Testo integrale con note e bibliografia

1.All’ìinterno del progetto PRIN 2017 “WORKING POOR N.E.E.D.S. New Equity, Decent work and Skills” l’unità di ricerca aquilana si occupa della definizione, delimitazione e analisi del c.d. lavoro povero in un’ottica necessariamente intedisciplinare.
Una ricerca sul “lavoro povero”, oggetto anche di recenti ed analitiche indagini , non può che partire da un’analisi del contesto economico, in termini sia quantitativi, con un significativo impatto sulla crescita economica, che qualitativi, con riferimento ai settori avvantaggiati o svantaggiati dal fenomeno.
In ogni caso disponiamo di numerose definizioni delle “soglie” di povertà, a livello internazionale e a livello comunitario e, in quest’ultimo caso, si misura l’incidenza del rischio di povertà con riferimento alle persone che hanno lavorato per almeno 7 mesi nell’anno di riferimento e che vivono in famiglie il cui reddito equivalente disponibile è inferiore alla soglia di povertà relativa (60 % del reddito mediano nazionale) .
Comunque la povertà può manifestarsi nonostante il lavoro, non solo per l’indebolimento del potere di acquisto delle retribuzioni dei lavoratori subordinati , ma anche a seguito della proliferazione dei contratti di lavoro flessibili, che la legislazione degli anni duemila ha incentivato, spostando sostanzialmente il baricentro verso la precarietà dell’occupazione, senza trascurare poi l’emersione dei c.d. “nuovi lavori”, come nel caso della prestazione lavorativa resa attraverso l’utilizzo delle piattaforme digitali. Nel contempo la diffusione dell’emergenza epidemiologica ha palesato, con il ricorso obbligatorio al lavoro agile, il rischio di povertà per i lavoratori in possesso di basse competenze professionali.
Inoltre il fenomeno del lavoro povero travalica i “confini” del lavoro subordinato, per la sua diffusione all’interno del lavoro autonomo ed, in particolare, nel avoro professionale.
Diversi sono gli strumenti che possono essere messi in campo per contrastare la povertà lavorativa, con interventi che agiscono sulla dimensione individuale nonché sulla dimensione familiare, con misure dirette (ad esempio salario minimo, sistema di detrazioni fiscali, ammortizzatori sociali, sussidi familiari, in – work benefts) e misure indirette (politiche per la conciliazione del tempo casa- lavoro, rafforzamento delle politiche di chiilcare, politiche dell’istruzione e della formazione professionale) . Vanno considerati, infine, gli aspetti amministrativi con riferimento sia ai profili contabili e finanziari, nonché alla gestione amministrativa delle stesse misure di contrasto della povertà.

2. Sul piano economico, per la singola impresa il lavoro costituisce un costo (più è basso più alti sono i profitti e le vendite); se, viceversa, si prende in esame l’insieme complessivo di tutte le imprese si deve considerare che i salari costituiscono anche il reddito dei consumatori speso per acquistare beni e servizi dalle imprese.
In sintesi avere lavoro a basso costo costituisce uno svantaggio economico per l’insieme delle aziende, perché riduce la domanda aggregata, formata in gran parte dai redditi dei lavoratori (altre componenti sono le esportazioni e gli acquisti pubblici). Si innesca, pertanto, una spirale negativa, nella quale la ridotta capacità di consumo mette pressione alle imprese che, per ridurre i costi, ridurranno numeri e remunerazione dei lavoratori, ulteriormente riducendo i consumi e generando, pertanto, un basso livello di crescita economica, inferiore a quanto si potrebbe ottenere in presenza di redditi di lavoro più dignitosi.
Inoltre un sistema economico è composto da diversi settori, che sono caratterizzati da una sorta di “competizione” tra loro; ad esempio il tipo di formazione fornito agli studenti, il tipo di infrastruttura, gli incentivi espliciti ed impliciti ecc., i quali tendono a favorire lo sviluppo di alcuni settori economici rispetto ad altri.
Le imprese caratterizzate da lavoro povero sono concentrate in alcuni settori e non in altri; pertanto favorendo il lavoro povero si agevolano quei settori che ne fanno uso e, comparativamente, si danneggiano gli altri, modificando la composizione settoriale del sistema produttivo del paese. Se il paese si specializza nei settori in declino la crescita futura sarà compromessa; settori con alto ricorso al lavoro povero sono quelli caratterizzati da scarsa innovazione, forte concorrenza dai paesi del terzo mondo e riduzione costante delle vendite .

3. Altro profilo, nel quale possiamo rinvenire – secondo la felice puntualizzazione di un interprete – “povertà nonostante il lavoro” è rappresentato dalla proliferazione dei contratti di lavoro atipici o flessibili e, in tale area, emergono, in particolare, il contratto di lavoro a tempo determinato e il lavoro a tempo parziale . Sotto quest’ultimo versante va sottolineato che, al di là della declinazione legislativa che ne valorizza la dimensione di flessibilità (anche a beneficio del lavoratore) nel tentativo di dare “spazio” ai tempi di vita di quest’ultimo, il lavoro a tempo parziale spesso si configura come part- time c.d. involontario, imposto dal datore di lavoro. A ben guardare le stesse innovazioni legislative non hanno aiutato a rinforzare la finalità originaria del lavoro a tempo parziale, se e vero che, dal d.lgs. n. 276 del 2003, la valorizzazione “semplice” dell’autonomia individuale, sganciata dal collegamento con l’autonoma collettiva, ha rimesso la volontà del lavoratore nelle mani dei poteri datoriali .
Anche nell’esperienza dello smart working emergenziale i lavoratori con un basso livello di attitudine al lavoro agile sono più numerosi e riportano in media un reddito annuale lordo molto più basso rispetto a quelli con più alta propensione del lavoro “da remoto”. Pertanto si viene creare una condizione di diseguaglianza, innescata dall’emergenza sanitaria, che vede concentrarsi il “lavoro povero” nei lavoratori in possesso di scarse competenze, a fronte, viceversa, della diffusione del lavoro agile appannaggio delle più spiccate professionalità.
Un altro capitolo della ricerca può individuarsi nelle nuove forme di lavoro digitale, che, al di là delle diverse formule qualificatorie della prestazione lavorativa , appare caratterizzato da una notevole precarietà e, nella maggior parte dei casi, da discontinuità nell’esecuzione della prestazione lavorativa. Anche qui la “debolezza contrattuale”, unitamente all’indigenza economica del lavoratore digitale, comporta la necessità di apprestare una tutela, assicurata dalla legge e dalla contrattazione collettiva (in merito al trattamento economico e alle condizioni di lavoro), di assicurare una rappresentanza sindacale, nonché una copertura previdenziale a fronte di una prestazione lavorativa “frammentata” (con inevitabili riflessi negativi sulla contribuzione previdenziale e sulla garanzia pensionistica).

4. Il lavoro povero, inoltra, travalica i confini della subordinazione, non solo con riferimento alla condizione di dipendenza economica che caratterizza i lavoratori c.d. parasubordinati in regime di monocommittenza, dopo l’abrogazione del lavoro a progetto , ma anche con riguardo a quanto accade sul fronte dei professionisti intellettuali.
Sotto quest’ultimo profilo, infatti, molti professionisti fanno fatica a mantenere livelli di redditi congrui per continuare ad esercitare la professione e, spesso, sono costretti ad abbandonarla per l’impossibilità di pagare i contributi minimi richiesti dalle casse professionali. Ci troviamo, pertanto, dinanzi a quella che è stata definita dagli interpreti come “vulnerabilità economica”, comprensiva non soltanto di un impoverimento di tipo economico, ma anche relazionale e sociale .
Tra le diverse cause, indagate dagli interpreti, vanno annoverate, oltre alla crisi economica che ha investito il Paese dal 2008, l’assimilazione - intervenuta a livello comunitario – del professionista all’imprenditore, ai fini anche della garanzia della libera circolazione delle professioni e dei servizi, che non considera peraltro le specificità del lavoro intellettuale, il quale si sottrae ai modelli economici (che, informano, nel diritto comunitario, la disciplina della concorrenza tra le imprese) .
Per contrastare tale fenomeno una possibile strada potrebbe essere quella, innervata sullo stesso diritto privato, di individuare l’”asimmetria contrattuale” che rende spesso il professionista un soggetto “economicamente dipendente” (in presenza soprattutto di situazioni di monocommittenza con clienti “forti”), anche attraverso la valorizzazione dell’art. 36 della Costituzione, al fine di assicurare compensi equi e proporzionati .
D’altronde si tratta di Inserire la figura del professionista all’interno del dettato costituzionale di tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (ex art. 35 Cost.), nella considerazione che la garanzia per il lavoro subordinato (ex art. 3, secondo comma, del dettato costituzionale), in quanto strutturalmente contrassegnato dalla “debolezza contrattuale”, non può precludere l’estensione di tutele anche al lavoro autonomo (i cui timidi segni sono già presenti nella legge n. 81 del 2017), in presenza di situazioni analoghe di sottoprotezione sociale.
Una ricognizione poi del codice civile ci consente di individuare il plurimorfismo che caratterizza il contratto d’opera (ex art. 2222 c.c.), sotto il cui cappello possiamo riscontrare una diversificazione, che – sul piano del contesto sociale ed economico – ci riporta ancora alla contrapposizione, ben presente nel diritto privato, tra soggetto debole e soggetto forte del rapporto contrattuale.
Sotto quest’ultimo aspetto, inoltre, lo stretto legame tra contratto d’opera ed impresa implica la necessità di indagare la stessa legislazione sulla piccola impresa, laddove spesso si riscontra una situazione di “squilibrio contrattuale”; infatti l’attuale situazione di difficoltà economico – finanziaria ha imposto una particolare attenzione normativa allo stato di insolvenza e di sovraindebitamento, che viene a coinvolgere anche il lavoratore autonomo, palesando una “nuova povertà”, che può riscontrarsi, pertanto, anche nei rapporti di diritto privato.

5. L’indagine sul lavoro povero può trovare una sponda anche sul piano amministrativo sotto tre distinti versanti.
Un primo versante di indagine attiene agli aspetti finanziari e contabili delle politiche attive dell’impiego nonché delle politiche passive di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, come il reddito di cittadinanza. Mentre le politiche passive si caratterizzano per una rilevante dotazione finanziaria, le politiche attive – in passato sottofinanziate - hanno ricevuto, in tempi più recenti, notevole impulso, per l’effetto trainante del reddito di cittadinanza.
In tale quadro si collocano gli strumenti del Fondo nuove competenze, volto ad adeguare la formazione dei lavoratori, il DOL: piattaforma per far incontrare domanda ed offerta di lavoro, l’assegno di ricollocazione, gli incentivi all’occupazione, il reddito di cittadinanza, Quest’ultimo si configura come una misura di politica attiva del lavoro, diretta a contrastare la povertà e l’esclusione sociale, con dei requisiti che attengono anche alla situazione economico – patrimoniale e alla necessità di favorire l’inclusione sociale.
Altro aspetto attiene al ruolo delle strutture amministrative interessate (Ministero del lavoro, Anpal, Anpal servizi, Inps, Regioni, Province, Comuni) e alla dimensione quantitativa delle politiche pubbliche sul piano contabile (la quale si concentra in specifici ambiti programmatici che riguardano le azioni per il reinserimento con fonti di finanziamento nel bilancio dello Stato, le politiche attive per il lavoro, la rete dei servizi per il lavoro e la formazione, nonché il reddito di cittadinanza).
Sotto un secondo versante occorrerà esaminare le clausole sociali negli appalti pubblici, con riferimento anche ai livelli retributivi della manodopera impiegata, sino, in generale, all’applicazione dei contratti collettivi. Peraltro con la direttiva comunitaria 20124/247UE è previsto che le normative nazionali pongano norme di garanzia dei lavoratori, sia nella fase di aggiudicazione che in quella di esecuzione dei lavori, proprio per assicurare condizioni lavorative dignitose negli appalti pubblici e contrastare, pertanto, il fenomeno della scarsa tutela del lavoro.
Sotto un terzo versante si tratta di interrogarsi sulla gestione amministrativa, in termini di efficienza e di efficacia dell’azione amministrativa in materia di contrasto della povertà.

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