Testo integrale con note e bibliografia

TESTO DELLA SENTENZA N. 14

TESTO DELLA SENTENZA N. 15

TESTO DELLA SENTENZA N. 16

1. Introduzione. Il fondamento costituzionale dell’obbligo di vaccino.

Nel pomeriggio del 9 febbraio scorso sono state depositate le motivazioni delle tre sentenze sulle 11 ordinanze di rimessione sull’ obbligo di vaccino chiamate all’udienza del 30 novembre 2022, il cui contenuto era stato anticipato dal comunicato stampa della Corte del 1° dicembre, senza che questo comunicato, emesso in omaggio ai criteri di trasparenza che la Corte si è data, possa avere, a nostro giudizio, alcuna valenza interpretativa sulle sentenze stesse, rimessa interamente alla motivazione ed al dispositivo che la conclude .
Le tre sentenze sono state rubricate con i numeri 14, 15 e 16/2023.
L’attesa era forte, perché forte era stata la tensione nel Paese e nella giurisprudenza sui temi sottoposti. L’esito non era scontato, perché nessuna decisione giudiziale è scontata, però vi era una ragionevole speranza, sulla base della copiosa e coerente giurisprudenza della Corte sul tema dell’obbligo vaccinale, per quello che è stato poi l’esito del giudizio.
Le sentenze non sono mai solo sentenze, ragionamenti più o meno logici, più o meno condivisibili, zig-zag tra articoli, commi e codicilli. Esse esprimono prima di tutto l’etica di un popolo.
Il fulcro di tutto il pensiero della Corte sul fondamento dell’obbligo di vaccino risiede nel principio di solidarietà, e corrispondente responsabilità, che costituisce la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente, e strutturata negli organi istituzionali. In nome di questa solidarietà ha esteso la legge 210/1992, di cui appresso, ai vaccini semplicemente raccomandati.
Parafrasando l’art. 52 della Costituzione, potremmo dire che è sacro dovere del cittadino la difesa della salute pubblica. Con una fondamentale differenza: che l’art. 52 consente di designare persone individuate per tale difesa, fino al sacrificio della propria vita, mentre l’art. 32 coniuga in maniera indissolubile l’interesse della collettività con il diritto dell’individuo, che non può mai essere sacrificato al primo. Prova ne è l’art. 4, comma 2, d.l. 44/2021, il quale esenta dall’obbligo di vaccino la persona per la quale il medico di medicina generale attesti un pericolo per la salute .
Il punto critico della ammissibilità di un obbligo di vaccinazione imposto per legge è la impossibilità di prevedere la persona che ne possa essere colpita da eventi avversi gravi. Ché ove tale possibilità esista, l’obbligo viene meno, come testé visto.
Si possono bloccare campagne vaccinali che hanno estirpato mali storici nel nostro Paese (vedi poliomielite) e nel mondo intero (vedi vaiolo) solo per la possibilità di alcuni casi avversi, anche gravi, non individuabili ex ante? Come si risolve questo problema e questo conflitto tra l’interesse generale ed una vittima incerta an, incerta quando, incerta quanto?

2. Le tre sentenze; la n. 14: il problema degli eventi avversi.

Questo è il problema affrontato dalla sentenza 14/2023, est. Patroni Griffi.
A parte la dichiarazione di inammissibilità di alcuni interventi perché non sorretti da interesse qualificato, la sentenza entra nel merito delle questioni prospettate, dichiarandole non fondate.
Per dirla con le sue stesse parole, “la Corte è sempre partita dalla consapevolezza che esiste un rischio di evento avverso, anche grave, con riferimento ai vaccini e, ancor prima, a tutti i trattamenti sanitari... Ed ha, pertanto, sostenuto che, fino a quando lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche non consentirà la totale eliminazione di tale rischio, la decisione di imporre un determinato trattamento sanitario attiene alla sfera della discrezionalità del legislatore, da esercitare in maniera non irragionevole... Poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto...Ci si trova di fronte a un rischio, preventivabile in astratto – perché statisticamente rilevato – ancorché in concreto non siano individuabili i soggetti che saranno colpiti dall’evento dannoso. In questa situazione, la legge che impone l’obbligo della vaccinazione […] compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate scelte tragiche del diritto “.
Ed il Parlamento italiano, massima espressione della sovranità popolare, ha operato tale scelta con la legge 210 del 1992, di iniziativa parlamentare, che prevede l’obbligo di indennizzo da parte dello Stato degli eventi gravi conseguenza di vaccinazioni obbligatorie, che rimangono quindi consentite con questo bilanciamento degli interessi a posteriori. La legge 210 dà quindi per scontato che nessuna vaccinazione obbligatoria può essere esente da conseguenze gravi. Principio cardine che è stato esteso dalla Corte costituzionale con le sentenze 27/1998, 107/2012, 268/2017 e 118/2020 cit. a par. 5, alle vaccinazioni semplicemente raccomandate, perché non può esser scriminato il bravo cittadino che ha creduto nello Stato e si è fidato delle sue raccomandazioni.
Questa relazione speciale, a nostro avviso, dovrebbe essere bidirezionale, nel senso che come lo Stato garantisce l’indennizzo in ogni caso di evento avverso, così il cittadino dovrebbe sentire il dovere civico di concorrere con il proprio agire agli scopi di salute pubblica perseguiti con le raccomandazioni.
Venendo allo specifico delle singole questioni proposte alla Corte, la sentenza 14/2023 esamina la ordinanza con cui il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale: a) dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.l. 44/2021 nella parte in cui prevede, da un lato, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento dello stesso, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34 e 97 della Costituzione; b) dell’art. 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato), nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21 Cost.
Il caso riguardava uno studente iscritto al terzo anno del corso di laurea in infermieristica per il quale il Rettore ed il Direttore generale dell’università avevano disposto che il tirocinio e la pratica medico sanitaria fossero soggetti alla somministrazione vaccinale anti-covid 19.
La Corte ha preliminarmente dichiarato inammissibili gli interventi ad adiuvandum di diversi soggetti portatori di interessi non qualificati, nonché tutti i profili di censura afferenti a parametri diversi dall’art. 32 Costituzione.
Nel merito della prima questione ha rilevato che il giudice rimettente parte dalla giurisprudenza costituzionale sull’obbligo di vaccino, riassunta nelle seguenti proposizioni: la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. alle seguenti condizioni: a) se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; b) se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; c) se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.
Ammette la sussistenza dei parametri sub a) e sub c), riconosce la natura non sperimentale dei vaccini, ma si sofferma sulla quantità degli eventi avversi, ritenendoli superiori alla media, nonché sulla inadeguatezza del triage pre-vaccinale, per il mancato coinvolgimento dal medico di base, per l’assenza di previsione di esami di laboratorio quali accertamenti diagnostici da eseguire prima della vaccinazione, per la mancanza di un test per la rilevazione dell’infezione da SARS-CoV-2 idoneo ad evidenziare una condizione di infezione in atto.
A queste censure, che a noi sembrano contestazioni di mero fatto di metodiche applicative rimesse alla discrezionalità del legislatore e perfino, in parte, dell’esecutivo, la Corte risponde ricordando la propria giurisprudenza e i dati scientifici forniti dalle massime autorità sanitarie competenti.
In verità a noi sembra neppure fondata la premessa su b), perché la Corte ha affermato la irrilevanza delle conseguenze tollerabili, non che la previsione dell’assenza di conseguenze gravi condizioni la legittimità dell’obbligo di vaccino.
Dichiara non fondata anche la seconda questione, rilevando che nessuna legge esenta dal raccogliere il consenso informato nel caso di specie, come richiesto dall’art. 1, comma 1, della legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato).
Aggiunge che l’obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’ obbligo, in quanto non coercibile, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge.

3. La sentenza n. 15: inammissibilità e non fondatezza.

La sentenza numero 15, affidata al relatore Petitti, già estensore di precedenti sentenze sul tema specifico, è la più corposa, perché deve affrontare le sette ordinanze del Tribunale di Brescia, quella del Tribunale di Catania, del Tribunale di Padova e del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia.
Quest’ultima viene dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione, per le ragioni che saranno spiegate meglio al paragrafo successivo relativo alla sentenza n. 16.
Nel merito le questioni sottoposte possono essere così riassunte: disparità di trattamento tra soggetti con preclusioni mediche alla vaccinazione e soggetti che compiono la libera scelta di non vaccinarsi (Tribunale Brescia); mancata previsione di assegno alimentare per il periodo di sospensione (Tribunale Catania); mancata previsione, in alternativa all’obbligo di vaccino, di un obbligo di sottoporsi a test molecolare, a test antigienico da eseguire in laboratorio oppure a testo antigienico rapido di ultima generazione (Tribunale Padova).
La Corte dichiara non fondate tutte le questioni, con ampi riferimenti alla “costante” giurisprudenza costituzionale, che sarà richiamata al par. 5.

4. La sentenza n. 16: Inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice rimettente.

La sentenza n. 16, estensore Barbera, è la più tranchante, perché dichiara il ricorso proposto dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia inammissibile per difetto di giurisdizione.
Il caso riguardava una psicologa iscritta all’ordine degli psicologi della Lombardia che pretendeva di esercitare la professione di psicoterapeuta senza contatti interpersonali e pertanto, a suo avviso, non aveva ragion d’essere la vaccinazione. Aveva impugnato perciò davanti al TAR l’atto con cui era stata sospesa dall’esercizio della professione a seguito dell’ accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale.
Il TAR ha proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, d.l. 44/2021, nella parte in cui, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale, non limita la sospensione dell’esercizio della professione sanitaria alle sole prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportano in qualsiasi altra forma il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Con la sentenza n. 16/2023, la Corte ha rilevato che le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, con ordinanza 29 settembre 2022, n. 28429, hanno confermato, in continuità con la propria giurisprudenza sul petitum sostanziale, la sussistenza della giurisdizione ordinaria proprio in relazione all’impugnazione, da parte di un fisioterapista libero professionista, del “provvedimento” con cui l’Ordine professionale territorialmente competente lo aveva sospeso dall’esercizio della professione sanitaria, per mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale. Ragioni della decisione: la controversia appartiene alla cognizione del giudice ordinario perché viene in rilievo un diritto soggettivo – quello ad esercitare la professione sanitaria – il cui esercizio viene dettagliatamente disciplinato dalla legge sull’ obbligo di vaccino, senza alcuna intermediazione del potere amministrativo; la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria discende non da un provvedimento amministrativo, ma, in modo automatico, dall’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, configurato come requisito essenziale imposto dalla legge a tutela della salute pubblica.
Per queste ragioni la sentenza 16/2023 ha dichiarato inammissibile il ricorso, perché il TAR rimettente è privo di giurisdizione a trattare la questione , sulla base della giurisprudenza della Corte, che ricorda, secondo cui il difetto di giurisdizione del giudice a quo determina l’inammissibilità delle questioni, per difetto di rilevanza, quando sia palese e rilevabile ictu oculi, richiamando i precedenti in tal senso, ex plurimis, le sentenze n. 79 del 2022, n. 65 e n. 57 del 2021, n. 267 e n. 99 del 2020, n. 189 del 2018, n. 106 del 2013 e n. 179 del 1999.

5. Il radicamento delle tre sentenze nella storia giurisprudenziale della Corte.

Il contenuto e le motivazioni delle sentenze 14 e 15 sono conformi alla lunga elaborazione della giurisprudenza costituzionale sulla compatibilità di un obbligo legislativo di vaccino con l’art. 32 della Costituzione.
Questa inizia ai tempi della vaccinazione contro la poliomielite, che negli anni 50 del secolo scorso ancora flagellava il nostro Paese, lasciando tanti bimbi colpiti nel sistema nervoso centrale, da cui derivava debolezza muscolare e paralisi flaccida acuta, i cui esiti si possono osservare ancor oggi da adulti.
La vaccinazione, introdotta in via facoltativa con la legge 30 luglio 1959 n. 695 quale condizione per l’ammissione agli asili nido e alle scuole elementari, ed a qualsiasi altra collettività di bambini, fu resa obbligatoria, verificata l’insufficienza delle misure precedenti , per i bambini entro il primo anno di età con la legge 4 febbraio 1966 n. 51, che comminava ai genitori un’ammenda per il caso di inosservanza.
Con la fondamentale sentenza 14/22 giugno 1990 n. 307 la Corte ha ridefinito i fondamenti ed i limiti della potestà legislativa di imporre un trattamento sanitario obbligatorio a carico degli individui, integrando e condizionando con il suo apporto la portata precettiva dell’art. 32. Individua la base di legittimazione dell’obbligo nella solidarietà e responsabilità che deve caratterizzare la comunità nazionale; ma, continua, il medesimo fondamento solidaristico che impone la sottoposizione del singolo al vaccino, nell’interesse della collettività, richiede che questa, impersonata dallo Stato, indennizzi il singolo per eventuali conseguenze lesive eccedenti quelle sole che per la loro temporaneità e scarsa entità appaiono normali in ogni intervento sanitario e pertanto tollerabili.
In base a tali principi la sentenza 307 dichiarò la illegittimità costituzionale della legge 51/1966 non nella parte in cui istituiva un trattamento sanitario obbligatorio quale il vaccino antipolio, bensì nella parte in cui non prevedeva un’equa indennità a carico dello Stato in caso di conseguenze negative del vaccino stesso eccedenti le conseguenze lesive temporale e di scarsa entità.
Facendo seguito a questa sentenza il Parlamento approvò la legge 210/1992 cennata.
La Corte è intervenuta anche su tale legge, con la sentenza 18 aprile 1996 n. 118, rilevando che l’art. 2 della legge 210, nel momento in cui fa decorrere il beneficio dalla presentazione della domanda successiva all’entrata in vigore della legge, contrasta con i principi espressi dalla sentenza 307, perché per il periodo anteriore vigeva lo stesso paradigma di reciprocità tra individuo e collettività; ha pertanto dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, legge 210, nella parte in cui esclude la prestazione prevista dalla legge stessa nel periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento prima dell’entrata in vigore della legge e l’ottenimento della prestazione determinata a norma della legge stessa.
E a questa linea, basata sulla appartenenza, solidarietà e responsabilità tra persona e Stato, sancita dalla Costituzione, è stata fedele la giurisprudenza successiva, con continui rimandi da sentenza a sentenza.
Ne ricordiamo le principali, citate nell’excursus delle due sentenze in esame:

a) sulla portata dell’art. 32 e sul bilanciamento dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione :
- sent. 9 maggio 2013 n. 85 sul caso Ilva, con cui ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 1 della legge n. 231 del 2012 che consentiva la prosecuzione dell’attività produttiva inquinante dello stabilimento Ilva di Taranto, in nome di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali, quello alla salute (art. 32 Cost.), e quello al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali. La Corte ha spiegato in questa occasione che tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si
trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe "tiranno" nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona.

b) sulla legittimità del ricorso all’obbligo, specie nel caso in cui le misure facoltative si siano rivelate insufficienti:
-sent. 18 gennaio 2018 n. 5 , con cui la Corte ha ricordato che vi è oggi, in tutto il mondo occidentale, una più spiccata sensibilità per i diritti di autodeterminazione individuale anche in campo sanitario che ha portato a prediligere politiche vaccinali basate sulla sensibilizzazione e sulla raccomandazione; ma ove lo strumento della persuasione risulti carente sul piano dell’efficacia, il ricorso alla dimensione dell’obbligo è costituzionalmente legittimo (ivi, punto 8.2.3. e 8.2.4).

c) sui doveri del cittadino:
-sent. 12 gennaio 1994 n. 218, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 5 giugno 1990 n. 135 (programma di interventi urgenti che per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS) nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell’assenza di sieropositività all’infezione da HIV come condizione per l’espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi. La Corte, premesso che la salute costituisce un diritto fondamentale della persona, precisa che la tutela della salute implica anche il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri.

c)sull’affidamento del cittadino nelle raccomandazioni sanitarie dello Stato e sul conseguente diritto ad equo indennizzo in caso di eventi avversi da vaccinazione raccomandata:
-sent. 26 febbraio 1998 n. 27, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge 210/1992 nella parte in cui non prevede il diritto ad equo indennizzo per coloro che si sono sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica sotto il regime della legge 695/1959 che, come abbiamo visto, era facoltativo;
- sent.26 aprile 2012 n. 107, idem per coloro che abbiano subito eventi avversi a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia. Motivo il solito: in un contesto sociale di irrinunciabile solidarietà tutti coloro che ci sono uniformati ai comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica, imposti o anche solo sollecitati dalla collettività, tramite gli organi competenti, devono essere garantiti dalla previsione di una misura indennitaria.
È da sottolineare, in questa sentenza, il nesso che la Corte istituisce tra collettività e strutture istituzionali attraverso cui questa collettività si organizza.
-sent. 14 dicembre 2017 n. 268 che ha applicato il medesimo principio in caso di vaccino antiinfluenzale.
-sent. 23 giugno 2020 n.118, idem per il caso di vaccinazione contro la epatite A.

6. I segnali precedenti della Corte sulla legislazione emergenziale.

Nel corso della pandemia la Corte è intervenuta su altri temi della legislazione emergenziale, diversi dall’obbligo di vaccino, ma che comunque coinvolgono la tematica della solidarietà sociale. Inoltre è intervenuta sulla legittimità di varie misure emergenziali.
Già in precedenza, con la sentenza 6 giugno 2019 n. 137, aveva escluso una potestà legislativa regionale (nella specie della regione Puglia) di imporre obblighi vaccinali.
Con la sentenza 19 ottobre/11 novembre 2021 n. 213, la Corte, chiamata dal Tribunale di Trieste, in funzione di giudice dell’esecuzione, a scrutinare la legittimità delle norme emergenziali che sospendevano la esecuzione degli immobili, anche ad uso non abitativo, fino a una certa data, ha osservato che “l’eccezionalità della situazione creata dal rapido diffondersi della pandemia da Covid 19 ha creato una inedita condizione di grave pericolo per la salute pubblica, costituendo essa un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, che nell'immediato ha chiamato in causa, altresì, la solidarietà economica e sociale a cui ciascuno è tenuto nell'esercizio dei propri diritti. In questa eccezionale situazione, la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie, per cui il dovere di solidarietà sociale, nella sua dimensione orizzontale, può anche portare, in circostanze particolari, al temporaneo sacrificio di alcuni, a beneficio di altri maggiormente esposti, selezionati inizialmente sulla base di un criterio a maglie larghe.
Si possono ricordare anche le diverse ordinanze e sentenze che hanno affermato la competenza esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale, ex art. 117, comma 2, lett. q) Cost., quale è indubbiamente la lotta contro il SARS-CoV-2:
-ordinanza del 14 gennaio 2021 n. 4, est. Barbera, che, in accoglimento dell’istanza proposta in via cautelare dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha sospeso la legge della Regione autonoma Valle d’Aosta che consentiva misure di contenimento della diffusione del contagio da Covid 19 di minor rigore rispetto a quelli statali, confermata con
-sentenza 12 marzo 2021 n. 37;
-sentenza 8 luglio 2022 n. 171 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità proposta sulle norme che consentono alle sole farmacie, e non anche alle parafarmacie, l’effettuazione dei tamponi e test per il SARS-CoV-2;
-ordinanza 20 gennaio 2022 n. 15, est. Barbera, che ha dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso da alcuni membri del Parlamento residenti nelle regioni Sicilia e Sardegna, sprovvisti di green pass, sulle norme che lo richiedono come condizione per viaggiare e raggiungere il Parlamento;
-sentenza 22 ottobre 2021 n. 198, est. Petitti, che ha negato che il d.l. 19/2020 nel conferire al Presidente del consiglio dei ministri il potere di adottare misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologia da Covid 19, abbia operato una delega di funzioni legislative.
Si può ricordare anche la sentenza 26 maggio 2022 n. 127, la quale ha dichiarato non fondato il dubbio di legittimità costituzionale delle norme emergenziali che impongono l’obbligo di dimora nei periodi di quarantena e di residenza domiciliare fiduciaria, sollevato dal Tribunale di Reggio Calabria per presunta violazione degli articoli 13 (sulla libertà personale) e 16 (sul diritto di circolazione) della costituzione.
Con tutte queste ordinanze e sentenze la Corte blinda obiettivamente l’operato del buon pastore nel condurre il suo popolo a salvamento dal Covid 19, e colloca anche le decisioni inerenti all’obbligo di vaccino in un quadro coerente di responsabilità direzionale del Paese, secondo i principi della democrazia rappresentativa.

7. Conclusioni. Il caso dei minori. La convergenza con le altre Alte Corti.

La sera stessa del deposito delle sentenze, il 9 febbraio, si sono scatenati sui social attacchi violenti e scomposti contro la Corte, rea di avere creduto ai dati delle massime autorità sanitarie nazionali ed internazionali, anziché a quelli, magari espunti dalle stesse fonti, ma manipolati e distorti dagli haters, unici detentori di una verità e di una fede incrollabili.
È stato un periodo oscuro, fonte di amare riflessioni sulla staticità della storia. Paure ataviche, credulità popolare, esigenze fideistiche, che credevamo sepolte nei secoli passati, sfiducia nelle istituzioni, si sono coniugate a velleità di protagonismo, esibizionismo, affermazione e liderismo individuali, il tutto amplificato dai social e dai mass-media, in competizione tra loro solo per gli ascolti. Intellettuali di chiara fama, giustamente stimati e celebrati per opere insigni nelle rispettive materie, hanno rivelato, fuori dal perimetro di competenza, la propria natura umana, partecipe degli stati emozionali delle masse. Mai in epoca moderna vi era stata una opposizione così diffusa e così trasversale alle campagne vaccinali, che erano invece benvenute, come il loro successo nell’estirpare mali antichi dimostra.
I giudici del merito, a loro volta, non sono stati immuni dai movimenti emotivi del popolo, nel cui nome pronunciano le sentenze. Mentre nella prima, più drammatica e tragica, fase della pandemia, tutte le sentenze note sono state compatte nel respingere le pretese dei no vax, quando l’allarme e la tensione si sono allentati, a partire dalla fine del 2021, si sono insinuati anche lì i primi dubbi e sono iniziate le prime sentenze di accoglimento e le ordinanze di rimessione alla Corte .
Unica eccezione la giustizia minorile.
Tutte le decisioni note di tutti i Tribunali competenti per le questioni familiari hanno privilegiato la posizione del genitore favorevole alla vaccinazione del minore, e respinto la opposizione del genitore no vax, con la motivazione che la comunità scientifica sia nazionale sia internazionale ha riconosciuto l’efficacia del vaccino con un rapporto rischi-benefici nel quale i benefici sono superiori ai rischi in tutte le fasce di età.
Anche questa posizione risulta avvalorata dalla giurisprudenza costituzionale, la quale, con la sentenza 27 marzo 1992 n. 132, ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale della legge sulla vaccinazione antipoliomielitica 51/1966 proposta sotto il profilo che la legge non prevede la coercibilità della vaccinazione obbligatoria sui minori, quando l’esercente la potestà genitoriale sia contrario alla vaccinazione. La Corte ha rilevato che ai sensi degli artt. 333 e 336 del c.c. il giudice minorile può adottare, su ricorso dell’altro genitore, dei parenti, del pubblico ministero, ed anche di ufficio, i provvedimenti idonei per sottoporre il bambino alla vaccinazione.
E questa valutazione unitaria dell’interesse del minore costituisce, a nostro sommesso avviso, la cartina di tornasole di quale sia la scelta corretta in tema di vaccinazione in assenza dei pregiudizi ideologici degli adulti.
In questa situazione problematica risulta di grande conforto la tenuta della Corte costituzionale con le sentenze in commento e la sua fedeltà alla propria giurisprudenza. La stessa scelta di suddividere questioni sostanzialmente omogenee e ripetitive tra più relatori, peraltro già estensori di sentenze sul tema e quindi profondi conoscitori della materia, la interpretiamo come volontà di dare una risposta oltre che condivisa nel segreto della camera di consiglio anche corale all’esterno.
Eguale conforto ci viene dalla convergenza con le altre Alte Corti.
Il Consiglio di Stato è rimasto unito intorno alla propria sentenza 20 ottobre 2021 n. 7045 , di notevole rilevanza, per l’autorità di vertice da cui promana; per la profondità, ampiezza ed esaustività della motivazione, che copre tutto l’arco delle tesi contrarie al vaccino esposte nei dieci motivi di ricorso; per la ricchezza delle fonti documentarie ed il respiro colto che la sorregge; perché infine capostipite sia di una serie di sentenze dello stesso organo di vertice con essa coerenti, sia dei livelli inferiori della giustizia amministrativa che ad essa si sono uniformati (con la sola eccezione delle ordinanze di rimessione viste sopra) . La sentenza afferma tra l’altro, con parole severe, che la legge non è mai diritto degli invulnerabili a danno dei più vulnerabili, e che sarebbe “un macabro paradosso” se i pazienti malati o anziani contraessero il virus, con effetti letali per essi, proprio nella struttura deputata alla loro cura, e per causa del personale incaricato della loro cura, refrattario alla vaccinazione.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo è stata chiamata a scrutinare la normativa della Repubblica Ceca sull’ obbligo di vaccino, analoga a quella italiana, in quanto prevede nove vaccini obbligatori per i minori di anni 16, la cui inosservanza è sanzionata con una multa per i genitori renitenti e con il divieto per i minori di essere ammessi alla scuola materna, devoluta in quanto asseritamente lesiva dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo (altro motivo ricorrente in queste impugnazioni).
La Corte, nella sua composizione a grande camera, ha risposto con la sentenza Vavřička dell’8 aprile 2021 , affermando il principio che gli Stati hanno l’obbligo di porre l’interesse superiore del bambino, ed anche dei bambini come categoria, al centro di tutte le decisioni che riguardano la loro salute ed il loro sviluppo. Per quanto riguarda l’immunizzazione, l’obiettivo deve essere quello di garantire che ogni bambino sia protetto contro le malattie gravi; per coloro che non possono ricevere questo trattamento la protezione risiede nella copertura indiretta derivante dall’immunità di gregge. Ha concluso che le misure denunciate dai ricorrenti, condanna al pagamento di un’ammenda e mancata ammissione alla scuola materna per non aver vaccinato i figli, valutate nel contesto del sistema nazionale, sono ragionevolmente proporzionate agli scopi legittimi perseguiti dallo stato ceco. Pertanto tale pronuncia nutre il dovere di solidarietà sociale di cui agli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione di un ulteriore specifico argomento: la vaccinazione raccomandata, spontanea e generalizzata dei soggetti sani quale misura di protezione dei soggetti fragili che non possono vaccinarsi.
Queste pronunce operano così la saldatura, predicata dalla Corte, tra collettività e sue istituzioni, nel senso che queste consentono una efficace campagna vaccinale ed insieme la copertura degli eventuali danni personali non individualmente preventivabili.
In conclusione, è come per i terremoti: non si può impedire di costruire nelle zone sismiche, perché la gente è tanta, deve vivere e ha bisogno di un tetto, ma si può e si deve costruire secondo le regole antisismiche. In questo modo invece di 40.000 morti, si possono avere poche unità o poche decine di vittime, come avviene in Giappone o in Cile, o come per i vaccini, rischio accettabile e programmabile dalle società evolute, perché la storia della medicina ha dimostrato che i vaccini hanno ridotto il numero delle vittime delle grandi epidemie.

 

 

 

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.