Testo integrale con note e bibliografia

La mia breve riflessione parte dalla premessa che vi è una piena condivisione della ricostruzione della crisi regolativa del diritto del lavoro affrontata in questo libro a tesi, di fronte alle epocali trasformazioni tecnologiche ed economiche, che hanno segnato il passaggio da un “capitalismo sociale” a un modello di capitalismo finanziario, impaziente, estrattivo e globale.
Concordo con i principi a cui si ispirano gli autori per avviarsi a un superamento di tale crisi del diritto del lavoro, a partire dalla critica alla tradizionale e obsoleta visione dicotomica fra lavoro subordinato e lavoro autonomo, oggi non più in grado di ricomprendere la molteplicità delle posizioni lavorative che si sono sviluppate nella fase di transizione all’economia dei servizi e del terziario avanzato. Mi riferisco in particolar modo al lavoro autonomo professionale, unica componente occupazionale in costante crescita nei mercati del lavoro occidentali.
Il problema del lavoro “ibrido”, ormai presente dagli anni Ottanta, non è stato ancora risolto in modo soddisfacente - sotto il profilo giuridico e delle protezioni sociali - non soltanto in Italia ma in molti altri paesi europei, come è emerso con grande evidenza da un progetto di ricerca Europeo (I-Wire, DG-Employment) da me coordinato e i cui risultati comparativi sono stati pubblicati nel 2019 . L’analisi di come i diversi Stati europei si sono adattati per garantire supporto sociale e regolazione legale alla classe dei professionisti autonomi altamente qualificati identifica precisamente una delle molte sfide aperte del nuovo ordine post-industriale.
Nel libro “Dieci tesi sul diritto del lavoro” questo tema è trattato nel terzo capitolo, dedicato al campo di applicazione del diritto del lavoro, tra universalismo e selettività, dove gli autori avanzano la prospettiva di un diritto del lavoro che vada oltre la subordinazione, di fronte a uno scenario complesso in cui emergono categorie di riferimento differenti da quelle del passato, che incrinano le basi del diritto del lavoro tradizionale.
Oltre a questo primo aspetto, mi soffermo su altri tre punti che mi hanno colpita, e che affronto brevemente da una prospettiva disciplinare esterna, non giuridica ma della sociologia economica.
Il primo punto riguarda la soggettività, il secondo la sostenibilità e il terzo la globalizzazione.
Ho trovato interessante la prospettiva della soggettivazione, trattata nel capitolo 5 del libro, intesa come tecnica giuridica complementare e aggiuntiva. Tale prospettiva mette in luce la possibilità di arrivare a una forma di regolazione centrata sulla persona, poiché parte dalle esigenze del soggetto anziché dalle esigenze del sistema, rivalutando così una dimensione soggettiva del lavoro. Pur a sostegno di questa prospettiva, gli argomenti sociologici mettono tuttavia in guardia: pongono cioè un problema derivante dal fatto che il soggetto - come spiega Simmel - è “ un fascio di relazioni “, e che non è possibile interpretarlo in chiave individualistica; il soggetto è plurimo, multiplo; il soggetto è il punto di interazione di tante cerchie sociali, delle sue appartenenze, delle sue identità, delle sue inter-relazioni. Ad esempio, le nuove figure del lavoro autonomo professionale a cui accennavamo più sopra sono emblematiche sotto questo aspetto: sono inserite in un contesto lavorativo caratterizzato da pluri-committenze, fanno riferimento a più comunità professionali, cumulano più attività lavorative anche in settori differenti e il loro capitale sociale è essenzialmente fondato sulla numerosità delle relazioni e sulla consistenza del network professionale di cui dispongono.
Seguendo questa logica, un diritto della soggettivazione dovrebbe dunque essere in grado di ricomprendere questo insieme di inter-relazioni. Ma come è possibile? E qui lascio ai giuristi la risposta. Le relazioni costituiscono l’intelaiatura fondamentale dell’agire umano, fondato sull’azione reciproca.
Ritengo dunque molto interessante questa strada aperta della soggettivazione del diritto del lavoro, ma con qualche problema.
Vorrei poi soffermarmi sul significato di diritto del lavoro delle sostenibilità - tema solo abbozzato nel capitolo 8 del libro. Il primo commento generale è che forse per la prima volta nella storia moderna ci troviamo di fronte a una crisi che non è guidata dal mercato, ma è guidata da una crisi climatica, ambientale. Il tema della sostenibilità parte dunque da elementi che sono esogeni al lavoro, dagli imperativi propri della sostenibilità ambientale, che passa attraverso la neutralità carbonica, l’abbattimento delle emissioni CO2 e così via.
Che cosa significa questo per il lavoro? Non è chiaro, e si sente la necessità di fare chiarezza sui significati di concetti controversi legati al lavoro e all’occupazione verde. Primo perché nella letteratura teorica e empirica le connessioni fra mercato del lavoro e sostenibilità ambientale sono poco sviluppate; secondo perché nel dibattito sulla transizione ecologica e nella narrativa delle istituzioni internazionali si attribuisci grande rilievo al fattore lavoro e alle competenze, senza che vi siano motivazioni sostantive a supporto di tale aspettativa di carattere quasi “normativo”. Certamente siamo di fronte a una doppia sfida. Da un lato vi è il tema dell’impatto della decarbonizzazione sull’occupazione esistente, dall’altro vi sono i cambiamenti strutturali necessari alla neutralità climatica, che devono avvenire attraverso importanti processi di adattamento/ aggiustamento della forza lavoro.
In ogni caso si tratta di applicare dei parametri esterni che si impongono al lavoro e che di conseguenza si impongono dall’esterno anche al diritto del lavoro. Proprio per questa ragione, ciò che appare con certezza è la necessità di ri-regolare tutta la materia in questa direzione, altrimenti non sarà possibile parlare di diritto alla sostenibilità. Le imprese che operano nelle attività produttive incluse nella tassonomia dell’UE avranno due alternative: ristrutturarsi o uscire dal mercato.
La sostenibilità non può essere definita da questioni di diritto, va rovesciata radicalmente la prospettiva, poiché essa è definita da un’entità esogena, che è la terra; non si è nemmeno cominciato a risolvere il dilemma insito nella divaricazione fra la cognizione dei fenomeni in atto e l’azione, con i mezzi umani di cui disponiamo. Bruno Latour descrive come il binomio natura-cultura si sia dissolto: “ci comportiamo come se l’economia e non la protezione della vita - fossero il nostro scopo, dobbiamo ri-biologizzare il nostro pensiero” e quindi anche il pensiero giuridico e il diritto del lavoro.
Infine, considero il rapporto fra diritto del lavoro e globalizzazione, tema trattato nel capitolo 9 del libro. Su questo fronte vedo debolezze e inadeguatezze del diritto del lavoro e anche delle relazioni industriali, pur considerando molto positivi i passi avanti compiuti sul versante della due diligence in relazione all’organizzazione globale della produzione, alle catene di subfornitura e alle global value chains. Da una prospettiva socio-economica mi pare convincente la posizione di Rodrik, uno dei più acuti studiosi dei processi di globalizzazione che, sottolineandone i paradossi, ci indica la via per riformulare il tema dell’economia globale verso un modello di prosperità inclusiva. Il libro - uscito più di dieci anni fa – affronta il tema delle tensioni esistenti tra democrazia nazionale e mercati globali e indica come non sia possibile perseguire simultaneamente una politica democratica, l’autodeterminazione dello Stato nazionale e la globalizzazione economica (o iperglobalizzazione, come viene chiamata). Ci presenta dunque il trilemma politico fondamentale che si pone all’economia mondiale, indicando come una globalizzazione intelligente possa essere valorizzatrice della democrazia nazionale.
Se si condivide questa prospettiva, anche il diritto deve riconoscere che questo triangolo non funziona e che la globalizzazione così com’è, nel modo in cui si è manifestata, non può funzionare perché è (appunto) insostenibile, a partire dal lavoro che ha creato e dalle condizioni di lavoro che spesso impone. I nostri problemi affondano le radici nella riluttanza ad affrontare queste scelte.

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