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Lo smart working o lavoro agile continua destare un interesse da parte di molti e noi , come Ordine dei dottori commercialisti di Milano, commercialisti del lavoro, in autunno abbiamo approfondito questo argomento cercando di esaminarlo da piu’ punti di vista in un evento web coinvolgendo diverse esperienze professionali.
L’intento fondamentale era quella di analizzare gli effetti della pandemia sulle attivita’ lavorative, valutarne le conseguenze sui rapporti di lavoro e sui comportamenti sociali. I relatori che si sono alternati dibattito , volutamente, una competenza specifica e legata ai singoli argomenti quali :
• Un analisi anche livello europeo in merito all’utilizzo dello smart working
• Analisi dell’aspetto dell’impatto emotivo sulle persone in smart working
• L’evoluzione normativa vista dal giurista
• Lo smart working dal punto di vista organizzativo/aziendale
• Il focus dall’osservatorio delle aziende artigiane
• Modalita’ di lavoro in smart working e implicazioni sulle norme antinfortunistiche
Partiamo dall’assunto che il lavoro a distanza, denominato smartworking ha funzionato; tutte le attivita’ che “ fisicamente” potevano essere potenzialmente esercitabili a distanza sono state riorganizzate.
A distanza di mesi si possono trarre alcune informazioni interessanti ed utili per la gestione del presente e straordinariamente necessarie per disegnare il prossimo futuro.
Durante l’evento sono emersi alcuni interessanti spunti ;
La produttivita’: in molte aziende e’ stato registrato un aumento della produttivita’ e questo nonostante, in tanti casi sia stato necessario ridisegnare i flussi organizzativi e di trasmissione e condivisione delle informazioni. Una delle paure piu’ grandi era stata proprio quella legata ad un calo della stessa.
Questa significativa variazione e’ stata rilevata nel settore privato in modo significativamente uniforme mentre nel settore pubblico si sono registrate situazioni non omogenee.
Pochi uffici pubblici erano gia’ organizzati prima dell’inizio della pandemia, altri sono stati in grado, nell’immediato, di organizzare, anche se in modo parziale nuove modalita’ lavorative .
Io stesso ho potuto provare di persona , relazionandomi con alcuni funzionari che, pur potendo rispondere tramite mail dal proprio domicilio, non erano in grado di stampare gli allegati richiesti per verbali ispettivi o istanze di autotutela, rinviando la valutazione della pratica ad un successivo accesso in ufficio per poter stampare.
Abbiamo assistito ad un maggiore sforzo di adattamento, di alcune strutture , con tempi piu’ lunghi per definire le pratiche.
In alcuni casi , altri uffici pubblici sono riusciti a rispondere in tempi molto piu’ brevi rimettendo in connessione i lavoratori con i privati cittadini; un esempio, le camere di commercio.
E’ da segnalare , con positivita’, che alcuni uffici sono riusciti, in poche settimane, a recuperare il gap attraverso un nuovo modello organizzativo.

Il risultato: e’ innegabile che le politiche premiali degli ultimi anni, adottate in molte realta’ lavorative con scopi ben precisi, abbiano creato le fondamenta per un modo alternativo di interpretare l’ attivita’ lavorativa da parte dei lavoratori.
Se l’attuale modello lavorativo e’ saldamente ancorato, quanto alla struttura contrattuale e negoziale, al tempo trascorso in occasione di lavoro, la scoperta di una correlazione diretta tra lavoro e riconscimento economico, non legato al solo tempo, ma anche ai risultati, ha avuto molteplici effetti; tra questi un magggior senso di appartenenza dei lavoratori all’azienda, un miglioramento del grado di fiducia degli stessi nelle proprie capacita’ non piu’ appiattite da un’ unica variabile, una maggior capacita’ di coordinarsi con gli altri , un maggior desiderio di crescita professionale.
E’ evidente che una nuova organizzazione del lavoro che richieda una prestazione misurata non solo dal trascorrere del tempo ma valutata in funzione dei risultati deve prevedere, a monte, la definizione condivisa di quali siano i risultati da raggiungere e valutare quali strumenti utili per raggiungerli.
Le organizzazioni aziendali: proprio queste sono l’anello della catena che piu’ di ogni altro e’ rimesso in discussione. Il bvio , nei mesi piu’ difficili e’ stato o fermarsi cercando soluzioni tampone scarsamente efficienti oppure cavalcare “ l’onda” e’ riorganizzarsi veramente, dal profondo.
In questa seconda ottica tutti i rsponsabili delle risorse umane hanno cercato di ridisegnare i processi mettendo al centro della riorganizzazione, la persona.
Infatti permettere ad una persona di lavorare, per la prima volta, da remoto non si e’ tradotto in un semplice spostamento fisico ma e’ stato accompagnato da una trasformazione di processi aziendali.
Fondamentale e’ stata la condivisione della nuova visione da parte di tutti, la predisposizione di programmi, di forme di supporto per la formazione e di molta informazione.
La responsabilita’: quanto detto prima non pu0’ essere letto senza tenere conto di un cambiamento fondamentale nella struttura organizzativa.
La responsabilita’, prerogativa dei “ responsabili”, nella nuova organizzazione per risultati rasla necessariamente verso coloro che sono i protagonisti di questo cambiamento, i lavoratori o i gruppi di lavoro.
Questa nuova architettura organizzativa poggia su due pilatri, il primo e’ una maggiore responsabilita’ da parte dei singoli con la definizione e raggiungimento dei risultati pianificati e il secondo lavorare per risultati, condivisi, pianificati e misurabili.
La maggiore responsabilita’ in capo ai singoli passa attraverso un processo di delega che, spesso, trova forti opposizioni proprio da parte di chi possiede queste deleghe per la percezione di perdita di controllo. Da un lato puo’ essere ragionevole, dall’altro non cambiare mentalita’ puo’ diventare una scelta che alla lunga puo’ dare risultati negativi. Non si puo’ negare che tutte le realta’ sono uguali perche’ formate da persone e non sempre queste ultime si adattano al cambiamento con un approccio positivo e collaborativo e capacita’ di adattamento.
Capacita’ di adattamento: se e’ vero che non sopravvive il piu’ forte ma solo colui che e’ capace di adattarsi alle diverse condizioni di vita mi sembra di tutta evidenza che sopravviveranno in tanti, visti i contemporanei otto milioni di lavoratori passati in modalita’ di lavoro agile.
In questa fase particolare era ed e’ necessario mettere in campo tutta la forza mentale per adattarsi alle differenti situazioni che si sono succedute. Dalla chiusura totale a quella parziale passando per il liberi tutti per approdare, in questi giorni alla interpretazione delle sfumature dei colori dell’arcobaleno. Adattarsi vuole dire cercare dentro di se le motivazioni e cercae di trasformare le paure in momenti di azione di riorganizzazione della propria vita e dei propri spazi.
Una delle osservazioni emerse durante l’evento e’ stata propria l’analisi delle consegunenze sulle persone a causa dell’immprovviso isolamento.
E’ noto che l’uomo e’ un essere sociale e che pur amando il proprio spazio vitale, considera l’esistenza di consimili necessaria per condividere il tempo.
Questa improvvisa nuova condizione di lavoro che vede eliminati i tempi di spostamento ed un maggior radicamento in un territorio familiare, inteso come quartiere, paese, rione, sta producendo una mole interessante di informazioni che gli osservatori della materia continuano a monitorare. Ad oggi si e’ capito che non tutti erano e sono pronti a questa nuova modalita’ e che gli effetti dell’isolamento cominciano a diventare evidenti. In questo e’ importante che le aziende prevedano sempre la possibilita’ ,anche a rotazione , di allentare questo senso di isolamento permettendo rientri settimanali in azienda e continue modalita’ di coinvolgimento, anche quotidiano, in attivita’ relazionali, che non siano solo di lavoro ma permettano interazioni anche extralavorative che riportino le persone piu’ vicine alla “ pausa caffe’”.
Mai come ora se ne capisce l’importanza terapeutica durante la giornata lavorativa.
Gli spazi: per molti lavoratori sono stati un problema serio perche’ non tutti hanno ambienti casalinghi ampi con terrazzi o stanze dedicate al lavoro o al tempo libero, da usare nel lockdown rigido e non tutti hanno nelle vicinanze di casa un ambiente in coworking.
Negli ultimi anni si era osservato, in campo immobiliare, il fenomeno della ricerca di ambienti di due locali, o comunque metrature medio piccole. Oggi e’ possibile dire che si segnala una inversione di tendenza sia per le metrature sia per il posizionamento(location), tra citta’ e fuori citta’. Si segna anche un certo fermento dal punto di vista degli annunci per offerte di b&b in luoghi normalmente di vacanza, adattati a uso lavoro a distanza.
Abbiamo assistito ad un fenomeno nuovo di migrazione al contrario, ovvero del ritorno da parte di molti al proprio paese di origine, coscienti di poter svolgere il lavoro anche da distanze importanti, se assititi adeguatamente dalle infrastrutture informatiche e di comunicazione.
Molti si guardano in giro e vedono la possibilita’ reale di coronare il sogno di poter lavorare da un posto agognato per anni senza diminuire la propria produttivita’ ed abbandonando la citta’. E’ dell’altro ieri la pubblicita’ su un noto giornale con l’invito a “venire a lavorare all’arcipelago delle isole tonga”!!
Le citta’; durante il convegno abbiamo parlato delle citta’ perche’ proprio questi agglomerati complessi, cresciuti per decine di anni in una ottica protesa ad avvolgere l’individuo sino ad abbracciarlo in ogni suo bisogno, oggi si vedono abbandonate e tradite.
Questo presunto tradimento ha un prezzo molto elevato in termini di riorganizzazione della attivita’ commerciali, dell’intrattenimento, degli eventi o dei semplici negozi di prossimita’. Una citta’ senza attivita’ lavorative in centro, senza mobilita’ e senza turismo si scopre vulnerabile e obbligata a ripensare a se stessa. Considerate il piano mobilita’ studiato 10 anni fa per milano, con nuove linee di metropolitane, prolungamenti di linee gia’ esistenti, collegamenti ferroviarie. Tutto pensato ed in fase di realizzazione per far convergere dalla periferia al centro il maggior numero di persone senza auto o i turisti dagli aeroporti.
Anche per queste attivita’ commerciali i dati vanno letti con il doppio binario dettato dai nuovi movimenti migratori. Da un lato le attivita’ dei centri che sono state rapidamente abbandonate da consumatori che non si spostano piu’ quotidianamente, a questo si aggiunga lo stop dei turisti impossibilitati a muoversi, dall’altro le attivita’ delle semiperiferie o periferie che, al contrario, registrano un ritorno dei consumi di prossimita’.
Tra gli altri aspetti analizzati durante l’evento segnalo l’analisi fatta dal punto di vista delle associazioni di categoria con riferimento agli impatti che l’emergenza pandemica ha avuto sulle aziende di minori dimensioni e artigiane e come queste hanno risposto; e’ stato dato uno specifico contributo critico, ma costruttivo, sulla sequenza di provvedimenti governativi che, se dettati dalla progressiva emergenza , hanno creato fortissime incertezze ed aspettative che si sono difficilmente conciliate con l’organizzazione dei fattori produttivi in azienda.
Il diritto del lavoro e pandemia. Alcuni relatori, durante l’evento, hanno cercato di fare il punto sugli interventi governativi, in materia di smart working e sul dibattito che si e’ aperto con le parti sociali.
Sappiamo bene che lo smart working e’ disciplinato da norme precise e che solo per il periodo di emergenza vi sono alcune deroghe, ma ragionevolmente il dibattito ha cercato di guardare avanti e di prefigurare un possibile scenario futuro nel quale, mettendo il lavoratore al centro, e’ possibile creare un sistema di tutele che non vada nella direzione opposta alla nuova tendenza che vede, nello scambio tra lavoratore e azienda, una crescente importanza per il valore dei risultati.
In quest’ottica si e’ ribadito che, pur nel totale rispetto delle norme esistenti e di quanto gia’ previsto dai contratti collettivi nazionali sarebbe auspicabile che il legislatore non deida di intervenire in modo eccessivamente pervasivo irrigidendo il rapporto ma che lasci alla contrattazione di secondo livello ogni ulteriore margine di adattamento alla nuova situazione.
In quest’ottica sono visti gli interventi di miglior regolamentazione del diritto alla disconnssione e le tutele alla privacy. E’ di queste ore la notizia di un interessante accordo collettivo aziendale di una nota cooperativa per l’applicazione dello smart working per oltre 1000 lavoratori, mediante la regolamentazione degli aspetti piu’ delicati, senza dimenticare le implicazioni sulla regolamentazione antinfortunistica e delle condizioni di lavoro.
E’ evidente che ad ogni accellerazione violenta segue una fase di rallentamento e stabilizzazione, una sorta di nuovo equilibrio da cercare e da concretizzare attraverso valutazioni, osservazioni e decisioni.
Ora, credo, ci troviamo ancora nella fase della accellerazione inerziale nella quale tutto e’ molto veloce e difficile da governare. Le decisioni sono la risultante di adattamenti progressivi ma non ancora definitivi.
Appunto per questo e’ ancora importante osservare, analizzare per trarre le informazioni per le decisioni future, coscienti che, il futuro, quando la pandemia sara’ cessata, non sara’ totalmente stravolto, ma si sviluppera’ su percorsi certamente diversi da quelli che eravamo abituati a conoscere.
In questo panorama noi professionisti, dottori commercialisti del lavoro, abbiamo fatto nei mesi scorsi un notevole lavoro analisi e studio portando nelle aziende clienti la nostra competenza per la riorganizzazione delle attivita’ , nella predisposizione di accordi di secondo livello per regolare le materie piu’ complesse. Grande attenzione abbiamo dedicato e continueremo a dedicare nel cercare di accompagnare questo processo di trasformazione nei comportamenti ed anche tecnologica, convinti che l’uomo, lavortaore, debba rimanere il centro delle attenzioni e che debba continuare a trovare nel lavoro la realizzazione di se stesso mai disgiunta dalla crescita individuale e sociale come individuo.

 

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