testo integrale con note e bibliografia

Se, come si suole comunemente affermare, il diritto del lavoro insegue da sempre, e non senza fatica, le trasformazioni tecnologiche ed organizzative, è fuor di dubbio che lo stress-test cui l’avvento dell’intelligenza artificiale (d’ora innanzi, AI) ha già sottoposto e sottoporrà vieppiù in futuro la materia risulta particolarmente inteso e probante.
Un primo ordine di complessità si lega alla stessa definizione, tutt’altro che univoca, di intelligenza artificiale (e, a monte, di intelligenza tout court) ed alla comprensione di un fenomeno che il giurista è chiamato a ricondurre entro i propri schemi concettuali, al fine di saggiare la tenuta della vigente legislazione al cospetto dell’emersione di inedite esigenze di tutela, nonché di eventualmente invocare – se non, più ambiziosamente, di favorire – l’introduzione di una regolazione di nuovo conio.
A fronte di simili istanze, il presente approfondimento tematico si pone il duplice obiettivo, da un lato, di fornire una mappatura delle principali questioni giuslavoristiche sollevate dall’AI, dall’altro lato, di offrire uno sguardo sulla normativa in vigore ed in particolare sulle soluzioni di policy adottate a livello nazionale, in attesa dell’imminente approvazione del Regolamento Europeo sull’Intelligenza Artificiale (c.d. AI Act), cui la Rivista dedicherà, in linea di continuità con questo focus, un ampio spazio nel prossimo numero.
Venendo alle sfide dell’oggi, non si può non convenire con Silvia Ciucciovino, che, nel suo ricco e stimolante saggio , evidenzia come i principali rischi dell’AI per il lavoro, al netto dei timori di una completa sostituzione tecnologica (non del tutto fondati, considerate le potenzialità e le opportunità sprigionate dall’AI), ruotino attorno i) all’accentuazione della debolezza contrattuale e della subordinazione giuridica, intesa come soggezione al potere datoriale, alle ii) nuove forme di discriminazione, iii) alla disumanizzazione della gestione delle relazioni di lavoro e dell’esercizio dei poteri datoriali, iv) ai rischi di opacità delle scelte organizzative per effetto dell’asimmetria di informazione sui criteri sottesi alle decisioni automatizzate. Al contempo, la stessa Autrice rileva che l’ordinamento già possiede alcuni anticorpi in grado di creare adeguati controlimiti nei confronti della tendenza espansiva dei poteri algoritmici, i quali devono essere pur sempre ricondotti, sul piano della titolarità e, conseguentemente, della responsabilità, alla figura datoriale: dai divieti di discriminazione alle norme a garanzie delle primarie istanze del lavoratore (salute, sicurezza, dignità, riservatezza, professionalità, ecc.), sino alle tecniche di procedimentalizzazione dei poteri datoriali a livello sindacale, alle disposizioni in materia di protezione dei dati personali (Reg. UE 2016/679 – GDPR) ed alle più recenti disposizioni in punto di trasparenza dei sistemi decisionali automatizzati.
Questi ultimi costituiscono l’oggetto dell’accurata ricostruzione di Laura Tebano , la quale ripercorre le tappe in cui viene articolato l’obbligo informativo introdotto, nell’ipotesi di utilizzo di sistemi decisionali (integralmente) automatizzati, dal d.lgs. n. 104/2002 (successivamente emendato dal d.l. n. 48/2023), giungendo a concludere che le disposizioni del c.d. decreto trasparenza sulla trasparenza algoritmica costituiscono un osservatorio privilegiato per la ricostruzione della varietà funzionale dell’obbligo informativo, che inevitabilmente si declina diversamente a seconda del contesto nel quale il procedimento decisionale si colloca.
A tale proposito, è noto che l’attuale discussione sull’AI è stata in qualche modo preceduta, come evidenziato nell’attenta disamina di Vincenzo Di Cerbo , dall’ampio dibattito (non solo dottrinale, ma anche istituzionale) sulle piattaforme digitali, le quali si avvalgono infatti di sistemi algoritmici di assegnazione e di monitoraggio degli incarichi ai lavoratori (riders, ma non esclusivamente), che risulta(va)no, per l’effetto, esposti ad alcuni dei rischi sui quali ci si interroga attualmente in riferimento all’utilizzo dell’AI in generale.
Del resto, proprio nell’ambito del lavoro tramite piattaforma si erano posti, a latere della classica questione qualificatoria, i primi quesiti circa la gestione del rapporto di lavoro attraverso un sistema decisionale che, pur presentandosi in apparenza neutro ed obiettivo (in quanto automatico), può comunque dare luogo, come ben rappresentato nel corposo e documentato contributo di Giovanni Gaudio , a forme di discriminazione particolarmente insidiose, in quanto celate dietro l’opacità dell’algoritmo, e ciò anche a prescindere da una precisa volontà – o anche solo da una mera consapevolezza – del datore di lavoro (oltre che, naturalmente, dell’algoritmo in sé).
Da questo punto di vista, una fase particolarmente delicata è quella dell’accesso al lavoro, che, come lucidamente osservato da Marina Capponi , richiede pur sempre, ai fini del raggiungimento di un risultato ottimale e non solo in virtù di un afflato etico, il ricorso a tratti marcatamente umani, tra i quali si annoverano l’empatia, l’affinità e la fiducia (in altre parole, il “tocco umano”, riprendendo l’efficace espressione dell’A.).
D’altro canto, il mito dell’infallibilità della macchina è destinato a rimanere tale, come puntualmente rimarcato, a partire dalla ricostruzione della nota vicenda giudiziaria dell’algoritmo per la gestione dei processi di mobilità dei docenti ex l. n. 107/2015, da Francesca Chietera , la quale esprime dei dubbi circa la “tenuta giudiziaria” di alcune delle odierne forme di impiego dell’AI nell’organizzazione del lavoro, specie se filtrate attraverso le lenti regolative ed ermeneutiche del passato.
In definitiva, gli articolati e densi contributi del presente focus forniscono alle lettrici e ai lettori della Rivista un ampio spettro di informazioni e molteplici spunti per una riflessione destinata certamente a proseguire in futuro. Inoltre, pur affrontando singolarmente profili diversi, gli scritti muovono lungo una comune direttrice di metodo e consentono di isolare due fondamentali istanze che si legano al rapporto tra AI e (regolazione del) lavoro: da un lato, l’esigenza di perseguire, nel confrontarsi con il tema dell’AI da una prospettiva lavoristica, un approccio antropocentrico, rifiutando ogni avveniristica e spesso sensazionalistica visione antropomorfica dell’AI, la quale – è bene tenerlo sempre a mente – rimane un mezzo (a disposizione dell’uomo) e non può assurgere ad un fine; dall’altro lato, l’opportunità di valutare, non solo i rischi, ma anche i possibili benefici (in termini di miglioramento della sicurezza, di prevenzione delle discriminazioni, oltre che di agevolazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro) dell’impiego dell’AI per le lavoratrici ed i lavoratori, sui cui bisogni continuerà giocoforza ad ergersi la struttura, pur debitamente “rinnovata”, del diritto del lavoro e, riprendendo la sineddoche di cui all’art. 1 Cost., della stessa società.

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