testo integrale con note e bibliografia

orientamento generale del consiglio

proposta di direttiva della commissione ue

relazione del parlamento ue


1. Problemi comuni alle direttive sociali che attuano il Social Pillar. La proposta di Direttiva della Commissione (2021/762 final) sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali (da ora: la proposta) completa e specifica, sul piano delle tutele nel rapporto di lavoro e dell’attuazione dei diritti sociali a livello europeo, la Direttiva sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili 2019/1152 . Essa si colloca in una stagione caratterizzata dall’intendimento della Commissione di attuare i principi del Social Pillar (da ora S.P.) proclamato a Göteborg nel 2017. Intendimento concretizzato dal Piano d’azione varato dalla Commissione nel marzo 2021, all’indomani della crisi provocata dalla pandemia in un contesto economico europeo caratterizzato dall’evoluzione dei mercati del lavoro, dai cambiamenti climatici e dalle sfide della digitalizzazione, della globalizzazione e delle tendenze demografiche. Intendimento confermato dalla Dichiarazione di Porto nel 2021 con la quale i leader dell'UE hanno ribadito il loro impegno ad adoperarsi ad attuare tre obiettivi per un’Europa più sociale da raggiungere entro il 2030: 78% della popolazione che dovrebbe 8avere un lavoro; 60% di adulti che dovrebbero partecipare ogni anno a un corso di formazione; 15 milioni in meno di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale. La proposta, ancora all’esame dei triloghi, non sembra agevolata dalle spinte centrifughe di alcuni Stati Membri (da ora S.M.) ai quali è demandata, in via prioritaria, l’attuazione del S.P.. Gli S.M. in sede di Consiglio, e per molti ambiti le parti sociali, hanno competenze concorrenti o addirittura esclusive in settori quali le politiche per l'occupazione e l'inclusione sociale. Ciò significa che i governi nazionali decidono in modo esclusivo in merito a questioni quali la regolamentazione salariale, i sistemi pensionistici e l'età pensionabile, le prestazioni di disoccupazione. Essi, inoltre, forniscono la maggior parte dei finanziamenti nei settori interessati dal Pilastro Sociale e per questo sono particolarmente attenti a cedere alla Commissione quote di potere normativo negli ambiti considerati. L'UE dal canto suo sostiene gli Stati membri con normative, fondi e strumenti volti a coordinare meglio le politiche nazionali, promuovere l'occupazione, migliorare le condizioni di vita e di lavoro, fornire una protezione sociale adeguata a combattere l'esclusione sociale.
Nell’ambito della promozione di migliori condizioni di lavoro è stata approvata la Direttiva 1152/2019 che – anticipando diritti e tutele per i lavoratori che lavorano su piattaforma digitale (v. infra) –attua i principi nn. 5 e 7 del S.P. sull’occupazione flessibile e sicura e sulla trasparenza delle condizioni di lavoro; la Direttiva 2019/1158 relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza la quale attua i principi nn. 2 e 9 del S.P. e promuove la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e l'equa ripartizione delle responsabilità di assistenza tra uomini e donne; la Direttiva 2022/2041 sul salario minimo adeguato che attua i principi nn. 6 e 8 del S.P.; infine la Direttiva 2023/970 volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. Anche questa Direttiva, fondata sulla trasparenza retributiva, afferma principi del S.P. quali la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini e il diritto alla parità di retribuzione per un lavoro di pari valore. Per tutte queste iniziative, ad eccezione della Direttiva sulla parità retributiva uomo donna adottata in base all’art. 157 TFUE, la Commissione ha consultato le parti sociali in due fasi, conformemente all'articolo 154 TFUE registrando il mancato accordo sull'avvio di negoziati su tali questioni. In queste materie, nel rispetto degli impegni assunti nel Piano d’azione, la Commissione ha quindi ritenuto di intervenire a livello di Unione per migliorare, nel rispetto del principio di sussidiarietà e tenendo conto dei risultati della consultazione delle parti sociali, le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini dell’UE testimoniando, nel contempo, lo sforzo di trovare un equilibrio tra un unico mercato interno e 27 sistemi differenti per attuarlo.

2. Il contesto. La proposta si colloca a valle di una serie d’iniziative volte a migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori della gig economy. Nel mese di giugno 2016, la Commissione adotta l’Agenda europea per l’economia collaborativa nella quale chiarisce il concetto di lavoro su piattaforma e fornisce indicazioni sullo stato occupazionale dei lavoratori che vi lavorano .
Nel mese di giugno 2020 la Commissione vara un’iniziativa volta a garantire che il diritto dell’Ue in materia di concorrenza non ostacoli il miglioramento delle condizioni di lavoro attraverso la stipulazione di contratti collettivi per i lavoratori autonomi che ne hanno bisogno . L'iniziativa mira a definire il campo di applicazione del diritto della concorrenza dell'UE, in modo da non impedire un miglioramento delle condizioni di lavoro attraverso la contrattazione collettiva, in determinate circostanze, per i lavoratori autonomi . L’art. 101, par. 1, del TFUE vieta gli accordi tra imprese che restringono la concorrenza. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la contrattazione collettiva tra lavoratori e datori di lavoro esula dall’ambito di applicazione del diritto della concorrenza: invece i lavoratori autonomi sono considerati imprese a norma del diritto dell’Unione e un accordo tra loro rischia di violare l’art. 101 del Trattato . Più in generale si osserva una netta tendenza dell’ordinamento europeo a includere una parte del lavoro autonomo nel campo di operatività della contrattazione collettiva esentandolo dal divieto di coalizione imposto alle imprese, cui sono assimilati i lavoratori autonomi. Garantire l’accesso alla contrattazione collettiva e ai diritti collettivi anche ai lavoratori autonomi in una posizione di sostanziale dipendenza economica, come i lavoratori delle piattaforme, garantisce che anche detti lavoratori possano costituirsi in sindacati e accedere alla contrattazione collettiva per assicurarsi un migliore equilibrio di potere nella contrattazione e un mercato interno più equo rispetto a un mercato perfettamente concorrenziale (v. infra § 6.1).
2.1. L’accelerazione della digitalizzazione e lo sviluppo del lavoro da remoto a causa della pandemia hanno indotto le parti sociali europee a firmare a giugno 2020 un accordo quadro autonomo su questa materia, che comprende una sezione sulle modalità di connessione e disconnessione . Il 21 gennaio 2021 il Parlamento europeo ha adottato invece una risoluzione sul diritto alla disconnessione che impegna la Commissione a presentare una proposta di Direttiva sulle condizioni minime per garantire che i lavoratori possano esercitare il loro diritto alla disconnessione senza che per questo debbano subire svantaggi: e intervenire su una materia assai frammentata nei diversi S.M. S’inserisce in questo contesto l’iniziativa legislativa attualmente in itinere sui servizi digitali, quella sui mercati digitali e la proposta di regolamento del Parlamento europeo sull’intelligenza artificiale .
Va segnalata – anche se anteriore alla pandemia – la Raccomandazione del Consiglio dell’8 novembre 2019 sull’accesso alla protezione sociale , in cui si raccomanda agli S.M. di garantire una copertura effettiva non solo a tutti i lavoratori subordinati, prescindendosi dal tipo di rapporto, ma anche ai lavoratori autonomi e ai lavoratori delle piattaforme digitali avendo cura di garantire anche a costoro l’accesso alla protezione sociale preservando nel contempo la sostenibilità del sistema e attuando misure di salvaguardia che permettano di evitare gli abusi .

3. La questione dello status occupazionale. Nel 2021 la proposta della Commissione , inserendosi in questo contesto, fa un passo ulteriore. Essa mira a: garantire la corretta qualificazione del rapporto di lavoro e l’accesso alle tutele in materia di lavoro e protezione sociale; promuovere l’equità, la trasparenza e la responsabilità nella gestione algoritmica; accrescere la trasparenza, la tracciabilità e migliorare l'applicazione delle norme per tutte le persone che lavorano mediante piattaforme digitali, comprese quelle che operano a livello transfrontaliero. La proposta intende stabilire prescrizioni minime da osservare per tutte le persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali nell’Unione e che, sulla base di una valutazione dei fatti, si può ritenere abbiano un contratto o un rapporto di lavoro secondo la normativa degli S.M.
Il problema principale del lavoro tramite piattaforma digitale riguarda lo status occupazionale, elemento determinante per accedere ai diritti e alle tutele di cui godono i lavoratori secondo la legislazione vigente nell’Unione: problema assai spinoso considerata la difficoltà di elaborare una nozione eurounitaria di lavoratore senza violare il principio di sussidiarietà e proporzionalità . Con un certo coraggio, nella prima fase della consultazione la Commissione propone di valutare l’opportunità d’introdurre un “third status” . In questa fase della consultazione, una nuova tipologia contrattuale sembrava necessaria per superare il sistema binario reputato insufficiente a rappresentare un’area del diritto del lavoro che mal s’inserisce nella bipartizione tradizionale autonomia/subordinazione: la soluzione normativa avrebbe consentito anche di superare il limite del rispetto delle legislazioni nazionali. Già nel 2016 nell’Agenda europea per l’economia collaborativa cit., la Commissione invitava gli S.M. a valutare l'adeguatezza delle proprie norme nazionali sul lavoro tenendo conto delle diverse esigenze dei lavoratori subordinati e autonomi nel mondo digitale e del carattere innovativo dei modelli imprenditoriali collaborativi; e a fornire orientamenti sull'applicabilità delle norme nazionali sul lavoro alla luce dei modelli di lavoro nell'economia collaborativa .
I sindacati (CES) si sono opposti al tertium genus limitandosi a ribadire la necessità di un dialogo sociale su questa materia. Anche il Parlamento europeo si è dichiarato contrario al tertium genus: l’idea è stata dunque abbandonata in favore della soluzione interpretativa affidata alla giurisprudenza della Corte di giustizia per quel che riguarda la nozione di lavoratore e alle legislazioni degli S.M. per l’applicazione degli indici presuntivi della subordinazione (v. infra § 4.2). La proposta intende promuovere la certezza del diritto sulla qualificazione del rapporto di lavoro: e introduce disposizioni specifiche relative all’uso di sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati nel contesto della gestione algoritmica per tutte le persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali nell’Unione, anche a quelle che non hanno un contratto o un rapporto di lavoro (art. 1, par. 2; art. 10) .
L’art. 2 della proposta considera “lavoro tramite piattaforme digitali” qualsiasi
lavoro organizzato tramite una piattaforma di lavoro digitale svolto nell’Unione da persone fisiche sulla base di un rapporto contrattuale tra la piattaforma di lavoro digitale e la persona fisica, indipendentemente da fatto che esista o no un rapporto contrattuale tra la persona e il destinatario del servizio. Invece definisce lavoratore delle piattaforme digitali,
utilizzando una formula di compromesso comune alle direttive in materia sociale che attuano il Social Pillar,
qualsiasi persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali e ha un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore negli Stati Membri tenuto conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia (v. infra § 4.1.).
Grazie alle nuove regole, la valutazione d’impatto prevede una riclassificazione da 1,72 a 4,1 milioni di lavoratori autonomi come lavoratori subordinati (circa 2,35 milioni in loco e 1,75 milioni on line considerando le stime più elevate). Fino a 3,8 milioni di lavoratori conseguirebbero invece la conferma del loro status occupazionale. Le azioni volte ad affrontare il rischio di misclassification potrebbero comportare un aumento dei costi per le piattaforme digitali fino a 4,5 miliardi di euro annui che verranno inevitabilmente trasferiti sui consumatori. Non è stato possibile calcolare l’incidenza delle nuove regole sulla perdita di posti di lavoro. Tuttavia si riconosce che per alcuni lavoratori la cui retribuzione è attualmente superiore al salario minimo, la riclassificazione potrebbe portare a salari più bassi, in quanto alcune piattaforme di lavoro digitali potrebbero compensare i maggiori costi previdenziali riducendo i salari (v. infra § 6 il caso Just Eat).

4. - … e della misclassification. Scopo della proposta di Direttiva è la regolamentazione minima del lavoro su piattaforma sia on location (on site) sia on line. Essa si applica sia ai rider sia ai freelance che usano la piattaforma non come mero intermediario ma avvalendosi della organizzazione algoritmica del lavoro. Sovente i lavoratori tramite piattaforma sono ingaggiati come lavoratori autonomi senza, tuttavia, beneficiare dell’autonomia tipica di questo status occupazionale. Raramente le piattaforme di lavoro digitali offrono contratti di lavoro subordinato ai propri collaboratori. Ciononostante molti lavoratori hanno ottenuto il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro in diversi S.M. grazie alle sentenze delle corti nazionali o a specifici interventi normativi .
Nella perdurante mancanza di una definizione eurounitaria di lavoratore la norma dell’art. 3 par. 1 della proposta chiarisce che la corretta determinazione della situazione occupazionale delle persone che lavorano tramite piattaforma digitale dovrebbe avvenire applicando sia il diritto nazionale sia la giurisprudenza della Corte di giustizia al fine di garantire i diritti sanciti dall’Unione per i lavoratori.
Il par. 2 dello stesso articolo chiarisce che la determinazione dell’esistenza di un rapporto di lavoro dovrebbe basarsi sul principio del primato dei fatti, ossia dovrebbe basarsi sulla effettiva esecuzione del lavoro tenuto conto dell’uso degli algoritmi: invece non dovrebbe tenere conto della qualificazione del rapporto di lavoro data dalle parti (c.d. nomen juris). La norma pone, dunque, al centro del problema qualificatorio due aspetti: le modalità di esecuzione della prestazione attraverso la piattaforma digitale e l’uso di algoritmi nell’organizzazione del lavoro. Una volta accertata l’esistenza del rapporto di lavoro, la parte che assume la qualificazione di datore di lavoro è identificata in relazione agli ordinamenti giuridici nazionali (v. infra § 4.2). La proposta fa un passo in avanti rispetto alla Direttiva 2019/1152. Per contrastare i rapporti di lavoro mascherati, per usare il linguaggio dell’OIL (raccomandazione 198/2006), e per facilitare la prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato la proposta introduce una presunzione juris tantum di subordinazione (art. 4) fondata su 5 indici che valorizzano sia gli elementi di supervisione e controllo dell’algoritmo, sia l’integrazione del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa mostrando di seguire, per questo aspetto, una visione organizzativa della subordinazione . La presunzione, valida fintanto che la piattaforma digitale non fornisca la prova della autonomia del rapporto, identifica il datore di lavoro nella piattaforma chiamata ad adempiere a tutti gli obblighi nascenti dal rapporto. I procedimenti sia giudiziali sia amministrativi che consentono di confutare la presunzione, non hanno un effetto sospensivo dell’applicazione della presunzione legale (art. 5).

4.1. - Il primato dei fatti e la nozione di lavoratore nel diritto dell’UE. Il principio del primato dei fatti per la determinazione dell’esistenza di un rapporto di lavoro dovrebbe basarsi sull’esecuzione della prestazione, compresa la retribuzione secondo quanto sancito dalla raccomandazione OIL n. 198/2006. Il primato dei fatti è particolarmente pertinente nel caso della qualificazione del rapporto di lavoro mediante piattaforme digitali qualora le condizioni di lavoro, compresa la remunerazione, siano decise in modo unilaterale dalla piattaforma tenuto conto della normativa, dei contratti collettivi o delle prassi in vigore negli S.M. e della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE). Il diritto dell'UE che garantisce diritti ai lavoratori si applica soltanto a coloro che si trovano in un rapporto di lavoro e che sono quindi considerati "lavoratori". Sebbene competa agli Stati membri dell'UE decidere chi debba essere considerato un lavoratore nel proprio ordinamento giuridico nazionale, a livello dell'Unione la CGUE ha definito la nozione di lavoratore ai fini dell'applicazione del diritto dell'UE. Questa definizione è stata sviluppata principalmente nell'ambito della libera circolazione dei lavoratori. La CGUE ha statuito che "la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione". La CGUE ha in particolare confermato che tale definizione è utilizzata anche per stabilire chi debba essere considerato lavoratore nell'applicazione di determinate direttive dell'UE in ambito sociale.
Dalla giurisprudenza emerge una svalutazione dell’elemento cardine dell’assoggettamento a eterodirezione secondo il metodo definito sussuntivo o per identità, in favore di indici presuntivi della subordinazione analoghi a quelli utilizzati nel metodo tipologico o per approssimazione . La nozione di «lavoratore», secondo il diritto dell’Unione, dev’essere definita in base a criteri oggettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi degli interessati. Le sentenze richiamate nel 20mo considerando della proposta, tuttavia, non aiutano a risolvere tutti i problemi di qualificazione del rapporto di lavoro perché, dal punto di vista del metodo, alcune di esse riguardano l’applicazione di norme o direttive che non rinviano all’ordinamento nazionale la nozione di lavoratore come nel caso della libertà di circolazione o dell’orario di lavoro o dei licenziamenti collettivi : altre puntano a sottolineare il valore qualificatorio della mancanza della obbligazione a svolgere la prestazione ; altre ancora mirano a estendere l’ambito della negoziazione collettiva oltre i confini del lavoro subordinato per comprenderne anche i finti lavoratori autonomi o i lavoratori privi di un formale contratto di lavoro secondo il diritto nazionale . Non è chiaro come verrà trasposta la nozione di lavoratore tramite piattaforma digitale nei singoli stati membri e quali implicazioni avrà la trasposizione sulla giurisprudenza della Corte di giustizia.
4.2. - La presunzione relativa di subordinazione: il controllo sulla esecuzione della prestazione. L’art. 4 della proposta di Direttiva introduce una presunzione legale di subordinazione. I criteri per facilitare la prova della subordinazione sono tratti dalla giurisprudenza dell’Unione e nazionale. Nel lavoro digitale la piattaforma può esercitare un penetrante e continuativo controllo sulla prestazione (anche se la stessa non sia assoggettata a un vincolo di orario); può stabilire le condizioni di lavoro o la retribuzione; può impartire istruzioni sulle modalità di esecuzione del lavoro o può impedire alla persona che lavora mediante la piattaforma, di sviluppare contatti con potenziali clienti. Per l’efficacia della presunzione occorrono almeno due su cinque indicatori. Dalla operatività della presunzione deriva il riconoscimento della condizione di "lavoratore subordinato" e il diritto alle tutele minime previste nella Direttiva: un salario minimo adeguato, riposi, ferie, tutela della salute, migliore accesso alla protezione contro gli infortuni sul lavoro, alle prestazioni di disoccupazione e di malattia, nonché a un sistema di sicurezza sociale. Le piattaforme hanno il diritto di contestare o "confutare" questa classificazione, e l'onere di dimostrare che non esiste un rapporto di lavoro a loro carico. Secondo la valutazione d’impatto i criteri proposti dalla Commissione consentiranno alle piattaforme di beneficiare di una maggiore certezza del diritto e una riduzione dei costi delle controversie e faciliteranno la pianificazione aziendale. Ma su punto vi sono pareri contrastanti .
Gli indici presuntivi indicati dall’art. 4 sono:
a) determinazione effettiva del livello della retribuzione o fissazione dei limiti massimi per tale livello;
b) obbligo, per la persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali, di rispettare regole vincolanti specifiche per quanto riguarda l'aspetto esteriore, il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l'esecuzione del lavoro;
c) supervisione dell'esecuzione del lavoro o verifica della qualità dei risultati del lavoro, anche con mezzi elettronici;
d) effettiva limitazione, anche mediante sanzioni, della libertà di organizzare il proprio lavoro, in particolare della facoltà di scegliere l'orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare incarichi o di ricorrere a subappaltatori o sostituti;
e) effettiva limitazione della possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori per terzi.
Come è stato osservato, si tratta di indici che rimandano a una nozione di subordinazione “ampia ed elastica più di quanto ricavabile dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e dai singoli ordinamenti nazionali” che rimanda alla nozione di etero organizzazione introdotta nel nostro Paese dall’art. 2 co.1 d.lgs. n. 81/2015 estesa anche alle collaborazioni organizzate dal committente anche mediante piattaforme digitali .
Alla dichiarazione giudiziale o amministrativa della natura subordinata del rapporto di lavoro, consegue la qualificazione come datore di lavoro della piattaforma digitale e l’applicazione di tutti gli obblighi legali e contrattuali anche previdenziali e fiscali collegati a codesta posizione secondo il diritto nazionale. Tali criteri sono in parte ispirati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia sopra richiamati e in parte da alcune legislazioni nazionali (soprattutto quella spagnola ). Rispetto agli indici elaborati dalla Corte di Giustizia nelle sentenze richiamate nella proposta, utili a far presumere la subordinazione, quelli elaborati dalla Commissione sembrano tuttavia più ampi e inclusivi. Si tratta secondo un Autore, di un insieme di indici o “forse di valutazioni sintetiche di natura equitativa, seguiti in moltissimi S.M. e indicati dalla dottrina come tratti significativi della subordinazione, soprattutto in questa fase di transizione e quindi di incerta classificazione rispetto al secco elemento dell’etero direzione della prestazione collegata a orari e luoghi stabiliti dal datore di lavoro” .
4.3. Inversione dell’onere della prova. La presunzione non ha efficacia retroattiva. Per tutti i rapporti di lavoro già sorti o in corso di esecuzione prima della entrata in vigore, si applicano le regole del diritto nazionale e il diritto dell’Unione anteriori alla Direttiva. Grava sulla piattaforma l’onere di dimostrare che il controllo su un determinato aspetto della prestazione non configuri l’assoggettamento richiesto dalla Corte di giustizia o dal diritto nazionale ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato . È dunque possibile ipotizzare che un lavoratore il quale indossi una divisa e si assoggetti al controllo sulla qualità dei risultati del lavoro anche con mezzi elettronici, sia riconosciuto come lavoratore autonomo genuino a seguito della prova dell’assenza di un obbligo di prestazione pur sussistendo il requisito della continuità. L’inversione dell’onere della prova è giustificata dal possesso in capo alle piattaforme digitali di tutti gli elementi fattuali del rapporto di lavoro: in particolare degli algoritmi attraverso i quali le piattaforme gestiscono la prestazione. Per tale ragione la proposta di Direttiva riconosce un onere di assistenza al lavoratore da parte della piattaforma nel caso in cui la persona voglia confutare la presunzione legale ritenendo di essere un lavoratore autonomo genuino; e un onere di rendere accessibili le suddette informazioni all’autorità giudiziaria o amministrativa competente, che possono ordinare alle piattaforme di esibire qualsiasi prova necessaria per far operare la presunzione, comprese le informazioni riservate, fatte salve le misure per proteggere dette informazioni (considerando 46 e art. 16).Gli S.M. dovrebbero fornire orientamenti per le procedure necessarie a confutare la presunzione.
4.4. Connessioni con la Direttiva 1152/2019. In relazione alla presunzione relativa di subordinazione, la proposta di Direttiva si avvicina a quanto già disposto dalla Direttiva sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili adottata, è bene ribadirlo, per l’attuazione dei principi n. 5 (Occupazione flessibile e sicura, che promuove la transizione a forma di lavoro a tempo indeterminato) e n. 7 (Informazioni sulle condizioni di lavoro e sulla protezione sociale in caso di licenziamento, che promuove il diritto alle informazioni scritte dei diritti e degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro) del Social Pillar. Nella Direttiva 1152 il legislatore eurounitario prevede (art. 15) la possibilità d’introdurre una presunzione relativa di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, laddove le pertinenti informazioni sul rapporto di lavoro da essa introdotte siano mancanti o non siano state fornite nei tempi stabiliti. In alternativa è possibile che il lavoratore faccia ricorso alle autorità competenti (procedura scelta dal legislatore italiano con l’art. 12 del d.lgs. n. 104/2022 nel caso di omissione delle informazioni). La Direttiva 1152 estende il diritto di informazione e trasparenza sulle condizioni di lavoro ai lavoratori domestici, ai lavoratori a chiamata, ai lavoratori intermittenti, ai lavoratori a voucher, ai lavoratori tramite piattaforma digitale, ai tirocinanti e gli apprendisti, ai lavoratori finti autonomi a condizione che soddisfino i criteri che la Corte di giustizia e la legislazione nazionale hanno stabilito per determinare la condizione di lavoratore e purché abbiano un orario di lavoro superiore alle 12 ore mensili. La Direttiva 1152 introduce diritti particolarmente importanti per i lavoratori non standard, tra i quali il diritto alla trasparenza retributiva e all’informazione sui periodi di prova, lavoro in parallelo, prevedibilità minima del lavoro per i contratti a chiamata, transizione a un’altra forma di lavoro. Dette regole minime anticipano i diritti riconosciuti dalla proposta di Direttiva anche per i lavoratori su piattaforma digitale: per questi ultimi sono previsti obblighi di trasparenza in relazione ai sistemi decisionali di monitoraggio automatizzati per monitorare, supervisionare o valutare l’esecuzione del lavoro con mezzi elettronici. Oppure per prendere o sostenere decisioni che incidano significativamente sulle condizioni di lavoro, come l’assegnazione d’incarichi, i guadagni, la salute e sicurezza (artt. 6-10 della proposta).
5. - Lavoratori autonomi genuini. I criteri elaborati dalla giurisprudenza aiutano a comprendere anche chi sono, a contrario, i veri lavoratori autonomi. Costoro, secondo la proposta, sono responsabili in prima persona, nei confronti dei loro clienti, del modo in cui svolgono il proprio lavoro e della qualità della propria produzione. Connota il vero lavoro autonomo anche la libertà di scegliere l'orario di lavoro o i periodi di assenza, di rifiutare incarichi, di ricorrere a subappaltatori o sostituti o di lavorare per terzi. La limitazione di fatto di tali facoltà tramite una serie di condizioni o un sistema di sanzioni dovrebbe essere considerata un elemento di controllo dell'esecuzione del lavoro che fa scattare la presunzione di subordinazione. Anche la supervisione attenta dell'esecuzione del lavoro o la verifica scrupolosa della qualità dei risultati del lavoro, tra l'altro con mezzi elettronici, quando non consiste semplicemente nell'uso di recensioni o valutazioni da parte dei destinatari del servizio, dovrebbe essere considerata un elemento di controllo dell'esecuzione del lavoro. Le misure o le regole imposte dalla legge o necessarie per salvaguardare la salute e la sicurezza dei destinatari del servizio non dovrebbero essere intese come volte a controllare l'esecuzione del lavoro (considerando 25). Il miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi genuini non dovrebbe essere indice di subordinazione. Qualora una piattaforma di lavoro digitale decida, su base puramente volontaria (unilaterale) o d'intesa con le persone interessate, di pagare per la protezione sociale, l'assicurazione contro gli infortuni o altre forme di assicurazione, per misure di formazione o per prestazioni analoghe ai lavoratori autonomi che lavorano mediante tale piattaforma, dette prestazioni in quanto tali non dovrebbero essere considerate elementi determinanti indicanti l'esistenza di un rapporto di lavoro (considerando 23).
Secondo la Corte, un prestatore di servizi può perdere la qualità di operatore economico indipendente, e dunque d’impresa, qualora non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma dipenda interamente dal suo committente, per il fatto che non sopporta nessuno dei rischi finanziari e commerciali derivanti dall’attività economica di quest’ultimo e agisce come ausiliario integrato nell’impresa di detto committente . Ai lavoratori autonomi dovrebbero in ogni caso applicarsi le disposizioni in materia di gestione algoritmica (cons. 16). In particolare le norme sul trattamento dei dati personali nel contesto della gestione algoritmica, la trasparenza dei sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati, le limitazioni al trattamento o alla raccolta di dati personali, il monitoraggio umano e il riesame umano di decisioni significative (artt. 6, 7 par. 1, 8), dovrebbero applicarsi anche alle persone che non hanno un contratto di lavoro subordinato . Ai lavoratori autonomi, dovrebbero essere applicate le norme in materia di salute e sicurezza durante lo svolgimento della prestazione e l’informazione e la consultazione sindacale sulla organizzazione e gestione algoritmica secondo quanto stabilito dalle linee guida della Commissione europea (infra § 6.1). Per combattere il finto lavoro autonomo nel lavoro mediante piattaforme digitali e procedere a una corretta qualificazione del rapporto, gli S.M. dovrebbero disporre di procedure adeguate (cons. 19). Se invece il rapporto di lavoro sia qualificato come autonomo o come una forma di lavoro intermedia (è il caso delle collaborazioni continuative nel nostro ordinamento) la proposta di Direttiva suggerisce l’applicazione di “diritti e obblighi pertinenti per tale situazione occupazionale” lasciando intendere la legittimità della selezione delle tutele: ambito ancora non chiarito in relazione al lavoro etero-organizzato cui all’art. 2 c. 1 del d.lgs. n. 81/2015 . La proposta lascia impregiudicata la prerogativa degli S.M. d’introdurre o mantenere disposizione legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli per i lavoratori (art. 20): con il limite, però, che si tratti di norme compatibili con le norme relative al funzionamento del mercato interno .
6. Le conseguenze per il modello di disciplina dei rider in Italia e la perdurante convivenza del doppio modello. Le conseguenze della presunzione di subordinazione nel sistema italiano sono piuttosto rilevanti soprattutto per i rider autonomi. Negli ultimi due anni si sono confrontati in Italia due modelli di organizzazione e disciplina del lavoro dei ciclofattorini dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 128/2019 all’art. 2, c. 1 del d.lgs. n. 81/2015. Questi, a seconda delle modalità esecutive della prestazione, possono essere inquadrati come lavoratori dipendenti secondo il modello Just Eat (infra) oppure come lavoratori autonomi secondo il modello dell’art. 47 bis del d.lgs. n. 81/2015 con applicazione del contratto collettivo Assodelivery stipulato il 9 settembre 2020. Mentre il primo modello garantisce tutte le tutele lavoristiche del lavoro subordinato, il secondo modello consente di riconoscere ai rider il pagamento in base alle consegne (cottimo) con compenso minimo orario pari a 10 euro lordi per una o più consegne e tutele minime quali un incentivo temporaneo per nuove città o zone, sistemi premiali, dotazioni di sicurezza, assicurazione infortuni, tutela della privacy.
Da marzo 2021, Just Eat ha deciso di uscire da Assodelivery e negoziare un accordo aziendale in deroga al contratto collettivo nazionale trasporti e logistica. JE opera con circa 28.000 ristoranti in Italia dei quali 10.000 circa usano il servizio di logistica fornito dalla piattaforma datore di lavoro. Gli altri effettuano consegne con rider propri avvalendosi di JE come piattaforma intermediario. Grazie all’accordo aziendale del settembre 2021, 3.000 rider sono stati assunti da JE con contratto di lavoro subordinato, applicazione del CCNL Logistica e contratto aziendale che introduce alcune deroghe in funzione di una maggiore flessibilità dei tempi di lavoro. I rider assunti sono per la maggior parte a part-time, con orario di: 10 ore settimanali (25%); 15-25 ore settimanali (50%); più di 25 ore settimanali (25%).
La retribuzione lorda è di € 9 l’ora (compresi ratei 13ma, 14ma e t.f.r.) + € 0,25 a consegna. Ovviamente tutti gli istituti legali e contrattuali sono parametrati all’effettivo orario di lavoro: questo significa che un rider subordinato con un contratto di 10 ore guadagna poco più di 300 euro mensili .
Oltre il 65% dei ristoranti che fanno riferimento a JE come intermediario effettua le consegne con rider propri. Normalmente sono dipendenti del ristorante stesso oppure reclutati come collaboratori occasionali o con contratto a chiamata. JE chiede a questi ristoranti come commissione il 15% del prezzo delle vendite.
La convivenza di questo doppio modello per la stessa tipologia di lavoro non deve destare stupore. Essa conferma il sostanziale superamento del rigido steccato esistente tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo nel lavoro tramite piattaforma digitale. Consentendo per es. a un rider di scegliere il proprio contratto in base alle proprie esigenze. Se il lavoratore preferisce essere considerato un rider autonomo può scegliere le piattaforme che utilizzano il CCNL ASSOLDELIVERY e ottenere tutele minime. Se invece preferisce avere un contratto di lavoro subordinato può candidarsi a lavorare con JE e obbligarsi a lavorare negli slot che gli vengono assegnati dalla piattaforma/datore di lavoro per la durata concordata (dalle 10 alle 25 ore alla settimana) e nella collocazione temporale indicata unilateralmente dal datore di lavoro senza avere la possibilità di rifiutare la consegna: osservando il divieto di multi committenza. In questa seconda ipotesi, tuttavia, con le nuove regole introdotte dalla Direttiva 2019/1152 (attuata dal d.lgs. n. 104/2022) se la durata della prestazione e la sua collocazione siano interamente o in gran parte imprevedibili, il datore di lavoro non può impedire al lavoratore di svolgere un lavoro parallelo. Questa regola subisce due eccezioni: se il lavoro si svolge entro ore e giorni di riferimento predeterminati nella misura stabilita nel contratto (è il caso di JE); oppure se il lavoratore sia informato dal suo datore di lavoro sull'incarico o la prestazione da eseguire, con un ragionevole periodo di preavviso (art. 9). Al di fuori di una o entrambe le condizioni ora indicate, il lavoratore ha il diritto di rifiutare di assumere un incarico di lavoro o di rendere la prestazione fuori dall’orario di lavoro concordato, senza subire alcun pregiudizio anche di natura disciplinare (c. 2).
6.1. La contrattazione collettiva per i lavoratori autonomi in posizione di debolezza contrattuale. Per i rider autonomi continuativi la grande novità recata dalla proposta di Direttiva, consiste nella possibilità di ottenere più facilmente il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, grazie alla presunzione di subordinazione di cui all’art. 4. È evidente che in caso di lavoro parasubordinato difficilmente la piattaforma riuscirà a sottrarsi alla presunzione di subordinazione introdotta dalla proposta: basta che la piattaforma imponga ai fattorini di utilizzare i segni distintivi del marchio e di gestire la prestazione tramite l’utilizzo di una app. Ma non è difficile immaginare, come del resto si è già fatto rilevare, l’aumento del contenzioso giuslavoristico con esiti assai incerti considerata la reazione delle multinazionali ostili a ogni forma di regolamentazione. È auspicabile che il legislatore italiano renda ancora possibile, anche dopo il recepimento della Direttiva, la convivenza dei due modelli dettando regole più pertinenti e coerenti con il modello socio-economico affermatosi nel nostro Paese per rendere più facile e certo il procedimento per la qualificazione giudiziale del rapporto di lavoro.
Nel contempo però va rilevata un’altra novità: in base agli Orientamenti della Commissione adottati il 29 settembre 2022 , gli accordi collettivi tra lavoratori autonomi individuali e piattaforme di lavoro digitali, che per la loro natura e il loro oggetto intendono conseguire il miglioramento delle condizioni di lavoro, esulano dall'ambito di applicazione dell'articolo 101 TFUE, anche se i lavoratori autonomi in questione non sono riclassificati come lavoratori subordinati dagli organi giurisdizionali o dalle autorità nazionali (v. infra).
Grazie alle Linee guida sull’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione anche i lavoratori autonomi, in certe condizioni, possono accedere alla contrattazione collettiva e ottenere il riconoscimento di alcuni diritti. Opzione questa anticipata proprio dal caso italiano di Assodelivery. Per il futuro non solo per i rider autonomi genuini, ma in generale per i lavoratori autonomi continuativi che lavorano tramite piattaforme come i giornalisti, i musicisti, gli autisti ecc., è possibile che siano negoziate tutele che tengano conto della loro posizione nei confronti delle piattaforme. Sempre più platform workers e free lance, ancorché formalmente indipendenti, non sono in grado di negoziare le proprie condizioni di lavoro, in particolare la retribuzione. Per chi è in questa condizione la Commissione europea rimuove il divieto di negoziazione collettiva: e questa è una buona notizia. I lavoratori autonomi che vivono principalmente del proprio lavoro e non sono pienamente indipendenti dal proprio committente o comunque hanno un potere contrattuale ridotto, possono dunque negoziare le proprie condizioni di lavoro anche tramite accordi o aderire ad accordi già negoziati (opt in) per la tutela di diritti quali: la retribuzione, premi o gratifiche, ferie, spazi fisici in cui svolgere la prestazione, salute e sicurezza, assicurazione e previdenza sociale, cessazione del rapporto.
Questo consente di far convivere fianco a fianco, lavoratori autonomi individuali e lavoratori subordinati che svolgono mansioni identiche ma che godono di diritti diversi a seconda del grado di dipendenza; così come è possibile far lavorare a distanza lavoratori controllandone la prestazione con strumenti elettronici senza che questa forma di controllo dia luogo a un rapporto di lavoro subordinato.
Per questi lavoratori autonomi, per i quali già la legislazione italiana aveva individuato delle tutele , possono ora essere stipulati accordi collettivi di disciplina delle condizioni di lavoro compresa la retribuzione. Le linee guida indicano tre categorie di accordi collettivi esonerati dal regime antitrust.
Opzione 1: accordi stipulati in favore dei singoli lavoratori autonomi (solo self-employed person) paragonabili ai lavoratori subordinati perché in posizione di dipendenza economica rispetto al committente. Vi rientrano: i lavoratori autonomi allorché almeno il 50% del reddito di lavoro totale in uno o due anni derivi da un’unica controparte; i lavoratori che lavorano “fianco a fianco” con i lavoratori subordinati; i lavoratori che lavorano tramite piattaforme di lavoro digitali, on line e in loco, quando la prestazione è organizzata dalla piattaforma.
Opzione 2: accordi collettivi volti a correggere lo squilibrio di potere contrattuale con una o più controparti: a) che rappresentino l’intero settore o l’intera industria; b) il cui fatturato superi i 2 milioni di euro, o che abbiano almeno 10 dipendenti; c) con più controparti che superino insieme una di queste soglie.
Opzione 3: accordi collettivi conclusi da lavoratori autonomi che riguardano le ipotesi previste di volta in volta dal diritto nazionale per correggere una situazione di squilibrio contrattuale. In questo caso però l’esenzione dalle regole antitrust non può essere automatica: deve essere invece prevista una valutazione dell’organo competente dello Stato membro caso per caso. La contrattazione collettiva è ora libera di disciplinare a 360 gradi le condizioni di lavoro per categorie quali musicisti, lavoratori dello spettacolo, free lance, autisti, traduttori, lavoratori tramite piattaforme digitali o lavoratori appartenenti a professioni finora escluse dalla copertura sindacale. Si apre, nei fatti, la possibilità inedita di un diritto del lavoro a geometria variabile a seconda del grado di protezione ritenuto necessario od opportuno dalle parti sociali per tutelare categorie di prestatori che lavorano fuori dall’impresa, che non sono assoggettati a un vincolo di orario e non sono assoggettati al potere direttivo od organizzativo di un datore di lavoro in carne ed ossa . Si tratta di persone che svolgono attività eterogenee e che versano in una situazione di dipendenza economica o comunque di debolezza contrattuale perché soffrono di asimmetrie informative, o comunque di altri fattori di distorsione monopsonistica che fa di loro dei price-taker senza forza contrattuale. In passato sia la legge Fornero sia il Jobs Act avevano provato a proteggere i lavoratori autonomi continuativi in posizione di dipendenza economico/organizzativa; ma con risultati pratici ancora insufficienti . Adesso per contrastare il lavoro povero e tutelare i lavoratori atipici ad alto rischio di precarietà la parola passa alla contrattazione collettiva. La nostra autorità per la concorrenza non si è mai pronunciata sul tema a differenza di altre (v. Paesi Bassi per il caso «FNV» relativo un contratto collettivo di lavoro contenente tariffe minime per prestatori autonomi di servizi) perché in riferimento all’unico contratto collettivo italiano che regola il lavoro autonomo dei rider si reputa che ci troviamo davanti a un caso di lavoratori in posizione di debolezza contrattuale o falsi lavoratori autonomi. A differenza della proposta di Direttiva le linee guida non creano diritti o obblighi sociali (soft law) né mirano a modificare le definizioni dei termini "lavoratore subordinato" o "lavoratore autonomo" a norma del diritto nazionale o dell'Unione. Gli orientamenti della Commissione non incidono neppure sulla possibilità di cui dispongono i lavoratori autonomi di chiedere una riclassificazione del loro status occupazionale come "lavoratori subordinati" da parte delle autorità o degli organi giurisdizionali nazionali. Essi spiegano soltanto in che modo la Commissione applicherà le norme sulla concorrenza dell'UE agli accordi collettivi sulle condizioni di lavoro di determinati lavoratori autonomi.
In conclusione, attorno alla sfida digitale potrebbe registrarsi un rilancio della negoziazione collettiva, specie sul versante aziendale/territoriale finalizzata alla promozione delle condizioni di vita e professionali dei lavoratori. Il sindacato, che può agire prima e meglio del legislatore, è ora chiamato a dettare le regole per garantire l’adattamento dei modelli organizzativi fondati sulla innovazione tecnologica e digitale alla realtà produttiva dei diversi ordinamenti nazionali. Si tratterebbe in questo caso di valutare la possibilità in concreto di una regolamentazione in deroga di modelli di lavoro etero-organizzato a cui non applicare per intero la disciplina del lavoro subordinato, secondo quanto previsto dall’art. 2, c. 2, lett. a) del d.lgs. n. 81/2015 : e creare i presupposti per il superamento della contrapposizione lavoro autonomo/lavoro subordinato .

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