Testo integrale con note e bibliografia

misura cautelare interinale. Trib. Lav. Catania

ordinanza di rimessione alla corte costituzionale. Trib. Lav. Catania

ordinanza tribunale di cagliari

1. Premessa

Le pronunce che si annotano apportano rilevanti novità al dibattito sugli obblighi vaccinali , introdotti dal D.L. 44/2021 e ss. modif., e sulla loro compatibilità costituzionale, valorizzando due distinti principi contenuti nella Carta Costituzionale che possono entrare in potenziale conflitto nelle scelte legislative di contrasto alla pandemia (una evidente situazione dworkiniana di “scelte tragiche”).
Il Tribunale di Catania esalta, infatti, il rispetto del principio della “dignità della persona” (art. 2 Cost.), stigmatizzando, l’obiettivo “implicito” a cui mira la legislazione emergenziale, ovverosia una sorta di “forzata induzione” all’adempimento dell’obbligo vaccinale.
Il Tribunale di Cagliari ha inteso, al contrario, dare rilevanza all’interesse primario dell’ordinamento alla tutela della salute delle persone in condizione di fragilità (art. 32, co. 1, Cost.), rispetto al quale il luogo ove essi materialmente si trovano costituisce un mero “elemento accidentale”.

2. I fatti di causa e le domande avanzate

Il caso catanese. Con distinti ricorsi ex art. 700 c.p.c., successivamente riuniti d’ufficio, i ricorrenti, con profilo professionale di collaboratore sanitario-infermiere, a seguito della loro sospensione dal servizio, avvenuta con provvedimenti emessi tra l’ottobre e il novembre del 2021, per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, di cui all’art. 4 D.L. 1 aprile 2021, n. 44, adivano, in via d’urgenza, il Tribunale Ordinario di Catania, Sezione Lavoro, per il riconoscimento dell’assegno alimentare previsto dall’art. 82 del D.P.R. n. 3/1957 e dal CCNL di comparto.
I ricorrenti non ritenevano di adempiere all’obbligo vaccinale prescritto dalla legge e non allegavano di versare in una delle ipotesi per cui la vaccinazione può essere omessa o differita.
Affermavano di versare in stato di indigenza, non potendo far fronte ai bisogni primari della vita, non avendo altri mezzi di sostentamento (anche per l’impossibilità di esercitare la professione altrove, in quanto sospesi dai rispettivi ordini professionali), essendo, per altro, gravati da debiti per mutui ipotecari o altre forme di finanziamento.
Sostenevano che la mancata previsione di un assegno alimentare per i lavoratori sospesi per mancato adempimento all’obbligo vaccinale risultasse “discriminatoria” e contraria al principio di parità di trattamento, posto che, diversamente, per i dipendenti sottoposti a procedimento disciplinare o penale, e destinatari del procedimento di sospensione cautelare, sia l’art. 82 D.P.R. 3/1957, sia l’art. 68 del CCNL del comparto Sanità pubblica, prevedono il riconoscimento di un assegno in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre gli assegni per i carichi di famiglia.
I ricorrenti concludevano per la violazione dell’art. 2 Cost., nonché dell’art. 36 Cost., poiché, a loro avviso, l’istituto dell’assegno alimentare, avente natura assistenziale e non retributiva, sarebbe stato previsto proprio per garantire al lavoratore sospeso un livello minimo di sostentamento.

Il caso cagliaritano. Con ricorso ex art. 700 c.p.c., la ricorrente, premesso di lavorare alle dipendenze della resistente come Ausiliare addetto alla assistenza di base generico e di essere stata assegnata al servizio di assistenza domiciliare integrata e assistenza disabili, affidato in appalto alla datrice di lavoro dal Comune di Cagliari (ente committente), adiva, in via d’urgenza, il Tribunale Ordinario di Cagliari, Sezione Lavoro, contestando la decisione datoriale di ritenere applicabile alla propria posizione lavorativa l’obbligo vaccinale di cui all’art. 4-bis D.L. 1 aprile 2021, n. 44.
Osservava che, a decorrere dal 12.10.2021, le era impedito di svolgere la normale attività lavorativa, fino a quel momento regolarmente prestata presso il domicilio degli utenti residenti all’interno del territorio comunale di Cagliari.
A giudizio della ricorrente, siffatta condizione determinava non solo l’impossibilità di lavorare, ma anche di percepire la correlata retribuzione, provocando, pertanto, un grave e irreparabile pregiudizio, giacché tale remunerazione costituiva l’unica fonte di sostentamento per sé e per la figlia minore con lei convivente.
Rilevava l’estraneità alla propria posizione lavorativa dell’obbligo vaccinale, in quanto esclusivamente affidataria delle mansioni di pulizia dell’abitazione dell’assistito, senza attività di cura e assistenza alla persona, e in quanto il luogo di lavoro in cui si svolgeva la prestazione assistenziale, coincidendo con l’abitazione privata dell’utente, non sarebbe contemplato, ratione loci, tra le “strutture” di cui all’art. 4-bis D.L. 1 aprile 2021, n. 44, ricomprendente, invero, soltanto “strutture istituzionalizzate”.
La ricorrente concludeva per l’inapplicabilità, al caso di specie, della disciplina di cui all’art. 4-bis D.L. 1 aprile 2021, n. 44 e, in via subordinata, per la disapplicazione della normativa nazionale, in quanto in contrasto con il Regolamento UE 953/2021 e con le risoluzioni 2361/2021 e 2383/2021 del Consiglio d’Europa, oltre che con la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e con gli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). In via ulteriormente gradata, chiedeva al Giudice adito di sollevare questione di legittimità costituzionale sugli articoli 4-bis del D.L. 44/2021 e 3, comma 6, del D.L. 127/2021, per violazione degli articoli 1, 3, 4, 32 e 35 della Carta Costituzionale.

3. Le (contrapposte) soluzioni a cui sono pervenuti i due Tribunali

Il Tribunale di Catania ha ritenuto che le domande avanzate in ricorso non potevano essere decise nel merito senza lo scrutinio di costituzionalità dell’art. 4, comma 5, D.L. 44/2021, convertito con modificazioni dalla Legge 28 maggio 2021, n. 76 e ss. modif., nella parte in cui, nel prevedere che “per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”, esclude, in favore del pubblico dipendente esercente una professione sanitaria o di interesse sanitario, nel periodo di sospensione, l’erogazione dell’assegno alimentare (comunque denominato) previsto dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva di categoria in caso di sospensione cautelare o disciplinare.
Lo scrutinio di costituzionalità della disposizione è stato ritenuto necessario dal Giudice del Lavoro di Catania, poiché, a giudizio dello stesso, non era percorribile la diversa strada dell’interpretazione costituzionalmente orientata della norma. E infatti, la dizione legislativa, nel fare riferimento alla retribuzione e a qualsiasi altro compenso, “comunque denominato”, sembra esprimere un contenuto chiaro e inequivoco, non suscettibile di diversa interpretazione. La citata disciplina appare, inoltre, contemplare una disposizione di carattere speciale, la quale deroga a ogni altra di ordine generale prevista dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva.
Il Giudice a quo ha valutato la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della disposizione impugnata, avanzando dubbi sulla compatibilità della stessa con i principi desumibili dagli artt. 2, 3 e 32, co. 2, Cost., “tenuto conto della natura pacificamente assistenziale che riveste, nel nostro ordinamento, l’assegno alimentare”.
Nella propria decisione, il Giudice ha, in particolar modo, accentuato il valore dell’art. 2 Cost., il quale “non sembra permettere l’adozione di misure che, per l’intransigenza che le connoti, possano arrivare fino al punto di ledere la dignità della persona, circostanza che può verificarsi quando a questa si precluda ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita”.
È stato, altresì, osservato che il lavoratore sospeso ex art. 4 D.L. 44/2021 è escluso da ogni ammortizzatore sociale, in quanto, né può accedere alle misure di sostegno del reddito in caso di perdita dell’occupazione (ad es., l’indennità di disoccupazione), né può fruire – in quanto in età lavorativa – di quelle provvidenze che presuppongono una determinata anzianità anagrafica (ad es., l’assegno sociale).
Decisivo è apparso, altresì, al Giudicante l’irrigidimento del sistema avvenuto a seguito della novella apportata al testo originario dell’art. 4 D.L. 44/2021 (il quale, in origine, prevedeva la possibilità di verificare l’assegnazione del dipendente a mansioni diverse, ipotesi oggi ammessa solo nei casi di esonero o differimento dell’obbligo vaccinale).
Il Giudice catanese ha, infine, rilevato una possibile ulteriore violazione dell’art. 3 Cost., posto che la disposizione impugnata – a fronte di una condotta (il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale) non integrante illecito, né sul versante disciplinare, né sul versante penale – “impedisce anche l’applicazione di quelle misure di sostegno previste persino in caso di sospensione cautelare del lavoratore, laddove quest’ultimo abbia commesso (o sia sospettato di aver integrato) la commissione di determinati fatti costituenti reato, idonei a determinare anche l’irrogazione di sanzioni disciplinari” (cfr., a titolo esemplificativo, art. 82 D.P.R. 3/1957; art. 500 D.lgs. 297/1994; artt. 10, 21, co. 4, e 22, co. 4, D.lgs. 109/2006; artt. 67 e 68 CCNL comparto Sanità).
Per le ragioni sopra esposte, con ordinanza di rimessione, ex artt. 134 Cost. e 23 L. 11 marzo 1953, n. 87, il Giudice a quo ha disposto l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospeso il giudizio in corso, ritenuta, in relazione alle sopra richiamate disposizioni costituzionali, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in parte qua, relativa all’art. 4, comma 5, D.L. 1 aprile 2021, n. 44.
Con separato atto, il Giudice del Lavoro di Catania, rilevato che, nelle more dell’instaurazione e dello svolgimento del sindacato di costituzionalità, la situazione giuridica dedotta in ricorso poteva subire un pregiudizio grave e irreparabile, ha concesso la misura cautelare interinale, condizionata all’esito del giudizio di costituzionalità, della corresponsione, in favore di ciascun ricorrente, dell’assegno alimentare pari al 50% dello stipendio tabellare, nonché gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianità, ove spettanti .

Il Tribunale di Cagliari, sulla scorta della sommaria delibazione tipica della fase cautelare, ha ritenuto non fondato il ricorso d’urgenza promosso dalla lavoratrice.
Il Giudice del Lavoro ha argomentato la propria decisione in virtù della ampia portata applicativa dell’art. 4-bis, co. 1, nel contenuto novellato dalla L. 24 settembre 2021, n. 133, soprattutto per effetto della introduzione dell’inciso finale della citata disposizione (“strutture che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità”), mediante il quale il legislatore ha inteso evidenziare l’interesse primario dell’ordinamento rispetto alla tutela delle persone in condizioni di fragilità, qualunque sia il contesto ambientale in cui essi si trovino.
Il Giudice ha, altresì, argomentato che la tesi propugnata in ricorso sarebbe “quantomeno formalistica” con evidenti ricadute, sul piano del livello della tutela riconosciuto, a danno di quei soggetti che, seppur fragili, vengono assistiti a domicilio e non in “strutture istituzionalizzate”.
Avuto riguardo all’obiettivo perseguito dal legislatore con l’introduzione dell’obbligo vaccinale, il luogo ove il soggetto fragile materialmente si trova “costituisce un mero elemento accidentale”; né rileva il fatto che la lavoratrice fosse addetta alle pulizie “atteso che tali compiti comportano la prossimità con i beneficiari ed all’occorrenza anche il contatto con costoro”, con conseguente pericolo di esposizione al contagio dell’infezione da SarsCov-2.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il Tribunale di Cagliari ha ritenuto che la ricorrente fosse interessata dall’obbligo vaccinale, con conseguente conferma della sospensione dal lavoro disposta dal datore di lavoro.
Il Tribunale ha, da ultimo, scrutinato le ulteriori censure avanzate in ricorso circa la violazione del Regolamento UE 953/2021, delle risoluzioni 2361/2021 e 2383/2021 del Consiglio d’Europa, nonché della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e degli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), e degli articoli 1, 3, 4, 32 e 35 della Carta Costituzionale. Quanto al richiamo della normativa europea, il Tribunale ha osservato che “la materia degli obblighi vaccinali non costituisce in sé oggetto di una disciplina dell’Unione, e rispetto ad essa ogni Stato mantiene nell’ordinamento interno ampio margine di autonomia”; quanto all’asserito contrasto con varie disposizioni della Costituzione, il Giudice del Lavoro ha ritenuto non fondata la doglianza prospettata in ricorso, richiamando quanto chiarito, sul punto, dal Consiglio di Stato con sentenza n. 7045/2021.

4. Considerazioni conclusive

Le pronunce che si annotano giungono a due diverse conclusioni, valorizzando, in maniera differente, i principi fondamentali e i rapporti etico-sociali che reggono la Carta Costituzionale. A entrambe va, in ogni caso, riconosciuto il merito di porsi in un’ottica innovativa e di avere adeguatamente motivato un delicatissimo bilanciamento tra differenti interessi costituzionalmente tutelati.
Il Tribunale di Catania accentua il valore del principio della “dignità della persona”, osservando che, pur con i migliori intenti, la legge pone la parte lavoratrice di fronte alla radicale prospettiva di dover scegliere se subire una condizione di indigenza o di smodata compressione delle abitudini di vita consolidate, ovvero sottoporsi al trattamento vaccinale.
Nell’ottica della decisione del Tribunale di Catania, l’erogazione dell’assegno alimentare pare costituire una sorta di ragionevole bilanciamento. Da una parte si riconosce, infatti, la legittimità costituzionale delle ragioni che hanno indotto il legislatore dell’emergenza a introdurre obblighi vaccinali limitati soltanto ad alcune categorie di lavoratori; dall’altra, tuttavia, la misura appare eccessivamente sproporzionata, nella parte in cui si è del tutto estromesso il lavoratore non vaccinato da ogni forma di socialità, privandolo non solo dell’attività lavorativa, ma anche di ogni forma, seppur minima, di sostentamento economico.
L’approdo suggerito dal Tribunale di Catania, seppur certamente meritevole di considerazione, in quanto cerca di trovare un adeguato equilibrio tra prevenzione della salute pubblica e diritti individuali, corre, al contempo, il rischio di depotenziare l’efficacia della campagna vaccinale e le conseguenze, per certi versi “sanzionatorie”, volute dal legislatore nei confronti di quei soggetti che non hanno ritenuto (volontariamente) di adempiere a un fondamentale dovere di solidarietà pubblica (dovere tanto più accentuato nelle ipotesi in cui il lavoratore sia un sanitario). In tali casi, infatti, lo stato di salute del singolo operatore sanitario ha evidenti ricadute sull’intera tenuta del sistema di sanità pubblica (si pensi se il già limitato organico sanitario subisse ingenti e prolungate assenze di personale originate dalla necessità di doversi curare dall’infezione da SARS-CoV-2) e, pertanto, in tali situazioni, appare, a maggior ragione, giustificato l’intervento del legislatore teso alla salvaguardia della salute del singolo individuo per raggiungere obiettivi di sostenibilità dell’intero servizio pubblico essenziale e di salvaguardia della salute, intesa anche quale bene pubblico. Oltretutto l’obbligo di green pass rafforzato perseguendo pure un evidente obiettivo precauzionale mirato alla salvaguardia del diritto alla salute, nell’accezione pubblico-collettiva di cui si diceva, giustifica una reazione ordinamentale riconducibile allo “stato di eccezione” (di cui il lockdown è stato la più plastica delle manifestazioni) e a cui si riconnette pure l’apparente sbilanciamento dei diritti costituzionali denunciato dal giudice catanese.
In ogni caso, si tratta di una situazione transitoria che anche ratione temporis dovrebbe ridimensionare i timori sollevati dalla ordinanza catanese. Il prolungarsi della durata delle misure emergenziali sta, infatti, in parte, inducendo il legislatore a rimodulare il rigore degli effetti del mancato adempimento all’obbligo vaccinale. In data 24 marzo 2022 è stato pubblicato (GU n. 70 del 24.03.2022) il D.L. 24 marzo 2022, n. 24, con il quale si è, da un lato, confermato l’obbligo vaccinale fino al 15 giugno 2022 , e, dall’altro, sono state eliminate le ricadute sulla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. Discorso diverso vale, invece, per il personale del comparto sanitario, il quale, oltre a vedersi prolungato l’obbligo vaccinale fino al 31 dicembre 2022, in caso di mancata osservanza del medesimo, resterà soggetto alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Diversa, invece, la posizione del Tribunale di Cagliari con riguardo alla operazione di bilanciamento dei principi costituzionali. Il Giudice, certamente, mette al centro della costellazione costituzionale il principio della tutela della salute dei soggetti più vulnerabili, per età o patologia, giungendo a un’interpretazione della legge ampiamente satisfattiva del principio di parità di trattamento.
Richiama, infatti, l’inciso finale del comma 1, art. 4-bis, D.L. 44/2021, per affermare che l’assistito presso il proprio domicilio ha gli stessi diritti dell’assistito presso strutture “istituzionalizzate”. D’altra parte, nella fattispecie posta all’attenzione del Giudicante di Cagliari il domicilio non va inteso come la mera abitazione privata dell’assistito, bensì come surrogato funzionale dei locali della struttura pubblica. Il servizio di assistenza domiciliare è, infatti, un servizio svolto in maniera non occasionale, affidato e gestito per mezzo di appalti e capitolati pubblici e con personale qualificato. Alla luce delle citate caratteristiche del servizio, l’eventuale mancata parificazione del domicilio, come sopra inteso, alla struttura di cura classicamente considerata susciterebbe notevoli dubbi circa il rispetto del fondamentale parametro di uguaglianza tra situazioni sostanzialmente analoghe.

 

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