Testo integrale con note e bibliografia

1. Premessa
Le nuove modalità di organizzazione del lavoro con il diffondersi, in tutto il mondo, del lavoro su piattaforma hanno messo in crisi i tradizionali canoni di qualificazione dei rapporti di lavoro.
Il numero delle persone che lavorano permanentemente per mezzo di labour platform varia dai 600.000 degli Stati Uniti alle decine di milioni nel mondo intero.
Un numero che è in rapido aumento.
Si può dunque ipotizzare, com’è stato scritto , “in un futuro non molto lontano l’erosione dell’area del lavoro qualificabile come subordinato secondo i criteri tradizionali (…) imponendo un aggiu-stamento del sistema di protezione e in particolare della definizione del suo campo di applicazione”.
L’ottica di questa riflessione è, però, assai più circoscritta.
Si esaminerà la sentenza della Corte di appello di Torino, sul caso Foodora, per formulare, anche su questa base, qualche osservazione, a prima lettura, sul recente intervento del legislatore, sul lavoro mediante piattaforme digitali, contenuto nel d.l. 3 settembre 2019, n. 101, conv. in L. n.128/2019.

2. Sulla mancata configurazione di un rapporto di lavoro subordinato nel caso Foodora.
I giudici di merito di Torino hanno escluso che, nel caso Foodora, sia ravvisabile una ipotesi ricon-ducibile alla fattispecie di cui all’art. 2094 c.c.
I dati di fatto esposti nella sentenza del Tribunale di Torino sembrano confermare tale qualificazio-ne. Infatti: la società individua dei turni di lavoro e li comunica via app ai riders che hanno stipulato un co.co.co.
I riders scelgono liberamente i turni per i quali dare la loro disponibilità ma non sono obbligati a farlo per nessun turno. Una volta data la disponibilità per un turno, possono rinunciare liberamente prima dell’inizio e possono, senza alcuna conseguenza, non presentarsi all’inizio del turno pur non avendo comunicato la rinuncia e addirittura abbandonare un turno in corso dandone semplice co-municazione.
La società, se riceve una richiesta di servizio comportante lo sforamento del turno, può solo chiede-re la disponibilità del rider, il quale può rifiutare senza conseguenza alcuna.
All’inizio del turno i riders devono posizionarsi in uno dei tre luoghi di riferimento previsti a Tori-no per il ricevimento delle app decidendo peraltro liberamente tra l’uno e l’altro senza che la società possa imporne uno tra essi o cambiarlo in corso del turno in ragione della maggior frequenza di ri-chieste del servizio in prossimità di questo o quel luogo.
Quando c’è un servizio da effettuare la società chiama con l’app e al rider che risponde comunica il nome e l’indirizzo del cliente ristoratore.
Il rider, con il proprio mezzo, ritira il cibo e, ricevuto nome e indirizzo del cliente finale, si reca a consegnarlo, sempre scegliendo liberamente l’itinerario.
La società non può controllarlo nello spostamento ma solo volta per volta, se c’è necessità, vedere dove si trova.
Sono previsti tempi di consegna resi elastici da vari fattori, tra cui l’eventuale ritardo del ristoratore nella confezione del cibo.
Non sono mai state comminate sanzioni disciplinari, né avanzate richieste di penali in caso di sfo-ramento del tempo di consegna.
Questo il “caso” sottoposto ai giudici torinesi .
L’ esclusione della “subordinazione” si basa sulla piena libertà dei riders di fornire o meno la pro-pria disponibilità per i vari turni (slot) offerti dalla azienda e financo di revocare tale disponibilità successivamente alla propria accettazione. Profilo già messo in rilievo dalla Corte di Cassazione nelle fattispecie che riguardarono i c.d. Pony express .
L’affermazione, pur in presenza di qualche dissenso dottrinario , è sostanzialmente condivisa da gran parte della dottrina .
Naturalmente, ciò non significa che in relazione ad altri “casi” non possa essere accertata la presenza della “subordinazione”.
Basti pensare ai casi esaminati nella pronuncia della Chambre sociale della Cour de cassation france-se , o in quelli esaminati dal Tribunale di Belo Horizzonte o dal Tribunale di Valencia .

3. Uno sguardo comparato sulla giurisprudenza degli altri Paesi e le sentenze della CGUE sul caso Uber.
La sentenza del Tribunale di Belo Horizzonte, in particolare, è molto interessante.
La sussistenza di un vincolo di subordinazione viene accertato sulla base di vari indici.
Il primo è quello della personalità: agli autisti è richiesta la consegna di documenti personali, nonché la sottoposizione a test psicologici e l’analisi delle precedenti esperienze con altre imprese.
Dunque Uber si differenzia dalle altre piattaforme digitali in virtù della personalizzazione che carat-terizza il rapporto di lavoro.
Un secondo elemento che la sentenza analizza è l’onerosità della prestazione. L’autista viene retri-buito settimanalmente anche per la mera “disponibilità” offerta dagli autisti ad eseguire viaggi.
Il terzo elemento è la c.d. disponibilità continuativa o non-occasionalità della prestazione di lavoro, che implica uno stato di soggezione permanente.
Il quarto elemento è il potere di controllo esercitato da Uber.
L’autista è libero di attivarsi o meno sulla piattaforma digitale, ma se attiva il suo account è sottopo-sto alla direzione e alla vigilanza di Uber.
Elementi che non solo marcano la differenza con il caso Foodora ma che ritroveremo, come ve-dremo, nelle sentenze della Corte di giustizia sul caso Uber.
Resta il fatto che il giudice brasiliano non fà buon uso del metodo comparato.
Occorre, infatti, ribadire che il metodo comparato (tramite il quale, sempre più spesso, si confron-tano decisioni più che istituti) è un “metodo” e non un ramo del diritto.
Le decisioni che si prendono in esame sono sempre da inserire nei contesti ordinamentali di riferi-mento e sono frutto di fattori di carattere storico, ambientale e culturale propri di quel contesto.
La precisazione è importante per evitare “errori di riferimento” che si registrano, ad esempio, nella motivazione della sentenza del Tribunale di Belo Horizzonte.
Nella sentenza si legge, infatti, che la propria decisione trova un precedente nella sentenza del Tri-bunale di Londra che avrebbe deciso nel senso “che i cosiddetti autisti in proprio, che forniscono servizi per Uber, non sono lavoratori autonomi e che si tratta, nella realtà, di un tipico rapporto di lavoro subordinato”.
Affermazione, certamente, erronea laddove il giudice londinese aveva inquadrato gli autisti di Uber fra i Workers e non tra i lavoratori subordinati.
Gli avvocati dei ricorrenti, infatti, avevano chiesto di ricondurre i contratti sottoscritti con Uber (e qualificati come di “collaborazione”) alla categoria giuridica dei workers (e non a quella dei lavora-tori subordinati) al fine di ottenere alcune tutele: ad esempio, quelle a cui si fà riferimento nella diret-tiva sull’orario di lavoro del 1998 (2003/88/CE) e nella legge sul salario minimo nazionale del 1999 .
Dalle sentenze delle Corti californiane si desumono ulteriori indicazioni.
“Un Primo giudice ha concluso che i tassisti organizzati da Uber erano lavoratori dipendenti, sottolineando il potere dell’azienda di determinare una serie di condizioni di lavoro dei conducenti, di stabilire i prezzi delle corse e le modalità di comportamento nei confronti dei clienti, nonché di controllare le performance dei lavoratori.
La stessa Corte in una controversia riguardante Lyft, il principale competitore di Uber, pur avendo riconosciuto che l’impresa dava ai suoi conducenti istruzioni dettagliate sulle modalità di lavoro, a differenza di quanto avviene nei con-fronti di un lavoratore autonomo, ha concluso che la control analysis non era conclusiva per affermare lo status di di-pendente dei conducenti perché questi avevano la libertà di decidere se quando e dove lavorare. Peraltro, quasi a sottoli-neare la provvisorietà della conclusione, il giudice lascia aperta la possibilità di arrivare a decisioni diverse per altri conducenti che avessero schemi di lavoro più regolari e stringenti” .
Dall’esame delle pronunce emerge una duplice indicazione.
La prima, attiene alla totale imprevedibilità delle decisioni giudiziali.
Una non calcolabilità delle decisioni che risiede in una mancanza di regolazione specifica delle que-stioni sollevate dalle piattaforme digitali che i legislatori dell’epoca non erano, nemmeno, in grado di immaginare.
La seconda indicazione attiene alla prospettiva dei rimedi .
I lavoratori ed i loro avvocati non chiedono il riconoscimento dello stato di dipendente “ma avanza-no le richieste che ritengono più significative per la loro situazione e più sostenibili alla luce dei precedenti. Un tratto comune delle controversie è che esse riguardano non l’accertamento di una categoria giuridica quanto l’applicazione di segmenti specifici dello statuto protettivo del lavoro, cioè appunto di rimedi adeguati al caso ”.
Un cambiamento di prospettazione giudiziale che trova riscontro in quello che è stato metaforica-mente descritto “come il passaggio da una logica regolativa basata sull’idea di confine tra fattispecie ad una regola-zione per soglie che incrociano le fattispecie: mentre il confine segue il principio secondo cui le discipline delle prestazioni aventi ad oggetto un facere a favore di altri si distinguono in ragione della natura subordinata o autonoma del vincolo contrattuale cui ineriscono, la soglia indica invece uno spazio che supera la scansione tipo-logica dell’aut-aut e definisce un nuovo criterio regolativo topo-logico, dove la determinatezza del confine lascia il passo ad uno spazio disciplinare che relativizza, senza eliminarle del tutto, le barriere tipologiche, prospettandosi quella situazione combinatoria tale per cui le tutele declinano in ambiti non necessariamente coincidenti con quelli designati dal tipo standar di lavoro subordina-to” .
Ma le indicazioni più interessanti provengono dalle sentenze della Corte di giustizia.
La Corte di giustizia, a seguito di una azione promossa dai taxisti di Barcellona, è intervenuta con una prima decisione del 20 dicembre 2017 rilevando che non essendo Uber una “società dell’informazione”, ma una società di trasporti, tale servizio doveva, di conseguenza, “essere escluso dall’ambito di applicazione dell’art. 56 TFUE della direttiva 2006/123 e della direttiva 2000/31”.
Non è, però, sfuggito all’attenzione dei giuslavoristi il delicato passaggio, ripreso nella pronuncia del 10 aprile 2018 , ove la Corte ha affermato, che “il servizio di intermediazione della Uber si basa sulla selezione di conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo ai quali tale società fornisce un’applicazione senza la quale, da un lato, tali conducenti non sarebbero indotti a fornire servizi di trasporto e, dall’altro, le persone che intendono effettuare uno spostamento nell’area urbana non ricorrerebbero ai servizi di tali conducenti. Inoltre, la Uber esercita un’influenza determinante sulle condizioni della prestazione di siffatti conducenti. In relazione a tale ultimo punto, emerge segnatamente che la Uber fissa, mediante l’omonima applicazione, se non altro il prezzo massimo della corsa, che tale società riceve dal cliente prima di versarne una parte al conducente non professionista del veicolo e che essa esercita un determinato controllo sulla qualità dei veicoli e dei loro conducenti nonché sul comportamento di quest’ultimi, che può portare, se del caso, alla loro esclusione” (punto 39).
Il passaggio motivazionale è molto importante perché fornisce degli elementi tramite i quali la piat-taforma assurge a figura del datore di lavoro.
Non basta che la piattaforma consenta l’incontro tra gli utilizzatori di servizi e il soggetto che li for-nisce.
Occorre molto di più.
Occorre che la piattaforma interferisca nell’esecuzione della prestazione predisponendo una orga-nizzazione ed esercitando un potere di controllo.
Da questo punto di vista, la richiesta di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in chiave giu-slavoristica, sarebbe quanto mai opportuno.

4. L’art. 2 del D.lgs n. 81/2015. Tra sentenza (della Corte di appello di Torino) e legge (art. 1 del D.L. n. 101/2019, conv. in L. n.128/2019)).
Il Collegio Torinese non ha, però, condiviso la pronuncia di primo grado in relazione alla invocata applicazione della norma di cui all’art. 2, comma 1, del D. Lgs 81/2015 secondo cui:
“A far data dal 1 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di colla-borazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
La disposizione è stata oggetto di molteplici ricostruzioni.
Ricordiamo le più significative.
La prima ricostruzione, che sembra accolta dal Collegio Torinese, è che il Legislatore abbia creato una nuova fattispecie di lavoro, intermedia fra lavoratore subordinato e non subordinato (sia pure continuativo e coordinato), riconducendo ad essa la disciplina del lavoro subordinato nella sua inte-gralità .
Una seconda ricostruzione ritiene che il Legislatore, collocandosi sul piano della fattispecie del lavo-ro subordinato, abbia modificato l’art. 2094 c.c. integrandone il contenuto (con l’obiettivo dell’estensione dell’ambito della tutela tipica) .
La due impostazioni sono state criticate da parte di chi ritiene che si sia in presenza di una disposi-zione priva “di efficacia propriamente normativa” o, al più, di un intervento “di sostegno a latere dell’art. 2094 c.c.” volto a sostenere “l’approccio pragmatico della giurisprudenza improntato alla prudente valutazione della ricorrenza nel caso concreto degli indici della soggezione del lavoratore ad un pieno potere organizzativo del datore di lavoro” .
Resta il fatto che il Collegio torinese ha individuato (nell’art. 2 del d.lgs 81/15) “un terzo genere” che si viene a porre tra il rapporto di cui all’art. 2094 cc e la collaborazione prevista dall’art. 409, n.3, c.p.c.
In sostanza, il Collegio ravvisa tre ipotesi.
Nella prima (che si colloca nell’ambito dell’art. 2094 cc) deve essere presente un “potere gerarchico-disciplinare-direttivo”.
Nella seconda (che si colloca nell’ambito dell’art. 2 del D.lgs n. 81/2015) deve essere presente una etero-organizzazione (intesa come “effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produt-tiva del committente, in modo tale che la prestazione lavorativa finisce con l’essere strutturalmente legata a questa (l’organizzazione) e si pone come un qualcosa che và oltre la semplice coordinazione di cui all’art. 409, n. 3, cpc, poi-ché qui è il committente che determina le modalità della attività lavorativa svolta dal collaboratore ”).
Nella terza (che rientra nell’orbita dell’art. 409, n. 3, cpc) in cui le “modalità di coordinamento” so-no definite consensualmente e quelle di esecuzione della prestazione autonomamente).
In sostanza, per il Collegio torinese “il lavoratore etero-organizzato resta tecnicamente “autonomo” ma per ogni altro aspetto e, in particolare, per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inqua-dramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza, il rapporto è regolato nello stesso modo” (ovviamente, del subordinato) (pag. 23 della motivazione).
La soluzione della Corte, condivisa da una parte della dottrina , suscita perplessità sotto diversi profili.
Il primo aspetto discutibile attiene al richiamo del “terzo genere” .
Questa lettura dell’art. 2 del d.lgs 81/2015, ove intesa a creare una nuova disciplina di lavoro inter-media fra lavoro subordinato e non subordinato solleva non poche perplessità di ordine costituzio-nale con riferimento al principio “dell’indisponibilità del tipo” più volte affermata dalla Corte costitu-zionale oltre a scontrarsi con un dato fattuale, considerato che “non è facile rinvenire in concreto uno spa-zio autonomo per una subordinazione che non sia caratterizzata dall’organizzazione da parte del datore/committente dei tempi e luoghi di lavoro” .
Ove, viceversa, la Corte intenda fare riferimento ad una nuova forma di “lavoro autonomo” (attra-verso il richiamo testuale contenuto a pag. 23 della sentenza) occorre evidenziare la difficoltà di estendere (“per ogni altro aspetto”) la disciplina della subordinazione ad una tipologia di lavoro au-tonomo.
Basti pensare all’estensione della disciplina previdenziale del lavoro subordinato o a quella ammini-strativa.
La stessa estensione, alla fattispecie in esame, della “retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie” risulta fortemente discutibile considerato che si tratta di istituti che richiedono, per la loro applicazione, l’esistenza di un vero e proprio lavoro subordinato.
Resta, poi, evidente una forzatura esegetica nella lettura dell’art. 2 del d.lgs n. 81/2015 laddove, nella sentenza della Corte di appello di Torino, si legge che la norma “postula un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro”.
In sostanza, il Collegio traduce in “cioè” “l’anche” del testo normativo: la norma non stabilisce af-fatto la sufficienza dell’etero-organizzazione di tempi e luoghi di lavoro.
E non è certo un caso che nella legge di conversione n.128/2019 D. L. n. 101/2019 sia stata inserita la soppressione nell’art. 2, comma 1, del d.lgs n. 81/2015 delle parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro ”.
Ma anche la stessa ricostruzione in fatto operata dalla Corte non appare priva di contraddizioni.
Prima riconosce che la committente “poteva disporre della prestazione lavorativa degli appellanti solo se questi decidevano di candidarsi a svolgere l’attività nelle fasce orarie (slot) stabilite” dalla società e che questa “non aveva il potere di imporre ai riders di lavorare nei turni in questione o di revocare la disponibilità data” (pag. 18 della mo-tivazione), ma poi ritiene, di converso, decisivo che gli “appellanti lavoravano sulla base di una turnistica stabilita dall’appellata” che “erano determinate dalla committente le zone di partenza (…) e i tempi di consegna”.
Resta il fatto che il legislatore, nel d.l. n. 101/2019, entrato in vigore il 5 settembre 2019, ha “ag-giunto”, all’art. 2, comma 1, del d.lgs 81/15, il seguente periodo: “le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.
Nella frase, la parola “anche” è presente due volte “nel primo caso per chiarire che sono incluse le piattaforme digitali, nel secondo caso per chiarire che, tra queste, sono da considerare incluse anche le piattaforme digitali” .
Restano, ovviamente, irrisolte tutte le questioni che riguardano, a monte il 1° comma dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015, e che inevitabilmente si ripresenteranno sul lavoro tramite piattaforma .

5 Sulla tutela del lavoro tramite piattaforma nell’art. 47-bis del D.L. 101/2019, conv. in L. n.128/2019).

L’art. 1, nella successiva lettera c) introduce una specifica disciplina intesa a porre minimi di tutela (capoverso articolo 47bis, comma 1) per i lavoratori autonomi (nel decreto legge si parlava, in ne-gativo, di rapporti di lavoro “non subordinato”) di soggetti che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’art. 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, at-traverso piattaforme anche digitali.
La disciplina entrerà in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conver-sione nella Gazzetta Ufficiale (nel decreto legge, viceversa, l’entrata in vigore era prevista solo de-corsi centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione), con l’eccezione: a) delle norme sul compenso (che entreranno in vigore decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione ), b) delle norme in materia di copertura assicurativa obbligatoria contro gli infor-tuni sul lavoro e le malattie professionali(che entreranno in vigore decorsi novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione ).
I veicoli che rientrano nella fattispecie sono: i velocipedi di cui all’art. 50 del “nuovo codice della strada” di cui al d.lgs 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, i veicoli a motore – a due o tre ruote o quadricicli – che rientrano nella nozione di cui all’art. 47, comma 2, lett. A) del suddetto codice.
La lettura della disposizione fa sorgere, perlomeno, tre questioni:
a) Cosa succede se l’attività viene svolta con “veicoli” diversi da quelli menzionati?
b) Quale trattamento dovrà essere adottato qualora l’attività venga svolta al di fuori dell’ambito urbano?
c) Cosa succede quando l’attività non si traduce nella “consegna di beni per conto altrui”, come nel caso degli autisti della Uber?
Problemi che, inevitabilmente, alimenteranno un consistente contenzioso.
Ai fini del presente decreto “si considerano piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna di beni, fis-sandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”.
La legge non fornisce alcuna definizione di piattaforma non digitale, anche se nella relazione il-lustrativa del provvedimento si riporta, come esempio, quello del sistema “di smistamento di chiamate te-lefoniche”.
La soppressione del riferimento, contenuta nel decreto legge, a una “organizzazione dell’attività” tramite la piattaforma suscita perplessità.
L’organizzazione dell’attività (tramite piattaforma) resta, a parere di chi scrive, l’elemento fonda-mentale su cui ruota la norma di tutela.
La soppressione di tale riferimento potrebbe, quindi, estendere, in maniera impropria, l’applicazione delle tutele a fattispecie in cui la piattaforma consente il mero incontro tra gli utilizza-tori di servizi e il soggetto che li fornisce.
La riformulazione della disposizione operata dal Senato inserisce una disciplina specifica relativa alla forma del contratto individuale con i lavoratori in esame ed alle informazioni che devono ricevere questi ultimi.
In primo luogo si prevede che il contratto debba essere provato per iscritto.
Il requisito della forma attiene, quindi, alla prova (che può essere fornita tramite testimoni, ai sensi dell’art. 2725 c.c., qualora il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento) ma non alla va-lidità del contratto.
Viene specificato, nel 3 comma dell’art. 47-ter che la mancanza di prova scritta è anche valutata co-me elemento di prova delle condizioni effettivamente applicate al rapporto di lavoro e delle connes-se lesioni dei diritti previsti dalla nuova disciplina.
In secondo luogo, si dispone che i lavoratori ricevano “ogni informazione utile” (dizione un po’ troppo generica) per la tutela dei loro interessi e diritti e della loro sicurezza.
In caso di violazione di tale obbligo si richiama la procedura di intimazione stabilita per l’inadempimento degli obblighi di informazione nei confronti dei lavoratori dipendenti, con la con-seguente applicazione, in caso di mancata ottemperanza entro quindici giorni, alle sanzioni ammini-strative pecuniarie di cui all’art. 4 del D.lgs 26 maggio 1997, n. 152.
A tale sanzione si aggiunge, per i lavoratori in esame, il diritto ad un’indennità risarcitoria di entità non superiore ai compensi percepiti nell’ultimo anno, determinata equitativamente con riguardo alla gravità e alla durata delle violazioni e al comportamento delle parti.
L’art. 47-quater riformula la disciplina sul compenso facendo, corretto, riferimento ai “contratti col-lettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livel-lo nazionale”.
La previsione, per la sua genericità, dovrebbe comprendere sia i contratti nazionali che quelli territo-riali o aziendali.
Solo “in difetto” di tale intervento (di natura sindacale) opera la tutela di legge (comma 2, dell’art. 47-quater) che prevede che i lavoratori non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate e ai medesimi lavoratori deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle orga-nizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Modifica quanto mai opportuna per superare le perplessità che la dizione contenuta nel decreto leg-ge aveva sollevato.
Subordinare il “corrispettivo” (questa la dizione utilizzata nel decreto legge) orario alla “condizione che per ciascuna ora lavorativa, il lavoratore accetti almeno una chiamata” poteva, infatti, rendere ancora più pre-carie le condizioni dei rider considerato che i gestori delle piattaforme avrebbero potuto ingaggiare più rider, riducendo di conseguenza il numero di consegne orarie di ognuno.
Ai lavoratori in esame compete, in ogni caso, un’indennità integrativa non inferiore al 10 per cento per il lavoro svolto di notte, durante le festività o in condizioni metereologiche sfavorevoli, deter-minata dai summenzionati contratti relativi ai medesimi lavoratori (di cui al primo comma) o, in di-fetto, con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
In sede di conversione del D.L. è stata prevista, per i lavoratori in esame, l’applicazione (art. 47-quinques) della disciplina antidiscriminatoria e quella a tutela della libertà e dignità del lavoratore “previste per i lavoratori subordinati”. Ai sensi del comma 2 viene sancito il divieto (“sono vietate”) dall’esclusione dalla piattaforma e dalla riduzione delle occasioni di lavoro per comportamenti “ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione”.
L’art. 47-sexies, inoltre, prevede l’obbligo di trattare i dati personali “in conformità alle disposizioni del regolamento UE 2016/679.
Risultano, infine, confermate le disposizioni in tema di applicazione dell’assicurazione obbligatoria INAIL (art. 47-septies) e del rispetto della disciplina generale in materia di sicurezza sul lavoro (de-creto 9 aprile 2008, n. 81, ai sensi del comma 3 dell’art. 47-sepies).

6. Una proposta ricostruttiva.
Tentare una ricostruzione, sistematica, della materia è estremamente difficile.
Può ipotizzarsi il seguente schema.
In presenza del vincolo della subordinazione, anche valorizzando gli indici sussidiari, i rapporti dei rider dovranno essere ricondotti alla fattispecie, classica, della subordinazione (ai sensi dell’art. 2094 c.c.)
Al di fuori di questa ipotesi, non opera, né per il legislatore né per il giudice, il limite “dell’indisponibilità del tipo”.
Questo principio esula dal lavoro autonomo, con la possibilità, per il Legislatore, di definire, in po-sitivo, il “tipo generale” e i “tipi speciali” del lavoro autonomo.
La salvezza della “disciplina particolare” – riferita esplicitamente al “libro IV del codice civile – ri-guarda tuttavia qualsiasi disciplina speciale, nella stessa materia, di fonte legale” ”.
Sembra, quindi, che il Legislatore, con l’istituzione delle “collaborazioni” organizzate dal commit-tente (di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs 81/2015) abbia creato un nuovo “tipo speciale” di lavoro au-tonomo, come suggerito da una parte della dottrina e riconosciuto nella stessa sentenza della Corte di appello di Torino.
Le conseguenze, in ordine alla disciplina applicabile, sembrano allora obbligate.
Una lettura, costituzionalmente orientata della disposizione di cui all’art. 2 del d.lgs 81/2015 do-vrebbe comportare l’estensione ai lavori etero-organizzato delle sole tutele attinenti: ad un compen-so salariale minimo, alla tutela della salute, all’applicazione del principio di non discriminazione “e in-fine ai principi di libertà e di organizzazione sindacale” .
Per i rapporti di lavoro autonomi ma “occasionali” (dove manca, cioè, la continuità del rapporto) dei rider dovrebbe operare, infine, il tipo speciale di lavoro autonomo disciplinato dal nuovo art. 47-bis inserito dal D.L. 101/2019 con le tutele previste dalla disposizione.
Ma la babele delle lingue regna sovrana .
La parola passa, quindi, alla Cassazione .

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