testo integrale con note e bibliografia

1. Se dovessimo muovere dal titolo di questa sessione, potremmo anzitutto domandarci se il diritto del lavoro stia realmente attraversando una fase espansiva. Quasi certamente, tra studiosi e pratici della disciplina, non emergerebbe una risposta univoca. Qualcuno lamenterebbe ad es. la diminuzione delle tutele tradizionalmente offerte da questa branca del diritto, sia quanto a intensità della protezione del contraente debole (si pensi al dibattito sul sistema rimediale dei licenziamenti illegittimi, alle questioni inerenti all’adeguatezza dei salari, all’ampiezza dei poteri datoriali di controllo, ecc.) , sia quanto alla tecnica normativa adoperata (con il ritrarsi, almeno parziale, della norma inderogabile) . Ciò potrebbe essere oggetto, naturalmente, di specifico dibattito.
Vi è però almeno un senso in cui la predetta “tendenza espansiva” è reale (e non da tempi così recenti): quello per cui principi, istituti e tecniche normative, storicamente concepiti per il lavoro subordinato (ex art. 2094 c.c.), sono stati estesi o adattati, per intervento del legislatore o in via interpretativa, al di fuori dell’area del lavoro dipendente. Ciò, per il riprodursi pure nell’ambito del lavoro non subordinato in senso tecnico (parasubordinato, autonomo, professionale, sinanche talora imprenditoriale) di situazioni, del tutto analoghe, di debolezza contrattuale, dipendenza economica, sottoprotezione sociale.
Per converso, dinamiche o elementi di autonomia permeano in modo crescente rapporti di lavoro pacificamente qualificati come subordinati, rispondendo tale fenomeno, peraltro, non solo ad interessi datoriali, ma anche ad aspettative professionali e personali dei prestatori di opere, con l’emergere di inediti spazi di autonomia negoziale individuale: si pensi a flessibilità potenzialmente “amiche” inerenti ai tempi, ai luoghi, alle modalità di lavoro, alla possibilità di collaborare per obiettivi e, sotto tale profilo, essere valutati e retribuiti, e altro ancora.
Chiunque abbia dimestichezza con la materia facilmente è portato a rilevare come simile quadro evolutivo non sia in totale discontinuità con il passato. Anche la legislazione più risalente, inclusa quella del codice, ci mostra infatti l’esistenza di “subordinazioni” al plurale , con discipline distinte e diverse intensità di protezione (il lavoro nell’impresa e non, il lavoro a domicilio, il lavoro dei dirigenti, il lavoro pubblico, il lavoro nella piccola o nella grande impresa, ecc.). Non a caso, i manuali di diritto del lavoro hanno sempre presentato parti dedicate ai contratti di lavoro “speciale” (il lavoro dei giornalisti, marittimo, domestico, del socio di cooperativa, ecc.).
D’altro canto, già il codice civile annovera contratti di lavoro autonomo (come i rapporti di agenzia) con elementi di potere e soggezione, per i quali sussistono non a caso tutele collettive risalenti; o involgenti persino l’imprenditore: il contratto di appalto, ad es., implica il potere del committente di impartire istruzioni o di “verifica nel corso di esecuzione dell’opera” (ex art. 1662 c.c.).

2. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque? Certo, la complessità dei rapporti di lavoro è aumentata e, con essa, da un lato è sorta – e da tempo – l’esigenza di rimeditare le fattispecie tradizionali (subordinazione, parasubordinazione, autonomia) e i relativi effetti (pensiamo, a tal proposito, all’introduzione del concetto di etero-organizzazione e al c.d. statuto del lavoratore autonomo) ; da un altro, si sono introdotte discipline speciali relative a nuove modalità di svolgimento della prestazione (come il lavoro agile e il lavoro tramite piattaforma digitale); da un altro ancora, il legislatore, in ipotesi crescenti, distribuisce le tutele secondo innovative prospettive transtipiche (pensiamo alla normativa sulla sicurezza sul lavoro, ai diritti di informazione individuale nel rapporto di lavoro, alla tutela del whistleblower, ecc.) .
Ma non è tutto. Il diritto del lavoro, in fondo, da sempre conosce il problema di governare la complessità dei rapporti di produzione e i loro mutamenti. Esso nasce ed evolve attraverso i prodotti dell’autonomia collettiva, non meno che mediante interventi etero-normativi. E tali prodotti si connotano per maggiori potenziali di flessibilità e tempestività di intervento rispetto al legislatore. Quest’ultimo, non a caso, si è sempre più avvalso della contrattazione collettiva come risorsa, al fine dell’adattabilità del precetto legale inderogabile alle circostanze del settore, del territorio, dell’azienda, adoperando la tecnica del rinvio, ormai quasi sempre anche al livello aziendale (emblematica, in proposito, la disciplina dell’orario di lavoro).
E’ doveroso domandarsi se gli interventi del legislatore, nel corso degli ultimi decenni, abbiano contribuito – in termini sia di equità e razionalità che di certezza del diritto – a regolazioni dei rapporti di lavoro che coniughino le esigenze fondamentali di protezione – corrispondenti a principi costituzionali – di tutti coloro che svolgano attività prevalentemente personale, con i possibili adattamenti e le opportune flessibilità correlate alle specificità dei contesti produttivi e anche alle necessità dei singoli (datori e prestatori).
La valutazione è complessa e ovviamente non esauribile in poche battute. A me pare che alcuni provvedimenti siano risultati meno efficaci: penso soprattutto al lavoro a progetto e alla disciplina delle partite iva della riforma Fornero; ma, qui pure, si deve anche osservare che il relativo statuto protettivo recava tratti originali, in parte ripresi dalla l. n. 81/2017 . Altri interventi, per contro, si sono rivelati interessanti: tra questi, il controverso art. 8, d.l. n. 138/2011, di valorizzazione della contrattazione di prossimità. Sebbene il testo presenti alcune problematicità interpretative, è da escludere che si ponga in contrasto con i precetti costituzionali, sia quanto ad effetti soggettivi che a rapporti con la norma legale .
Del resto, non si può trascurare che un intervento legislativo sulle fattispecie sia tecnicamente difficile: ne è prova recente la difficoltà di redazione e interpretazione della norma sull’etero-organizzazione. D’altro canto, riforme di ampio respiro scontano il problema delle maggioranze (e delle relative tenute) nel panorama politico. Il che ha impedito di adottare soluzioni più innovative, come quella immaginata da Marco Biagi per uno “Statuto dei lavori”.
In definitiva, il legislatore ha navigato a vista, in parte agendo sulle fattispecie, in parte sugli effetti, cercando per questa via di sdrammatizzare la secca alternativa tra il “tutto o niente” delle tutele, nella storica dicotomia tra subordinazione e autonomia.

3. Al di là di possibili soluzioni de iure condendo – che spesso scontano, come detto, difficoltà di ordine politico – occorrerebbe anzitutto interrogarsi se, a diritto vigente, sussistano risorse normative, magari non sufficientemente considerate, con cui attuare una regolazione “ben temperata” dei rapporti di lavoro.
Un primo strumento, che pure ha trovato qualche applicazione, è costituito dagli accordi collettivi che, ai sensi dell’art. 2, c. 2, lett. a), d.lgs. n. 81/2015, consentono di modulare le tutele delle collaborazioni etero-organizzate, evitando l’integrale riconduzione alla disciplina del lavoro subordinato. Tali accordi sono stati stipulati per settori come la formazione, lo spettacolo, le università private, le o.n.g., i call center, la sanità privata, gli acquisti on line, e altri ancora. Certo, almeno tecnicamente, tali accordi non sono – e, costituzionalmente, probabilmente non potrebbero – essere riferiti a prestazioni subordinate tout court, ma all’area intermedia tra subordinazione e autonomia, per la quale potrebbero fungere, oltre che da presidio di migliori tutele (anche sul punto del corrispettivo), da strumento preventivo del contenzioso sulla qualificazione del rapporto. Qui il nodo, semmai, è la verifica del requisito della maggiore rappresentatività sindacale comparativa, prescritto dalla norma.
Una seconda risorsa, come detto, è quella ex art. 8: sebbene, come efficacemente si è affermato, le deroghe si facciano anche se non si dicono , gli accordi di prossimità permettono modulazioni di tutela a livello territoriale e aziendale su un novero ampio (ma di stretta interpretazione) di materie, pur sempre nei limiti ordinamentali fondamentali e previa specificazione delle finalità delle deroghe.
Un terzo, rilevante istituto è la certificazione dei contratti di lavoro. Pur non dotato di funzioni di derogabilità assistita , lo strumento consente di valorizzare l’autonomia individuale nella costruzione del regolamento contrattuale e nella qualificazione del rapporto. Ciò, anzitutto, attraverso l’attività di consulenza e assistenza delle commissioni. Mediante le audizioni, esse accertano l’intenzione dei contraenti e li informano sugli effetti del negozio da stipulare. Già per questo, si tratta di uno strumento preventivo del contenzioso, che comunque verrebbe filtrato dal tentativo obbligatorio di conciliazione.
Al di là, poi, di quali siano, puntualmente, gli effetti precettivi del provvedimento di certificazione (tra le parti, nei confronti dei terzi e del giudice), non si può non registrare come, dopo venti anni, la giurisprudenza sulla validità e l’efficacia degli atti di certificazione sia significativamente scarna. In un solo caso si è annullata la certificazione per “erronea qualificazione” ; e in un solo, ulteriore caso si è appurata la divergenza tra il programma certificato e la successiva attuazione . Le restanti decisioni dei giudici si sono concentrate su questioni formali e procedurali, con esiti quasi sempre di conferma della regolarità del procedimento amministrativo .
Nonostante – va detto – lo strumento non incontri sempre il favore sindacale e delle istituzioni (penso all’INL , e in parte è comprensibile), l’istituto si va diffondendo, è stato valorizzato negli anni dal legislatore e, tra l’altro, risulta facilmente accessibile grazie alla capillare diffusione delle commissioni (universitarie, dei consulenti del lavoro, degli enti bilaterali, degli ITL) sul territorio nazionale.

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