TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

 1. La sociologia economica ha da tempo ravvisato nel passaggio alle tecnologie digitali il segno di un nuovo “capitalismo delle piattaforme” in cui le imprese sono in grado di presentarsi come strutture virtuali di interconnessione tra domanda e offerta di beni e servizi . Il mimetismo delle piattaforme tende a dissimulare la vera natura dell’impresa, ma non riesce ad occultare la dimensione oppressiva della tecnologia digitale , di cui l’algoritmo è icona, con il suo portato di organizzazione, controllo e disciplinamento sia tecnico che strategico delle persone. Nell’opera di disvelamento dei nuovi modelli di disciplinamento sociale tramite i dispositivi algoritmici, il diritto del lavoro gioca un ruolo non secondario, perché esprime, nei suoi dispositivi normativi e nell’interpretazione giudiziale, il fondamento ermeneutico di valori etici, in relazione ai quali la società orienta la propria autocomprensione culturale, consentendo di stabilire quali sono le “patologie del sociale” . Non si vuole con ciò affermare che ogni meccanismo procedurale incorporato nell’algoritmo sia, in sé, necessariamente espressione di un’imposizione arbitraria ed alienante, vettore digitale di una reificazione sociale che riduce i legami interpersonali a meri principi di razionalità strumentale. Piuttosto, vale rilevare la necessità che il diritto del lavoro riaffermi il proprio contenuto assiologico per contrastare le possibili derive patologiche rese ancor più subdole e pervasive in ragione del modus operandi delle piattaforme digitali.
Tra le patologie sociali delle piattaforme si annovera senz’altro la possibile discriminazione realizzata tramite il funzionamento dell’algoritmo. Molti studi empirici dimostrano come gli algoritmi impiegati dalle piattaforme, lungi dall’essere “neutri” e privi di pregiudizi, producono effetti discriminatori a svantaggio della manodopera femminile, specie in materia retributiva, ma non solo. Posto che la piattaforma affida ad algoritmi la determinazione dei livelli del compenso, la sistematica riduzione dei redditi percepiti dalla manodopera femminile pone la questione dell’adeguatezza della legislazione antidiscriminatoria di matrice europea per contrastare queste prassi . Come è stato opportunamente rilevato, la disciplina antidiscriminatoria unieuropea, e in particolare la Direttiva 2010/41/UE, direttamente applicabile ai lavoratori autonomi, potrebbe avere un impatto significativo con riferimento al platform work, sia dal punto di vista dell’accesso alle occasioni di lavoro sia per la parità di trattamento nelle condizioni contrattuali applicabili ai lavoratori coinvolti, ma non ha prodotto sinora significativi risultati in termini applicativi . È quindi necessario approfondire la conoscenza dei meccanismi adottati dalle piattaforme, apparentemente neutrali, che producono le discriminazioni indirette, così come i criteri di selezione dei lavoratori, i sistemi di valutazione delle performance da parte degli utenti, i livelli dei compensi, verificando come tutti questi elementi retroagiscano sul decision-making affidato agli algoritmi, onde, anche utilizzando i dati statistici, intervenire con strumenti correttivi delle decisioni aziendali per rimediare agli effetti discriminatori prodotti dall’intelligenza artificiale.
Fra gli elementi richiamati, una particolare attenzione, anche per la novità del tema e le sue connessioni con le modalità di lavoro dei riders, merita la questione dei possibili effetti discriminatori delle pratiche di customer satisfaction attraverso le quali l’impresa-piattaforma acquisisce dagli utenti valutazioni sul servizio e sulla prestazione resa dal lavoratore (ad esempio attraverso l’attribuzione di un voto) e, in caso di basso gradimento da parte della clientela, interrompe la collaborazione mediante disconnessione dell’account. Prassi di questo tipo, invalse ad esempio nel sistema produttivo di servizi Uber, pongono all’interprete sia problemi di tutela della privacy (nel momento in cui la valutazione produce informazioni e valutazioni di cui la piattaforma entra in possesso e che può “trattare”), sia di possibile “controllo indiretto” sulla prestazione (in quanto il sistema di valutazione consente un apprezzamento dell’attività lavorativa “mediata” dal giudizio dell’utenza pur in assenza di un controllo da parte della direzione aziendale e di una integrazione organizzativa fisica), sia di esercizio di prerogative in senso lato disciplinari (la disconnessione dell’account come equivalente funzionale di un licenziamento disciplinare), nonché, appunto, di prassi discriminatorie.
Sotto quest’ultimo profilo, è da rilevare come l’effetto discriminatorio possa sortire da una valutazione negativa del servizio reso sulla base di elementi che non riguardano affatto la prestazione in sé, ma sono dettati da pregiudizi dell’u¬ten¬te nei confronti del lavoratore (ad esempio, pregiudizi razziali nei confronti di un autista o di un rider di colore). In tal modo i sistemi reputazionali di customer satisfaction si connotano come strumenti potenzialmente idonei a “canalizzare” nell’ambito del rapporto di lavoro l’atteggiamento discriminatorio dell’utente (quindi un elemento “terzo” che viene ricondotto nell’alveo del rapporto grazie alle tecniche di valutazione del gradimento poste in essere dall’impresa), producendo conseguenze in senso lato “sanzionatorie”: ad esempio la disconnessione del¬l’account può essere riguardata come effetto di un meccanismo discriminatorio a danno del prestatore, e non come legittima reazione della piattaforma ad un inadempimento, o imperfetto adempimento, del debitore.
Del resto, l’esistenza di prassi discriminatorie indirette nell’ambito del lavoro (anche autonomo) tramite piattaforma è ormai acclarata. Numerosi studi condotti sulle piattaforme di servizi come Uber o Lyft palesano significative evidenze di discriminazione razziale, che vedono i riders di colore costretti ad affrontare tempi di attesa più lunghi anche del 35% e frequenti cancellazioni rispetto ai riders bianchi, con effetti peggiori nelle aree a bassa densità dove è più difficile trovare autisti . La stessa esperienza italiana ha dimostrato fenomeni di discriminazione dei riders per motivi sindacali, con prestatori che subivano immotivatamente la disattivazione dell’account da parte del committente, accompagnata dalla costituzione di sindacati di comodo con il solo scopo di mantenere il controllo sui lavoratori ed inibire attività rivendicative di tipo collettivo.
L’imperativo della non discriminazione indiretta si pone quindi come uno dei principali argini contro l’arbitrario disciplinamento algoritmico. La valenza di questo principio nell’ambito del platform work può essere utile per contrastare prassi discriminatorie fondate su fattori di genere, ma anche sindacali, di razza, ecc., che trovano terreno fertile nell’ambito della Gig economy al pari, se non più, di quanto accade nei contesti lavorativi tradizionali. Il tema si colloca in un ambito ancor più ampio, quello dell’economia digitale e dell’Intelligenza Artificiale, che, come riconosce la Commissione europea nella Comunicazione del 5 marzo 2020 (A Union of Equality: Gender Equality Strategy 2020-2025), rischia di intensificare le diseguaglianze di genere: “Algorithms and related machine-learning, if not transparent and robust enough, risk repeating, amplifying or contributing to gender biases that programmers may not be aware of or that are the result of specific data selection”. Di conseguenza, il Libro Bianco della Commissione in questa materia esplicita una serie di strategie europee fondate su “EU values and fundamental rights, including non-discri¬mi¬na¬tion and gender equality” .

2. In questa prospettiva si deve collocare l’Ordinanza del Tribunale di Bologna con la quale è stata accertata la discriminatorietà del sistema, governato da un algoritmo, disciplina delle condizioni di accesso alle sessioni di lavoro, accogliendo il ricorso delle OO.SS. che lamentavano come la piattaforma, sanzionando con la perdita di punteggio i riders che non rispettano le sessioni di lavoro, penalizza tutte le forme lecite di astensione dal lavoro (iniziative di autotutela collettiva coincidenti con il proprio turno di lavoro, altre cause legittime come malattia, esigenze legate ad un figlio minore ecc.), determinando la retrocessione nella fascia di prenotazione e limitando le future occasioni di lavoro.
Vale subito rilevare che l’Ordinanza non affronta la questione della natura giuridica del rapporto, invero irrilevante ai fini dell’applicazione della disciplina antidiscriminatoria, anche se, richiamando espressamente la disciplina dell’art. 2, d. lgs. 81/2015 (e non l’art. 2094 c.c.), il Tribunale sembra dapprima accreditare l’inquadramento della fattispecie nell’ambito delle collaborazioni etero-organizzate , mentre in un successivo passaggio (in cui viene richiamata Cass. 1663/2020 e T. Palermo 24/11/2020) sembra dubitare della natura autonoma del rapporto. Comunque sia, ciò che rileva, al di là della qualificazione del rapporto, è l’estensione delle tutele, e tra queste, quelle in materia di discriminazione nell’accesso al lavoro: “alla luce della recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di tutela dei riders”, rileva il Tribunale bolognese, “non pare oggi potersi dubitare della necessità di estendere anche a tali lavoratori, a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti al contratto di lavoro, l’intera disciplina della subordinazione e, in particolare, per quanto qui interessa, la disciplina a tutela del lavoratore da ogni forma di discriminazione nell’accesso al lavoro”.
Molto opportunamente, poi, l’ordinanza richiama l’art. 47 quinquies d.lgs 81/15, introdotto dal DL 3 settembre 2019, n. 101 convertito con modificazioni dalla L. 2 novembre 2019, n. 128, che espressamente dispone, al comma 1, che “Ai lavoratori di cui all'articolo 47-bis”, ossia a “i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all'articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali”, “si applicano la disciplina antidiscriminatoria e quella a tutela della libertà e dignità del lavoratore previste per i lavoratori subordinati, ivi compreso l’accesso alla piattaforma”. Oltre a fornire rimedio contro le descritte prassi antidiscriminatorie algoritmiche, il divieto in esame può funzionare quale generale imperativo d’imparzialità nell’esercizio dei poteri privati esercitati nei confronti dei riders, in particolare per quanto concerne le prerogative (previste dalla stessa legge) esercitate della stessa piattaforma digitale, vale a dire la determinazione del compenso e le condizioni organizzative in cui la prestazione viene resa. Un principio operante, quindi, come generale garanzia nei confronti di poteri privati esercitati dalla piattaforma in maniera arbitraria ed ingiustificata, a tutela, come recita la norma, della libertà e dignità del prestatore d’opera.
Venendo al merito dell’Ordinanza, va premesso che la nozione di discriminazione, sia diretta che indiretta, è stabilita dall'art. 2 del D. Lgs. 216/2003, che definisce la prima come riferita alle ipotesi in cui “per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga” e la seconda con riferimento ai casi in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
Secondo il Tribunale di Bologna, il meccanismo algoritmico di prenotazione self-service (“SSB”), liberamente usato per loggarsi o per prenotare sessioni in cui il Rider vuole ricevere proposte di servizio, consente al rider di scegliere, tra quelli disponibili, gli slot orari e l’area o le aree in cui effettuare la sua opera di consegna. La possibilità per il rider di accedere al sistema di prenotazione SSB ed alle relative fasce orarie dipende da due indici, l’uno di affidabilità, l’altro di partecipazione nei picchi, che delineano i tratti del “ranking reputazionale” del lavoratore. Sulla base di queste premesse, il Tribunale ha accertato “che l’adesione ad una iniziativa di astensione collettiva dal lavoro è idonea a pregiudicare le statistiche del rider, giacché il rider che aderisce ad uno sciopero, astenendosi dall’attività lavorativa - ciò in cui consiste il comportamento materiale definibile come sciopero - e dunque non partecipando ad una sessione prenotata, verrà inevitabilmente a subire una diminuzione del suo punteggio sotto il profilo della affidabilità, ed eventualmente anche sotto il profilo della partecipazione, laddove la sessione prenotata si collochi nella fascia oraria 20.00-22.00 del fine settimana”. In sostanza, se il rider aderisce ad uno sciopero, e non cancella in tempo utile la sessione prenotata, “rischia di veder peggiorare le sue statistiche e di perdere la posizione eventualmente ricoperta nel gruppo prioritario, con i relativi vantaggi”.
Non v’è dubbio, allo stato dell’attuale giurisprudenza, che l’esercizio del diritto di sciopero, derivante dall’affiliazione sindacale, costituisca un possibile fattore di discriminazione indiretta, posto che detta affiliazione “rappresenta la professione pragmatica di una ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da specifici motivi di appartenenza ad un organismo socialmente e politicamente qualificato a rappresentare opinioni, idee, credenze suscettibili di tutela in quanto oggetto di possibili atti discriminatori vietati” (Cass. n.1/2020). Il rider , partecipando ad uno sciopero, vede penalizzate le sue statistiche reputazionali, e ciò indipendentemente dalle ragioni della sua condotta “per la semplice motivazione, espressamente riconosciuta da Deliveroo, che la piattaforma non conosce e non vuole conoscere i motivi per cui il rider cancella la sua prenotazione o non partecipa ad una sessione prenotata e non cancellata”.
Secondo il Tribunale, è “proprio in questa “incoscienza” (come definita da Deliveroo) e “cecità” (come definita dalle parti ricorrenti) del programma di elaborazione delle statistiche di ciascun rider che alberga la potenzialità discriminatoria dello stesso”. Il sistema di accesso alle prenotazioni (SSB) adottato dalla piattaforma realizza quindi una discriminazione indiretta, dando applicazione ad una disposizione apparentemente neutra (la normativa contrattuale sulla cancellazione anticipata delle sessioni prenotate) che determina per una categoria di lavoratori una situazione di particolare svantaggio. Qui il Tribunale adotta correttamente l’accezione qualitativa della discriminazione indiretta che ha sostituito l’accezione quantitativa (intesa come disparità di impatto a danno di un gruppo svantaggiato misurabile statisticamente) elaborata dalla Corte di Giustizia nell’ambito delle discriminazioni basate sulla nazionalità a danno di lavoratori che esercitano la libertà di circolazione, onde anche solo il rischio che una condotta o disposizione sia svantaggiosa per le persone appartenente ai gruppi protetti è sufficiente per allegare l’esistenza di una discriminazione vietata.

3. Diversamente dal caso delle discriminazioni dirette e delle molestie, la fattispecie della discriminazione indiretta, ampliando il campo della responsabilità datoriale, ammette – come contrappeso a tale allungamento della “catena causale” – una giustificazione del trattamento asseritamente discriminatorio, e, tra queste giustificazioni si annoverano anche le c.d. difese di mercato . In tale prospettiva l’autore della presunta discriminazione potrà eccepire che la disparità di trattamento è non solo oggettiva, ma razionale e legittima ai sensi dell’art. 3, co. 6, L. 216/2003: “Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari”. Per giustificare una differenza di trattamento occorre quindi dimostrare che la norma o la prassi in questione persegua una finalità legittima, e che i mezzi scelti per conseguire tale finalità (cioè la misura che ha determinato la differenza di trattamento) siano proporzionati e necessari per il suo conseguimento. Tuttavia, vale rilevare che lo standard di controllo di questa giustificazione è particolarmente severo, nella misura in cui richiede la (prova della) necessarietà delle esigenze di mercato e/o economiche dell’impresa e la proporzionalità dei mezzi impiegati, giusta un test enunciato dalla Corte di Giustizia (casi Bilka e Nimz).
Alla luce di un simile bilanciamento, può ragionevolmente affermarsi che la scelta algoritmica sia non solo rispondente alle esigenze tecnico-organizzative dell’impresa, ma anche adeguata e proporzionata, e che altre soluzioni comportanti una riduzione del grado di esclusione dei soggetti protetti non fossero praticabili? E’ ragionevole pensare che una forma di premialità (cui corrisponde una correlativa penalizzazione) in ragione del ranking reputazionale stilato secondo le due motivazioni sopra indicate sia obiettivamente necessaria per la realizzazione dell’obiettivo produttivo della piattaforma? A queste domande si dovrà dedicare ben altra attenzione rispetto a quanto è fatto oggetto di questo rapido commento. Vale rilevare, comunque, che, nel caso di specie, secondo il Tribunale la Società convenuta non avrebbe provato la finalità legittima e il carattere di appropriatezza e necessità dei mezzi impiegati per conseguirla, limitandosi ad asserire che “la finalità di Deliveroo nel tenere traccia delle ore prenotate ma non cancellate e durante le quali il rider ha deciso di non loggarsi, neppure nei 14 minuti e 59 secondi successivi al momento di inizio della sessione, non può che ritenersi legittima, trattandosi di un rapporto tra committente e prestatori d’opera autonomi, così come appropriati appaiono i mezzi che - come ribadito più volte - tracciano il dato della cancellazione senza impatto sulle statistiche dei rider e senza in alcun modo tenerne in considerazione i motivi, coerentemente con la natura del rapporto e degli interessi in gioco”. In effetti, come rileva il Tribunale, tali affermazioni “nella loro astrattezza appaiono delle mere petizioni di principio”, e, per di più, secondo il Giudice che ha condotto l’istruttoria, risultano “del tutto sprovviste di concreto riscontro”. Peraltro – ma la circostanza non è stata valorizzata dal Tribunale, che, come detto, si è limitato a rilevare il mancato adempimento dell’ onere della prova sul punto – v’è da dubitare che il sistema discriminatorio impiegato dalla piattaforma possa dirsi, in assoluto, necessario e proporzionato alle esigenze della produzione. Infatti la Società ha chiesto di pronunciarsi la cessazione della materia del contendere sul rilievo che “il sistema che controparte chiede di dichiarare discriminatorio … non esiste più e, pertanto, i provvedimenti richiesti da parte ricorrente non sarebbero più di alcuna utilità”. In base a quanto affermato dal Tribunale, infatti, Deliveroo Italia srl ha allegato che “Il sistema (opzionale) di prenotazione per cui è causa («SSB» con accessi scaglionati nel tempo secondo i parametri più volte ricordati) non esiste più. Dal 2 novembre 2020 l’accesso differenziato alle fasce di prenotazione del lunedì in base alle statistiche dei rider non avviene né può avvenire: le prenotazioni stesse scompaiono e le statistiche non hanno più alcun impatto sull’accesso alle prenotazioni che, se presenti, sono sempre accessibili a qualsiasi rider nel medesimo modo a prescindere da qualunque parametro”. Ed infatti sul sito della piattaforma, rivolto a tutti i rider si legge: “a partire dall’accesso al Calendario del 2 novembre, le statistiche non avranno più alcun impatto. (...) Le tue statistiche non avranno alcun effetto e non influenzeranno l’orario in cui puoi accedere al Calendario”. L’algoritmo è stato quindi riprogrammato, eliminando il meccanismo discriminatorio evidentemente non strettamente necessario ai fini dell’attività produttiva della piattaforma.

4. Benchè il Tribunale non si occupi di questo profilo, la legge n. 128/2019 ha statuito all’art. 47-quinquies che l’esclu¬sione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della chiamata da parte del rider sono illegittime e, quindi, vietate, a prescindere dal loro possibile effetto discriminatorio. La norma è di capitale importanza, perché elimina in radice uno dei principali metodi di controllo dei lavoratori che operano tramite piattaforma digitale, alternativi al tradizionale sistema di command and control basato sui poteri tipici del datore di lavoro (direttivo-di controllo-disciplinare), consistente nell’esercizio di un “potere” sanzionatorio con cui l’impresa-piattaforma attua la selezione dei riders, ne sancisce l’appartenenza (o meno) al proprio mercato del lavoro interno, e, unitamente a meccanismi di valutazione digitale della reputazione, esercita il proprio dominio sui riders. La piattaforma non potrà più, di conseguenza, sanzionare impropriamente il lavoratore che rifiuta la chiamata escludendolo dall’accesso alle successive occasioni di lavoro, o negandogli l’ingresso ai livelli “premiali” con migliori condizioni di contratto, o ancora riducendo le occasioni di lavoro bandendo il prestatore dagli “accessi prioritari” in ragione delle statistiche sui tassi di assenza, ponendo in essere retrocessioni, “disattivazioni”, ecc. E ciò, si ripete, a prescindere dalla verifica della discriminatorietà dell’algoritmo, ma per un espresso divieto di legge. Anche sotto questo profilo il diritto del lavoro esercita la sua funzione di controllo sulle “patologie sociali” del capitalismo delle piattaforme, imponendo all’algoritmo il rispetto della dignità della persona.

 

 

 

 

 

 

 

 

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