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Da anni sentiamo parlare di semplificazione amministrativa e di snellimento degli adempimenti, tuttavia, salvo qualche lodevole eccezione (ad esempio, la riforma delle scritture del personale operata del 2008 con il Libro Unico del Lavoro) la burocrazia rappresenta un grande freno per i datori di lavoro.
Una riflessione in merito avrebbe facile gioco in un momento come quello attuale in cui, solo per fare qualche esempio, il complicato meccanismo del bonus 200 euro sta facendo perdere molto tempo agli operatori, anche solo per interpretazione, e genera domande irrisolte (e forse, per come è scritta la norma, irrisolvibili); lo stesso dicasi per l’annunciato ed imminente recepimento della Direttiva UE 2019/1152 - ad opera di un decreto legislativo di cui una bozza è già approvata dal Consiglio dei Ministri – inerente le informazioni da rendere ai lavoratori relativamente al rapporto di lavoro, nonché alcune condizioni minime da rispettare: si prospettano infatti formulazioni di contratti di lavoro oceaniche, peraltro da aggiornare ad ogni minima variazione delle informazioni specificate, con il rischio di pesanti sanzioni in caso di errore o omissione anche parziale. Sempre a proposito di complicazioni, sarebbero da ricordare anche le grottesche procedure di comunicazione Uni-rete e di registrazioni amministrative per i lavoratori di reti di impresa distaccati o in codatorialità, previste dal D.M. n. 205/2021 (decreto che, tra l’altro, ha emanato disposizioni con palese e reiterato eccesso di delega). Anche la normativa riguardante il settore edile, con il c.d. DURC di congruità appare farraginosa e complessa, così come quella, di qualche anno prima, operata dall’art. 4 del “decreto fiscale” (L. n. 157/2019 di conversione del D.L. 124/2019) in merito al controllo delle ritenute fiscali in appalto.
In realtà quelli appena citati sono solo gli esempi, forse nemmeno i più eclatanti, di un’involuzione e di un avviluppamento del nostro legislatore, in tema di normazione del lavoro (ma non solo), dagli effetti devastanti per l’economia del Paese e la gestione aziendale. Ciascuno degli argomenti suddetti meriterebbe pagine e pagine critiche - peraltro già scritte da molti commentatori, compreso il sottoscritto - volte ad evidenziare le procedure complesse, illogiche e fuori da ogni concreta praticabilità concreta prevista da questi obbrobri legislativi.

Erroneamente si potrebbe pensare che il tema della semplificazione, normativa e burocratica, sia un tema semplice, da operatore, se vogliamo esagerare da “passacarte”, o in ogni caso che riguarda solo il professionista che se ne occupa e che si lamenta dell’immane lavoro che questi adempimenti richiedono (è’ peraltro vero che qualche professionista- fortunatamente raro - invece di lamentarsi trova in siffatte storture operative la ragion stessa del proprio esistere e del proprio corrispettivo economico) .
Ma ridurre il tema della semplificazione ad una mera questione di addetti ai lavori (addetti ai lavori che peraltro suggerimenti su come fare meglio ne danno, inascoltati, in continuazione) è un gravissimo errore. La burocrazia e la complicazione fanno infatti danni molto gravi.
Il primo danno, scontato, è il costo.
Seguire questi adempimenti ha un grave costo per le aziende e per gli operatori, perché tutta la congerie di pratiche necessarie hanno un portato non indifferente sul costo dei servizi che le azienda pagano per realizzarli, oppure per i consulenti che non trovano la forza di addebitarli nel modo corretto. Si deprimono così risorse aziendali e/o capacità professionali.
Un costo, nemmeno tanto nascosto, è anche dato dalle misure sanzionatorie che, spesso in modo spropositato, accompagnano tale fiumana burocratica. Per adempimenti tutto sommato relativamente poco significativi vi sono sanzioni abbastanza pesanti ed ingiustificate. Il problema vero è che, come vedremo, tali sanzioni non hanno un vero potere deterrente sul trasgressore seriale, ma affaticano enormemente chi incappa in violazioni marginali o in semplici errori. Peccato che nella stima della valutazione ispettiva, il c.d. “pesce piccolo” fa numero senza troppa fatica. Nella valutazione dei recuperi monetari, peraltro, il “pesce grosso” compare solo a livello statistico, in quanto ha già elaborato i meccanismi di fuga o di spostamento dell’onere per cui non di rado la sanzione o l’imponibile teoricamente recuperato rimangono solo sulla carta.
Il secondo grave ostacolo che la burocrazia pone è la complicazione (l’intralcio) .
Ogni azione, anche normale e ricorrente, comporta un notevole dispendio di tempo che rende i processi, ad esempio di assunzione o di avvio di un’impresa, lunghi, farraginosi e spesso soggetti a norme di difficile interpretazione.
Lo sa bene chi lavora con società multinazionali e fronteggia quotidianamente lo sgranamento di occhi o il corrugamento di fronti quanto cerca di spiegare cosa si può o non può fare in Italia, quali tempi e quali autorizzazioni ci vogliono, quali nodi bisogna sciogliere, quali vincoli si devono rispettare, cosa va ad interpretazione (magari con diversificazioni incomprensibili sul territorio), cosa si rischia se non si adempie.
Tuttavia, in un mondo che si muove sempre più velocemente, in cui “smart” è la parola che ricorre con più frequenza, la complicazione (spesso inutile) è davvero una grossa pietra d’inciampo, tanto che già agli inizi del millennio l’Italia appariva agli ultimi posti dei Paesi industrializzati per rigidità all’assunzione e mancanza di competitività. E da allora le cose non sono certo migliorate.
Il terzo danno è la segmentazione ovvero l’asistematicità normativa.
Ogni problema è affrontato con una norma a sé stante, sconnessa non solo al sistema produttivo e al mondo reale ma anche alle altre norme eventualmente correlate. E non di rado le azioni normative sono connotate da velleità meramente ideologiche o sensazionalistiche.
Nel lavoro autonomo, tanto per fare un esempio, proprio nella parte più vicina, quasi continua al lavoro subordinato c’è un profondo scoordinamento fra norme assicurative, previdenziali, fiscali e civilistiche. Ma la mancanza di norme coordinate e l’assenza di uno sguardo d’insieme determina situazioni quasi da paralisi o comunque paradossali, per cui , per stare all’esempio, fiscalmente sei dipendente ma civilisticamente sei autonomo. Questa asistematicità richiede peraltro continui interventi: sul fronte giurisprudenziale si esce da una normale ed utile nomofiliachia sconfinando talvolta nella piena riscrittura normativa, quando non addirittura nell’invenzione; sul versante amministrativo si assiste da tempo al c.d. “diritto circolatorio”, cioè alle “pezze” belle e buone che è costretto a mettere chi nella Pubblica Amministrazione deve comunque generare delle disposizioni operative (anche in tal caso, inserendovi non di rado interpretazioni del tutto personali).
Ma la segmentazione impedisce anche di ideare soluzioni davvero intelligenti. Ad esempio, nel caso dell’informativa da dare ai lavoratori, perché non ragionare (visto che, a differenza di altri paesi UE, in Italia la contrattazione collettiva copre la quasi totalità dei rapporti di lavoro subordinato) su forme codificate di redazione e di pubblicazione della contrattazione collettiva in modo che i relativi contenuti siano chiari, trasparenti e fruibili dai lavoratori, senza particolare appesantimento delle informazioni da rendere nel contratto individuale di lavoro?
L’ultimo danno , quasi un paradosso, è l’inefficacia
Al legislatore burocrate, e forse anche a qualche inesperto osservatore, può sembrare che a tanti adempimenti corrisponda un significativo argine o deterrente all’elusione ed all’illegalità. Tuttavia l’osservazione sul campo ci dice il contrario.
Abituare gli operatori al “tanto qualcosa di sbagliato ci sarà sempre” o alla confusione o all’inutile complicatezza, apre il campo in realtà a chi di questa mancanza di chiarezza si appropria con due profili di approccio, anche utilizzati in sincrono: da un lato si approfitta del marasma per adottare soluzioni interpretative borderline (che nascondono scelte illegali o ingiuste) a proprio uso e consumo, dall’altra l’ipercomplicazione (insieme con i costi) diventa quasi una giustificazione morale all’elusione.
Il risultato, che anticipavamo all’inizio, è il rischio conclamato di colpire l’operatore normale, appesantendolo con adempimenti e sanzioni, senza intercettare (e quindi di fatto premiando) chi opera nel torbido.
Senza contare che, anche rispetto agli eventuali controlli ed alla vigilanza, la moltitudine degli adempimenti e delle interpretazioni intralcia spesso proprio il lavoro del controllore; aggiungiamo che la Pubblica Amministrazione ci mette del suo, con qualche ritardo di organizzazione, di competenze e di collaborazione (possibile che per scambiare delle informazioni fra amministrazioni pubbliche si debbano istituire dei protocolli elaborati e faticosamente raggiunti, che peraltro talvolta le stesse amministrazioni non rispettano o mal sopportano?).

Al di là di pur importanti disquisizioni accademiche e riflessioni ideologiche, mettere a tema la semplificazione, la snellezza operativa e la sistematicità e chiarezza normativa è uno degli argomenti, che forse non apparirà a prima vista il più importante ma che resta sicuramente uno dei nodi nevralgici per rilanciare competitività e legalità nel nostro Paese, cose di cui , a parere di chi scrive, abbiamo davvero tanto bisogno.

 

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