testo integrale con note e bibliografia

1.Risarcimento del danno nel diritto del lavoro: definizione ed impostazione del tema d’indagine
1.1. In principio, è la persona del prestatore nel rapporto di lavoro e con essa – parimenti coperta da garanzia costituzionale – la tutela del lavoro in tutte le sue forme e la tutela differenziata del lavoro subordinato.
Ne risulta il danno non patrimoniale, in dipendenza della lesione - appunto - di diritti della persona del lavoratore, costituzionalmente garantiti.
Coerentemente, trova diffusa applicazione – nel diritto del lavoro – la risarcibilità di tale danno non patrimoniale, che - all’esito di interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione codicistica in materia (articolo 2059 c.c.), nel rispetto perciò, della riserva di legge (art. 23 cost.) – risulta enunciata dal nuovo corso della giurisprudenza, inaugurato dalla terza sezione civile nel 2003 e consolidato nel 2008 dalle sentenze gemelle di San Martino delle sezioni unite civili della Corte di cassazione .
1.2. Coerente con il risarcimento dello stesso danno non patrimoniale – in quanto palesemente non compensativo, afferendo alla lesione di un interesse che non ha un surrogato rinvenibile sul mercato – pare la polifunzionalità del risarcimento – indotta da univoche suggestioni di fonti diverse (nazionali e dell’Unione europea) - che coniuga la funzione compensativa del risarcimento, appunto, con le funzioni sanzionatoria e dissuasiva.
1.3. E la polifunzionalità del risarcimento concorre ad integrare la condizionalità, che – nel diritto del lavoro dell’Unione europea – deve connotare il risarcimento per equivalente, perché risulti alternativo e possa, perciò, sostituire la tutela in forma specifica vietata dall’ordinamento interno.
1.4. Nella prospettata disciplina della soggetta materia, il diritto del lavoro si coniuga, quindi, con il diritto civile (rectius: privato) – mutuandone risarcibilità del danno non patrimoniale, in dipendenza della lesione di diritti costituzionalmente garantiti, e polifunzionalità del risarcimento – mentre il diritto dell’Unione europea - in materie attribuite, beninteso, alla competenza dell’Unione – concorre con il diritto nazionale per integrare, con la polifunzionalità del risarcimento appunto, la condizionalità, che deve connotare il risarcimento per equivalente, perché risulti alternativo e possa, perciò, sostituire la tutela in forma specifica vietata dall’ordinamento interno.
Ne risultano evocate, coerentemente, le regole – che governano i prospettati rapporti tra fonti – a cominciare dalla prevalenza del diritto dell’Unione europea – rispetto agli ordinamenti interni degli stati membri – in dipendenza della propria primazia.
1.5. Radicato nell’analisi economica del diritto, che persegue la prevenzione del rischio di danneggiamento – attraverso la ricerca del giusto equilibrio tra costi sociali patiti dalle vittime e costi precauzionali imposti ai potenziali danneggianti - risulta, vieppiù, il risarcimento in dipendenza della polifunzionalità, che – coniugando funzione compensativa e funzione dissuasiva del risarcimento, appunto – contribuisce, quantomeno, a realizzare l’equilibrio prospettato (vedi infra).

1.6. Coerente con l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione codicistica in materia di danni non patrimoniali (articolo 2059 c.c.) – nel rispetto, perciò, della riserva di legge (articolo 23 cost.) – ed indotta da univoche suggestioni di fonti diverse (nazionali e dell’Unione europea), la polifunzionalità del risarcimento del danno – radicata nella analisi economica del diritto – travolge il dogma del risarcimento solo compensativo e – dopo avere già ricevuto diffusa applicazione (non solo) in materia di lavoro - pare dotata di potenzialità espansiva e capace di aperture ulteriori ad ordinamenti stranieri.
Valga, tuttavia, il vero.
2.Segue: risarcibilità del danno non patrimoniale, in dipendenza della lesione di diritti della persona del lavoratore costituzionalmente garantiti.
2.1.Trova diffusa applicazione nel diritto del lavoro – come è stato anticipato - la risarcibilità del danno non patrimoniale, in dipendenza della lesione di diritti della persona del lavoratore, che - all’esito di interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione codicistica in materia (articolo 2059 c.c.), nel rispetto perciò della riserva di legge (art. 23 cost.) – risulta enunciata dal nuovo corso della giurisprudenza, inaugurato dalla terza sezione civile nel 2003 e consolidato nel 2008 dalle sentenze gemelle di San Martino delle sezioni unite civili della Corte di cassazione .
2.2. Invero la persona del prestatore nel rapporto di lavoro e la tutela del lavoro in tutte le sue forme e la tutela differenziata del lavoro subordinato – parimenti coperta da garanzia costituzionale – comportano la diffusa configurabilità di danno non patrimoniale – come è stato anticipato - in dipendenza della lesione - appunto - di diritti della persona del lavoratore, costituzionalmente garantiti.
2.3.E la risarcibilità dello stesso danno non patrimoniale riposa sulla interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione codicistica in materia (art. 2059 c.c.) – come pure è stato anticipato - “nel senso di ritenere superato il limite dei casi stabiliti dalla legge qualora la lesione colpisca valori della persona garantiti dalla >Costituzione, riguardo ai quali la riparazione mediante indennizzo costituisce la forma minima di tutela, in quanto tale non assoggettabile a specifici limiti perché ciò si risolve in un rifiuto di tutela nei casi esclusi”.

3.Segue: dalla risarcibilità del danno non patrimoniale, in dipendenza della lesione di diritti della persona del lavoratore costituzionalmente garantiti, alla polifunzionalità del risarcimento.

3.1. Coerente con il risarcimento del prospettato danno non patrimoniale – palesemente non compensativo, afferendo alla lesione di un interesse che non ha un surrogato rinvenibile sul mercato – pare la polifunzionalità del risarcimento, in quanto – come è stato anticipato - ne coniuga la funzione compensativa, appunto, con le funzioni sanzionatoria e la funzione dissuasiva.
E risulta indotta – come pure è stato anticipato - da univoche suggestioni di fonti diverse (nazionali e dell’Unione europea).
3.2. E’ la “possibilità di riconoscere nell'ordinamento italiano gli effetti di una sentenza straniera di condanna al risarcimento di danni punitivi” la questione - che la prima sezione rimette alle sezioni unte - in base ai rilievi, che risultano così massimati:
“La natura eccezionale dell'ordine pubblico quale limite al riconoscimento di decisioni straniere e la stessa previsione da parte del legislatore italiano di casi in cui la responsabilità civile ha una funzione sanzionatoria inducono infatti, salvo il caso di condanna risarcitoria “abnorme", a ritenere superato l'orientamento giurisprudenziale contrario alla riconoscibilità delle sentenze di condanna al risarcimento del danno punitivo”.
3.3. Coerente con le prospettazioni e le attese della sezione rimettente, la sentenza delle sezioni unite risulta così massimata :“Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria della responsabilità civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero e alla loro compatibilità con l'ordine pubblico”.
3.4. Volta a risolvere la questione – concernente la contrarietà all’ordine pubblico di sentenza straniera di condanna per danni punitivi – la polifunzionalità del risarcimento risulta indotta, essenzialmente, da univoche suggestioni di fonti nazionali ed euro unitarie.
Specifiche ipotesi di risarcimento non compensativo – previste da fonti e sentenze costituzionali del nostro ordinamento, nonché da fonti del diritto dell’Unione europea - inducono a configurare, infatti, la polifunzionalità del risarcimento.
Mentre la prospettata coerenza della polifunzionalità del risarcimento - con la risarcibilità dei danni non patrimoniali, in dipendenza della lesione di diritti della persona del lavoratore costituzionalmente garantiti – sembra concorrere, quantomeno, a farne condividere la diffusa applicazione nel diritto del lavoro.

4. Segue: polifunzionalità del risarcimento e condizionalità eurounitaria del risarcimento per equivalente, quale alternativa alla tutela in forma specifica vietata dall’ordinamento interno degli stati membri.
4.1. La polifunzionalità del risarcimento, come è stato anticipato, concorre ad integrare la condizionalità, che – nel diritto del lavoro dell’unione europea – deve connotare il risarcimento per equivalente, perché risulti alternativo e possa, perciò, sostituire la tutela in forma specifica vietata dall’ordinamento interno degli stati membri.
4.2. Invero qualsiasi divieto di conversione – comunque imposto dall’ordinamento nazionale degli stati membri – risulta conforme all’ordinamento dell’Unione europea solo se la stessa normativa nazionale prevede – contestualmente – “un’altra misura effettiva per evitare ed, eventualmente, sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi”.
4.3. Con riferimento al nostro ordinamento, quindi, la stessa garanzia costituzionale del principio del pubblico concorso (art. 97, 3° comma, Cost) risulta, bensì, idonea a giustificare - quando il rapporto di lavoro subordinato intercorra, appunto, con amministrazioni pubbliche - l’esclusione della conversione - in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato - della successione abusiva di più contratti di lavoro a tempo determinato.
La stessa esclusione, tuttavia, è subordinata alla condizione che siano previste, dallo stesso ordinamento nazionale, misure effettive volte a prevenire ed a punire eventuali usi abusivi dei contratti a tempo determinato.
Pertanto è subordinata a tale condizione – sebbene sia fondata sul principio costituzionale del pubblico concorso – l’esclusione della conversione — in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato — della successione abusiva di più contratti di lavoro a tempo determinato alle dipendenze di amministrazioni pubbliche.
Né può essere trascurato che la prospettata compatibilità condizionata — tra garanzia del principio costituzionale del pubblico concorso, appunto, e ordinamento comunitario – risulta coerente con il primato dello stesso ordinamento rispetto alle fonti — anche costituzionali — degli ordinamenti nazionali degli Stati membri, fatta esclusione per i principî fondamentali del nostro ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona.
4.4. Coerente risulta, quindi, la conclusione della sentenza Mascolo della Corte di giustizia.
Ne risulta palese, infatti, il contrasto della nostra disposizione nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali – con l’ordinamento dell’Unione europea – sia laddove prevede la successione di contratti di lavoro a tempo determinato – ritenuta abusiva dalla Corte di giustizia – sia laddove, coerentemente, non commina alcuna sanzione per la stessa successione di contratti.
Ora è, bensì, vero che la stessa sentenza Mascolo della Corte di giustizia non ha comportato l’espunzione dal nostro ordinamento, né la non applicazione della normativa interna (articolo 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124,cit.), contestualmente ritenuta confliggente con l’ordinamento dell’Unione europea.
Coerenti con la stessa sentenza della Corte di giustizia, ne sembrano, tuttavia, i seguiti nel nostro ordinamento: la legge si coniuga, in tale prospettiva, con la giurisprudenza della nostra Corte costituzionale.
4.5. Per quel che qui interessa, la sentenza Mascolo della Cote costituzionale muove dalla declaratoria di illegittimità costituzionale (per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla clausola 5, comma 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato) della stessa disposizione (art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124 del 1999), che la Corte di giustizia aveva ritenuto in contrasto con il diritto dell’Unione europea.
E perviene alla conclusione che “il primato del diritto comunitario e la esclusività della giurisdizione costituzionale nazionale, in un sistema accentrato di controllo di costituzionalità, impongono delicati equilibri, evidenziati anche nell’ordinanza del rinvio pregiudiziale, in cui questa Corte ha posto in evidenza i principi costituzionali che vengono in rilievo nella materia in esame, e cioè l’accesso mediante pubblico concorso agli impieghi pubblici (art. 97, quarto comma, Cost.), e il diritto all’istruzione (art. 34 Cost.)”.
Il rilievo che “la disciplina comunitaria in questione non si pone in contrasto con nessuno dei due principi” e che “la statuizione della Corte del Lussemburgo, al contrario, appare rispettosa delle competenze degli Stati membri, cui riconosce espressamente spazi di autonomia” risulta preliminare, poi. alla delimitazione di tali spazi, che “riguardano in particolare le ricadute sanzionatorie dell’illecito” .
Ed, in tale prospettiva, prende atto che – occupandosi di tali ricadute – la Corte di giustizia ha ritenuto che “la normativa comunitaria in materia non prevede misure specifiche, rimettendone l’individuazione alle autorità nazionali e limitandosi a definirne i caratteri essenziali (dissuasività, proporzionalità, effettività)”.
In tale cornice, quindi, la Corte costituzionale colloca lo scrutinio sulle ricadute sanzionatorie dell’illecito e, segnatamente, sulla coerenza – eurounitaria e costituzionale – del sistema sanzionatorio previsto dal seguito legislativo.
4.6. Intanto per lo scrutinio – sull’esercizio della discrezionalità riservata alle autorità nazionali, nella determinazione di un sistema sanzionatorio dotato dei prescritti caratteri essenziali (equivalenza, appunto, effettività, proporzionalità ed efficacia dissuasiva) – “s’impone una integrazione del dictum del giudice comunitario, che non può che competere a questa Corte”.
Con specifico riferimento, poi, al sistema sanzionatorio – per i contratti a termine stipulati sulla base della disposizione (articolo 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124, cit., appunto), ora espunta dal nostro ordinamento, perché abrogata e, nel contempo, investita da declaratoria di incostituzionalità (in relazione all’articolo 117, primo comma, cost.) – la Corte costituzionale – dopo avere analizzato la disciplina a regime – concentra il proprio scrutinio (punti 14.4. e seguenti) sulle disposizioni transitorie.
4.7. Compete, tuttavia, ai giudici comuni la determinazione del risarcimento, che – in alternativa alla conversione vietata – è dovuto da amministrazioni pubbliche in dipendenza del ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
La discrezionalità delle autorità nazionali (comprese, all’evidenza, quelle giudiziarie) – nella determinazione di tale risarcimento – incontra, però, i limiti che risultano, per quanto si è detto, dalla imposizione di requisiti indefettibili (anche) per lo stesso risarcimento: la effettività si coniuga, in tale prospettiva, con la proporzionalità, la equivalenza – rispetto a misure “che riguardano situazioni analoghe di natura interna” – e la efficacia dissuasiva.
Né può essere trascurato che il risarcimento risulta alternativo rispetto alla conversione vietata – (anche) in ossequio al principio costituzionale del pubblico concorso (art. 97, 3° comma, Cost.) – solo se presenta i requisiti indefettibili che sono stati prospettat (dissuasività, proporzionalità, effettività i.
Tali requisiti non sembrano ricorrere, tuttavia, nel risarcimento, che – in alternativa alla conversione – risulta stabilito dal nostro diritto vivente.
La corte di giustizia, tuttavia, è di contrario avviso.
4.8. Per quel che qui interessa, tuttavia, la polifunzionalità della retribuzione – in quanto ne coniuga la funzione compensativa con le funzioni dissuasiva e sanzionatoria – all’evidenza concorre ad integrare – con i requisiti indefettibili prospettati (dissuasività, proporzionalità, effettività) – la condizionalità euro unitaria del risarcimento per equivalente, quale alternativa alla tutela in forma specifica, vietata dall’ordinamento nazionale degli stati membri.

5.Segue: fonti della disciplina e, per la polifunzionalità del risarcimento, anche radicamento nell’analisi economica del diritto.

5.1. Nella prospettata disciplina della soggetta materia, il diritto del lavoro si coniuga, quindi, con il diritto civile (rectius: privato) – mutuandone risarcibilità del danno non patrimoniale, in dipendenza della lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti, e polifunzionalità del risarcimento – mentre il diritto dell’Unione europea - in materie attribuite, beninteso, alla competenza dell’Unione – concorre con il diritto nazionale per integrare, con la polifunzionalità del risarcimento appunto, la condizionalità, che deve connotare il risarcimento per equivalente, perché risulti alternativo e possa, perciò, sostituire la tutela in forma specifica vietata dall’ordinamento interno.
Ne risultano coerentemente evocate, come pure è stato anticipato, le regole – che governano i prospettati rapporti tra fonti – a cominciare dalla prevalenza del diritto dell’Unione europea – rispetto agli ordinamenti interni degli stati membri – in dipendenza della propria primazia

5.2. In tale prospettiva, prevale – sull’ordinamento nazionale - non solo l’esaminata condizionalità eurounitaria, per quanto si è detto, ma anche le fonti dell’unione europea – evocate dalle sezioni unite a sostegno della polifunzionalità del risarcimento - sembrano imporne l’applicazione - e non soltanto indurne la configurazione - nel nostro ordinamento.
5.3. Radicato nell’analisi economica del diritto - che persegue la prevenzione del rischio di danneggiamento, attraverso la ricerca del giusto equilibrio tra costi sociali patiti dalle vittime e costi precauzionali imposti ai potenziali danneggianti - risulta, vieppiù, il risarcimento -- come è stato anticipato - in dipendenza della polifunzionalità, che – coniugando funzione compensativa e funzione dissuasiva del risarcimento, appunto – contribuisce, quantomeno, a realizzare l’equilibrio prospettato.
5.4. Invero la funzione compensativa del risarcimento tende alla riparazione del pregiudizio – nell’interesse del danneggiato - mentre la funzione dissuasiva è volta alla dissuasione, appunto, del potenziale danneggiante.
Coniugando le due funzioni – compensativa, appunto, e dissuasiva – la polifunzionalità del risarcimento contribuisce, quantomeno, a realizzare l’equilibrio - tra costi sociali patiti dalle vittime e costi precauzionali imposti ai potenziali danneggianti - in funzione della prevenzione del rischio di danneggiamento, che l’analisi economica del diritto persegue.
Sembra, invece, esulare - dalla allocazione prospettata dei costi del danneggiamento – la funzione sanzionatoria – che parimenti concorre ad integrare la polifunzionalità – del risarcimento, in quanto strumento utile a presidiare un comando, che trova nel rimedio proprio necessari completamento
La conclusione proposta si imporrebbe, vieppiù, ove di condividesse la tesi – che pare, tuttavia, in contrasto con la polifunzionalità del risarcimento - secondo cui “nel nostro vigente ordinamento il risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non ha caratteri e finalità meramente punitivi, per cui l'idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno con finalità sanzionatorie ed afflittive”.

6.Segue: potenzialità espansiva della polifunzionalità del risarcimento (note conclusive)
6.1. Coerente con l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione codicistica in materia di danni non patrimoniali (articolo 2059 c.c.) – nel rispetto, perciò, della riserva di legge (articolo 23 cost.) – ed indotta da univoche suggestioni di fonti diverse (nazionali e dell’Unione europea) – come è stato anticipato - la polifunzionalità del risarcimento del danno – radicata sulla analisi economica del diritto – travolge il dogma del risarcimento solo compensativo e – dopo avere già ricevuto diffusa applicazione (non solo) in materia di lavoro - pare dotata di potenzialità espansiva e capace di aperture ulteriori ad ordinamenti stranieri.
6.2.Sono le stesse sezioni unite a metterlo in evidenza nei termini testuali seguenti:
“Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile”.
Il senso del messaggio è chiaro, basta saperlo leggere per il verso giusto.
6.3.Non significa, infatti, che la responsabilità civile abbia mutato la propria essenza e che la curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici – chiamati a pronunciare in materia di responsabilità civile, appunto – di imprimere soggettive accentuazioni alla polifunzionalità del risarcimento.
Il paventato soggettivismo giudiziario trova il limite invalicabile imposto dalla costituzione e, finora, rigorosamente osservato.
6.4.Ogni imposizione di prestazione personale o patrimoniale, infatti, esige una intermediazione legislativa: lo stabilisce la Costituzione, laddove (articolo 23, correlato agli articoli 24 e 25) pone una riserva di legge – in materia, appunto, di imposizione di prestazioni (anche) patrimoniali – precludendo ogni incontrollato soggettivismo giudiziario.
Si tratta della riserva di legge, che – per quanto si è detto – risulta finora osservata.
Infatti riposa – sulla interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione codicistica in materia di danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) – la risarcibilità del danno non patrimoniale, appunto, in dipendenza della lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti.
E la polifunzionalità del risarcimento risulta parimenti riposta– come pure si è detto – su univoche suggestioni di fonti legali, che recano la previsione di specifiche ipotesi di risarcimento di danno non compensativo.
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