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Con la legge di conversione 9 agosto 2018 n. 96 entrata in vigore il 12 agosto 2018 si è completato il disegno dell’Esecutivo diretto a modificare i rapporti di lavoro a tempo determinato.
L’intento dichiarato dal legislatore è di combattere la precarietà e l’eccessivo utilizzo di rapporti “flessibili” da parte delle imprese.
Il risultato che ne è scaturito, in realtà, ha sorpreso molto gli operatori del settore e le imprese stesse, accendendo i riflettori su problematiche che sembravano superate con precedenti interventi normativi.
Mi riferisco, in modo specifico, alla reintroduzione delle causali previste dalla norma che sono:
- Esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutive di altri lavoratori;
- Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria
Appare subito chiaro che queste causali riportano indietro l’orologio ad un periodo che è stato caratterizzato da molti contenziosi legali, lunghi ed onerosi.
Il sindacato del giudice nelle motivazioni apposte sulle lettere di assunzione, proroghe o rinnovi, quali cause generatrici del contratto stesso, rendeva pericolosa e discutibile ogni indicazione a tale titolo, esponendo al rischio di conversione, a tempo indeterminato, il contratto stesso.
Tutto questo lo conoscevamo già e lo avevamo messo alle spalle con l’emanazione del Disegno di legge 34/2014 convertito con legge 78/2014 e Decreto legislativo 81/2015 (Jobs Act); queste norme avevano previsto la acausalità per un periodo massimo di 36 mesi, proprio per non cadere nelle difficoltà delle valutazioni soggettive, rimesse ad un soggetto terzo estraneo alla organizzazione aziendale.
Ora la lettura delle causali previste dal provvedimento denominato “decreto dignità” mette in allarme tutti gli operatori, professionisti compresi, sia per la genericità dell’indicazione che può esporre il fianco di ogni contratto ad interpretazioni “ alternative”, sia per la rigidità del perimetro che ne viene circoscritto.
Vediamo nel dettaglio prima causale: esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività. La norma parlando di ordinaria attività restringe in modo significativo il raggio di azione delle possibilità organizzative delle imprese definendo, in buona sostanza che, dodici mesi siano da considerarsi riconducibili all’attività ordinaria mentre dal tredicesimo mese tale attività diventa, improvvisamente, straordinaria. E’ difficile pensare che un’indicazione così secca e definitiva possa essere calata in ogni singola realtà aziendale senza provocare la naturale ricerca di soluzioni alternative. Certamente diventerà complesso definire quale attività sia ordinaria e quale no.
Il riferimento ad esigenze temporanee ed oggettive, non legate alla ordinaria attività deve essere letto come un richiamo assoluto alla netta separazione tra attività ordinaria, produttiva o meno, ed attività non ordinaria, quindi straordinaria. In quest’ottica la temporaneità e la oggettività costituisco le specifiche della attività straordinaria.
Se per esempio una azienda ha un picco di lavoro, programmato, con necessità di intensificare l’attività del magazzino esistente, non potrà mai assumere lavoratori a tempo determinato, perché possiede già le qualifiche idonee a tali mansioni. Ma in assenza di un magazzino proprio, con necessità di avere per 6 mesi merce in magazzino, allora potrebbe assumere a tempo determinato perché tali mansioni, in azienda non esistono. La prima verifica da effettuare è quella riferita alle mansioni svolte in azienda da altre risorse, dirottabili sulla attività oggetto del potenziale contratto.
Pensiamo alle società della moda che assumono a tempo determinato per periodi brevi, due o tre mesi ed in due anni raggiungano i 12 mesi con un lavoratore; per tali società l’attività ordinaria è la produzione di capi ed è determinata dai tempi del fashion che però richiede(organizzazione sfilate, recruiting, scouting, book fotografici e predisposizione della organizzazione delle sfilate , etc), tutte attività per le quali si assume a tempo determinato.
Questo esempio può essere traslato su moltissime attività perché oggi i tempi del lavoro, della produzione, del riposo, non sono più dettati dalle stagioni ma dalla connettività. La velocità di internet impone adeguamenti organizzativi che devono rispondere alle richieste, per non rischiare di rimanere tagliati fuori.
Se le piccole e medie imprese negli anni dal 2008 al 2014 sono riuscite a salvarsi dalla crisi è stato proprio grazie alla flessibilità e lo sviluppo di capacità organizzative nuove(internazionalizzazione) utili a soddisfare nuovi bisogni in tempo reale. L’internazionalizzazione e la ricerca di nuovi mercati hanno costretto le aziende a rivedere i modelli organizzativi per essere connessi e pronti per relazionarsi con paesi con fusi orari diversi.
Seconda causale: esigenze di sostituzione di altri lavoratori. In questo caso la norma incide sul termine stesso della sostituzione che, nel caso della maternità nella precedente norma era indicato nel momento del rientro al lavoro della persona sostituita. Ora, la nuova formulazione, impone di indicare sempre il nome della persona sostituita ma anche il termine finale che deve corrispondere ad una data precisa.
Un dubbio potrebbe sorgere da una lettura troppo restrittiva nell’ipotesi di sostituzione per ferie perché le ferie, per quanto potrebbero essere straordinarie sono sempre programmabili.
Terza causale: Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria. In questo caso la difficoltà raddoppia perché, come detto prima, la capacità di programmare, oggi, è proprio la variabile più difficile da governare perché avulsa, spesso, dalla volontà aziendale ma legata alla domanda del mercato.

Considerata la lettura congiunta delle tre condizioni sembra di comprendere che le tre condizioni debbano sussistere congiuntamente. Diventa difficile decidere come misurare la temporaneità; si potrebbero usare vari criteri ad esempio giorni o mesi (meno di 12 verrebbe da pensare). Il lancio di una nuova linea di prodotti, che passa attraverso molte fasi ed è legata ad una alea di insuccesso, deve ragionevolmente durare meno di 12 mesi?.

Ci si domanda, altresì cosa possa intendersi per incrementi significativi. In questo caso la soggettività della valutazione sarà la regola perché per l’azienda un incremento significativo potrebbe essere il 10% di un parametro mentre un giudice potrebbe ritenere questo criterio, comparato con altri operatori del settore (medie), non soddisfatto e quindi non idoneo a supportare una forma contrattuale “flessibile”.

Anche il riferimento alla non programmabilità è di difficile definizione infatti se possiamo considerare programmabili le punte produttive o le stagionalità potremmo non essere così precisi nel caso della firma di un ordine per il quale un cliente ha atteso molti mesi prima di accettare.
L’incertezza nella lettura ed interpretazione delle norme sia da parte delle imprese sia da parte degli operatori, che siano professionisti, direttori del personale o giudici, non aiuta in alcun modo e rende confuso l’orizzonte sul quale muoversi.
A sostegno delle nuove difficoltà che le aziende e gli operatori si troveranno a fronteggiare segnalo la decisione della Cassazione sentenza 12 settembre 2018, n. 22188 proprio sulla interpretazione di una causale apposta in vigenza del D.lg. 6 settembre 2001 n. 368.
In breve la corte di appello di Trieste con sentenza n. 248/2013, in parziale riforma della decisione del tribunale locale aveva condannato la società a pagare al lavoratore una indennità onnicomprensiva pari ad otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dalla costituzione in mora al saldo, confermando la illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti, valutando che la ragione (causale) apposta non fosse stata sufficientemente chiarita a causa di un evidente diverso utilizzo dell’attività del lavoratore rispetto a quanto indicato nel contratto di assunzione.
Il significato da trarre dalla decisione della Suprema Corte è che, al di la di quanto viene scritto sulla lettera di assunzione, quanto ai motivi utili all’apposizione di un termine, conta in modo fondamentale e sostanziale la diretta utilizzazione del lavoratore nell’ambito e nelle attività indicate.
Ogni difformità porterà a conseguenze economicamente rilevanti e questo comporterà che il giudice di merito potrà verificare se le mansioni svolte dal lavoratore corrispondano nella realtà a quanto scritto nella causale con evidente legame univoco tra specificità della causale ed effettiva prestazione lavorativa svolta.
Alla luce di quanto espresso risulta evidente che la prima reazione, da parte delle azienda, è nettamente negativa con il risultato certo della valutazione di non andare incontro a costosi contenziosi. In quest’ottica le aziende hanno solo due scelte o rivedere i propri piani organizzativi, rischiando con le stabilizzazioni gravi costi aggiuntivi in caso di conversione, oppure aumentare in modo importante il turn over dei lavoratori, accrescendo il grado di precarietà dei lavoratori che vedranno ridursi l’arco temporale di lavoro da 36 mesi a potenziali 12.
Se fosse questa, la scelta maggioritaria, vorrebbe dire che il provvedimento che mirava, con poco inchiostro, ad incrementare l’occupazione, avrebbe sortito l’effetto opposto. Molto dipenderà da come le imprese decideranno di muoversi al termine del periodo transitorio (31 ottobre p.v.).

 

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