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Andrea Del Re
Il Diritto del Lavoro mantiene ancora una sua specifica collocazione nel mondo del diritto e, forse, sarà ancor più settoriale alla luce delle incessanti novità tecnologiche del mercato del lavoro. Semmai troverà una maggior contiguità col diritto commerciale delle imprese e con i temi di economia ed organizzazione aziendale, poco noti agli attuali giuristi del lavoro (quanto meno la media).
I giudici dovranno essere più preparati (insieme agli avvocati, ovviamente) proprio sulle materie sopracitate: mai frequentate negli studi universitari.
All’attualità la magistratura del lavoro rimane abbastanza omogenea con la magistratura meno recente: anche perché su certe tematiche l’interpretazione (e sensibilità sociale) rimane soggettiva; e quindi si troveranno sempre magistrati più o meno sensibili verso certe posizioni.
Trovo, da sempre, estremamente cauto (almeno per mia esperienza) il giudice nell’utilizzare i suoi poteri d’ufficio: credo che ciò avvenga per il timore di non dimostrare una sua pregiudiziale decisione per il corso della causa.
Sulle spese, di contro, trovo, da parte della generalità dei giudici, un ingiustificato prevalente favor nei confronti del lavoratore, che tutt’ora rimane, nonostante la Corte Costituzionale e la disciplina positiva.
E ciò, ovviamente, non aiuta la deflazione dei processi: ma così è.
Rimane, sicuramente, da parte della Curia un atteggiamento diretto a favorire la giustizia “sostanziale” soprattutto quanto ciò possa favorire le argomentazioni del ricorrente – lavoratore (davanti all’eccezione di nullità del ricorso per la “infelice” formulazione del ricorso introduttivo; spesso tale eccezione non vien presa nemmeno in considerazione, anche quando possa avere una sua probabile fondatezza).
La celerità del processo non è mai stata una prerogativa di nessuno, in nessun rito (ivi compreso il civile ordinario).
Con rammarico devo continuare a constatare la non prevedibilità della sentenza anche davanti a giurisprudenza di cassazione consolidata: la certezza del diritto rimane una chimera in Italia (ed anche nel civile ordinario).
Forse la Scuola Superiore della Magistratura potrebbe “tentare” nei suoi corsi di segnalare (ancor più) i valori della certezza e della prevedibilità, essenziali per la condotta dei cittadini e per evitare di “tentare” la buona sorte nel processo.

 

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