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Nel ringraziare gli organizzatori di questa attuale e significativa occasione di studio vorrei brevemente portare alcune considerazioni: talune per così dire “interne” alla materia del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, anche con riguardo alla loro presenza nei curricula delle nostre Università.
Come più volte detto, ritengo infatti imprescindibile l’insegnamento e lo studio, almeno nei suoi principi fondamentali, in ogni ambito della formazione universitaria, giacché ogni studente sarà impegnato in una qualche attività lavorativa lato sensu considerata. Le materie di cui si tratta coinvolgono lo stesso futuro delle nuove generazioni.
Allo stesso tempo sono felice che questo Seminario ponga, in un dialogo costruttivo studiosi giovani e meno giovani, a prescindere dall’appartenenza a scuole o gruppi di ricerca, come sempre accade laddove ho la possibilità di collaborare all’organizzazione di eventi, ricerche o pubblicazioni.
In questo momento, inoltre, il lavoro risulta essere un tassello fondamentale nella ricostruzione del nostro paese dopo la crisi sanitaria e le conseguenze economiche, talora già in essere, da essa sospinte.
Vi è tuttavia di più, e il Seminario giustamente vi pone l’accento, costituendo queste valutazioni “esterne”: il diritto del lavoro e le relazioni industriali – scontate le modifiche imposte alla organizzazione di impresa, della quale ha fatto cenno la nostra Direttrice - vengono a loro volta scomposti e vanno letti e organizzati con occhiali diversi tesi alla valorizzazione nell'ambito della (ennesima) rivoluzione tecnologica.
Certo oggi è facile, quasi semplicistico e per ciò stesso riduttivo, fare riferimento alla questione dei c.d. riders come punto di partenza, anche e soprattutto sul piano mediatico, ma occorre a mio avviso guardare con maggiore attenzione il più ampio contesto occupazionale derivante dall’innovazione tecnologica, da un lato, e altresì alcuni aspetti tecnici del contratto di lavoro derivanti dalla sempre più sospinta digitalizzazione dell’economia. Di cui i corretti richiami che si faranno, anche in questa sede, all'intelligenza artificiale, ai problemi legati al contemperamento della riservatezza (meglio di privacy) dei lavoratori coinvolti, ma anche delle imprese sempre più esposte ai venti della digitalizzazione e ai rischi della concorrenza digitale, e ancora, ciò che a me maggiormente preme, al ruolo dei sindacati in genere nel “nuovo diritto dell’occupazione digitale”, non solo con riferimento alla pandemia.
Basti pensare ancora in proposito alla qualificazione dei c.d. lavori digitali, di cui alcuni interamente ed “esclusivamente” digitali, altri tradizionali ma fortemente digitalizzati come avvenuto nel cruciale settore della logistica.
Ma chiudo queste brevissime osservazioni con alcuni spunti su un tema a sua volta centrale e, a mio modo di vedere, decisivo, relativo alla libertà dei lavoratori in quello che abbiamo sopra chiamato “nuovo mondo del lavoro digitale” e al rischio che nelle future controversie giudiziali i giudici conservino una visione obsoleta di questi nuovi aspetti, e pertanto alla necessità di avvalersi di consulenze esterne, considerato lo stato precario del settore in termini informatico-digitali.

 

 

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