Testo integrale con note e bibliografia

1.La prospettiva prescelta

Nelle belle relazioni di Pierantonio Varesi e Giuseppe Pellacani e nella maggior parte degli interventi di queste giornate è stata privilegiata la prospettiva de iure condendo in quanto è stata messa in evidenza, di volta in volta, la necessità di una legge generale sulla rappresentanza e la rappresentatività sindacale, di un provvedimento sul salario minimo o, in alcuni casi, addirittura di una modifica dell’art. 39 Cost., seconda parte. Ognuno di questi interventi legislativi, però, sembra essere di là da venire e la diciottesima legislatura si avvia verso la sua fase finale peraltro costellata di appuntamenti, il più importante dei quali è l’elezione del Presidente della Repubblica.
La mia convinzione invece è che in questo momento occorre comprendere come far funzionare le norme esistenti e, in particolare, l’art. 19 Stat. lav., interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza 231 del 2013, secondo la quale, a ben guardare, a contare è il rapporto con i lavoratori “che rimanda al dato oggettivo … della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa”. In altre parole, la rappresentatività precede la partecipazione alla trattativa e, soprattutto, dovrebbe essere, ad avviso della Consulta, un dato oggettivo. Pertanto, la pronuncia del 2013, soltanto a prima vista, dà luogo a un’anticipazione della verifica della rappresentatività dal momento della sottoscrizione del contratto collettivo a quello della partecipazione effettiva alle trattative per la sua stipulazione. Se questa rappresentatività debba essere necessariamente nazionale e non soltanto aziendale la Consulta non lo chiarisce espressamente e ciò consente a qualche provvedimento giurisdizionale di fondare la nozione di rappresentatività su una base aziendale, prendendo in considerazione il numero degli iscritti al sindacato in una determinata azienda , oppure il numero di voti nelle elezioni delle rsu svoltesi nelle unità produttive di riferimento .
Per completezza, va segnalato che la (poca) giurisprudenza di merito non ha colto, perlomeno apparentemente, il profilo prima segnalato, rilevando che vale l’affermazione secondo la quale il sindacato ha imposto la sua partecipazione alle trattative e quindi è rappresentativo e non l’assunto contrario, secondo cui il sindacato è rappresentativo in base a un altro parametro e quindi ha diritto di partecipare alle trattative . In realtà, a ben vedere, quanto appena detto non è in contrasto con la posizione illustrata in precedenza poiché le due affermazioni sono entrambe corrette, se si cambia prospettiva e si precisa che non esiste un potere di scelta da parte del datore di lavoro o delle associazioni imprenditoriali dei sindacati partecipanti alle trattative, ma, al contrario, esiste un obbligo, “se una trattativa è aperta, a far sedere al tavolo negoziale il sindacato che rappresenta un numero significativo di lavoratori” .

 

2. Alla ricerca della “rappresentatività significativa”

Come si può vedere, punto cruciale dell’art. 19 Stat. Lav. è la nozione di rappresentatività sindacale, ovvero la rappresentatività significativa di cui parla la Corte costituzionale nella sentenza del 2013. Insomma, c’è da chiedersi come si facciano a individuare il sindacato o i sindacati significativamente rappresentativi, ai quali i datori di lavoro (o le associazioni imprenditoriali) non possono impedire di partecipare alle trattative negoziali e che, conseguentemente, possono costituire proprie rsa, poiché la loro rappresentatività deriva da dati oggettivi e disponibili.
Da molte parti è stata avanzata l’idea di adoperare, ai fini dell’identificazione dei sindacati rappresentativi, i criteri di selezione che il sistema sindacale di fatto si è dato attraverso il Testo unico sulla rappresentanza del 2014, implicitamente confermati dal Patto della fabbrica del 2018. Com’è noto, il primo accordo prevede espressamente che “ai sensi dell’art. 19 […], si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente accordo, e che abbiano partecipato alla negoziazione in quanto hanno contribuito alla definizione della piattaforma e hanno fatto parte della delegazione trattante l’ultimo rinnovo del c.c.n.l.” .
Il suggerimento è apprezzabile, ma presenta delle controindicazioni.
L’idea di ricorrere a quanto previsto dal sistema sindacale di fatto non trova conferma a livello giurisprudenziale, a cominciare dalla sentenza della Corte costituzionale del 2013, per finire con le pronunce di merito che la applicano. Infatti, la sentenza 231 non poteva far riferimento all’Accordo interconfederale del 2013, antesignano del Testo unico del 2014, poiché “limitato al solo ordinamento intersindacale facente capo a Cgil-Cisl-Uil-Confindustria” e quindi sofferente dei suoi limiti e delle sue debolezze. Anche i pronunciamenti successivi, come visto, si orientano verso determinazioni, non sempre condivisibili, ma che, appunto, prescindono dal ricorso all’ordinamento intersindacale . Insomma, a livello giurisprudenziale, sembra essere quasi del tutto assente un proficuo dialogo inter-ordinamentale in tema di rappresentatività sindacale che sarebbe stato utile per il miglior funzionamento di entrambi i sistemi normativi .
In secondo luogo, la previsione del Testo unico richiede la sussistenza di tutti e tre i criteri: la soglia percentuale, la definizione della piattaforma e la partecipazione alla delegazione trattante.
Inoltre, l’utilizzo di tali criteri, pensati per il tavolo negoziale nazionale, sembra essere dissonante rispetto a quanto emerso dalla sentenza della Corte costituzionale, che non pare prescindere del tutto dal livello aziendale per la verifica della rappresentatività, mentre, adottando i criteri convenzionali, la dimensione aziendale sarebbe quasi completamente assente. Invero, si avrebbe una flebile traccia di tale dimensione soltanto con riferimento alla soglia (per vero ridotta) del 5% che è data dalla “media tra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale dei voti ottenuti sui voti espressi)”, ovviamente con riguardo alle elezioni delle rsu che avvengono nelle singole unità produttive, anche se il riferimento all’“ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro” non lascia adito a dubbi sul livello contrattuale di riferimento per il calcolo della soglia.
Infine, permane il problema della verifica dei tre criteri indicati nel Testo Unico. E infatti, mentre il limite del 5% e la partecipazione alla delegazione trattante sono dati oggettivi, la contribuzione alla definizione della piattaforma negoziale richiede di essere dimostrata con modalità tutt’altro che chiare.

 

3. La strada interna all’ordinamento statuale

Per questi motivi, è necessario ricercare altre strade all’interno, però, dell’ordinamento statuale e non del sistema sindacale di fatto, perché è nell’ambito del primo ordinamento che si muove la sentenza della Corte costituzionale. A tal scopo, è utile ricapitolare i caposaldi dell’interpretazione della nozione di rappresentatività fornita dalla Consulta ai fini della costituzione delle rsa. Alcuni di questi sono ricavabili dalla sentenza del 2013, altri dalle pronunce precedenti poiché non messi in discussione dalla giurisprudenza successiva.
Anzitutto, almeno a livello di giurisprudenza costituzionale, permane la centralità del contratto collettivo come criterio di rappresentatività del sindacato che continua a dover essere non un contratto qualsiasi ma un contratto normativo come affermato dalla sentenza n. 244 del 1996 e implicitamente confermato dalle pronunce successive.
Può costituire una propria rsa sia il sindacato che partecipa attivamente alle trattative per la stipulazione di un contratto collettivo normativo sia il sindacato che ha una rappresentatività sul piano nazionale tale da non poter essere legittimamente escluso dal datore di lavoro da quelle trattative.
Analogo discorso, a mio avviso, vale per il contratto collettivo aziendale, altrimenti si realizzerebbe di fatto l’inversione di tendenza in tema di tutele sindacali di cui si è parlato prima.
Perciò, l’anticipazione del criterio per costituire rsa dalla sottoscrizione del contratto alla partecipazione delle trattative rende indispensabile individuare indici di rappresentatività dei sindacati indipendenti e antecedenti alla medesima partecipazione, che è soltanto il momento di emersione della rappresentatività acquisita altrove. Nell’attesa di un intervento legislativo, gli indici più affidabili, e adoperati dalla poca giurisprudenza successiva al 2013, sono il dato associativo e quello elettorale, e cioè la percentuale di iscritti e la percentuale di voti ottenuti da un sindacato nell’elezione delle rsu, che possono essere utilizzati, al contrario di quanto previsto dal Testo unico del 2014, anche alternativamente altrimenti si rischierebbe di “tagliare fuori” i sindacati che hanno una dimensione aziendale, così travisando il senso dell’ultimo arresto della Corte costituzionale. Infatti, può accadere che un sindacato abbia un cospicuo numero d’iscritti in una determinata unità produttiva ma non abbia raccolto voti nell’elezione delle rsu semplicemente perché non ha aderito al sistema del Testo unico ed è proiettato in una dimensione esclusivamente aziendale. In sintesi, l’art. 19 Stat. lav., alla luce dell’interpretazione data dalla Consulta, consente di costituire una propria rsa anche a un sindacato che è riuscito a imporsi al tavolo negoziale per la stipulazione di un contratto aziendale perché ha un numero elevato d’iscritti in quella determinata unità produttiva. È ovvio che qualora la rappresentatività derivi dal solo dato associativo, questo deve essere più cospicuo sì da compensare la mancanza del dato elettorale .
Naturalmente l’altra faccia della medaglia è che un sindacato significativamente rappresentativo in una determinata azienda perché ha un consistente numero d’iscritti in quella realtà organizzativa, non può essere legittimamente escluso dal tavolo delle trattative per la stipulazione del contratto collettivo a quel livello e quindi può costituire una propria rsa. Per cambiare quest’approdo è necessario modificare il testo dell’art. 19 Stat. lav. , che, nell’attuale versione, ha perso la sua valenza sistematica , oppure, lo si ripete ancora una volta, occorre approvare una legge generale in tema di rappresentanza e rappresentatività sindacale.

 

 

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