Testo integrale con note e bibliografia

1. Ruolo della partecipazione sociale e civile nelle scelte pubbliche: il caso PNRR
Giuliano Amato, nella sua lectio magistralis alla Università La Sapienza, osservava come
“di fronte alla gravità, alla urgenza e alla specificità dei problemi (in particolare) del cambiamento climatico “ una risposta adeguata non può venire solo da regole istituzionali per quanto ben definite, né tanto meno da apparati coercitivi, ma solo dalla costruzione di un comune sentire e da comportamenti coerenti di tutti i cittadini attraverso “procedure di partecipazione che in modi diversi coinvolgono tanti cittadini attivi ora nella elaborazione ora nell’attuazione delle scelte pubbliche“.
Questa osservazione è di grande significato per orientare le risposte alle profonde trasformazioni economiche e sociali del nostro tempo, accelerate dalla pandemia e ora dalla crisi energetica e dalla guerra.
Occorre essere consapevoli che la sfida del cambiamento non riguarda solo le strutture portanti dei nostri sistemi economici e sociali e le direzioni dello sviluppo, ma investe la intera società e direttamente tutti noi persone singole nei nostri comportamenti quotidiani.
Per questo, come rileva Amato, tale sfida non può essere vinta né affrontata se non coinvolgendoci tutti come persone e attivando forme nuove di partecipazione attiva sulle principali scelte imposte dal cambiamento.
Vorrei analizzare la portata di questa sfida non solo rispetto agli scenari economici sociali che ci attendono, ma in particolare per le implicazioni che può (e dovrebbe) avere sulla partecipazione delle organizzazioni sociali e dei cittadini.
Ritengo che gli eventi recenti, fra cui la iniziativa europea del Next generation e quella del PNRR Italiano, possono essere una occasione preziosa per riattivare con contenuti nuovi le pratiche partecipative che in Italia hanno avuto finora poca fortuna.
Gli ambiti da considerare e riattivare riguardano non solo la partecipazione dei lavoratori nell’impresa, su cui le parti sociali nel Patto della fabbrica del 2018 hanno manifestato una inedita disponibilità, ma più ampiamente il coinvolgimento delle parti sociali nelle politiche industriali, nella formazione continua e nelle politiche attive del lavoro, e in generale la partecipazione dei cittadini ai processi deliberativi sulle maggiori questioni di interesse pubblico.
Uno stimolo ad affrontare in modo nuovo la questione partecipativa in questi vari aspetti può venire, se lo si vuole cogliere, dalle modalità con cui si presentano e devono essere attuati i vari progetti del PNRR.
È di grande significato che la necessità del coinvolgimento delle parti sociali e della società organizzata all’attuazione del PNRR e alla costruzione delle nuove direzioni dello sviluppo indicate dal Piano sia stata riconosciuta con inusitata chiarezza dal regolamento europeo
(2021/241, art 18, 4 a) riguardante la approvazione e la implementazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza.
La norma prevede l’obbligo per le istituzioni nazionali responsabili del Piano di consultare e coinvolgere le parti sociali e la società organizzata, nella formazione e attuazione di tali piani. Inoltre lo stesso regolamento precisa che delle consultazioni con le parti simili e dei loro esiti occorre tenere e dare conto pubblicamente.
Dalle rilevazioni comparate del CESE risulta, come è comune consapevolezza anche in Italia, che nella fase cd. ascendente di preparazione e approvazione dei vari PNRR il coinvolgimento delle parti sociali è stato alquanto limitato e comunque insufficiente. Così non può continuare nella fase che ora si è aperta, di implementazione dei piani. Non è possibile non solo per motivi di opportunità sociale, ma perché questa fase, di estrema complessità, richiede comportamenti convergenti di centinaia di istituzioni centrali e locali, di altrettante imprese e gruppi sociali i più diversi, e non può avere successo se non si attivano meccanismi efficaci di partecipazione e coordinamento di tutti questi attori.
Il nostro legislatore (art. 3 del decreto 77/2021) ha predisposto a tale fine uno strumento istituzionale specifico, il Tavolo permanente di partenariato economico sociale e territoriale, ove sono presenti le maggiori organizzazioni rappresentative della società, insieme con le rappresentanze degli enti locali, delle regioni e delle università. Con questa norma, unica nel panorama europeo, si è voluto dare un riconoscimento istituzionale stabile e specifico alla partecipazione delle organizzazioni sociali alla implementazione del PNRR. Tale scelta accresce il potenziale valore di tale partecipazione, sottraendola all’ informalità e ai rischi della casualità.
Il senso fondamentale della partecipazione istituzionale prevista dal decreto e da realizzarsi col Tavolo permanente per il partenariato è di coinvolgere la intera comunità nazionale con i suoi attori principali nella responsabilità comune di promuovere e sostenere le attività del Piano per favorirne il pieno successo.
Conosciamo per esperienza storica quanto sia difficile rendere effettivi nella pratica i progetti, le riforme e gli investimenti deliberati; abbiamo verificato in passato le debolezze del nostro sistema Paese anche nella implementazione di impegni e attività meno complesse del PNRR. La istituzionalizzazione di un Tavolo di partenariato, per quanto importante, non esaurisce la responsabilità delle parti sociali, né il dovere di dare il loro contributo alle politiche necessarie alla costruzione del nuovo modello di sviluppo quale indicato dagli ambiziosi orizzonti del PNRR.
L’impegno delle parti è più ampio di quello richiesto per l’attuazione del Piano; anzitutto perché questo ha durata limitata, anche se è auspicabile un prolungamento di un contributo europeo diretto allo sviluppo dei nostri paesi e del modello innovativo di programmazione comune inaugurato dal NGEU. Inoltre il PNRR è diretto a sostenere gli investimenti necessari alle due grandi transizioni digitale ed ecologica, ma non sostituisce le politiche pubbliche nazionali necessarie per le riforme né la gestione delle attività essenziali per lo sviluppo economico e sociale del paese. Del resto i contributi di analisi e di proposta apportati al Tavolo richiedono di essere preparati dalle stesse parti e poi sostenute con la loro azione pratica nelle sedi appropriate di contrattazione e di partecipazione, sia nei loro rapporti reciproci sia nelle relazioni concertative con le istituzioni pubbliche.

2. Indicazioni del Tavolo di partenariato. La consultazione pubblica
Un anno di attività del Tavolo di partenariato, che ho avuto il privilegio di coordinare, fornisce alcune indicazioni utili su questo particolare processo partecipativo e anche sulle sue implicazioni per altri ambiti di attività e di decisioni pubbliche.
L’intenso dibattito svoltosi nelle venti riunioni del Tavolo tenutesi nel primo semestre del 2022 hanno visto una partecipazione attiva e continua di tutte le maggiori organizzazioni della società civile; e si è arricchito di una ricca documentazione scritta di osservazioni e proposte, frutto di una elaborazione interna delle varie organizzazioni, a integrazione del confronto con i rappresentanti delle massime istituzioni del paese.
Questa prima esperienza ha confermato in tutti i partecipanti la validità del metodo partecipativo come strumento essenziale per contribuire alla piena attuazione del Piano nelle sue componenti di investimenti e di riforme, anche al fine di promuoverne il metodo oltre il 2026, come auspicato dal Parlamento europeo.
Ha permesso una interlocuzione diretta e non formale delle organizzazioni rappresentative con i responsabili delle varie missioni del Piano, consentendo un approfondimento anche di questioni specifiche riferibili all’ indirizzo politico e alle maggiori scelte di policy.
Oltre alla presenza al Tavolo sono state previste altre forme partecipative con la costituzione di tavoli settoriali e territoriali tra le amministrazioni responsabili del Piano e le maggiori organizzazioni sociali.
Tale previsione si è attuata solo in parte, ma è stata più volte sollecitata dalle parti e appare importante per articolare fattivamente la partecipazione nei molteplici progetti attuativi del PNRR. Peraltro è emerso che all’interno di molte amministrazioni sono stati attivati tavoli specifici per approfondire questioni attinenti al Piano, a conferma di una attività di interlocuzione sociale informale ma diffusa su tali questioni. Dallo stesso dibattito sono emerse tuttavia alcune criticità della esperienza, che ne hanno limitato la efficacia.
La sollecitazione più frequente è che queste forme di partecipazione e di interlocuzione dovrebbero essere più sistematiche e coordinate. Soprattutto dovrebbero ricevere maggiore riscontro nell’ ascolto e nelle scelte da parte dei decisori pubblici. Inoltre dovrebbe essere prevista la possibilità per le parti di essere informate sull’iter delle decisioni e coinvolte non solo nelle attività in corso ma nella fase di elaborazione dei progetti così da poter contribuire in tempo utile al loro indirizzo.
La risposta a questa esigenza è stata sollecitata, in particolare dai rappresentanti del terzo settore e della cooperazione, specie riguardo a progetti di rilevanza non solo tecnica ma sociale; perché proprio in questi temi il coinvolgimento delle organizzazioni sociali nella progettazione degli interventi può integrare le capacità tecniche e organizzative delle amministrazioni pubbliche titolari dei progetti.
In realtà questa esigenza e questo limite di efficacia si riscontrano in molti processi partecipativi, tanto più quando essi si riferiscono a questioni complesse e non facilmente verificabili dai diretti interessati, come molti aspetti delle politiche pubbliche coinvolte nel Piano.
Tuttavia superare tale limite deve essere un impegno condiviso con le amministrazioni centrali e soprattutto locali, che hanno un evidente bisogno di essere sostenute nelle loro capacità progettuali ed esecutive.
D’altra parte una partecipazione incisiva in materie, come quelle affrontate nel Piano, di grande rilevanza per il benessere dei cittadini risponde a una necessaria e corretta applicazione del principio di sussidiarietà.
Lo ha rilevato la Corte Costituzionale, nella nota sentenza 131 del 2021, con riguardo ai rapporti fra attività degli enti locali e organizzazioni del terzo settore, sollecitando le amministrazioni ad andare oltre le mere deleghe di servizio a queste organizzazioni per coinvolgerle in attività di coprogettazione degli interventi attuativi di politiche pubbliche.
In realtà i processi partecipativi riguardanti questioni come quelle del PNRR richiedono di essere rafforzati anche negli strumenti e nei soggetti del coinvolgimento.
Uno strumento più volte evocato dai partecipanti del Tavolo è la consultazione pubblica, sperimentata in misura limitata nel nostro paese, ma particolarmente utile nell’ attuazione dei progetti del Piano, come mostrano alcune esperienze riferite al tavolo di partenariato.
Tale strumento è importante per acquisire in via preventiva le valutazioni della popolazione interessata ai progetti in ordine alle esigenze dei territori su cui incidono, al duplice fine di migliorare la configurazione degli interventi tenendo conto di tutti gli aspetti sociali e ambientali rilevanti e di prevenire obiezioni e ridurre resistenze alla loro attuazione.
Per questi motivi i componenti del Tavolo hanno manifestato l’auspicio di una maggiore estensione degli strumenti del dibattito pubblico e della consultazione, che dovrebbero trovare applicazione per ogni grande opera pubblica e per tutte le principali politiche nazionali.
Allo stesso tempo sono emersi molteplici suggerimenti per affinare l’istituto del dibattito pubblico, in particolare al fine di assicurare maggiore autonomia e risorse al coordinatore, di elaborare linee guida utili ad orientarne l’attività e di migliorare il sistema di valutazione e monitoraggio.
Su un piano più generale, i componenti del Tavolo hanno più volte sottolineato l’esigenza che l’intera fase implementativa del Piano sia fatta oggetto di sistematiche attività di monitoraggio. Per verificare l’effettivo stato di implementazione del Piano, anche al fine di intervenire con i necessari correttivi, tale verifica deve registrare non solo la allocazione delle risorse ai vari progetti, ma la loro erogazione ai soggetti beneficiari. Sono questi i punti critici rivelati anche dalla esperienza passata che scontano la debole capacità progettuale e di spesa della nostra pubblica amministrazione.
Il monitoraggio dovrebbe avere ad oggetto sia la valutazione di impatto di specifiche misure adottate, sia l’impatto complessivo del Piano.
In questo senso, ferme le rilevazioni da operare nell’ambito della cornice europea che prevede quattordici indicatori comuni da monitorare nell’ambito dello scoreboard sull’attuazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza. Nei lavori del Tavolo sono stati illustrati i progetti sviluppati a livello nazionale al fine di mettere in relazione le misure del PNRR con gli indicatori di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dalle Nazioni Unite e con i contenuti della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, che costituisce lo strumento per l’attuazione dell’Agenda 2030 nel nostro Paese.
Per sviluppare tali attività, in modo che possano tradursi in una vera e propria valutazione di impatto delle misure del Piano, occorrerà tuttavia un ulteriore lavoro di approfondimento, per il quale si ritiene necessario un ampio coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche che dovranno mettere a disposizione per le necessarie analisi le informazioni contenute nelle rispettive banche dati, superando eventuali criticità riferite alla tutela dei dati personali, per poi avviare un dialogo e una collaborazione con Università, istituti di ricerca e rappresentanze della società civile.

3. Sostenibilità ambientale e bilanciamento degli interessi
Come si vede da questi accenni le attività necessarie per la implementazione del Piano offrono ambiti e processi partecipativi di grande complessità, in larga parte inesplorati nel nostro paese, da praticare insieme fra organizzazioni della società civile e amministrazioni pubbliche le quali hanno un ruolo fondamentale in questa implementazione.
La prima fase applicativa del PNRR fornisce indicazioni ancora parziali, ma utili per innovare le forme di partecipazione sociale alle politiche pubbliche, in vista non solo delle prossime fasi del Piano ma anche delle scelte future cui è chiamato il nostro paese. Di innovazione e continuità nella partecipazione c’è estremo bisogno per non disperdere le grandi opportunità del PNRR e per garantirne la effettività, anche adeguandone i contenuti di fronte alle drammatiche difficoltà del contesto nazionale e internazionale.
Da varie parti si è evocata la necessità di ampliare la portata della partecipazione sociale alle politiche pubbliche fino ad attivare un vero patto sociale all’altezza delle sfide complessive del governo del paese.
Ho indicato di recente le ragioni che motiverebbero tale necessità, anche se le incertezze del contesto e ora il cambio di governo aumentano i dubbi sui percorsi del futuro.
Quale che siano le prospettive per intese di così ampio respiro, resta il fatto che forme di partecipazione attiva della società e possibili accordi fra parti sociali e istituzioni pubbliche vanno esplorati sui principali obiettivi indicati dal PNRR, in particolare sulle questioni di più diretto impatto sul mondo del lavoro e delle imprese.
Di seguito propongo alcune linee prioritarie di riflessione e di possibile azione.
Aggiungo una premessa di carattere generale, che vuole richiamare l’attenzione sulle implicazioni delle due transizioni indicate dal Piano, in particolare di quella ecologica e del cambio di paradigma del nostro sviluppo finalizzato all’obiettivo della sostenibilità.
Si è giustamente osservato che la sostenibilità deve essere il nuovo orizzonte delle scelte politiche, economiche e sociali per i nostri paesi.
Il significato e le implicazioni di una simile direzione dello sviluppo sono peraltro da valutare attentamente perché comportano radicali discontinuità con il nostro passato durante il quale gli obiettivi della crescita economica sono stati dominanti e perseguiti a prescindere dal rispetto delle ragioni dell’ambiente.
Anche negli orientamenti del riformismo storico dei nostri paesi il dato ambientale è stato sostanzialmente assente o marginale. Il bilanciamento fra diversi interessi e valori ricercato dai riformisti si è concentrato sul rapporto fra esigenze del mercato e ragioni sociali e del lavoro (per di più queste concepite in senso limitato ai lavori tradizionali).
Tale bilanciamento non ha incluso una valutazione delle esigenze di mercato e sociali, alla stregua delle compatibilità ambientali, che costituiscono un termine di riferimento qualitativamente diverso da quelli esplorati per un secolo e tutt’altro poco esigente o arrendevole.

4. Transizione giusta e sfide della crisi energetica
Ora la drammatica urgenza della crisi ambientale planetaria richiede non solo di operare molti aggiustamenti negli equilibri fra gli interessi tradizionali, ma anche di adottare parametri di giudizio radicalmente diversi, che includano la compatibilità ambientale come termine essenziale del bilanciamento fra interessi in gioco.
Questo implica una modifica delle nostre visioni, che è difficile non solo per la sua complessità e novità ma anche perché, nonostante l’urgenza delle minacce e la consapevolezza della necessità di agire, permangono gravi incertezze sulle azioni da intraprendere, come testimoniano i rinvii e la debolezza delle decisioni internazionali in materia (da ultimo del G20 e della cop 26).
Tali incertezze confermano la necessità ricordata da Amato non solo di dirigere su obiettivi ambientali l’azione delle istituzioni e la regolazione pubblica ma anche di attivare procedimenti partecipativi in grado di orientare i comportamenti di tutti i cittadini e ancor prima di formare una cultura ambientale diffusa.
In effetti le ragioni dell’ambiente e gli obiettivi della transizione ecologica sono al centro del NGEU, nonché delle risorse e dei progetti del PNRR.
La partecipazione sociale e civile nelle varie forme sopra ricordate è indispensabile sia per indirizzare i progetti del Piano verso gli obiettivi stabiliti sia per garantire che la transizione digitale avvenga con tempi e modalità sostenibili anche socialmente ed economicamente. Questo secondo problema sta rivelandosi sempre più critico in seguito alla crisi energetica alimentata dal conflitto in Ucraina. La difficoltà per molti paesi, compreso il nostro, di avere un sufficiente approvvigionamento di gas, che costituisce un fonte di energia necessaria alla transizione verso le energie verdi, sta mettendo a rischio gli obiettivi ambiziosi (fit for 55) dall’Europa.
Di fronte a tale carenza si verifica non solo in Italia un nuovo ricorso alle fonti energetiche tradizionali, petrolio e carbone per alimentare in particolare le imprese dei settori energivori
Siamo difronte a scelte drammatiche imposte da un obiettivo imprescindibile come quello della salvaguardia dell’ambiente, ma che non deve pregiudicare le esigenze dello sviluppo e del lavoro.
Occorre esplicitare e rendere convincente la possibilità di un bilanciamento fra tutti i diversi interessi e valori in campo, con una visione olistica nient’ affatto evidente.
Tanto più che le possibili scelte coinvolgono interessi non solo nazionali ma almeno europei e hanno implicazioni su vari fronti delle politiche economiche, non solo dell’autonomia energetica, che ora si scopre essenziale, ma anche delle innovazioni tecnologiche, specie nei settori di frontiera necessarie a competere a livello globale: entrambi fattori fino a ieri non considerati.
Significativamente i partecipanti al tavolo di partenariato hanno rilevato come una gestione attiva dei processi di transizione richieda a tutti gli attori del sistema scelte innovative, spesso non indolori, di politica industriale orientate a riconvertire e riqualificare le produzioni tradizionali in direzioni coerenti con i nuovi obiettivi della economia verde e digitale, e nello stesso tempo in grado di contrastare il rischio di deindustrializzazione del paese e di non penalizzare le imprese italiane rispetto ai competitori stranieri.
La complessità dei processi di transizione comporterà modifiche profonde in tutte le strutture produttive del paese e richiederà che i termini delle possibili scelte siano attentamente valutati dalle istituzioni di governo nazionali e soprattutto europee, e messi a disposizione in modo trasparente di tutti gli stakeholder per un coinvolgimento consapevole.
La difficolta di trovare nuovi equilibri è massima specie se si guarda al breve periodo. Lo si registra dalle tensioni in atto nell’ affrontare le riconversioni dei settori industriali tradizionali, e lo si è visto anche dalle oscillazioni delle opinioni manifestate dalle parti e dai ministri competenti al tavolo di partenariato.
Questi temi, che sono decisivi per il futuro delle politiche industriali ed economiche, vanno affrontati su base analitiche e propositive solide per non lasciare il campo a un disordinato dibattito politico o peggio al malcontento che alimenta tensioni sociali e dà spazio alle tendenze populiste e sovraniste.
Sono queste le questioni centrali su cui la partecipazione sociale deve sostenere l’azione delle istituzioni per arrivare a scelte condivise che garantiscano il consenso necessario a una transizione giusta come richiedono le indicazioni del NGEU.
I percorsi verso la just transition non si individuano automaticamente per la sola attuazione degli investimenti necessari a promuovere la transizione ecologica come quella digitale.
Occorre accompagnarli con la ricerca di politiche pubbliche e con azioni imprenditoriali che rendano possibile il perseguimento di uno sviluppo sostenibile nelle sue diverse dimensioni, ecologica, economica e sociale.
L’ orizzonte delle parti sociali italiane nelle loro attività contrattuali e partecipative non si è mai limitato ai temi riguardanti i rapporti individuali di lavoro, ma ha considerato vari aspetti delle politiche industriali e del lavoro.
Tuttavia le nuove direzioni di sviluppo imposte dalle transizioni ecologica e digitale impongono anche a loro un radicale ripensamento delle proprie responsabilità al fine di essere in grado di contribuire fattivamente agli obiettivi del Piano, in primis alla definizione e attuazione dei contenuti economici e sociali della sostenibilità.
Le forme e i contenuti della partecipazione sindacale, come di tutti gli stakeholder, devono essere ridefiniti e rafforzati sia nella fase della costruzione delle politiche sia nella fase della verifica degli impatti economici e sociali.
Altrettanto importante è che questa verifica venga condotta non sulla base dei soli parametri economici tradizionali, ma alla stregua degli indicatori SDG della agenda Onu 2030 che sono stati assunti a riferimento anche dall’Unione Europea.
Una simile verifica, per i suoi contenuti, non può essere affidata esclusivamente alla contabilità e alla statistica nazionale, ma presuppone il coinvolgimento e la valutazione dei gruppi sociali che ne sono i destinatari.
Per questo è significativo che già le prime analisi e applicazioni degli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) in Italia si sono attuate in collaborazione fra ISTAT, competente a fornire i dati statistici, e Cnel coinvolto per dare conto delle valutazioni delle organizzazioni sociali.

5. Transizione digitale: innovazione tecnologica e cultura dei cittadini
La transizione digitale prevista dal PNRR presenta sfide diverse da quelle della transizione ecologica, ma non meno impegnative.
Cogliere le opportunità di questa transizione per valorizzarne l’impatto trasformativo su tutte le organizzazioni pubbliche e private del paese e sulla vita quotidiana dei cittadini richiede, come hanno sottolineato tutti i componenti al tavolo di partenariato, che essa non sia concepita e attuata solo come un processo tecnologico, ma che sia accompagnata da un nuovo approccio alla organizzazione delle attività produttive e dei rapporti economici e sociali.
Questo comporterà sia grandi investimenti nell’ hardware e nel software tecnologico sia cambiamenti nelle strutture delle imprese e delle amministrazioni pubbliche e nelle competenze delle persone, lavoratori e cittadini, che opereranno sempre più in un contesto digitale.
Affinché la transizione digitale sia “giusta” si è ritenuto essenziale che siano predisposti e messi in opera gli strumenti necessari a rendere accessibili a tutti, persone, gruppi e territori, gli strumenti e le conoscenze in materia così da evitare sacche di esclusione o di emarginazione e da prevenire un digital divide che accrescerebbe le già gravi diseguaglianze accumulatesi in questi anni, specialmente a carico di soggetti deboli e svantaggiati
La lotta al digital divide postula la promozione di un grande Piano nazionale di alfabetizzazione digitale rivolto a tutti i cittadini in linea con le indicazioni dell’Action plan europeo, attuativo del Social Pillar of Social Rights, che pongono l’obiettivo al 2030 di garantire a tutti gli adulti la acquisizione di competenze digitali di base.
Si tratta di un obiettivo di straordinaria portata, pari a quello richiesto negli anni 50 del secolo scorso per promuovere la alfabetizzazione della popolazione italiana, e che quindi richiederà non solo ingenti investimenti, in parte previsti dal PNRR, e nello stesso tempo un rinnovamento delle istituzioni e dei contenuti formativi.
Il sistema della formazione e della ricerca e le persone in esso attive sono impegnate in un eccezionale sforzo di rinnovamento che ne tocca tutte le componenti e gli stessi fondamenti: dalle strutture fisiche degli edifici scolastici, alla organizzazione delle attività, ai contenuti e ai metodi della didattica e alla valorizzazione del personale docente, con la necessaria formazione, motivazione e adeguamento dei trattamenti economici.
Questo rinnovamento non potrà avvenire solo dall’interno delle istituzioni formative ma richiederà il sostegno e il coinvolgimento di cittadini e dei genitori, anche dando seguito alla proposta di costituire e valorizzare comunità educative locali che accompagnino con una partecipazione corale lo sforzo di rinnovamento e di potenziamento delle attività educative.
Per altro verso il dibattito del Tavolo ha richiamato le implicazioni che il progetto di digitalizzazione ha sulla economia del paese, con la necessità di adottare politiche industriali innovative ed ecocompatibili in grado di sostenerlo.
Lo sviluppo del digitale è un altro fronte, oltre a quello dell’ energia, in cui la Italia e l’ Europa devono rafforzare la loro capacità produttiva nei confronti dei competitor stranieri, in primis orientali, al fine di recuperare una propria sovranità su queste frontiere della tecnologia
Le parti presenti al Tavolo hanno rilevato che la capacità innovativa sostenuta dalle tecnologie digitali e dai programmi 4.0 non può limitarsi alla manifattura, ma dovrà estendersi anche in altri settori, dalle costruzioni, all’agricoltura e ai servizi.
In particolare, il variegato mondo dei servizi, non solo pubblici, ma anche privati, che è sempre più centrale nel sistema Paese, sconta ancora sacche di inefficienza e ritardi di innovazione, che riducono in modo significativo la sua capacità di contribuire all’efficienza del sistema Paese, con migliori servizi per imprese e cittadini, e alla buona occupazione.
Il successo delle transizioni ecologica e digitale oltre a richiedere investimenti e innovazioni tecnologiche all’altezza della sfida, ha bisogno di un cambiamento dei comportamenti di milioni di cittadini corrispondenti agli obiettivi e ai requisiti di una economia verde e digitale.
La tecnologia è senza valore se non è acquisita e utilizzata consapevolmente dalle persone in tutte le sue applicazioni.
La sovranità energetica necessita di investimenti finalizzati ad accelerare la produzione di fonti rinnovabili; ma richiede altresì che a questo obiettivo contribuiscano tutti cittadini praticando consapevolmente forme quotidiane di risparmio energetico e che allo stesso fine siano finalizzate le comunità energetiche previste dal Piano per la produzione di energie pulite in diversi ambiti di attività comune( dai distretti industriali e agricoli, ai grandi condomini, ai plessi scolastici).

6. Transizione giusta e ricadute occupazionali
Una componente essenziale della just transition riguarda le sue conseguenze sociali, a cominciare dalle ricadute quantitative e qualitative sull’occupazione.
Le possibilità di creare buona occupazione sono molteplici in diverse linee di intervento del PNRR : nei nuovi lavori richiesti dalle produzioni dell’economia green, nelle diverse attività rivolte alla cura delle persone e al welfare, che rispondono ai bisogni crescenti della popolazione, dai bambini agli anziani come emerso durante la pandemia, nei vari campi delle attività di rigenerazione urbana e di difesa del territorio, della agricoltura e del turismo sostenibile, della valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In queste attività un ruolo particolare può essere giocato dalla economia sociale, il cui sviluppo è un obiettivo indicato anche da un apposito piano di azione europeo.
Ma per sostenere tali richieste e renderle credibili le parti devono promuovere una ricerca condivisa e documentata che fornisca indicazioni puntuali sulla fattibilità e sulle ricadute dei vari interventi, così da evitare che la crescita economica attesa sia povera di lavoro, come è stata in passato, e serva invece a mobilitare le risorse umane del nostro paese, specie di giovani e di donne, ancora poco utilizzate.
L’impegno delle parti per il lavoro dovrà considerare che le nuove direzioni della economia verde e digitale comporteranno una grande trasformazione nella geografia del lavoro e delle produzioni, con la necessità di promuovere e governare massicce dislocazioni di risorse finanziarie, organizzative e di manodopera fra settori produttivi in declino verso settori innovativi. Questa trasformazione apre un ambito di impegno che va condiviso fra le parti: quello di gestire le transizioni produttive e occupazionali. Si tratta di dare finalmente attuazione a un sistema di politiche attive, organizzate e attrezzate con le professionalità necessarie che siano in grado di promuovere la riconversione professionale di migliaia di lavoratori verso nuove professioni e di accompagnarne il passaggio fra imprese e fra settori crescita.
Il funzionamento e la gestione delle politiche attive e della formazione professionale in relazione alle transizioni occupazionali devono essere assunti come argomenti centrali non solo delle istituzioni pubbliche competenti ma della contrattazione collettiva e degli enti bilaterali da essa costituiti. Perché entrambe queste funzioni sono essenziali per il futuro della occupazione e della produttività del paese, ma non sono ancora all’altezza dei nuovi compiti.
La contrattazione e gli enti bilaterali sono chiamati a svolgere, più direttamente di quanto fatto finora, un ruolo integrativo e, ove necessario, anche di supplenza all’ azione pubblica per rimuovere contenuti e struttura e della formazione professionale sollevandoli dalla marginalità in cui sono stati spesso relegati.
Anche qui l’azione di rinnovamento si dovrà avvalere del sostegno e della partecipazione delle comunità locali che sono i beneficiari diretti del miglioramento e delle professionalità del lavoro.
La partecipazione delle parti sociali alle attività formative e alle politiche attive del lavoro è diffusa in paesi vicini (cd. sistema di Ghent) e ha precedenti storici nella nostra esperienza. L’eccezionalità della attuale situazione occupazionale impone di riprendere in considerazione anche questa opzione perché essa rientra in pieno nelle funzioni di parti sociali che vogliano essere protagonisti delle attuali transizioni.
Al riguardo, data la delicatezza della materia, che rientra in parte nelle competenze regionali, si potrebbe avviare qualche sperimentazione in settori dove esperienze simili hanno già buone basi, come quella delle casse edili, una sperimentazione che potrebbe essere riconosciuta dalle istituzioni competenti e coordinata con l’azione dei servizi pubblici dell’impiego. L’intesa fra parti e governo potrebbe contribuire al raggiungimento di alcuni obiettivi necessari affinché le transizioni in atto non pregiudichino ma rafforzino le condizioni del nostro mercato del lavoro e le occasioni di una buona occupazione.
In particolare può contribuire ad aumentare la partecipazione dei lavoratori ad attività di formazione continua verso gli obiettivi stabiliti dall’action plan dell’Unione Europea (60% di partecipazione annua) e a rendere effettivo il diritto alla formazione già sancito da alcuni contratti collettivi, in primis quello dei metalmeccanici.
Può potenziare gli strumenti di politica attiva finora sperimentati (contratto di espansione, accordi di ricollocazione, contratti di solidarietà, staffetta generazionale); impegnarsi ad adottare criteri unici nazionali per la certificazione dei risultati formativi e delle competenze dei lavoratori; attuare un piano straordinario di orientamento per giovani concordato fra scuole e servizi all’impiego; a generalizzare forme di alternanza scuola-lavoro per tutti gli studenti degli ultimi anni di secondaria; ad aumentare la disponibilità dei vari tipi di apprendistato (duale, professionalizzante e di alta qualificazione).
Un governo giusto delle transizioni dovrebbe comprendere politiche di sostegno non solo ai lavoratori ma anche alle imprese. Il sostegno dovrà realizzarsi non tanto nelle forme spesso abusate dei bonus o degli incentivi generici, ma tramite politiche economiche finalizzate alla promozione della ricerca e delle innovazioni produttive, al trasferimento tecnologico, specie a favore delle piccole imprese e al generale upgrading del nostro sistema produttivo.
La realizzazione delle politiche attive e formative necessarie al governo delle transizioni richiedono non solo più risorse pubbliche specificamente destinate, ma infrastrutture sociali in grado di sostenere tali transizioni. Qui è essenziale il contributo delle parti attraverso le loro istituzioni bilaterali e delle imprese cui si richiede un coinvolgimento finanziario e organizzativo necessario allo svolgimento della formazione continua nelle aziende.

6. Le sfide delle eguaglianze
La parità di genere e generazionale permea tutta la impostazione del PNRR, secondo un approccio orizzontale corrispondente alla logica di mainstreaming promossa dalle organizzazioni internazionali ma solo in parte messa in pratica nel nostro paese, come dimostra la bassa posizione della italiana nel ranking internazionale degli indicatori di parità.
Questa impostazione, come si è rilevato al Tavolo di partenariato, presenta non poche difficoltà attuative e richiede una forte attività di coordinamento fra i vari interventi e fra le diverse autorità competenti, onde evitare che la orizzontalità rappresenti un fattore di indebolimento invece che di forza.
Inoltre promuovere questo approccio e contrastare alla radice le cause sociali e culturali dei divari di genere e generazionali richiede anche in questo caso che l’azione delle istituzioni sia sostenuta dal coinvolgimento di tutte le organizzazioni della società civile
Una partecipazione attiva è decisiva non solo per dare organicità e finalizzazione alle strategie in questa materia, ma anche per orientare i tanti interventi specifici necessari a promuovere la cultura e le pratiche di parità: dalla educazione contro gli stereotipi di genere, alla lotta alla dispersione scolastica che colpisce i giovani, al potenziamento degli strumenti di orientamento e di transizione fra scuola e lavoro, alla promozione delle nuove competenze STEM fra le donne, al potenziamento delle strutture di cura necessarie per rimuovere gli ostacoli alla occupabilità femminile, al sostegno ai progetti di imprenditorialità femminile e giovanile.
La applicazione dell’art. 47 del decreto 77/2021 fornisce al riguardo un test tanto esemplare quanto critico. La previsione della norma di riservare il 30% delle assunzioni per tutti gli appalti finanziati dal PNRR a donne e a giovani, ha tardato alquanto a diventare operativa sul piano giuridico, e anche dopo approntati gli strumenti attuativi manifesta molte difficoltà applicative.
Le difficoltà sono obiettive, perché la norma ha caratteri di assoluta novità anche nel panorama internazionale e, nonostante le deroghe ammesse dalla stessa normativa, impone grandi cambiamenti nelle scelte tradizionali di esecuzione dei lavori e di assunzione della manodopera.
Ma proprio a ragione di tali difficoltà, per rendere possibile la osservanza della norma occorreranno sforzi supplementari non solo nel controllo pubblico su questi appalti, ma anche nella vigilanza e nel monitoraggio collettivo da parte dei lavoratori e dei beneficiari, individui e imprese, delle attività in questione.
Questa del resto è una esigenza pressante per tutte le attività di appalto e subappalto che stanno diventando una forma diffusa di organizzazione delle attività economiche, e che presentano accresciuti rischi per la qualità e la sicurezza del lavoro.
La riduzione dei divari territoriali e lo sviluppo del mezzogiorno costituiscono un’altra priorità trasversale del PNRR, sostenuta da una destinazione a queste aree di una quota non inferiore al 40% delle risorse complessive del Piano; una scelta motivata dalla consapevolezza che il recupero di questi divari di sviluppo rappresenta una condizione essenziale per la ripresa e per la coesione sociale dell’intero paese.
Dare seguito a questi obiettivi costituisce forse la sfida più difficile per l’ attuazione del Piano, per i ritardi storici, non solo economici ma di capacità amministrativa e di capitale sociale accumulatisi nel Mezzogiorno.
Le fasi di avvio del Piano hanno confermato la criticità di questa sfida. Qui più che mai la posta in gioca per riuscire a vincerla va oltre il rafforzamento della capacità di azione tecnica e progettuale delle istituzioni centrale e del territorio.
Postula uno sforzo corale di tutte le forze del tessuto sociale del mezzogiorno, sostenuto da una piena e durevole solidarietà nazionale per attivare le migliori energie economiche culturali e imprenditoriali presenti nei vari territori e che hanno dato prova di poter reagire al declino.

7. innovazioni del welfare: sanità e assistenza
Un’ altra area di attenzione significativa per garantire la giusta applicazione del PNRR riguarda le diverse componenti delle politiche sociali, dalla sanità alla assistenza, fino alle varie politiche di welfare.
Le indicazioni del Piano, in coerenza con l’obiettivo di ridare centralità alla dimensione sociale delle politiche pubbliche, non solo dedicano a sanità e assistenza ingenti risorse e riforme di sistema, ma prevedono la implementazione di nuovi modelli organizzativi di prossimità legati al territorio.
Proprio su questi modelli il Piano si basa per promuovere l’attuazione di un sistema integrato fra sanità e assistenza e per rafforzare gli aspetti di servizio del nostro sistema: un aspetto questo trascurato dalle scelte finora prevalenti che hanno privilegiato le erogazioni monetarie rispetto al servizio.
Quello delle strutture di prossimità e dei servizi personalizzati per la salute e per la cura delle persone è un terreno sul quale le conoscenze e le esperienze delle parti sociali e delle comunità locali presenti sul territorio, insieme con i professionisti della sanità e della assistenza, sono risorse decisive per orientare le scelte pubbliche alla effettiva utilità per le persone.
La importanza di una partecipazione civile attiva in questa materia è stata unanimemente sottolineata nel dibattito al Tavolo, che ha declinato i temi su cui intervenire prioritariamente: dalle modalità di integrazione fra sanità e assistenza, agli standard generali e ai requisiti minimi del servizio (LEA), al rapporto con gli enti locali che sono titolari di competenze rilevanti in materia, al ruolo dei medici di base, fino alla costruzione di un sistema di assistenza domiciliare.
La importanza che il PNRR riconosce ai livelli decentrati e territoriali per l’ attuazione di gran parte degli interventi in vari settori, dagli investimenti per le energie rinnovabili ai servizi di sanità e assistenza, alle strutture della scuola e della formazione professionale, può essere uno stimolo anche per riattivare esperienze di contrattazione e concertazione territoriale saltuariamente sperimentate negli anni passati.
Allora queste non si sono diffuse sia per le resistenze di alcune parti sociali e degli imprenditori, sia per la scarsità delle risorse finanziarie e istituzionali a disposizione degli enti locali.
Oggi il Piano attribuisce risorse finanziarie e ruoli considerevoli ai livelli decentrati di governo e quindi offre una concreta possibilità di riprendere esperienze di concertazione fra enti locali, parti sociali e organizzazioni civili, arricchendole di contenuti che tengano insieme diverse azioni economiche e sociali sul territorio secondo un’ integrazione orizzontale che ne potenzi la efficacia.
A tal fine possono essere di esempio iniziative recenti come quella del patto emiliano fra regione, enti locali e organizzazioni economiche e sociale, che si è concentrato inizialmente sulla promozione dello sviluppo locale, di buona occupazione e di contrasto alle diseguaglianze, per poi estendersi fino a comprendere azioni di promozione di una economia verde, per la difesa e il miglioramento dell’ambiente.
Questo accordo regionale sui temi critici posti dalle transizioni economiche e sociali in atto è un esempio suscettibile di essere ripreso in altri contesti attivando le risorse e i tavoli territoriali e settoriali di partecipazione previsti dal PNRR.
La diffusione di forme decentrate di concertazione rappresenta una via utile per la partecipazione alle politiche pubbliche, sia perché opera nelle sedi più vicine alle persone sia per compensare le tentazioni del centralismo sollecitate dalle varie emergenze succedutesi in questi anni.
Gli interventi di emergenza finora attuati dal governo, nonostante siano stati ispirati da intenti egualitari non sono riusciti a ripristinare situazioni di equilibrio fra diversi gruppi e soggetti né a contrastare la tendenza all’ aggravarsi delle diseguaglianze.
Le ricerche hanno testimoniato che le diseguaglianze colpiscono più gravemente alcuni gruppi sociali, a cominciare da donne e giovani, nonché aree geografiche come quelle meridionali, ma che sono cresciute in generale. Inoltre si presentano sempre più come un fenomeno multidimensionale, per cui i diversi aspetti delle diseguaglianze si intrecciano fra di loro aggravando l’impatto sugli stessi gruppi e persone.
La esperienza recente, ancora più di quella passata, conferma l’urgenza di andare oltre le misure di emergenza e di reimpostare tutte le politiche pubbliche, a cominciare da quelle di welfare, in funzione del contrasto alle diseguaglianze e della promozione di pari opportunità e condizioni fra le persone di gruppo sociali.
Questa è una priorità trasversale per le politiche pubbliche che va oltre gli interventi specifici pur comprensivi del PNRR, perché investe direttamente i compiti delle istituzioni della Repubblica, esplicitati solennemente nell’ art. 3 della Costituzione.

8. Partecipazione dei cittadini e processi decisionali pubblici
La conclusione della prima fase del PNRR, che ne ha visto un avvio difficile ma orientato nella giusta direzione, ha coinciso con lo scoppio della guerra in Ucraina, con l’aggravarsi delle tensioni geopolitiche e con il conseguente deterioramento delle condizioni economiche dell’Italia come di altri paesi.
Queste drammatiche novità pongono ulteriori sfide alle nostre istituzioni, alla nostra comunità e alla compagine politica uscita dalle elezioni che si appresta a governare.
Anche nella prosecuzione del PNRR si dovrà tenere conto delle nuove condizioni di contesto: inflazione, costi in crescita della energia e delle materie prime, rischio di recessione.
Gli orientamenti prevalenti in Europa e in Italia suggeriscono di aggiornare e rafforzare gli aspetti critici del Piano, eventualmente di riprogrammarne i tempi attuativi, senza però stravolgerne l’impianto e gli obiettivi, che offrono ancora una opportunità decisiva per promuovere uno sviluppo sostenibile del nostro paese.
Le organizzazioni presenti al Tavolo di partenariato hanno espresso un patrimonio comune di riflessioni e di proposte che testimoniano della validità del metodo partecipativo e che servono ad alimentare il percorso futuro del Piano anche nel nuovo contesto.
I contributi raccolti offrono testimonianze significative di come il coinvolgimento di cittadini e di gruppi sociali abbia contribuito alla elaborazione e alla attuazione delle politiche necessarie al nuovo sviluppo del paese proposto dal NGEU.
Il valore di queste testimonianze va al di là degli episodi specifici. È significativo perché conferma la importanza della partecipazione diretta dei cittadini e delle forze sociali per rafforzare la capacità di innovazione delle istituzioni e per mobilitare le risorse necessarie a raggiungere obiettivi ambiziosi come quelli posti dal PNRR.
Ma indica altresì che questa partecipazione può migliorare i processi decisionali rivolti alla produzione di beni pubblici necessari ai cittadini e quindi integrare in punti importanti la efficacia delle procedure democratiche.
Questa è una possibilità offerta dal Piano, non una certezza. Cogliere tale possibilità è un test decisivo per il futuro del paese.

 

 

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