Lo scontento del nostro inverno comincia con il doppio lutto, Riccardo Del Punta e Umberto Romagnoli, che ha colpito la comunità dei giuslavoristi per la perdita di due eminenti studiosi, che hanno avuto un ruolo di grande rilevanza nella dottrina giuridica del diritto del lavoro ma non solo, negli ultimi decenni.

Ma molteplici sono i motivi di preoccupazione della attuale stagione per lo scenario del mondo del lavoro e del quadro delle riforme attese, annunciate e necessarie più che mai.

Il rigore invernale registra il permanere del quadro di precarietà dei rapporti di lavoro, del perdurante elevato livello di infortuni professionali, della carenza di  un più realistico riconoscimento della rappresentatività dei soggetti collettivi e di adeguata valorizzazione di essi.

Permane la giungla dei contratti-pirata e la realtà di ampie zone di lavoro povero , che rendono ineludibile una qualche forma di regolamentazione del salario minimo; oltre alla sempre vasta area di lavoro nero, con i connessi fenomeni di evasione contributiva e fiscale.

Ancora sul tappeto sono i problemi posti dalla  transizione digitale, e quelli non ancora risolti della parità di genere.

E l’elencazione potrebbe proseguire con i molti altri nodi irrisolti noti a tutti e in attesa di soluzione da gran tempo.

In tale contesto, va registrato positivamente il fiorire di “tavoli” di discussione e di confronto a livello governativo con le associazioni di categoria portatrici di interessi collettivi ma, parallelamente, si deve constatare che alla necessaria raccolta di opinioni e di proposte non è ancora seguita la altrettanto necessaria traduzione in interventi legislativi e amministrativi concreti, efficaci e efficienti.

Ci si chiede se il modello possa essere la concertazione sperimentata con un certo successo in tempi abbastanza lontani, anche se non remoti. E’ evidente che  tale modello risale ad altra epoca e a un diverso contesto politico e produttivo ; e che in questi anni sono mutate le condizioni della realtà economica e produttiva nazionale e internazionale, per modo che non è pensabile la mera riproposizione di schemi del passato.

Ma è altrettanto evidente che occorre trovare al più presto la via per superare la palude dei discorsi infiniti e approdare al terreno fermo dei risultati tangibili.
Certamente senza illusorie scorciatoie ma sicuramente con l’urgenza imposta dalla realtà.

Una realtà che rende non più dilazionabile l’avvio e la prosecuzione di interventi pubblici proporzionati alla gravità del momento e al quadro economico e sociale eccezionalmente difficile e travagliato che il Paese sta attraversando per la compresenza in termini più ampi che in passato di fattori critici come la crescente inflazione, la pandemia, talune crisi aziendali e di settori produttivi, il contesto bellico internazionale.

Vi sono urgenze che non possono attendere ancora: la crescente inflazione che falcidia il reddito di vaste fasce di lavoratori, erodendo salari già in crisi anche per il mancato rinnovo di tanti contratti collettivi; per non parlare dei tanti lavori privi anche della tutela collettiva perché rimasti senza lavoro a causa della permanente crisi occupazionale.

Va bene, anzi è indispensabile, parlare con tutti gli attori del mondo del lavoro, raccoglierne le indicazioni e i suggerimenti. Naturalmente attraverso la valorizzazione delle proposte e della disponibilità degli interlocutori operanti “sul campo”; ma anche realizzando la successiva sintesi.

Alla quale  deve pervenire il Decisore politico anche sulla base delle sue priorità e della propria scala di valori; con l’auspicio che le une e le altre  tengano ferma la bussola dei principi costituzionali e di quelli generali dell’ordinamento giuridico.
E con la connessa e conseguente responsabilità politica, come richiede e impone la dinamica costituzionale.

Va riconosciuto che molti sono i semi che in questi mesi sono stati gettati e che ancora giacciono sotto la neve. Occorrerà vedere quali di essi germoglieranno e in quali tempi.

Con l’auspicio che presto abbia fine il lungo inverno delle riforme e si giunga, se non alla”estate gloriosa” del Bardo inglese, almeno a una primavera di ragionevole fioritura.

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