Testo integrale con note e bibliografia

1. Diritto del lavoro “sostenibile”: una postilla qualificatoria
Disquisire di un diritto del lavoro “sostenibile” implica una preliminare riflessione sul significato del binomio “diritto del lavoro – sostenibile”.
Se il primo termine non desta alcun dubbio dottrinale sulla questione definitoria, è sull’aggettivo “sostenibile” che risulta opportuna una riflessione terminologica e ancor di più, sulla qualificazione che tale aggettivo comporta per il diritto del lavoro.
L’enciclopedia Treccani definisce l’aggettivo “sostenibile” con “ciò che si può sostenere”, “ciò che può essere affrontato”, ovvero, nella sua interpretazione più estesa, come un qualcosa di “compatibile con le esigenze di salvaguardia delle risorse ambientali”. Ed in effetti, l’aggettivo “sostenibile”, viene sempre più spesso utilizzato in svariati ambiti (si parla di turismo “sostenibile”, di consumo “sostenibile”, di produzione “sostenibile”, di “architettura” sostenibile, di moda “sostenibile”) al fine di suscitare ai più la sensibilità su un determinato tema: l’attenzione all’ambiente.
Una tale interpretazione risulta però alquanto riduttiva poiché l’aggettivo “sostenibile”, nella sua accezione più corretta, rimanda necessariamente al concetto di “sviluppo sostenibile”, che non si limita ad uno sviluppo attento alle esigenze dell’ambiente ma rinvia ad un concetto molto più ampio ed articolato. Per “sviluppo sostenibile” si deve intendere infatti lo sviluppo “che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni di soddisfare i propri ”, ed al tempo stesso, “la recherche d’une preservation sociale et environmentale dans un contexte de developpement économique ”.
Tali definizioni, tra le tante rinvenibili , risultano utili ad evidenziare l’errore (assai comune) di ridurre la sostenibilità all’ecologia, ed al tempo stesso, rivelano l’ampiezza, l’interdisciplinarietà e la multi-declinabilità del concetto di sviluppo sostenibile, nonché i suoi due tratti fondamentali.
Il primo riguarda la solidarietà inter e intra-generazionale, ovvero quel percorso di trasformazione economica e sociale, il cui obiettivo primario è il raggiungimento di un livello economico di benessere equamente distribuito, che possa essere perpetuato, ripetutamente, per molte generazioni , dovendo lasciare alle future generazioni un patrimonio di risorse simile, o migliore di quello che è stato ereditato .
Il secondo tratto fondante lo sviluppo sostenibile è la logica di reciproco contemperamento tra interessi divergenti: le sue tre dimensioni (economica, sociale, ambientale) vengono definite “pilastri” perché il venir meno di una di esse minerebbe il concetto stesso di sviluppo sostenibile, che si basa interamente sul raggiungimento (e sul relativo mantenimento nel corso del tempo) di un equilibrio tra queste “interdipendent and mutually reinforcing”98 dimensioni.
Ciò premesso, la lettura di un Manifesto per un diritto del lavoro “sostenibile” suggerisce una necessaria attività preliminare: l’interrogarsi sulla sostenibilità del diritto del lavoro, partendo dal presupposto secondo cui ogni qualvolta si scelga di aggettivare un sostantivo con il termine “sostenibile”, si vuole (più o meno) implicitamente indicarne l’attuale in-sostenibilità .
Indagare la sostenibilità della materia giuslavorista significa dunque sostanzialmente porsi due quesiti fondamentali: i) il diritto del lavoro promuove e garantisce (ancora) la solidarietà tra le generazioni? ; ii) il diritto del lavoro è in grado (ancora) di contemperare gli interessi sociali, ambientali ed economici, senza privilegiare una tipologia a discapito dell’altra?


2. La solidarietà inter-generazionale ed intra-generazionale
La solidarietà tra le generazioni rappresenta una delle fondamenta dello sviluppo sostenibile e al tempo stesso, del diritto del lavoro.
Com’è noto, il valore della solidarietà è promosso e tutelato costituzionalmente, ai sensi dell’art. 2, secondo il quale “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Ed è proprio tale fondamento costituzionale a legittimare una costante ricorrenza della questione solidarietà nei più diversi ambiti, dalla previdenza al welfare, dal rapporto di lavoro al mercato del lavoro .
Consci del bisogno di non trasferire “alle generazioni future il peso della responsabilità di scelte che devono essere assunte oggi ”, gli Autori del Manifesto, a fronte delle “tendenze demografiche che segnalano una riduzione della natalità da una parte e l’allungamento dell’aspettativa di vita dall’altra ”, proclamano una “crisi dei rapporti fra generazioni ”, segnalando “l’incapacità del welfare di rispondere ai bisogni dei lavoratori vecchi e nuovi ” ed un accentuato “squilibrio dell’occupazione fra giovani e anziani ”.
La questione solidale tuttavia non si pone solamente tra generazioni presenti e generazioni future – in tema dunque di solidarietà inter-generazionale – ma anche tra individui (e lavoratori/lavoratrici) della stessa generazione ma distanti geograficamente e/o contrattualmente, in termini dunque di solidarietà intra-generazionale , così come nei termini proposti dallo sviluppo sostenibile. Il problema non si esaurisce infatti nella prospettiva temporale di medio-lungo termine poiché l’attuale sostenibilità economica (ovvero la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione), sociale (ovvero la capacità di garantire condizioni di benessere, sicurezza, salute, giustizia, istruzione, democrazia e partecipazione) ed ambientale (ovvero la capacità di mantenere il patrimonio e la riproducibilità delle risorse naturali) è il presupposto necessario e imprescindibile per una sostenibilità futura.
Parallelamente, la solidarietà inter-generazionale tra giovani e vecchi lavoratori non può prescindere dal raggiungimento di una solidarietà intra-generazionale. Il che implica per le attuali generazioni una necessaria riduzione delle distanze attualmente rinvenibili tra chi è fuori (outsiders) e chi è dentro al mercato del lavoro (insiders), tra i lavoratori sindacalizzati e quelli non sindacalizzati, tra i lavoratori a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato, tra i lavoratori del settore pubblico e quelli del settore privato, tra i lavoratori di una grande azienda e quelli inseriti in realtà minori, tra gli autonomi e i subordinati, tra gli uomini e le donne e più recentemente, anche tra coloro che possono lavorare in modalità smart-working e coloro ai quali è richiesta la presenza fisica per lo svolgimento dell’attività lavorativa (con i relativi rischi di esposizione al Covid-19 e le conseguenti difficoltà di conciliazione con la cura della famiglia in tempi di lockdown).
Per recuperare dunque pienamente il valore della solidarietà nel diritto del lavoro in ottica prospettica è necessario ridurre in via preliminare le crescenti diseguaglianze nel mercato del lavoro, costringendo così la materia ad “allargare i propri obiettivi e ambiti al di là di quelli ricevuti dalla tradizione”, arricchendo le forme della tutela giuslavoristica “di obiettivi e strumenti per la difesa e per la promozione dei diritti fondamentali della persona ”.

3. Il contemperamento di interessi divergenti
Il diritto del lavoro è per definizione un diritto di riequilibrio dei poteri nel rapporto: nasce e si sviluppa allo scopo di mediare gli interessi imprenditoriali (economici) con quelli (sociali) dei lavoratori, in un continuo gioco di check and balance fra il principio di libertà di iniziativa economica previsto dall’art. 41 comma 1 della Costituzione e la clausola sociale del comma successivo: “(l’iniziativa economica privata) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
In termini più ampi, è doveroso riconoscere come la materia sia chiamata fin dalle sue origini a farsi promotrice delle cosiddette non-trade issues, realizzando un equilibrato contemperamento tra i valori dell’uomo (di stabilità occupazionale, di realizzazione personale, di un’esistenza dignitosa, di una retribuzione equa, di un’assistenza previdenziale, di sviluppo delle proprie capabilities) e le esigenze di efficacia del sistema produttivo (di flessibilità, di produttività, di utile e di certezza normativa), che genera le risorse necessarie per soddisfare quegli stessi valori , in condizioni di salute e sicurezza dell’ambiente (lavorativo e circostante) . Quell’auspicabile (e necessaria) apertura “al dialogo teorico e operativo con altre discipline economiche, sociologiche e tecniche ” esortata dagli Autori del Manifesto risulta in tal senso funzionale “alla ricerca del miglior compromesso possibile tra efficienza e giustizia sociale ”. La materia giuslavorista infatti, così come il paradigma dello sviluppo sostenibile, si propone come baluardo del compromesso, del bilanciamento, del contemperamento tra interessi per natura divergenti equilibrando le logiche economiche, con quelle sociali e quelle ambientali, senza privilegiare una dimensione rispetto all’altra, cercando costantemente quella mutualità e utile reciprocità propria dei pilastri dello sviluppo sostenibile. La mission della materia non è infatti quella di “ristabilire una salda priorità dell’etica e dei diritti sulle logiche dell’economia ”, quanto piuttosto di bilanciare correttamente etica (dimensione sociale) economia (dimensione economica) ed ambiente (dimensione ambientale), in una visione d’insieme “liquida”.
Si tratta dunque, in questo particolare momento storico, di riporre al centro l’ago di questa bilancia a tre piatti, recuperando in primo luogo il recente (quanto evidente) sbilanciamento a favore del pilastro economico, avvenuto a seguito dei fenomeni di de-regolazione della materia a fronte dell’imperversare della logica economica standard ed alle spinte continue ad una maggiore flessibilità (in entrata, funzionale e in uscita del rapporto di lavoro), che hanno interessato non solo l’Italia, ma molti sistemi giuslavoristi europei .
In secondo luogo, si tratta di ri-calibrare correttamente anche il peso del tema della salute e sicurezza nell’impresa e delle conseguenze ambientali dell’agire imprenditoriale, considerando la “crescente obsolescenza della distinzione tra l’ambiente di lavoro e il territorio circostante, più o meno ampiamente inteso ”.
L’esperienza dell’attuale pandemia, tutt’altro che conclusa, e la relativa e inaspettata diffusione dello smart-working nelle abitazioni degli italiani, ha da un lato comportato la “rottura della “fissità” del luogo o dei luoghi di lavoro ” e dall’altro enfatizzato il tema del rapporto tra sicurezza e lavoro , comportando una concreta presa di coscienza dell’importanza di un ambiente salubre (ora affetto da Covid-19) per lo svolgimento di ogni attività lavorativa e quindi, necessariamente, per lo sviluppo economico e sociale.

4. Diritto del lavoro e Covid-19: l’urgenza di una revisione della materia alla luce del principio dello sviluppo sostenibile

La crisi del diritto del lavoro, ovvero la profonda destabilizzazione subita dalla materia nell’epoca post-moderna di fronte al nuovo contesto, così diverso rispetto all’epoca tardo-fordista o a quella dello Statuto dei lavoratori degli anni ’70 , ha evidenziato l’inadeguatezza e l’insufficienza del paradigma giuslavoristico del Novecento nell’affrontare la complessità dei problemi sollevati dalla crisi economica e finanziaria, dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione, tanto da evocare, da più parti, la necessità di un “cambio di paradigma” per il diritto del lavoro .
Il paradigma è quell’insieme di enunciati capaci di definire il “campo teorico” (l’oggetto e il metodo) di una disciplina e come tali implicitamente o esplicitamente condivisi dai cultori di quel sapere specialistico. Componente strutturale di una disciplina (forma “strutturante” del suo campo teorico), il paradigma è la finestra con la quale la disciplina guarda al mondo, una sorta di interfaccia fra l’“interno” e l’“esterno”, fra le strategie cognitive di un sapere specialistico e l’intreccio magmatico dell’interazione sociale . Cambiare paradigma per il diritto del lavoro significa dunque adottare un nuovo modello di riferimento, di visione , di lenti attraverso le quali leggere il nuovo contesto socio-economico. Significa adottare nuove categorie concettuali sulle quali ricostruire il fondamento legittimante della materia ed al tempo stesso individuare una nuova finestra dalla quale la disciplina giuslavorista possa affacciarsi al mondo, per disciplinarlo con gli strumenti, le tecniche ed i valori consoni al contesto.
Se già la crisi del diritto del lavoro aveva evidenziato la necessità di un cambio di paradigma, la pandemia da Covid-19 ha il duplice merito (tra i tanti demeriti) di aver da un lato reso ancor di più tale scelta improcrastinabile e dall’altro, di aver indirizzato chiaramente tale scelta verso lo sviluppo sostenibile.
In effetti, ai tempi del Covid-19, la sostenibilità si è rivelata la “principale risposta sistemica ai nuovi stati di cose ” poiché l’unica ri-organizzazione possibile (ed efficiente) del sistema si è rivelata quella basata su due fili conduttori: la solidarietà (i) – intesa nel senso di riscoperta del valore dell’assistenza, del sostegno reciproco, dell’accresciuta responsabilità individuale e collettiva nella prevenzione della diffusione del virus e dei contagi; il contemperamento tra interessi assiologici confliggenti (ii) realizzato in ogni ambito della nostra quotidianità per bilanciare diritti, bisogni e doveri di uguale importanza. Basti pensare, a titolo del tutto esemplificativo, agli sforzi compiuti in tema di didattica a distanza (per bilanciare il diritto alla salute e il diritto all’istruzione) o di riorganizzazione del lavoro in modalità smart (per conciliare l’attività lavorativa con l’accudimento dei figli dopo la chiusura delle scuole di ogni grado), o al rispetto delle regole del distanziamento fisico per poter tornare ad una (semi) vita sociale .
In tal senso dunque, il Covid-19 ha suggerito la scelta del paradigma di riferimento del terzo millennio per la disciplina giuslavorista: è lo sviluppo sostenibile la bussola orientativa, la stella polare alla quale indirizzarsi nella selezione dei valori e delle tecniche fondanti la disciplina del terzo millennio, affinché il diritto del lavoro possa (tornare a) garantire la solidarietà tra le diverse generazioni (presenti e future) ed un equo contemperamento tra interessi divergenti.

 

 

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