Testo integrale con note e bibliografia

1. La competenza del giudice del lavoro ex art. 409, n. 3 c.p.c.: i rapporti di agenzia.
L’individuazione dei rapporti di lavoro subordinato privato come settore di elezione delle controversie di lavoro rimesse alla tutela processuale del rito del lavoro non ha certamente frenato, negli ultimi trent’anni, l’esigenza di un ripensamento dei tradizionali confini della subordinazione.
L’art. 409, n. 3, c.p.c. - norma di natura processuale ma con risvolti anche di carattere sostanziale - ha rappresentato, senza dubbio, il primo passo verso tale evoluzione del diritto del lavoro sino a costituire «il punto di riferimento per un lento export di tutele sostanziali oltre i confini della subordinazione» .
La citata disposizione assoggetta al rito speciale del processo del lavoro due fattispecie di cui una c.d. «tipica» e l’altra «atipica» .
Partendo dalla prima, sono assoggettate al rito del lavoro ed alla competenza funzionale inderogabile del giudice del lavoro i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, per tali dovendo intendersi quelli disciplinati dagli artt. 1472 c.c. e ss.
In realtà, già all’interno della macro-categoria dei rapporti di agenzia, la giurisprudenza è solita tracciare una linea di demarcazione tra le controversie che sono devolute al Giudice ordinario e quelle demandate invece al Giudice del lavoro (con l’applicazione del relativo rito) valorizzando, a tale fine, il fatto che l’attività di collaborazione sia coordinata e continuativa e che venga svolta quanto meno in misura prevalente con il lavoro personale dell’agente.
La qualificazione in termini di “personalità” della prestazione è tutt’altro che agevole, specie in relazione ai rapporti intercorrenti tra il committente e l’agente che abbia organizzato la propria attività in forma societaria.
In linea generale, l’orientamento giurisprudenziale dominante è dell’avviso che la prevalenza dell’attività personale richiesta dall’art. 409, n. 3 c.p.c. per devolvere le controversie in materia di rapporto di agenzia alla competenza funzionale del Giudice del lavoro, «va misurata in rapporto all’attività complessiva dell’agenzia ed alla sua struttura imprenditoriale e non come responsabilità personale e rapporto fiduciario nei confronti del preponente, elementi che sussistono nei rapporti commerciali tra imprenditori».
Alla luce dell’enunciato principio, la competenza del Giudice del lavoro si ritiene esclusa in tutti i casi in cui l’agente costituisca una società di capitali (anche se unipersonale) ovvero svolga la propria attività con una società di persone che costituisca un autonomo centro d’imputazione di interessi tra il socio e il preponente, ovvero, avvalendosi di una struttura organizzativa a carattere imprenditoriale .
Parimenti, si è ritenuto che la controversia relativa al compenso da corrispondere per un rapporto di lavoro nella quale non vi sia accordo tra le parti in merito alla natura, alla sua esatta qualificazione come rapporto di agenzia o di procacciamento di affari e, quindi, all’individuazione del giudice competente, deve essere attribuita alla competenza del giudice del lavoro, in quanto le suddette questioni relative alla qualificazione del rapporto, così come le questioni attinenti alla mancata iscrizione del lavoratore nell’albo degli agenti, riguardando il merito della controversia, non rilevano ai fini processuali .

1.1. (Segue): I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa dopo le modifiche apportate dalla l. n. 81/2017.
Guardando alla seconda categoria, al rito del lavoro sono altresì assoggettate tutte le forme di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata (e, dunque, non occasionale ), prevalentemente personale , anche se non a carattere subordinato .
Su tale assetto normativo è intervenuto l’art. 15, lett. a), del d.lgs. 81/2017 aggiungendo, nell’art. 409 c.p.c., l’inciso secondo cui «La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa».
La novella consegue alla profonda rivisitazione attuata dal d.lgs. 81/2015 con il quale da un lato (art. 52, comma 1) sono state abrogate le disposizioni relative al contratto di lavoro a progetto di cui agli artt. da 61 a 69 bis del d.lgs. 276/2003 (seppure facendo salvo – in forza dell’art. 52, comma 2 – quanto disposto ex art. 409 c.p.c.) e dall’altro lato (art. 2), è stata estesa l’applicabilità della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni c.d. «etero-organizzate dal committente», vale a dire «ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente» .
Affinché trovi applicazione la c.d. fictio ex art. 2 del d.lgs. 81/2015 è richiesta la sussistenza congiunta degli elementi distintivi ivi invocati vale a dire il carattere continuativo ed esclusivamente personale della prestazione (in luogo di quella prevalentemente personale ex art. 409 c.p.c.) e la c.d. «etero-organizzazione» della prestazione unilateralmente rimessa al potere del committente.
Ecco, quindi, che la specificazione della nozione di coordinamento inserita nell’art. 409 c.p.c. letta in combinato disposto con l’art. 2 del d.lgs. 81/2015 conferma, in sostanza, la volontà del legislatore di riconoscere una sorta di “sopravvivenza” di collaborazioni coordinate che non siano anche etero-organizzate (nelle quali le modalità di coordinamento non devono essere imposte dal committente, ma possono essere scelte autonomamente dal collaboratore o concordate tra le parti) alle quali, per l’effetto, non è applicabile la disciplina del lavoro subordinato.
Al netto, dunque, della portata delle modifiche sotto il profilo squisitamente sostanziale e delle difficoltà che continuano a persistere nel tracciare il confine – alquanto labile - tra etero-organizzazione e coordinamento (anche ai fini della disciplina sostanziale da applicare) , nulla è comunque mutato in ordine alle riconducibilità delle relative controversie al rito del lavoro.
E ciò senza tralasciare che l’individuazione della competenza del giudice del lavoro riposa sulla causa petendi e sulla prospettazione che venga data dal ricorrente all’azione, rilevando la tutela del rapporto nella sua effettività più che nella sua formale qualificazione.

2. L’estensione dell’art. 634, comma 2, c.p.c. ai «lavoratori autonomi».
Con la l. n. 81/2017, il legislatore ha altresì apportato modifiche di carattere processuale finalizzate ad agevolare – anche per i lavoratori autonomi – l’attività di recupero giudiziale coattivo del credito attraverso il ricorso al procedimento monitorio, quale strumento alternativo alle lungaggini del processo a cognizione piena ed esauriente.
In tale contesto si inserisce l’art. 15, comma 1, lett. b), della l. n. 81/2017 con il quale, allargando ulteriormente le maglie della deroga contenuta nel 2º comma dell’art. 634 c.p.c. agli artt. 2709 e 2710 c.c., è stata estesa la possibilità di utilizzare le scritture contabili come prova scritta idonea ai fini dell'emissione di un decreto ingiuntivo, oltre che per gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, anche in favore «dei lavoratori autonomi» .
Invero, l’accesso al recupero giudiziale del credito rimasto insoluto attraverso la via più celere e semplificata del procedimento monitorio non rappresenta una novità assoluta in tale settore, rectius in quello delle libere professioni regolamentate.
Gli artt. 633, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c. estendono, infatti, la procedura per ingiunzione anche a tutela dei crediti aventi ad oggetto «onorari e rimborsi spese a favore di avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari e tutti gli ausiliari di giustizia per i quali non siano previste norme specifiche» nonché a favore «di notai e di professionisti appartenenti a categorie per le quali esistano tariffe regolarmente approvate», discorrendosi rispetto alle anzidette categorie di «procedimento monitorio puro» in quanto non fondato su prova scritta (non potendosi definire tale la dichiarazione della parte pro-se).
In relazione a tali crediti, la domanda di ingiunzione deve essere accompagnata ex art. 636 c.p.c. dalla parcella delle spese e prestazioni, sottoscritta dal professionista e corredata dal parere della competente associazione professionale espressione, a sua volta, di una potestà amministrativa riconosciuta per finalità di pubblico interesse.
La disciplina di favore ivi prevista è stata sovente giustificata con il fatto che «questi prestatori sono inseriti nell’ambito di associazioni a rilevanza pubblicistica alle quali spetta il controllo del rispetto delle regole di deontologia professionale da parte dei professionisti» .
Va tuttavia evidenziato che, ancora prima dell’entrata in vigore della l. n. 81/2017, l’operatività delle disposizioni sopra citate è stata oggetto di acceso dibattuto in virtù dell’emanazione del d.l. n. 1/2012, conv. con modif. in l. n. 27/2012, che all’art. 9, comma 5, ha disposto l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico , rimettendo la determinazione del compenso del professionista, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, «a parametri stabiliti con decreto del Ministero vigliante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
In dipendenza di quanto previsto dall’art. 9 e del successivo comma 5 che ha disposto l’abrogazione anche delle disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1, una parte della giurisprudenza ha quindi escluso i professionisti ai quali si applica la riforma parametri dalla possibilità di avvalersi del procedimento monitorio “puro” ex artt. 633, comma 1, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c. potendo questi ultimi ricorrere esclusivamente a quello fondato su prova scritta, secondo la regola generale dell’art. 633, comma 1, n.1 c.p.c. e, quindi, attraverso l'accordo scritto tra il professionista e il cliente.
Di contro, un’altra parte della dottrina ha “ridimensionato” la portata abrogatrice del citato art. 9, reputando l’art. 636 c.p.c. non più operativo esclusivamente in relazione all’art. 633, n. 3 (nella parte in cui allude ai professionisti per i quali esiste una tariffa legalmente approvata) e non anche in relazione ai crediti di cui all’art. 633, n. 2 c.p.c. norma che, secondo i fautori di tale tesi, non contenendo alcun riferimento alle tariffe, non potrebbe ritenersi intaccata dal richiamato art. 9 comma 5 e che, al contrario, consente alla sola categoria degli avvocati di ricorrere al procedimento monitorio “puro” (con contestuale reviviscenza per tale categoria di professionisti intellettuali dell’art. 636 c.p.c.) corredando la parcella con il parere della competente associazione professionale ripristinato, peraltro, per detti professionisti, dall’art. 29, lettera d, della nuova legge professionale n. 247/2012 .

2.1. (Segue): I presupposti soggettivi.
La controversa questione della sopravvivenza o meno degli artt. 633, comma 1, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c. ha riacquistato centralità all’indomani della modifica apportata dal citato art. 15 che, estendendo genericamente il principio di cui all’art. 634, comma 2, c.p.c. a tutti «i lavoratori autonomi», impone evidentemente un coordinamento sia con le norme di taglio “settoriale” già esistenti nello stesso codice di rito a tutela di talune categorie di lavoratori autonomi (art. 636 c.p.c.) sia con l’art. 1, l. n. 81/2017 che, nel definire l’ambito di applicazione, precisa che le disposizioni in essa contenute si applicano «ai rapporti di lavoro di cui al titolo III del libro V del codice civile ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell’art. 2222 c.c.» ricomprendendo, quindi, anche i professionisti intellettuali.
Di primo acchito, l’ampiezza della previsione e l’ambizione universalistica della l. n. 81/2017 potrebbero indurre a concludere in favore dell’applicazione di tale disposizione anche ai professionisti intellettuali ai quali si riferiscono gli artt. 633, comma 1, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c., dando credito al menzionato orientamento fondato sull’abrogazione implicita delle richiamate disposizioni.
Se così fosse, la novella rappresenterebbe la (implicita) risposta del legislatore all’incertezza interpretativa derivata dall’abrogazione delle tariffe professionali tracciando per i professionisti intellettuali una strada alternativa che, ormai preclusa, per taluni, dalla abrogazione implicita degli artt. 633, comma 1, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c., sembrerebbe riaprirsi, seppure attraverso la diversa modalità probatoria prescritta dal novellato art. 634 c.p.c.
Ciò nonostante, la tesi non convince appieno per diverse ragioni. Anzitutto perché l’art. 636 c.p.c., nel richiamare il parere della “competente associazione professionale”, non fa alcuna menzione a tariffe o altri parametri. Se è vero, dunque, che l’art. 636 non rappresenta affatto una «disposizione vigente che per la determinazione del compenso del professionista rinvia alle tariffe» è parimenti indiscusso che l’art. 636 c.p.c. (al pari delle disposizioni speciali che attribuiscono ai consigli dell'ordine delle professioni regolamentate il potere di rilasciare parere sulla liquidazione degli onorari e che non menzionano le tariffe), giammai potrebbe ritenersi abrogato dal sopravvenire della l. n. 27/2012, né formalmente ai sensi del comma 5 dell’art. 9 di detta l., né, sostanzialmente, in via sistematica .
A ben guardare poi tale ultima disposizione ha abrogato il solo riferimento alle tariffe contenuto nelle norme speciali e non anche e per intero le relative disposizioni che, per l’effetto, restano in vigore per quanto dispongono, dovendovi sostituire al termine “tariffe” ivi contenuto quello di “parametro” .
Né tanto meno esistono sufficienti ragioni per ritenere valida tale conclusione esclusivamente per gli avvocati e non anche per gli altri professionisti ai quali si applica la riforma parametri (rectius alle altre professioni regolamentate).
Certo è che per i primi questa impostazione risulta ulteriormente confermata sia dalla riconducibilità del credito dell’avvocato al num. 2) piuttosto che al numero 3) dell’art. 633 c.p.c. che non fa alcun riferimento a qualsivoglia “tariffa” sia, peraltro, dalla l. n. 247/2012 il cui art. 29, lett. d), ha riaffermato, come detto, il potere del consiglio dell’ordine di dare parametri ai propri iscritti .
Allo stesso modo è ragionevole concludersi in relazione alla previsione dell’art. 633 n. 3 c.p.c. nella parte in cui allude ai crediti di «altro esercente una libera professione o arte per la quale esista una tariffa legalmente approvata». Anche in tale caso, si è affermato, che per «tariffa legalmente approvata» deve intendersi qualsiasi parametro oggettivo e normativamente precostituito, inclusi quelli ministeriali fissati dalla l. n. 27/2012 ovvero quelli adottati, in attuazione di quest’ultima, dalle competenti associazioni professionali seppure in parte diversi rispetto alle vecchie “tariffe” ovvero non più identificabili con tale terminologia .
Ove condivise, le suesposte ragioni, unitamente alla non ignorabile esigenza di coordinamento con le disposizioni del codice di rito tutt’ora esistenti e che neppure possono reputarsi implicitamente abrogate dalla l. n. 81/2017, inducono a ritenere che, ad onta della ampiezza della previsione, l’ambito di operatività del novellato art. 634, comma 2, c.p.c. soltanto parzialmente coincida con quello generale indicato nell’art. 1 della citata l. restando fuori dalla categoria dei “lavoratori autonomi” ai quali quest’ultima si applica quella delle professioni intellettuali regolamentate .
Per queste ultime, come da ultimo sancito dalle sez. un. della Suprema Corte di Cassazione , stante la persistenza vigenza dell’art. 633, comma 1, nn. 2) e 3) e della norma speciale di cui all’art. 636 c.p.c. e, prima ancora, della ratio sottesa alle anzidette disposizioni, la strada del c.d. “monitorio puro” resta vincolata al rispetto delle condizioni indicate nelle richiamate norme, dovendo la relativa domanda essere corredata dalla relativa parcella opinata dal proprio consiglio dell'ordine .
E ciò sempre che non sussista accordo scritto tra il professionista e il cliente, potendo in tali casi il professionista accedere alla via monitoria in forza della regola generale di cui all’art. 633, comma 1, c.p.c.
D’altronde, la riprova della non perfetta corrispondenza applicativa tra le due disposizioni (art. 1 l. n. 81/2017, da un lato e novellato art. 634 c.p.c. dall’altro lato) rinviene dall’art. 634 c.p.c. che, seppure esclusivamente in forza del riferimento in esso contenuto alla figura dell’imprenditore (da intendersi quale imprenditore commerciale individuale o collettivo), è norma che, con unanimità di vedute, si applica anche ai piccoli imprenditori individuati nell’art. 2083 c.c. .
E ciò diversamente da quanto disposto dall’art. 1 l. n. 81/2017 che esclude dall’ambito di applicazione delle disposizioni ivi previste i piccoli imprenditori con una clausola alquanto opinabile in quanto incurante di quel percorso di graduale avvicinamento anche di questi ultimi al lavoratore autonomo trattandosi, in entrambe le ipotesi, di figure socio- economiche portatrici di interessi meritevoli di tutela .

2.2. (Segue). I presupposti oggettivi.
Quanto ai presupposti oggettivi, in virtù del disposto di cui all’art. 634, comma 2, c.p.c., anche il lavoratore autonomo, a seconda del regime di contabilità applicato, potrà avvalersi, dunque, degli estratti autentici sia delle scritture contabili prescritte del c.c., purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, sia di quelle prescritte dalle leggi tributarie quando siano tenute con l'osservanza delle norme stabilite per tali scritture.
In caso contrario, le scritture contabili non potranno fungere da valide prove ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, dovendo escludersi che il compimento di dette formalità resti scalfito dalla abrogazione operata dall’art. 8 l. n. 383/2001 dell’obbligo generalizzato della bollatura e vidimazione delle scritture contabili obbligatorie (ora meramente facoltativo salvo espressa previsione di legge) in luogo della sola numerazione progressiva in ogni pagina .
E ciò a fortiori se si tiene conto dell’orientamento che impone il rispetto di tali crismi anche nell’ipotesi in cui si tratti di una scrittura contabile non soggetta obbligatoriamente a bollatura e vidimazione ovvero la cui tenuta è meramente facoltativa .
La precisazione non è superflua specie alla luce della precedente novità apportata dalla dall’art. 1, comma 59, della l. n. 190/2014 che esonera i contribuenti che adottano il c.d. regime forfetario (ma lo stesso dicasi anche per i contribuenti aderenti al regime dei minimi) dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili previsti dal d.P.R. n. 633/1972, fatta eccezione per quelli di numerazione e di conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, di certificazione dei corrispettivi e di conservazione dei relativi documenti.
Sicché, l’agevolazione de qua – sfuggita evidentemente alla considerazione del Job Act degli autonomi – rischia di incidere sulla effettiva portata applicativa della norma in esame, precludendo, di fatto, a dette categorie di avvalersi dei principi in essa statuiti.
Il riferimento contenuto nell’art. 634 c.p.c. agli «estratti autentici delle scritture contabili» consente inoltre di ritenere che, ai fini della ammissibilità della domanda, è sufficiente la mera allegazione dell’estratto autentico notarile con relativa attestazione di conformità all’originale da parte dell’ufficiale fide facente .
Infine, anche per tale categoria di lavoratori, ai fini della domanda monitoria ed in forza della sua riconducibilità alla categoria delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, la fattura può essere utilizzata solamente ove accompagnata dall’estratto autentico delle scritture contabili fiscali in cui essa sia stata debitamente annotata .
È comunque fuori di dubbio che la presunzione legislativa di cui all’art. 634, comma 2, c.p.c. (al pari di quella sancita dall’art. 636 c.p.c.) è limitata anche per i lavoratori autonomi alla sola fase monitoria con l’effetto che, ove proposta, l’opposizione al decreto ingiuntivo introduce un giudizio a cognizione piena ed esauriente nel quale la posizione delle parti, per quel che attiene alla ripartizione degli oneri probatori, resta dunque quella determinata dalla domanda in via monitoria .
Ne consegue che le scritture contabili previste dal comma 2 dell'art. 634 c.p.c., pur essendo idonee ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, nel giudizio di opposizione ex art. 642 e ss. c.p.c. non integrano di per sé la piena prova del credito in esse indicato che, al contrario, deve essere provato nelle forme ordinarie .

3. Conclusioni.
Le novità sin qui analizzate consentono qualche riflessione conclusiva.
Al di là della opinabile tecnica legislativa adoperata , la modifica apportata all’art. 634 c.p.c. è apprezzabile nella misura in cui con essa si è scelto di eliminare quella disparità di trattamento esistente tra la categoria delle libere professioni regolamentate e quella, più generale, dei lavoratori autonomi.
Nel contempo, seppure al netto delle limitazioni soggettive di cui si è dato atto, la novella conferma l’intento della l. n. 81/2017 di riconoscere al c.d. “working poor” le tutele tipiche del lavoro subordinato e di quello imprenditoriale, accostando all’ampliamento e al rafforzamento di garanzie contrattuali e c.d. «welfaristiche» , l’estensione anche di strumenti processuali, alternativi alle lungaggini del processo a cognizione piena ed esauriente, idonei ad agevolare l’attività di recupero giudiziale coattivo del credito rimasto insoluto.
L’ ambizione “generalista” della l. n. 81/2017 deve fare i conti, tuttavia, con art. 409 c.p.c. che, nel menzionare esclusivamente le collaborazioni coordinate e continuative, esclude dalla competenza del Giudice del Lavoro la restante fetta dei “lavoratori autonomi c.d. puri” (artt. 2222 – 2228 c.c.) e dei “liberi-professionisti” (artt. 2229-2238 c.c.) i quali – sempre che si tratti di semplici prestatori d’opera (non continuativa e coordinata) – devono rivolgersi al Giudice Ordinario i cui tempi processuali sono sempre troppo lunghi.
Integrare la norma processuale estendendo la competenza del Giudice del lavoro a tutto il variegatissimo universo del lavoro autonomo significherebbe rafforzare la tutela giudiziaria parificandola a quella dei lavoratori subordinati e para-subordinati, anche nel rispetto dell’art. 35 della Cost. (che prevede che il lavoro debba essere tutelato in tutte le sue forme ed applicazioni), garantendo per l’intera “galassia” del lavoro autonomo una tutela processuale più veloce ed economica dei diritti derivanti dal rapporto lavorativo (sia esso autonomo o subordinato) .
Ciò – come evidenziato in dottrina già prima dell’entrata in vigore della l. 81/2017 - «sarebbe una piccola riforma ma aiuterebbe moltissimo i lavoratori autonomi in difficoltà economica» specie per «le controversie concernenti il mancato pagamento dei compensi del lavoratore con Partita Iva che, sovente, si trova in una situazione di dipendenza economica verso un unico committente».

 

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