Testo integrale con note e bibliografia

1. Nei limiti di questo breve intervento può essere utile anzitutto ricostruire per sommi capi l’intenso dibattito sull’esistenza o meno di un obbligo vaccinale in capo ai lavoratori che, nel volgere di un breve lasso di tempo, si è sviluppato in dottrina .
Ebbene, vi è un punto fermo su cui nessuno pare dubitare, ovvero che per imporre un obbligo vaccinale occorra una disposizione di legge ai sensi dell’art. 32, c. 2, Cost.
Una volta fissata questa comune premessa, tuttavia, i percorsi ricostruttivi si ramificano .
Per un primo orientamento l’obbligo vaccinale, pur in assenza di una norma espressa, può farsi comunque discendere da una serie di disposizioni di legge che regolano il rapporto di lavoro, in particolare l’art. 2087 c.c. e gli artt. 20 e 279 del d.lgs. n. 81/2008 , o, secondo altra parte della dottrina , dai c.d. obblighi preparatori all’adempimento, tra cui rientrano i doveri di protezione.
Un secondo orientamento, invece, sostiene che, in assenza di un intervento del legislatore, sia preclusa l’imposizione di un obbligo vaccinale ai lavoratori. Per questa tesi, dunque, dalla mancata vaccinazione non può discendere alcuna conseguenza sul rapporto di lavoro, dovendosi semmai rispettare anche nei confronti dei renitenti al vaccino le normali cautele previste dai protocolli anti-contagio .
Quanto al primo orientamento, basti osservare che il richiamo alle numerose disposizioni di legge, a vario titolo evocate a sostegno dell’esistenza di un obbligo vaccinale, non pare comunque assolvere alla riserva di legge imposta dall’art. 32 Cost.
In ogni caso, questa ricostruzione sembra ormai smentita e superata proprio dall’intervento legislativo in materia di obbligo vaccinale per i sanitari. Perché, da un lato, se l’obbligo si fosse potuto già ricavare ad ordinamento vigente, tale intervento legislativo sarebbe contraddittorio o pleonastico. Dall’altro lato, laddove si ritenga che tale disciplina non escluda l’esistenza di un obbligo per lavoratori che operano in altri settori, si generebbe un effetto paradossale, oltre che probabilmente incostituzionale.
Difatti, proprio nel settore in cui più forte è l’esigenza dell’obbligo vaccinale, ossia quello sanitario, vi sarebbe un obbligo “attenuato”, quello previsto dall’art. 4 del d.l. n. 44/2021, la cui violazione non è sanzionabile sotto il profilo disciplinare; mentre per la generalità dei lavoratori vi sarebbe un obbligo “pieno”, che legittimerebbe le normali reazioni disciplinari. Sicché, anche esigenze di ragionevolezza ed equilibrio del sistema impediscono di accedere a questa interpretazione.
Quanto al secondo orientamento, mi pare che esso trascuri la circostanza per cui l’esclusione di un obbligo vaccinale per la generalità dei lavoratori, non escluda affatto che vi possano essere delle conseguenze sul rapporto di lavoro collegate alla mancata vaccinazione.
In particolare, tale tesi non pare tener conto del fatto che all’interno del sistema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro – la cui operatività resta comunque ferma e impregiudicata anche in epoca Covid – vi sono istituti e strumenti che impongono di considerare, nell’individuare le misure di sicurezza, il dato materiale della mancata vaccinazione del lavoratore quale specifico fattore di rischio.
E proprio su questa base, un terzo condivisibile orientamento ha ritenuto che la mancata vaccinazione rilevi sotto il profilo oggettivo, quale circostanza di fatto che può comportare – secondo una valutazione caso per caso operata nell’ambito della sorveglianza sanitaria – l’inidoneità del lavoratore alla mansione specifica, laddove la mansione, essendo di “contatto” con i terzi o i colleghi, determini un accentuato rischio di contagio.

2. Al di là di alcune iniziali incertezze , dovute anche al carattere repentino con cui la pandemia si è manifestata, nessuno pare più dubitare del fatto che il rischio da contagio da Covid, pur non rappresentando un rischio professionale, sia comunque un rischio da valutare, in quanto suscettibile di aggravarsi all’interno dei luoghi di lavoro, dato l’intensificarsi dei contatti interpersonali che ivi inevitabilmente si sviluppano .
Se il rischio va valutato, non può non tenersi conto della circostanza oggettiva che i rischi di contagio (e/o i rischi di conseguenze pregiudizievoli sulla salute generati dall’infezione da coronavirus) aumentino esponenzialmente laddove il lavoratore non sia vaccinato.
Anzi, a ben guardare, attraverso il vaccino il rischio muta non solo quantitativamente ma anche qualitativamente perché diviene potenzialmente eliminabile alla fonte, in una logica di prevenzione primaria, laddove invece con le misure di contenimento anti-contagio poteva essere solo limitabile, in un’ottica meramente protettiva.
Se si conviene sul dato di fatto che il rischio è quantitativamente e qualitativamente diverso per i lavoratori vaccinati rispetto ai lavoratori non vaccinati, allora non può non discenderne, ex art. 28, c. 2, lett. b), l’indicazione di misure di prevenzione e di protezione, nonché l’adozione di dispositivi di protezione individuali, differenziati per l’una e l’altra categoria di lavoratori.
O meglio, il datore di lavoro dovrà adottare qualsiasi misura utile per tutelare la salute dei lavoratori non vaccinati, i quali necessitano di una tutela più intensa rispetto ai vaccinati, giacché non adeguatamente immunizzati contro le infezioni da virus.
Pertanto, il dato oggettivo dell’assenza di vaccinazione fa sì che il datore di lavoro debba adottare qualsiasi misura necessaria (secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica) a tutelare adeguatamente la salute e la sicurezza proprio dei renitenti al vaccino.
Qualsiasi diversa interpretazione sarebbe contraria ai principi costituzionali in materia di sicurezza, condensati negli artt. 32 e 41, c. 2, Cost., nonché alla direttiva quadro, n. 89/391/CEE.
Rispetto a questa ricostruzione non pare persuasiva l’obiezione secondo cui ai sensi dell’art. 29-bis, d.l. n. 23/2020 (conv. con modif. in l. n. 40/2020) l’obbligo previsto dall’art. 2087 c.c. si intende assolto con il mero rispetto dei protocolli anti-contagio.
A prescindere dal fatto che l’art. 29-bis non sterilizza l’operatività dell’art. 2087 c.c. rispetto alle future innovazioni scientifiche e tecnologiche , la necessità di intensificare le misure per i non vaccinati discende proprio dai Protocolli anti-contagio e dal d.lgs. n. 81/2008, la cui piena operatività non è posta in discussione.

3. Tirando le fila del ragionamento condotto, va posto in evidenza come tra le misure di sicurezza non derogate dalla normativa contenuta nei protocolli anti-contagio vi è la sorveglianza sanitaria (cfr. punto 12 del Protocollo aggiornato il 6.4.2021), la quale continua normalmente ad operare durante la pandemia, vedendo anzi ampliarsi il proprio raggio di azione (cfr. art. 83, d.l. n. 34/2020, conv. con modif. in l. n. 77/2020) .
Se, quindi, il medico competente nell’ambito della normale attività di sorveglianza sanitaria dovrà sottoporre a visita periodica i lavoratori, in conseguenza della rinnovata valutazione, o di un possibile mutamento, del rischio (art. 41, c. 2, lett. b, d.lgs. n. 81/2008), tale visita non potrà non tener conto – quale dato oggettivo – della condizione di vaccinato o non vaccinato del lavoratore.
E dunque all’esito della visita il medico competente dovrà inevitabilmente esprimere il proprio giudizio in merito alla idoneità/inidoneità del lavoratore alla mansione specifica (ex art. 41, c. 6, d.lgs. n. 81/2008).
Ed è possibile che il medico, tenuto conto delle modalità con cui viene espletata la mansione (ad esempio se viene svolta a stretto contatto con i clienti o i colleghi), esprima un giudizio di inidoneità totale o parziale del lavoratore non vaccinato, indicando eventualmente delle prescrizioni (quali, ad esempio, un maggiore distanziamento interpersonale, o il collocamento in uno spazio isolato, etc.).
Del resto, il medico competente può accedere, superando gli eventuali problemi di privacy al dato relativo alla somministrazione del vaccino e possiede le competenze tecnico scientifiche per valutare se la mancata vaccinazione possa esporre il lavoratore e i terzi ad un rischio insostenibile o non altrimenti contenibile.

4. La ricostruzione che pone in stretta correlazione la mancata vaccinazione con una questione di idoneità alla mansione specifica svolta dal lavoratore è stata confermata dall’art. 4, d.l. n. 44/2021 (conv. con modif. in l. n. 76/2021) che è intervenuto in materia, sia pure limitatamente agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario.
Tale norma infatti, da un lato, conferma che la vaccinazione rappresenta un «requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative» (comma 1) e, dall’altro lato, stabilisce che l’assenza della vaccinazione non comporta l’adozione di un provvedimento disciplinare , bensì l’adibizione del lavoratore a diverse mansioni, anche inferiori, e, laddove non sia possibile, la sua sospensione dal lavoro (comma 8).
Che la mancata vaccinazione rilevi sotto un profilo puramente oggettivo, emerge chiaramente da un ulteriore dato normativo.
Il sistema congegnato dall’art. 4 del d.l. n. 44/2021, invero, si applica non solo a coloro i quali rifiutino volontariamente il vaccino ma anche a quei lavoratori che siano oggettivamente impossibilitati a sottoporsi alla vaccinazione per accertate ragioni di salute (art. 4, c. 2 e 10).
Conseguentemente, ciò che rileva non è il rifiuto del vaccino, in quanto comportamento disciplinarmente rilevante poiché contrario ad un presunto obbligo, ma è l’oggettivo dato della mancata vaccinazione che pone a rischio la salute e la sicurezza del singolo lavoratore non vaccinato, rendendolo inidoneo a svolgere mansioni che «implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2» (art. 4, c. 6, d.l. n. 44/2021).
La disciplina introdotta per gli operatori sanitari – diversamente da quanto pur autorevolmente sostenuto, con un ragionamento a contrario, da una parte della dottrina – non implica, sul piano sistematico, che la mancata vaccinazione sia priva di conseguenze per gli altri lavoratori impiegati in diversi settori o attività .
Viceversa, il microsistema operante in ambito sanitario non esclude che continui ad operare per gli altri lavoratori il sistema generale basato sulla valutazione del rischio, sulla sorveglianza sanitaria, sul giudizio di idoneità alla mansione specifica e sull’adibizione, ove possibile, a diverse mansioni (disciplinato in particolare dagli artt. 28, 29, 41 e 42, d.lgs. n. 81/2008) .
Tale sistema, a ben guardare, viene confermato nella sua ispirazione di fondo proprio dall’art. 4, d.l. n. 44/2021 , per le ragioni già indicate (cfr. supra), anche se tale norma introduce una serie di rilevanti elementi di specialità.
Anzitutto, la valutazione del rischio e dell’idoneità alla mansione per gli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario viene sottratta alla valutazione, caso per caso, del datore di lavoro e del medico competente, e viene effettuata direttamente dal legislatore con una valutazione ex ante.
In secondo luogo, tale valutazione viene affidata ad un articolato iter procedurale, che vede la partecipazione di vari soggetti, anche esterni all’azienda (Regioni, azienda sanitarie, ordini professionali) e che assume, stante l’individuazione di termini ristretti, una evidente finalità acceleratoria.
Da tali elementi si può trarre, in buona sostanza, la seguente conclusione: considerata la particolare delicatezza del settore sanitario, il legislatore ha inteso stabilire, una volta per tutte, come in tale ambito la mancata vaccinazione comporti, sempre e comunque, l’inidoneità alle mansioni di “contatto”, ed ha voluto sottrarre una simile valutazione alle lentezze (e forse anche alle incertezze) delle procedure interne al sistema di prevenzione aziendale.
Ciò non significa, però, che negli altri ambiti il datore di lavoro e il medico competente non siano tenuti ad effettuare la valutazione del rischio e a sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria secondo le normali regole e procedure previste dal d.lgs. n. 81/2008 (normativa che non risulta in alcun modo derogata dagli interventi operati dal legislatore durante l’emergenza pandemica e che, quindi, continua ad operare normalmente).

5. La tesi che collega alla mancata vaccinazione del lavoratore una sua possibile inidoneità alla mansione – mediata dalla valutazione tecnica del medico competente (impugnabile di fronte alla commissione medica provinciale ai sensi dell’art. 41, c. 9, d.lgs. n. 81/2008) – è stata sottoposta ad alcune critiche.
Quanto al fatto che il medico competente non sia presente in tutte le aziende – che rappresenta in definitiva l’unica reale criticità emergente – mi limito a rinviare alle considerazioni già svolte altrove . Sia qui sufficiente ribadire che laddove il datore di lavoro non abbia nominato, o non nomini ad hoc, un medico competente, sarà tenuto egli stesso, ex art. 18, c. 1, lett. c, d.lgs. n. 81/2008, ad effettuare una valutazione circa la compatibilità dei compiti affidati ai lavoratori non vaccinati con le condizioni degli stessi, in rapporto alla loro salute e alla sicurezza, con tutte le criticità che ne possono emergere, anche in termini di accessibilità del dato della vaccinazione.
Le altre critiche si appuntano essenzialmente sul concetto di idoneità alla mansione.
Si è osservato che sarebbe forzato far discendere l’inidoneità alla mansione da un «fatto che dipende dall’esclusiva volontà del lavoratore» o che tale inidoneità riguarderebbe soltanto i «lavoratori affetti da patologie psico-fisiche che comportano una temporanea inidoneità parziale al lavoro» . Si è affermato, anche in alcune pronunce giurisprudenziali , che la dichiarazione di inidoneità alla mansione sarebbe possibile solo laddove il vaccino fosse obbligatorio, oppure che la ricostruzione proposta non farebbe altro che comportare uno «spostamento su un soggetto nuovo, il medico competente, dei ruoli e delle responsabilità» che le ricostruzioni in termini di obbligo addossano sul datore di lavoro .

6. Nel rinviare alle osservazioni già formulate in altre sedi , può essere utile, per replicare alle obiezioni richiamate nel paragrafo precedente, ribadire in sintesi alcune considerazioni in merito concetto di idoneità alla mansione in materia di salute e sicurezza.
Anzitutto, va precisato che l’idoneità alla mansione prescinde completamente dall’esistenza di un obbligo o da un comportamento volontario del lavoratore, così come da un suo stato di malattia.
L’idoneità è una valutazione basata su dati puramente oggettivi relativi alle condizioni del lavoratore (tra cui può rientrare la mancata vaccinazione, quale condizione materiale e non quale comportamento) che rendono il lavoratore inadatto ad espletare una specifica mansione, poiché tale mansione lo espone ad un rischio non tollerabile o altrimenti evitabile.
Ciò che rileva, dunque, è se lo svolgimento di determinati compiti esponga il lavoratore non vaccinato, per il contesto organizzativo di riferimento e per le modalità con le quali viene prestata l’attività, ad un rischio valutato come eccessivo. Il fatto che la scelta di non vaccinarsi sia stata volontaria o meno non rileva in alcun modo, pertanto (come dimostra l’art. 4, c. 2 e 10, d.l. n. 44/2021) potrà incorrere in giudizio di inidoneità anche il lavoratore oggettivamente impossibilitato a ricevere la somministrazione del vaccino.
Che tale giudizio possa – anzi debba – essere espresso dal medico competente è nella fisiologia del ruolo normativamente assegnato a tale figura: di regola il medico esprime simili giudizi nell’ambito della sorveglianza sanitaria, in relazione a qualsivoglia altro fattore di rischio, non vi vede perché non possa farlo anche in relazione al rischio di contagio da Covid-19.
È evidente che la scelta finale ricade in capo al datore di lavoro, il quale sarà portato ad adeguarsi al giudizio del medico (potendolo, qualora non lo condivida, semmai contestare ai sensi dell’art. 41, c. 9, d.lgs. n. 81/2008), ma con un margine intangibile di discrezionalità in ordine alla scelta se assegnare il lavoratore ad altre mansioni o adottare misure diverse.

7. La conclusione che la tesi sin qui sostenuta non implica alcun obbligo per il lavoratore, bensì un onere per lo stesso , è comprovata, anzitutto, dal fatto che il giudizio di inidoneità – fuori dall’ambito applicativo dell’art. 4 del d.l. 44/2021 – è meramente eventuale, e dipende da una serie di fattori di rischio che dovranno essere attentamente valutati e ponderati da parte del medico competente.
In secondo luogo, la dichiarazione di inidoneità non comporta alcuna conseguenza sanzionatoria ma determina in prima battuta l’adibizione del lavoratore inidoneo a mansioni di pari livello, o a mansioni inferiori.
E non è assolutamente detto che simile adibizione non rappresenti addirittura un miglioramento per le condizioni lavorative del dipendente (si pensi ad esempio al lavoratore che da mansioni operaie si veda assegnare mansioni impiegatizie o che da mansioni a diretto contatto con i clienti venga collocato in ufficio).
Il problema si pone in terza battuta laddove non siano disponibili in azienda neppure mansioni di livello inferiore, perché in questo caso il datore di lavoro, se non adotti misure alternative (quali le ferie, l’aspettativa o lo smart working), dovrà necessariamente assumere altri provvedimenti .
In origine si era ipotizzata anche l’eventualità di un licenziamento per motivo oggettivo (sebbene momentaneamente impedito dal divieto di licenziamento causa covid ), ora invece non si può non tener conto delle implicazioni sistematiche discendenti dalle previsioni contenute nell’art. 4, d.l. n. 44/2021.
Questa normativa, prevedendo la mera sospensione del lavoratore non vaccinato che non possa essere adibito a diverse mansioni, ha di fatto escluso – come era stato già sostenuto dalla tesi secondo cui l’inidoneità alla mansione in tali casi sarebbe solo temporanea – che il medesimo prestatore d’opera possa essere licenziato .
E se una simile conclusione è valida per gli operatori sanitari, in cui è più sensibile il rischio connesso alla mancata vaccinazione, deve valere a maggior ragione anche per gli altri lavoratori.

 

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