminato razionalmente al suo interno diverse ipotesi di presunzione di laboralid .
La presunzione spagnola è tutt’altro che appagante in termini di effettività delle tutele, di accesso al mondo delle garanzie. Invero, appare una forzatura anche la riconduzione all’interno dell’area delle presunzioni legali là dove si afferma che el contrato de trabajo (…) se presumirá existente entre todo el que presta un servicio por cuenta y dentro del ámbito de organización y dirección de otro y el que lo recibe a cambio de una retribución a aquél” .
Dunque, non si presume nulla ma si reitera il contenuto dello stesso concetto legale di lavoratore attraverso una tautologia: esiste un contratto di lavoro quando esiste il contratto di lavoro .
Pur tuttavia, tale incerta formulazione ha rappresentato la base per l’introduzione di una presunzione legale relativa per i repartidores, con un campo di applicazione decisamente limitato rispetto a quello previsto dalla proposta di direttiva (infra 3).
Ebbene, in questo caso la costruzione normativa appare ancor più ambigua, lasciando più di un dubbio sulla sua efficacia, soprattutto se si presenta come modello di riferimento per la futura direttiva. Orbene, affinché operi tale presunzione il lavoratore deve dimostrare l’esistenza di un potere di direzione, di organizzazione e di controllo, direttamente, indirettamente o implicitamente esercitato dalla piattaforma attraverso un algoritmo.
I requisiti sono più stringenti del semplice potere di disposizione della forza lavoro richiamato dalle norme statutarie , nel senso che al lavoratore della piattaforma è richiesto un enorme sforzo in termini probatori che affievolisce la funzione e le finalità della stessa presunzione . Certo, la possibilità di utilizzare elementi indiretti o addirittura impliciti rappresenta una coraggiosa apertura - trascurata, invece, dalla proposta di direttiva (infra 3.2) - verso la flessibilizzazione degli indici della subordinazione .
La previsione spagnola riflette un probabile vizio di origine: l’essere sul piano normativo la traslazione della sentenza del Tribunal Supremo del 25 settembre del 2020, n. 805 .

3. La proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nelle piattaforme digitali: l’esigenza di certezza.
La costruzione di un’Europa sempre più sociale ha trovato un solido ancoraggio nella proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro all’interno delle piattaforme digitali .
La Commissione europea si è trovata di fronte a tre incognite per armonizzare gli effetti della gig economy . In primo luogo, le incertezze normative e giurisprudenziali sulla qualificazione giuridica dei lavoratori delle piattaforme e il corretto riconoscimento dello statuto protettivo . In secondo luogo, la gestione algoritmica del rapporto di lavoro, che ha acuito l’esigenza di protezione dei dati personali . Infine, la natura transfrontaliera del lavoro e dei servizi offerti dalle piattaforme che possono favorire situazioni di inadeguata protezione sociale in ragione di un determinato assetto normativo più “leggero”.
La giurisprudenza degli Stati membri ha (di)mostrato come le differenti piattaforme digitali abbiano introdotto nuove forme di organizzazione che hanno sfidato, al di là delle differenti culture giuridiche, i tradizionali statuti protettivi.
Tant’è che a fronte di un’altissima percentuale di lavoratori assunti con contratto autonomo vi è stata una intensa risposta giurisprudenziale finalizzata a ricondurre entro lo schema del lavoro subordinato l’attività prestata dai riders che rappresentano, però, solo una parte dell’indistinguibile mondo delle piattaforme, online e offline.
Nuovi orizzonti sì, ma anche vecchi confini, dunque.
La futura direttiva ha l’obiettivo di normalizzare la situazione conflittuale creatasi all’interno dei differenti contesti giuridici, individuando un punto di equilibrio tra la nuova realtà economica e l’esigenza di giustizia dei lavoratori che non può essere rimessa integralmente ai diversi apprezzamenti, alle eterogenee sensibilità dei tribunali nazionali, al destino imperscrutabile.
Il tema della certezza giuridica nasce dalla empirica consapevolezza dei diversi approcci degli Stati membri, dall’elevato numero di procedimenti giudiziari che ostacola il mantenimento delle condizioni di parità e facilita la possibilità di adottare pratiche commerciali sleali nei confronti di altre imprese, nonché dalla necessità di stabilire norme in grado di promuovere “una convergenza verso l’alto dei risultati occupazionali e sociali in tutta l’Unione” .
Quel bisogno di certezza o tendenziale sicurezza giuridica affiora da ogni poro della proposta europea.

3.1. La presunzione di subordinazione eurounitaria.
Il processo di trasformazione in atto, ormai sedimentato nelle plurime esperienze giuridiche internazionali, ha imposto di riconsiderare anche le problematiche generali di inquadramento teorico in materia di subordinazione.
Ebbene, cosa ha da dire la proposta di direttiva sui concetti di subordinazione e autonomia ?
Tre sono sostanzialmente i grandi nuclei argomentativi:
1) Il c.d. primato dei fatti;
2) La presunzione di subordinazione;
3) L’inversione dell’onere della prova a carico delle piattaforme digitali.
Poco mossi gli altri bacini si potrebbe affermare con riguardo al primo principio, alla prevalenza della fase esecutiva sulla regolamentazione negoziale dichiarata nel contratto, anche se così scontata non appare la previsione all’interno delle multiformi esperienze comparate. Almeno nel nostro Paese, la concretezza del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento non possono infatti essere surrogate dall’autoqualificazione della relazione contrattuale .
Più problematici e innovativi gli altri due punti che, invero, possono essere congiuntamente esaminati nei limiti del presente contributo.
In primis, il campo di applicazione delle presunzioni viene ristretto alle sole piattaforme di lavoro digitali che esercitano un determinato standard di controllo sull’esecuzione del lavoro .
Per accertare l’esistenza di tale controllo e, di conseguenza, consentire alla presunzione di operare è sufficiente che si realizzino almeno due delle seguenti circostanze :
a) determinazione effettiva del livello della retribuzione o fissazione dei limiti massimi per tale livello;
b) obbligo, per la persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali, di rispettare regole vincolanti specifiche per quanto riguarda l’aspetto esteriore, il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l’esecuzione del lavoro;
c) supervisione dell’esecuzione del lavoro o verifica della qualità dei risultati del lavoro, anche con mezzi elettronici;
d) effettiva limitazione, anche mediante sanzioni, della libertà di organizzare il proprio lavoro, in particolare della facoltà di scegliere l’orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare incarichi o di ricorrere a subappaltatori o sostituti;
e) effettiva limitazione della possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori per terzi.
Nel definire più concretamente il suo campo di applicazione, la proposta di direttiva utilizza una formula ibrida, del resto già consolidata , che nasce dall’interazione tra il diritto interno e la Corte di giustizia. Senonché, la previsione di una sorta di ircocervo concettuale costituito dalla triade sussidiarietà, giurisprudenza europea e indici presuntivi, rischia di creare un corto circuito ermeneutico e di realizzare un sistema tutt’altro che certo. Si fa presumere qualcosa che è definito però dai singoli Stati membri.
Ad ogni modo, la scelta di utilizzare la presunzione legale supera, innanzitutto, le precedenti pronunce della stessa Corte di giustizia che in più di un’occasione l’ha considerata un ostacolo alla libertà di stabilimento degli operatori economici o alla libera prestazione dei servizi .
Tuttavia, i criteri previsti ut supra richiamano “solo in parte” quelli individuati dai giudici di Lussemburgo e si attagliano essenzialmente sul concetto di etero-organizzazione , sulla scorta delle sentenze emanate nei diversi ordinamenti europei e riprendendo a contrario l’ordinanza Yodel . In sostanza, gli indici riflettono un duplice controllo sulla prestazione , non solo quello tradizionale e diretto, ma anche indiretto che limita di fatto l’auto-organizzazione dei lavoratori, integrando così una sorta di “nozione “onnivora” di subordinazione” .
Non sembra destare stupore l’approccio finalizzato certamente ad assicurare un’applicazione omogenea all’interno dell’Unione di principî generali sovranazionali in un’ottica di armonizzazione coesiva , ma anche, e forse soprattutto, sul piano del merito, a dilatare il raggio d’azione della portata della nozione di lavoratore in una prospettiva rimediale . L’uso della presunzione legale tende(rebbe) proprio a rafforzare la nozione eurounitaria con l’obiettivo di valorizzare un concetto “comune e inclusivo” non più legato solo ai profili della libera circolazione, ma alla “sostanza effettiva del rapporto economico-sociale sottostante” .
Uno “slancio espansivo” che, seppur con qualche ambiguità , riflette nei contenuti l’evoluzione giurisprudenziale tendente a sovrapporre il concetto di subordinazione con quello di etero-organizzazione . E dal punto di vista definitorio, la proposta di direttiva accoglie la classica bipartizione tra subordinazione e autonomia non lasciando alcuno spazio per un tertium genus digitale .
La tecnica non è certo neutrale , così come l’organizzazione delle piattaforme non è neutrale. Sentenze e interventi legislativi rappresentano utili paradigmi per adattare il loro modello organizzativo , per esempio, rideclinando quegli elementi che hanno portato i giudici a concludere in termini di subordinazione all’interno di ciascun territorio nazionale. Si pensi semplicemente al passaggio dalla valutazione del sistema dei criteri di priorità c.d. SSB a quello definito di free login .
Certo, bisognerà far luce sull’algoritmo per accertare l’esistenza di eventuali sanzioni occulte, per esempio, come la difficoltà nell’accesso all’app a seguito di alcuni rifiuti da parte dello stesso rider.

3.2. La possibilità di confutare la presunzione.
La fenomenologia complessa e articolata delle presunzioni legali non consente di approfondire, in questa sede, i pur importanti, benché controversi, elementi di discussione emersi nella dottrina non solo processualistica .
A una tecnica organizzativa delle piattaforme non neutrale, la Commissione risponde con la tecnica della presunzione, anch’essa partigiana , che si muove sul piano della tutela di uno dei contraenti, la parte più del debole del rapporto, riverberandosi inevitabilmente sul terreno sostanziale. Una volta agevolato l’adempimento degli oneri probatori attraverso la semplificazione della fattispecie si accrescono, infatti, i margini di effettività della tutela del lavoratore.
Ora, le presunzioni relative, attraverso la manipolazione degli oneri probatori (art. 2697 c.c.) , sono finalizzate ad agevolare la posizione processuale di una delle parti, orientando ex ante la decisione del giudice a favore della soluzione considerata preferibile dalla legge che privilegia così una certa verità, secondo regole di esperienza, nel momento in cui considera esistenti determinati elementi di fatto a cui ricollega specifici effetti giuridici .
Sulla piattaforma incombe, pertanto, l’obbligo di dimostrare il reale svolgimento dei fatti; dovrà in sostanza comprovare che la fattispecie concreta non corrisponda allo schema tipico invocato dal ricorrente.
Senonché, la previsione così come attualmente formulata sembra piuttosto timorosa.
Qui non importa tanto domandarsi se è giustificato l’alleggerimento della posizione probatoria del lavoratore, aggravando quella delle piattaforme. Si tratta di una scelta di politica legislativa basata essenzialmente sulla mera difficoltà processuale che possono incontrare tali lavoratori alla luce del continuo mutamento di strategia organizzativa. Così come non è impensabile che le stesse piattaforme torceranno, come già avvenuto di recente, la loro organizzazione in funzione degli indici eurounitari.
Accanto alla dimensione politica, qual è invece la rilevanza giuridica di tale previsione?
Il lavoratore può limitarsi alla mera allegazione del fatto posto a fondamento della propria pretesa?
Invero, la risposta appare negativa. La previsione di una presunzione condizionata esprime certamente il desiderio di alleggerire il lavoratore ma non lo esime dal provare, comunque, il fatto principale (non il fatto presunto ovviamente) già individuato dal legislatore.
La presunzione eurounitaria si inquadrerebbe allora quale “costellazione di indizi” tendente alla semplificazione analitica della fattispecie, alla sintesi astratta degli elementi ritenuti necessari per la produzione di un determinato effetto . Ma è pur sempre un momento di apparenza e verosimiglianza del fatto ; sarà comunque necessario verificare se il caso particolare corrisponda allo schema tipico. In tal senso, l’inferenza dell’esistenza del fatto che fa presumere il controllo sull’esecuzione della prestazione e, dunque, la subordinazione, dovrebbe derivare dalla effettiva prova di almeno due dei criteri individuati nella proposta di direttiva, il che farebbe presumere, appunto, la sussistenza anche delle altre circostanze che compongono la costellazione .
Sul piano della teoria generale, nell’àmbito della presunzione iuris tantum in mancanza di prova contraria il giudice considererà provato il fatto presunto.
Cosa dovrebbe allora provare la piattaforma per superare la presunzione relativa ?
Per eliminare la situazione di apparenza deve fornire elementi di prova diretti o anche indiretti?
Provare un fatto negativo non è operazione semplice , specie quando alcuni indicatori eurounitari sono perfettamente compatibili con la natura autonoma del rapporto di lavoro. Da questo punto di vista, la bilancia apparirebbe troppo sbilanciata. Se l’obiettivo è di attenuare l’incertezza sulla situazione di fatto e di eliminare forme di misclassification, il confine tra gioco delle presunzioni e predeterminazione della soccombenza può essere molto sottile.
E, pertanto, se è in gioco la verità (quella processuale) non mi sembra si possa ravvisare una restrizione legale dei temi di prova per confutare la presunzione. Anche sul piano teorico, la presunzione relativa non modificando l’oggetto della prova ma invertendone solo l’onere dovrebbe sempre consentire alla piattaforma di provare l’inesistenza del fatto attraverso qualunque strumento. Tale prova contraria potrà vertere, dunque, sul fatto opposto a quello presunto ovvero su fatti incompatibili con l’esistenza del fatto presunto.
In tal senso, non v’è dubbio che la piattaforma potrà, per esempio, dedurre la radicale assenza degli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato ovvero della collaborazione etero-organizzata; dimostrare l’assenza di qualsiasi ingerenza del committente nell’individuazione delle modalità esecutive della prestazione, l’estraneità dell’attività del collaboratore rispetto all’organizzazione nella quale si inserisce, il mero coordinamento tra le parti. Così come la verifica della qualità dei risultati di lavoro risulterà irrilevante ai fini della presunzione se collegata all’uso di recensioni o valutazioni da parte dei destinatari del servizio.
Il corto circuito interpretativo diventa palese allorché ci si imbatte nel delicato tema della libertà del lavoratore di scegliere se e quando eseguire la prestazione di lavoro ritenuta dagli estensori della proposta di direttiva caratteristica del vero lavoro autonomo . Una questione sicuramente urticante che ha visto la recente giurisprudenza italiana depotenziare il concetto di libertà , al più inquadrandolo nella categoria della etero-organizzazione . E gli stessi ambigui riflessi possono scorgersi nella giurisprudenza della Corte di giustizia, ai fini della qualificazione del contratto, tra irrilevanza dell’obbligo di accettare un incarico e valorizzazione, invece, della dimensione negoziale in grado di escludere la subordinazione .
Da questo rapido sguardo, mi sembra di ipotizzare che la scelta della presunzione, almeno come così attualmente formulata, seppur all’interno di una profonda differenza strutturale , soffra degli stessi vizi di origine di quella spagnola e difficilmente restituirà quella certezza tanto agognata .

4. Alcune brevi osservazioni conclusive.
L’enorme contenzioso ha suggerito alla Commissione di agevolare il percorso dei lavoratori in vista di una corretta (ri)qualificazione del rapporto , in relazione alle istanze del sindacato sovranazionale , nonché sulla scorta delle sentenze nazionali prevalentemente orientate a illuminare un “concetto antico” .
Tuttavia, non è sufficiente pronunciare la frase fiat lux per generare la luce.
La presunzione diventa uno strumento al servizio della forza espansiva del diritto del lavoro, almeno nella logica della perfetta simmetria tra la fattispecie subordinazione e il social tipo del lavoratore protetto.
La necessità di ricorrere a tale tecnica normativa rappresenta un chiaro indice del grado di maturità raggiunto dal sistema di tutele. Un sistema debole oscillante tra iperprotetti e sottoprotetti rischia di non risolvere, almeno nel breve periodo, la fase di incertezza applicativa se ci si limita a incidere sulla qualificazione giudiziale dei rapporti di lavoro.
Anche blindandola di fronte a possibili interpretazioni distorsive, lo strumento della presunzione non delinea una risposta adeguata rispetto al fenomeno in questione.
Il problema è allora metodologico .
Il tentativo di fuga dal diritto del lavoro , muoversi dentro e fuori la subordinazione , andare oltre sono tutte espressioni emblematiche di una insofferenza epistemologica, di un “disagio teorico” rispetto alle tradizionali impostazioni concettuali.
La pulsione del sistema economico alla deregolamentazione non nasce certo con la gig economy. Ogni epoca ha avuto la sua specifica economy.
A fronte del motus velocior assunto dal tema de qua è allora necessario afferrare Proteo , dio multiforme, sfuggente, inafferrabile, cangiante. Afferrarlo non è semplice. Il suo continuo mutamento serve a eludere la presa, ma riuscirci significa cogliere l’inquietudine della metamorfosi. E la previsione di una presunzione di subordinazione sembrerebbe proprio alludere a tale complesso tentativo di rispondere non più a un’anacronistica invisibilità del mercato, bensì alla visibilità del suo polimorfismo. Ed è in ciò che risiede il nucleo fondamentale dell’economia delle piattaforme. Bisogna afferrarlo per impedire, o almeno tentare di intercettare, il divenire delle sue trasformazioni.
Afferrare Proteo, il suo volto cangiante, per cogliere, nei profili innovativi del lavoro tradizionale e, dunque, nella continua mutazione della nostra materia, uno sguardo di giustizia sociale. Afferrarlo significa non rendere obsoleto l’attuale armamentario di norme e principî, il codice protettivo messo a garanzia del lavoro subordinato .
Senonché, la subordinazione ha esteso così tanto il suo raggio di azione, la sua vis espansiva, da connotare l’intero universo lavoristico, convertendosi “nel termine di una classe universale” e “respingendo l’altro termine fuori dell’universo” .
In tal senso, non si tratta certo di dichiarare “l’echec” della capacità di tenuta del sistema normativo e concettuale della subordinazione , ma – come è stato ben còlto – di individuare “ciò che è rimasto escluso dal perimetro delle tutele e che oggi, nelle nuove forme in cui si manifesta, reclama la sua appartenenza al continuum che dalla subordinazione porta all’autonomia, e chiede riconoscimento da parte del diritto del lavoro” .
Un attraversamento della subordinazione sì, ma pur sempre in chiave garantistica.
La subordinazione si sostanzia in un complesso di proprietà che stanno in relazione. Queste proprietà congiunte rendono visibile l’unità. La subordinazione è in sé indicibile , non determinabile nella sua singolarità, solo indicabile.
Non che la subordinazione sia un mistero. Per essere percepita, deve essere vista sullo sfondo del tutto, in rapporto ad altro, attraverso una valutazione globale, complessiva, circostanziale del rapporto in cui si svolge. Tuttavia, ogni esperienza del visibile spinge più lontano, dunque al di là della accennata dicotomia, “così lontano che gli opposti, non essendo più in competizione, sono in quiete l’uno con l’altro, coestensivi l’uno all’altro” .
Bisognerebbe allora non sottovalutare quel riferimento ai “diritti minimi” oltre la subordinazione , e soprattutto alla corretta determinazione della situazione occupazionale che non significa necessariamente riconoscere sic et simpliciter un rapporto di lavoro subordinato hasta la muerte.

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