testo integrale con note e bibliografia

Nell’ultimo biennio si registra nei diversi soggetti che operano nel “sistema” lavoristico (ispettori INL, interpreti ministeriali, associazioni sindacali, giudici) la tendenza a favorire una soluzione squisitamente giudiziale (potremmo dire remediale) e ideologicamente connotata della questione qualificatoria, in spregio delle fattispecie normative, della libertà/volontà negoziale oltre che dell’approccio ermeneutico tradizionale finora adottato dallo stesso “diritto vivente”.

1. L’irresistibile forza di attrazione dell’art. 2094 cod. civ.: il caso dei riders

Emblematica è l’evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali in tema di qualificazione del rapporto di lavoro dei riders.
Dopo un esordio timido e rispettoso dei tradizionali canoni di intepretazione giuridica , la questione della qualificazione del lavoro tramite piattaforma pareva essersi, ad inizio anno 2020, quantomeno assestata con la sentenza n. 1663 della Corte di Cassazione, che come noto ha ricondotto il rapporto dei riders all’art. 2, D.Lgs. n. 81/2015, in base all’accertamento della c.d. “eterorganizzazione”, individuata nella “effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente”. Per la Corte il lavoratore eterorganizzato può restare tecnicamente autonomo pur se gli si dichiara applicabile la disciplina del lavoro subordinato , realizzandosi così una forma di tutela rafforzata finalizzata a “rimediare” alla particolare situazione di debolezza contrattuale in cui verserebbero i predetti collaboratori .
La Cassazione tuttavia, pur essendo probabilmente tentata di farlo, non ha riconosciuto la subordinazione del rapporto, consapevole del fatto che sul rider, nella tipizzazione socio-normativa che ha ormai acquisito la sua “figura”, non grava l’obbligo di effettuare la prestazione, essendo egli libero di svolgere senza vincolo di continuità o presenza le attività di consegna oggetto del contratto individuale. E questo è un elemento costante delle fattispecie concrete sottoposte ogni volta ad accertamento giudiziale.
Successivamente a tale sentenza l’elaborazione giurisprudenziale ha subìto una brusca accelerazione, tanto che il “Rubicone” della subordinazione risulta ora disinvoltamente valicato da numerose, alcune recentissime, sentenze di merito (Trib. Palermo 24 novembre 2020; Trib. Torino 18 novembre 2021; Trib. Milano 20 aprile 2022; Trib. Milano 20 aprile 2022), tra le quali si segnala, per ricchezza argomentativa e ampiezza di analisi tecnica, la decisione del Tribunale di Torino del novembre 2022 .
Ebbene la risposta al quesito rivoltoci non può prescindere dal puntuale confronto con gli snodi fondamentali che segnano il percorso interpretativo di queste sentenze.
Sgombrato il campo dai precetti normativi in vigore (l’art. 47 bis e segg. del d. lgs. n. 81/2015 sembra non esistere), dal c.d. nomen juris (la volontà negoziale espressa dalle parti al momento della stipulazione del contratto individuale di lavoro, del tutto negletta) e finanche dalla rilevanza degli indici c.d. sussidiari della subordinazione (dichiarati ininfluenti nel caso la subordinazione risulti già chiaramente dall’indice principale dell’assoggettamento ), i giudici fondano l’accertamento della eterodirezione (affrancandosi dalle ambiguità del criterio della eterorganizzazione) direttamente sull’esistenza del potere direttivo esercitato dalla società tramite la piattaforma.
In particolare, essi affermano che, sul piano di esecuzione tecnica della prestazione:
- la prenotazione dello slot non è libera, dovendo necessariamente avvenire all’interno delle finestre temporali predeterminate dalla piattaforma, in giorni specifici della settimana decisi dalla stessa e “neanche in tali occasioni è libera, in quanto l’orario in cui è possibile l’accesso al calendario è deciso unilateralmente in base al punteggio di eccellenza” (Trib. Torino 15 novembre 2022);
- la scelta dell’ordine da consegnare (quale esercente per quale cliente) viene effettuata dall’algoritmo senza alcuna facoltà di selezione da parte del rider, secondo criteri che egli non ha modo di verificare;
- una volta ricevuto l’ordine, il rider è assoggettato a puntuali indicazioni su come procedere che vengono fornite in tempo reale dall’app, il cui utilizzo continua ad essere obbligatorio anche nella fase esecutiva della consegna: il percorso da seguire, il luogo di consegna, l’esatta sequenza di tutti i singoli gesti in cui si scompone l’attività fino alla consegna e anche oltre, in relazione alle modalità di gestione del denaro incassato;
- anche se il rider è libero di seguire un percorso diverso, il compenso viene comunque calcolato in base al percorso suggerito dall’app (che diviene così obbligatorio);
- il mancato rispetto delle indicazioni impartite impedisce di procedere nella sequenza presente sull’app e quindi di formalizzare la conclusione della consegna e creare le condizioni per ricevere l’ordine successivo (sono inibite le consegne plurime);
- all’esercizio del potere direttivo conformativo della prestazione – continuano i giudici – si affianca un potere di controllo “esteso e pervasivo” reso possibile dalla piattaforma informatica che registra gli slot prenotati, le informazioni del profilo del corriere, tutte le consegne accettate ed evase, le richiesta di riassegnazione e il punteggio, etc. e soprattutto dal sistema di geolocalizzazione del corriere stesso mentre è online ed esegue la prestazione.
A suggello degli argomenti appena descritti, secondo questo sempre più marcato orientamento giurisprudenziale, sovviene altresì la dichiarazione della sussistenza di un vero e proprio potere disciplinare il cui esercizio, se da un lato può anche essere scarsamente visibile proprio per la presenza di continui controlli e diretti interventi di correzione (Cass. n. 9343/2005), d’altro lato troverebbe il modo di esprimersi concretamente nell’adozione del sistema del punteggio di eccellenza (rating) che, “determinando l’ordine temporale di accesso alla prenotazione degli slot, incide sulla maggiore o minore possibilità di lavorare e di guadagnare” (Trib. Torino 15 novembre 2022).
Da tale angolazione sarebbe chiara la differenza rispetto al lavoro autonomo, ove il controllo (e l’eventuale “reazione”) del committente si presenta focalizzato sul risultato richiesto al prestatore, che quest’ultimo è libero di raggiungere con modalità di sua scelta, senza alcuna ingerenza (in termini di interventi correttivi o inibitivi) da parte del primo.
Alla luce di quanto finora osservato (ma anche sulla base di una considerazione meramente numerica delle pronunce, pochissime, che finora si sono espresse a favore della configurazione del rapporto in termini di autonomia), la qualificazione dei riders presenta attualmente un alto rischio di essere ricondotta, in sede giudiziale o ispettiva, direttamente all’art. 2094 cod. civ., senza considerare – in aggiunta - quello di un eventuale accertamento della eterorganizzazione con conseguente applicazione dell’art. 2, D. Lgs. n. 81/2015.
Siffatta valutazione è corroborata dal fatto che tutte le decisioni che confluiscono nell’orientamento testè descritto azzerano la rilevanza di due elementi che, al contrario, nell’elaborazione tradizionale sono sempre stati reputati imprescindibili ai fini dell’accertamento della subordinazione:
- la sussistenza di una facoltà del rider di scegliere se e quando prestare la propria attività ;
- la necessaria continuità della prestazione .
Nell’ignorare l’esistenza degli artt. 47 bis e segg, del D. Lgs. n. 81/2015 che riconosce e disciplina la prestazione del rider autonomo, i giudici osservano che “la facoltà del lavoratore di scegliere se lavorare o meno non esclude la configurabilità della subordinazione” la quale troverebbe conferma anche sul piano normativo e segnatamente negli artt. 13 e segg. del D. Lgs. n. 81/2015, in tema di contratto di lavoro intermittente senza obbligo di riposta alla chiamata. L’esistenza di tale fattispecie dimostrerebbe che per il legislatore è ipotizzabile un rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dalla discontinuità della prestazione, rimessa sia alla volontà del datore di lavoro (che chiama al lavoro il prestatore solo quando ne ha bisogno) sia del lavoratore (che, in assenza di obbligo di disponibilità, può rifiutare di rendere la prestazione senza alcuna conseguenza).
Con la conseguenza (e buona pace delle tesi dottrinali che in tale ipotesi non ravvisano neppure un … rapporto, tantomeno di lavoro) che “ad ogni accettazione di rendere la prestazione corrisponde l’instaurazione di un singolo rapporto di lavoro che si esaurisce assieme al turno corrispondente; alla sequenza di proposte di lavoro e relative adesioni corrisponde dunque una sequenza di distinti rapporti di lavoro” (Trib. Torino più volte citata; conf. Trib. Milano 20 aprile 2022).
Certo i giudici non si accorgono che così argomentando separano la subordinazione dal contratto, collocandola al suo esterno, una costruzione che fino a qualche anno fa sarebbe stata inaccettabile da qualsiasi giuslavorista. La stessa Cassazione n. 1663/2020 è responsabile di aver aperto un varco a questa costruzione, nel distinguere tra fase genetica e fase di esecuzione del rapporto.
In questa sede, se non è dato conoscere quale sarà il futuro della subordinazione in Italia, è giocoforza tuttavia osservare che tale deriva giurisprudenziale incide pesantemente sul futuro del contenzioso in materia.

2. Il sistema normativo delle fattispecie: uno Statuto dei lavori frammentato e confuso

La giurisprudenza ha potuto muoversi così disinvoltamente “con sentenze a sorpresa che valorizzano questo o quell’indice, secondo l’impostazione, o la precomprensione, del singolo giudice” per due ragioni: è favorita da un quadro normativo a dir poco imperfetto; è appoggiata da un contesto socio-politico quasi unanimemente improntato a considerare le decisioni giudiziali uno strumento di equità sociale.
Preme ricordare che all’inizio di questo millennio, per bilanciare gli spazi riservati alle tre fattispecie fondamentali del diritto del lavoro (subordinazione, parasubordinazione, autonomia) il legislatore aveva tentato l’introduzione di un c.d. Statuto dei lavori . Esso suggeriva di superare la contrapposizione tra lavoro autonomo e subordinato con l’introduzione di uno zoccolo minimo di tutela per “tutte le forme di lavoro rese a favore di terzi”, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica. In tal modo, da un lato si sarebbe ampliato l’ambito di applicazione dei livelli minimi di protezione e dall’altro rese più moderne le tecniche di tutela del lavoro subordinato.
La legge delega 14 febbraio 2003, n. 30 ed il D. lgs. di attuazione 10 settembre 2003, n. 276, perseguendo l’obiettivo di fare chiarezza dei confusi e sempre più osmotici rapporti tra la subordinazione e l’autonomia, avevano quindi introdotto un discrimine tipizzato lungo la frastagliata linea di confine tra le due aree: il lavoro a progetto (artt. 61-69, D.Lgs. n. 276/2003) .
L’essenzialità del “progetto”, la cui mancata individuazione nel contratto di lavoro determinava il riconoscimento immediato della subordinazione (si era parlato di “super-indice”), costituiva allora un indubbio irrigidimento della fattispecie della “terra di mezzo”, la parasubordinazione, che rimetteva in discussione gli indici del “potere direttivo attenuato” e del “coordinamento” .
Con lo scopo di ridare elasticità a quella fattispecie, destinata ad ospitare il lavoro continuativo non subordinato, il legislatore del 2015 ha abrogato gli artt. 61-69 bis del D. lgs. n. 276/2003, lasciando piena libertà alle parti del contratto di co. co. co. di scegliere forma oggetto e disciplina per lo svolgimento del futuro rapporto di lavoro.
Volendo tuttavia mantenere la finalità antielusiva della riforma, il d. lgs. n. 81/2015 ha sostituito al requisito del “progetto” (che era indice di autonomia) il limite della “eterorganizzazione”, così stabilendo che, “a partire dal 1° gennaio 2016 , per i rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, si applica la disciplina del lavoro subordinato (art. 2, comma 1 del d. lgs. cit.).
La disposizione ha suscitato una pluralità di interpretazioni, sulle quali non è certo questa la sede di insistere, ma che hanno senz’altro ampliato l’ambito di discrezionalità del giudice nell’accertamento non tanto della subordinazione ovvero dell’eterodirezione, quanto di una nutrita serie di elementi indiziari che, se non in grado di condurre al riconoscimento dell’assoggettamento vero e proprio, avrebbero comunque potuto soddisfare il (nuovo? più blando?) indice della eterorganizzazione, con la conseguenza dell’applicazione in ogni caso della disciplina del lavoro subordinato.
Ciò anche se nel diritto vivente l’eterorganizzazione, fino a quel momento, era sempre stata considerata (e continua paradossalmente ad essere) un sinonimo di eterodirezione: le due espressioni “organizzazione e direzione appaiono fungibili o appaiate nella vulgata giuridica, per non parlare della tesi per cui il contratto di lavoro subordinato sarebbe un contratto di organizzazione” . Da qui l’interpretazione dell’art. 2, comma 1, de quo come “norma meramente apparente” .
Vero è che la norma ha introdotto una distonia nel sistema, quasi una specie di cortocircuito, tanto che grazie ad essa pare oggi essere venuta meno la distinzione tra indici principali ed indici secondari di subordinazione, fenomeno che va in parallelo con l’ampliamento dell’ambito delle presunzioni semplici sempre più valorizzate nelle aule giudiziarie quale strumento di prova (si pensi anche solo al tormentato problema della prova del danno nelle sue diverse tipologie).
Ad aumentare la confusione è nuovamente intervenuto il legislatore con il D.l. n. 101/2019 (conv. in legge n. 128/2019), che ha cancellato dal citato art. 2, comma 1, l’espressione “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, sostituito l’avverbio “esclusivamente” personali con “prevalentemente” e aggiunto “le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.
Trattasi francamente di modifiche poco comprensibili, se non sotto il profilo squisitamente politico di una concessione allo spirito dei tempi favorevole all’emersione, sul piano del diritto positivo, della questione dei lavoratori delle piattaforme, quindi del tutto improduttive di effetti che non fossero già quelli scaturenti dalla disposizione nella sua formulazione precedente .
Volendo ribilanciare il sistema, ormai incrinato dalla ricorrente sovrapposizione/contaminazione/falsa contrapposizione tra l’art. 2094 cod. civ. e l’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81/2015, il d.l. n. 101/2019 ha introdotto nel corpo del D.Lgs. n. 81/2015 una serie di disposizioni (artt. 47 bis e segg.) dedicate specificamente al lavoro tramite piattaforme digitali svolto in modalità autonoma. Una specifica definizione è stata fornita, a tal fine, dal legislatore: sono riders autonomi coloro che “svolgono attività di consegna di beni per conto altrui in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o di veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali” .
Sono così state previste tutele differenziate, a seconda che l’attività sia qualificabile come eterorganizzata ai sensi dell’art. 2, comma 1, dello stesso decreto ovvero come lavoro autonomo occasionale.
Per i riders autonomi (una specie rara, a fronte delle già ricordate decisioni giurisprudenziali) è stabilita una disciplina minima di tutela: i prestatori, soprattutto, non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate dovendo essere garantito un compenso minimo orario, parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti (art. 47 quater). Una deroga a siffatto disposto è possibile solo se il compenso complessivo è determinato in base ai criteri stabiliti dai contratti collettivi stipulati dalle OOSS e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale che “tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente” .
Trattandosi di lavoratori autonomi, la legge vieta “l’esclusione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione”, con ciò riconoscendo la legittimità di esclusioni e riduzioni determinate dal negligente adempimento degli incarichi.
La disciplina appena descritta, a quanto consta, non ha mai trovato applicazione, essendosi gli interpreti completamente dimenticati della presenza di questo blocco normativo all’interno del d. lgs. n. 81/2015.
Unica eccezione riguarda l’art. 47 quater, che è stato al centro dell’attenzione dei giudici e di circolari ministeriali (v. infra) perché – paradossalmente – trattato come se fosse una norma che riguarda il lavoro subordinato.

3. La contrattazione collettiva

Il rinvio alla contrattazione collettiva di cui al richiamato art. 47 quater, pur chiarissimo nella lettera della legge, non è riuscito ad affrancarsi dalle sabbie mobili del nostro “sistema”.
In data 15 settembre 2020 è stato stipulato primo CCNL di categoria da parte di Assodelivery e di UGL Riders.
Non v’è dubbio che Assodelivery sia l’unica organizzazione datoriale che associa le imprese del food delivery e UGL rider sia, a quanto consta, l’unica organizzazione sindacale che associ e rappresenti specificamente i riders operanti in tale settore (e pertanto dovrebbe essere considerata comparativamente più rappresentativa nel settore stesso).
Ma, come anticipato, nel momento attuale i protagonisti del sistema paiono tutti sbilanciatamente assestati su posizioni favorevoli alla riconduzione dei riders al lavoro subordinato e alla contrattazione collettiva classica che quel lavoro tutela, con totale rimozione del blocco normativo che contiene la disciplina della prestazione dei riders autonomi (cfr. il più volte richiamato art. 47 bis e segg.).
Non è un caso che con Lettera datata 17 settembre 2020 il Ministero del Lavoro abbia negato a tale contratto collettivo la possibilità di essere ascritto tra quelli investiti del potere di derogare al divieto di retribuzione “a cottimo” (in base alle consegne), rilevando il difetto di maggior rappresentatività comparata sul piano dei soggetti stipulanti atteso che, sul versante sindacale, compare una sola sigla firmataria, mentre sarebbe lo stesso uso, nella norma, della forma plurale, “a suggerire la necessità che a stipulare il contratto stesso non possa essere una sola organizzazione, se non nel caso limite in cui detta organizzazione non realizzi – da sola – una rappresentanza largamente maggioritaria a livello nazionale”. Con la conseguenza dell’illegittimità della deroga rispetto alla norma da cui si evince la necessaria determinazione del compenso su base oraria.
In verità, come è stato osservato, la forma plurale usata dalla norma “è all’evidenza imposta dall’unitario riferimento alle organizzazioni datoriali e padronali” e, quanto alla necessità di una rappresentanza maggioritaria a livello nazionale, non può dubitarsi che sia Assodelivery che UGL di fatto si pongano come tali, sui distinti versanti datoriale e sindacale, visto che sono le uniche a rappresentare specificamente i riders autonomi. Né potrebbe altrimenti contestarsi, anche solo sul versante civilistico, la validità e l’efficacia del contratto collettivo tra esse stipulato.
In contrappunto con il contrastato contratto collettivo, le parti sociali del settore Logistica, trasporto merci e spedizione hanno siglato il 2 novembre 2020 un “Protocollo attuativo dell’art. 47 bis del D.Lgs. n. 81/2015” che, ponendosi in continuità con l’accordo integrativo dalle stesse parti stipulato nel luglio 2018, estende ai riders autonomi (che tali sono ai sensi dell’art. 47 bis cit.) l’applicazione delle tutele ivi stabilite per i riders subordinati.
Anche per le OOSS tradizionali, quindi, non v’è spazio nell’ordinamento per una prestazione “autonoma” dei riders.
Per di più, una volta aperto il varco della subordinazione, i giudici possono altresì considerarsi liberi di scegliere il contratto collettivo più “confacente”, come dimostrano le recenti sentenze di merito che hanno applicato ai riders il CCNL del terziario, distribuzione e servizi, con inquadramento dei lavoratori al VI livello, al quale appartengono “i lavoratori che compiono lavori che richiedono il possesso di semplici conoscenze pratiche”, tra cui il “fattorino” e il “portapacchi” (Trib. Milano 20 aprile 2022; Trib. Torino 15 novembre 2022).

4. Il legislatore europeo

Sul contesto normativo come sopra delineato pesa anche la proposta di Direttiva europea, presentata dalla Commissione nel dicembre 2021, intitolata al “miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali”.
Obiettivo della proposta è la corretta qualificazione contrattuale dei platform workers, a favore dei quali si introduce una presunzione relativa di subordinazione, ancorata ad alcuni indici predittivi e all’inversione dell’onere della prova a carico alla piattaforma.
La subordinazione è presunta al ricorrere di alcuni criteri (in una prima versione solo cinque, ma ora aumentati ad 11 e spostati dal testo al Preambolo della proposta stessa), tra cui, esemplificativamente, la determinazione effettiva del corrispettivo o fissazione di un suo tetto massimo; l’ obbligo di rispettare regole vincolanti per quanto riguarda l’aspetto esteriore oppure il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l’esecuzione del lavoro; il controllo, anche attraverso l’utilizzo di strumenti elettronici, dell’esecuzione del lavoro; la limitazione, anche mediante sanzioni o conseguenze pregiudizievoli per il lavoratore, della libertà di organizzare il proprio lavoro in autonomia, in particolare della facoltà di scegliere l’orario di lavoro, di accettare o rifiutare incarichi o di avvalersi di subappaltatori o sostituti; la limitazione della possibilità di costruire una propria clientela .
Al ricorrere di tali condizioni, il rapporto di lavoro sarà da qualificarsi come subordinato e spetterà alla piattaforma dimostrare il contrario. I nuovi indici aprono in verità ad una nozione ampia di subordinazione, che si spinge ben oltre il perimetro tradizionale dell’etero-direzione ed è destinata a rafforzare ulteriormente l’orientamento giurisprudenziale di cui ai paragrafi che precedono.

5. Il problema della selezione della disciplina applicabile

Quando ha ritenuto di applicare l’art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 81/2015, considerando “eterorganizzate” (ma non subordinate) le prestazioni, la giurisprudenza si è trovata ad affrontare il problema della applicazione “selettiva” della disciplina del lavoro subordinato, lasciandolo praticamente irrisolto.
La Cassazione n. 1663/2020 non risponde direttamente al quesito se le collaborazioni di cui all’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015 debbano considerarsi destinatarie di un’applicazione “parziale” delle tutele, sfrondando quelle ontologicamente riferibili alla subordinazione vera e propria o se ad esse debba applicarsi l’intero apparato normativo del lavoro subordinato.
La Suprema Corte osserva, da un lato, che la norma richiama la disciplina del rapporto di lavoro subordinato senza operare alcuna esclusione. D’altro lato, lascia trasparire una certa difficoltà nell’indicare come applicabili alcune tutele strutturalmente incompatibili con forme di semplice collaborazione.
Allo stato attuale sembra desumersi che, senza specificazioni da parte del legislatore, l’interprete è comunque libero di propendere per l’applicazione dell’intero apparato normativo posto a tutela del lavoro subordinato. Non a caso la Corte utilizza più volte l’aggettivo “integrale” associato alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Sulla scia del Supremo Collegio e diversamente da Corte App. 4 febbraio 2019 che si è limitata ad affermare l’estensione ai riders di Foodora della “retribuzione, diretta, indiretta e differita stabilita per i dipendenti del V livello CCNL logistica trasporto merci, dedotto quanto percepito”, altra giurisprudenza di merito, investita del problema relativo all’applicazione della normativa di cui al d. lgs. n. 81/2008 (in particolare sotto il profilo dell’obbligo di fornitura dei DPI anti-Covid), ha affermato che a tali collaboratori, benchè autonomi, “debba applicarsi l’intera disciplina della subordinazione” (cfr. Trib. Firenze 1 aprile 2020; Trib. Bologna 14 aprile 2020).
Anche sotto tale profilo, dunque, l’improvvida formulazione dell’art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 81/2015 amplia la discrezionalità dell’interprete, affidandogli il compito di selezionare gli istituti applicabili ai lavoratori autonomi (ma) eterorganizzati, facilitando le soluzioni più diverse e aumentando esponenzialmente l’incertezza degli esiti giudiziari.

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