Testo integrale con note e bibliografia

1. Brevi considerazioni alla luce della sentenza C. Cost. n. 125/2022. La ragione concorre a costituire il “fatto (già manifesto) posto a base”.
L’art. 3, l. 15 luglio 1966, n. 604 dispone che il giustificato motivo di licenziamento si configura in presenza di “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
È bene da subito circoscrivere il raggio d’indagine: nelle pagine che seguono si intende orientare lo studio su quello che può considerarsi il cuore (o forse meglio, la mente) del giustificato motivo oggettivo, vale a dire, le ragioni oggettive ed esterne al rapporto di lavoro che devono essere definite dal datore di lavoro e poste a fondamento del recesso.
L’occasione è gradita, tuttavia, per provare a svolgere qualche brevissima riflessione in riferimento all’ultima sentenza – la n. 125 - pronunciata dalla Corte Costituzionale il 19 maggio 2022.
Tale pronuncia ha sancito la parziale incostituzionalità dell’art. 18, comma 7, l. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b), l. 12 maggio 2012, n. 92, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’applicazione della tutela reintegratoria attenuata, l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo debba essere “manifesta” .
Che ruolo ha giocato nella tutela reintegratoria la ragione una volta accertata la sua insussistenza e quali ripercussioni determina (se ne determina) la recente sentenza della Corte Costituzionale?
Per rispondere a queste domande, è bene procedere in modo analitico e seguendo un ordine cronologico:
i) ai sensi dell’art. 18 l. n. 300/1970 (si badi bene, nella formulazione antecedente alla sent. C. Cost. n. 125/2022) a fronte di un licenziamento per gmo dichiarato illegittimo sono previste due tipologie di sanzioni; 1) l’indennità piena: quando il giudice accerti l’insussistenza degli elementi che concorrono a formare la fattispecie di gmo e, 2) la reintegrazione attenuata: quando il giudice accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
ii) come su accennato, la sent. C. Cost. n. 125/2022 ha eliminato il “manifesta” dalla tutela reintegratoria.
Ai fini della nostra indagine è bene, tuttavia, soffermarsi su cosa debba intendersi per “fatto posto a base” e cosa in esso deve essere ricompreso.
Non sembrerebbe esservi dubbi rispetto alla possibilità di collocarvi l’elemento essenziale della ragione che configura il presupposto al presentarsi del quale si verifica l’effetto soppressione del posto di lavoro/licenziamento .
Per rispondere alla prima domanda, pertanto, l’apprezzamento da parte del giudice dell’insussistenza della ragione si pone quale presupposto per il verificarsi della tutela reintegratoria.
Per quanto riguarda, invece, il secondo quesito: alla luce della sentenza costituzionale n. 125/2022 può registrarsi un cambiamento sul punto?
Verrebbe da rispondere di no. Le conseguenze circa l’eliminazione del “manifesta” si giocano, semmai, su un altro piano e non sulla definizione del fatto posto a base, dove l’effettività della ragione del giustificato motivo oggettivo di licenziamento continua a rivestire un ruolo essenziale.

2. Le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa: breve ricognizione giurisprudenziale sulle ragioni che giustificano il licenziamento oggettivo
In uno studio che ha ad oggetto le ragioni oggettive legittimanti il licenziamento individuale, non è possibile prescindere dall’interpretazione che di esse, negli anni, è stata offerta.
L’indagine muoverà, pertanto, dalla rassegna di due orientamenti giurisprudenziali, diversi e consecutivi, che si sono susseguiti al pronunciarsi di un’importante sentenza di Cassazione che, immettendosi nella nutrita e densa sequenza di sentenze volte ad identificare quali dovessero essere le ragioni in grado di giustificare la soppressione di un posto di lavoro, ha rappresentato – come è noto - un vero e proprio anno zero .

2.1. Ante Cass., 7 dicembre 2016, n. 25201: le ragioni economiche
Come si legge dal dettato normativo di cui all’art. 3 della l. n. 604 del 1966, le ragioni che concorrono a definire gli estremi della fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono le ragioni “inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Dalla lettura delle sentenze di legittimità ante Cass. n. 25201/2016, affiora sin dalla più risalente produzione giurisprudenziale del giustificato motivo oggettivo, un orientamento consolidato volto a “riempire” la fattispecie del giustificato motivo oggettivo conferendo esclusiva rilevanza alle ragioni di natura economica.
Sebbene, infatti, nella disposizione il legislatore richiami anche le ragioni afferenti l’organizzazione del lavoro, prima del 2016, nelle diverse pronunce , si assiste ad un vero e proprio squilibrio nell’interpretazione della formula.
Era infatti condiviso l’orientamento secondo il quale il licenziamento per motivi oggettivi fosse giustificato esclusivamente qualora il recesso del datore di lavoro si mostrasse necessario al fine di fronteggiare un andamento economico sfavorevole dell’azienda che non fosse solo contingente e che influisse in modo decisivo sulla normale attività produttiva.
Questo elemento configurava un dato che poteva essere oggettivamente riscontrato in giudizio.
In altre parole, la fattispecie del gmo si riteneva perfezionata solo fintantoché si verificasse il presupposto fattuale della “sfavorevole situazione economica” in cui avrebbe dovuto versare l’azienda.
Tale era il requisito di legittimità che doveva essere addotto e provato in giudizio dal datore di lavoro.
In alcune pronunce la ragione economica assume un valore quasi totalizzante, tanto da ritenersi quasi irrilevante indagare – ai fini della verifica della non pretestuosità della ragione addotta dal datore di lavoro – in ordine alla consistenza del risparmio ottenuto a fronte del licenziamento del lavoratore, poiché una volta accertata la necessità di contrarre i costi, ogni forma di risparmio concretamente attuabile si poneva “in diretta connessione con tale necessità” e per ciò solo “oggettivamente giustificata” .
In queste sentenze è possibile annoverare tra le ragioni economiche ritenute idonee alla configurazione della fattispecie del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in concorso con gli altri due fondamentali elementi (come visto, nesso eziologico/obbligo di repechage), 1) il non contingente sfavorevole andamento economico dell’azienda ; 2) la riduzione dei costi di produzione ; 3) la necessità di aumentare gli utili.

2.1. Post Cass., 7 dicembre 2016, n. 25201: le ragioni organizzative
Per meglio comprendere la ratio decidendi degli organi giudicanti relativamente alla giustificazione del motivo oggettivo di licenziamento, è forse utile di seguito riportare anche l’impianto argomentativo che, sino a qualche tempo fa, emergeva nelle decisioni - di merito e di legittimità - e che veniva condiviso e riprodotto piuttosto uniformemente .
Questo punto di partenza non è casuale poiché si intende qui assumere una prospettiva di comparazione tra l’orientamento interpretativo rappresentato nel paragrafo precedente e quello che – come si vedrà di seguito - si è successivamente consolidato .
Al fine di apprezzare il concreto configurarsi dell’elemento della fattispecie del licenziamento per gmo, i giudici dovevano riscontare (e, prima ancora, il datore di lavoro doveva provare in giudizio in modo indefettibile) l’effettiva circostanza di dover fronteggiare condizioni economiche talmente svantaggiose, sì da dover ridurre i costi di produzione attraverso la soppressione di un posto di lavoro.
C’è da dire tuttavia - qualora ci fosse bisogno di precisarlo – che non deve certo pensarsi che le ragioni organizzative abbiano iniziato ad assumere rilevanza solo nelle pronunce giurisprudenziali emesse dopo il 2016.
Effettivamente, non mancano casi in cui il datore di lavoro, al fine di giustificare il recesso dal rapporto di lavoro per motivi oggettivi, adduce, quale ragione giustificativa, il riassetto organizzativo.
Ciò che, infatti, si configura quale vero elemento di cambiamento nell’orientamento giurisprudenziale che riesce poi ad affermarsi in seguito alla sentenza n. 202501 del 2016 è il fatto che solo dopo quella pronuncia le ragioni organizzative assumono una loro autonoma rilevanza e un particolare peso nei licenziamenti individuali per motivi legati ad esigenze aziendali, quindi, per motivi al di fuori del rapporto di lavoro.
Secondo questa diversa ricostruzione interpretativa, infatti, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce più il prius fattuale necessario al provvedimento di licenziamento , ritenendo integrate le ragioni di cui alla seconda parte dell’art. 3 l. n. 604/1966 anche la sola esigenza imprenditoriale di migliorare l’efficienza della gestione della produzione attraverso scelte atte ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa.
In sintesi, per poter accertare la ragione posta a base del motivo oggettivo di licenziamento, da un lato, da un punto di vista probatorio il datore di lavoro non era più chiamato a provare necessariamente l’esistenza di una crisi e, dall’altro, le ragioni organizzative venivano da essa disancorate assumendo una loro autonoma e incidente rilevanza .
Passando in rassegna le pronunce giurisprudenziali, è interessante scandagliare il contenuto che, negli anni, è stato dato al contenitore delle “ragioni inerenti all’organizzazione del lavoro”.
Nei diversi casi di specie, tra le ragioni organizzative addotte dai datori di lavoro e accertate dai giudici si riscontra, a titolo esemplificativo, i) la riorganizzazione delle competenze dei singoli dipartimenti ; ii) la redistribuzione delle competenze del lavoratore licenziato ; iii) la riorganizzazione aziendale dovuta all’ obbligo di osservanza di alcune disposizioni regionali ; iv) la necessità di ridurre la catena di comando ; v) l’esternalizzazione di un posto di lavoro .
Sia consentito comunque ricordare, tuttavia, che nell’area di apprezzamento del giudice rientra anche il controllo circa l’effettività di tali ragioni e, non da meno, la verifica che il licenziamento si pone in termini di causalità rispetto all’operato riassetto organizzativo (ad es. che il lavoratore licenziato era effettivamente adibito a svolgere le mansioni e i compiti che coincidono con il servizio che è stato esternalizzato con un appalto o con un contratto di lavoro autonomo).
Ora, riprendendo le fila dei diversi metodi esegetici assunti dalla giurisprudenza, è utile riportare anche il percorso argomentativo seguito dalla Suprema Corte nella pronuncia antesignana del 2016.
I giudici di legittimità, infatti, muovono dal metodo di interpretazione letterale della norma e da ciò escludono la necessità di dover riscontrare, ai fini del perfezionamento della causale di licenziamento per gmo –il presupposto della crisi o della sfavorevole situazione economica, avanzando la semplice ma incrollabile argomentazione che non si possa discrezionalmente scegliere di dare attuazione ad una norma solo parzialmente .

3. Soppressione del posto di lavoro in conseguenza del verificarsi di una ragione organizzativa: in quali forme può realizzarsi?

Nelle pagine precedenti, attraverso il breve esame di alcune tra quelle pronunce di legittimità che riportavano il revirement della Suprema Corte in ordine all’interpretazione delle ragioni che determinano il recesso del datore di lavoro, si è cercato di fotografare le diverse declinazioni in cui la ragione organizzativa di cui all’art. 3 l. n. 604/1966 si è effettivamente compiuta.
Quest’indagine, appare funzionale e propedeutica all’analisi che, di seguito, si tenterà di sviluppare.
Fermo restando, perciò, quanto emerso nei paragrafi addietro, viene da chiedersi, in concreto, qual è la ragione rilevante ai fini del recesso per gmo?
Per quanto scontata, la risposta è: la ragione che conduce all’esigenza di sopprimere un posto di lavoro .
La soppressione della posizione ricoperta dal dipendente, tuttavia, se da un lato, coincide sempre con il licenziamento di quest’ultimo, dall’altro, può non coincidere con il venir meno dell’attività che egli svolgeva ricoprendo quella posizione . Non sembra esservi nessun rapporto di simultaneità tra i due elementi.
Questo perché, come visto, la ragione organizzativa sul piano fattuale può manifestarsi sotto varie e diverse forme, tutte comunque idonee a giustificare (sempre se verificati gli altri due elementi di cui alla fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo) il recesso del datore di lavoro.
Il mutamento dell’assetto organizzativo, necessario ad una migliore efficienza nella gestione dell’esercizio d’impresa addotto dal datore di lavoro quale motivo di licenziamento (tale da integrare la ragione di cui all’art. 3 della l. n. 604/1966), infatti, non esclude la sopravvivenza nell’organigramma aziendale dell’attività concretamente svolta dal lavoratore licenziato. Ciò avviene, ad esempio quando l’attività del lavoratore licenziato viene ridistribuita tra i lavoratori rimasti alle dipendenze del datore di lavoro , ovvero, come su accennato, in caso di assegnazione delle svolgimento dell’attività ad esterni, attraverso la sottoscrizione di un contratto di appalto o di lavoro autonomo.

3.1. Sostituzione del lavoratore senza soppressione del posto di lavoro: una fattispecie che rientra nel giustificato motivo oggettivo di licenziamento?
Ora, si pensi invece al caso – diverso rispetto a quello appena rappresentato – in cui, a fronte di una scelta operata dal datore di lavoro, non si verifichi la soppressione della posizione lavorativa e, tuttavia, si realizzi la sostituzione del lavoratore licenziato con un nuovo lavoratore.
Trattasi, vale a dire, di quella fattispecie che potrebbe metaforicamente essere assimilata ad una staffetta, intendendosi, con ciò, un mero avvicendamento di dipendenti rispetto ad una stessa posizione lavorativa.
Il discrimine tra i due casi di specie consiste nel fatto che, nel secondo, in via astratta, non sembrerebbe potersi ritenere si registri un diverso assetto dell’organizzazione tecnico-produttiva.
Non vi è mutazione del posto di lavoro (ad es. qualora l’attività venisse affidata ad un lavoratore sotto o sopra inquadrato rispetto al lavoratore licenziato). Non vi è soppressione del posto di lavoro.
Eppure, si può effettivamente escludere con certezza che tale fattispecie integri una ragione organizzativa idonea a giustificare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo?
L’orientamento giurisprudenziale consolidato risponde in senso affermativo .
In dottrina, al contrario, si individuano diverse posizioni e difetta un’uniformità sul punto .
Leggendo le sentenze in materia si può intravedere un denominatore comune: si esclude la collocabilità della fattispecie di mera sostituzione del lavoratore sulla base del fatto che 1) è vietato il perseguimento del profitto (o il contenimento delle perdite) mediante l’abbattimento del costo del lavoro realizzato con il licenziamento di un dipendente e che, 2) tale circostanza (il sopravvivere della posizione del lavoratore, anche a seguito del licenziamento) smentisce il verificarsi di un effettivo mutamento dell’organizzazione tecnico-produttiva.
Quanto appena riportato sollecita a compiere qualche riflessione e, sul punto, si potrebbero forse compiere almeno tre osservazioni atte a dimostrare che, sebbene l’orientamento giurisprudenziale risulti piuttosto consolidato, tuttavia, alcune questioni sembrano restare aperte.
Innanzitutto, queste pronunce partono dall’assunto che la sostituzione del lavoratore abbia come effetto “l’abbattimento del costo di lavoro” . Si pensi ad es. al caso in cui il datore di lavoro licenzi una risorsa senior per sostituirla con, ad esempio, un apprendista e godere in questo modo anche dello sgravio contributivo previsto.
Viene, però, da chiedersi: qualora il datore di lavoro volesse invece sostituire il dipendente con un lavoratore di grande esperienza, in possesso di particolari hard skills e titolare di una formazione qualificata, tale da comportare, al contrario, un incremento dei costi a fronte delle particolari competenze della nuova risorsa, si giungerebbe allo stesso epilogo? Si escluderebbe lo stesso una trasformazione dell’organizzazione del lavoro e, quindi, la sussistenza di una ragione organizzativa, quando l’avvicendamento avvenga a scapito del sostituito sprovvisto dell’esperienza e della professionalità del sostituto?
Di più. Un’altra argomentazione di cui tale orientamento non sembra aver tenuto conto e che, forse, racchiude in sé il rischio di colpire la ragionevolezza della ricostruzione giurisprudenziale – da quanto consta - uniformemente condivisa, è il fatto che se, da un lato, si respinge con forza il riconoscimento di legittimità del licenziamento di un dipendente avvenuto per sostituzione, dall’altro, tale interpretazione sembrerebbe porsi in antitesi con un altro orientamento, talmente consolidato, da rappresentare un caso di scuola.
Ci si riferisce al fatto di considerare legittimo quel licenziamento per giustificato motivo oggettivo avvenuto a fronte dell’acquisizione da parte dell’azienda di un macchinario o l’installazione di uno strumento tecnologico (si pensi ai sistemi informatici o algoritmici) perché idonei ad incrementare la produzione.
Dopodiché, anche ponendosi dal punto di vista della giurisprudenza e, quindi, accogliendo la tesi che la sostituzione del lavoratore non possa avvenire “per il perseguimento del profitto”, secondo quale principio, invece, il datore di lavoro che decide di sostituire la macchina al lavoratore può legittimamente perseguire tale finalità e procedere con il licenziamento per gmo ?
Ora, lungi dal voler anche solo provare a rispondere ai molti quesiti che sono stati posti nel presente contributo, si intende cercare di offrire qualche spunto di riflessione in ordine all’effettiva impossibilità di includere la fattispecie in esame nello schema delle ragioni organizzative.
Stante quanto dedotto nei paragrafi addietro può dirsi che la ragione organizzativa sussiste per ciò solo e non in quanto funzionale alla ragione economica.
Ciò significa, si è detto, che l’imprenditore può addure quale motivo di licenziamento, la mera necessità di realizzare una riorganizzazione, anche al solo fine di massimizzare i profitti, purché esso non risulti pretestuoso (effettiva sussistenza della ragione; nesso di causalità tra ragione e soppressione del posto di lavoro). Ad oggi sono molte le professioni che, in questa fase di transizione occupazionale , si impongono nel mercato del lavoro quali risorse fondamentali.
Si pensi a tutte quelle competenze riconosciute come indispensabili e particolarmente richieste soprattutto nell’ambito dei settori industriali destinati ai consumer (B2c) . Il richiamo è, ad esempio, a quelle professioni specializzate nella conoscenza di particolari sistemi e software attraverso i quali raccogliere, gestire ed interpretare i dati di consumo, in seguito alla profilazione del cliente, al fine di orientare le scelte aziendali (customer data managment).
Per un certo tipo di aziende, assumere questo genere di risorse nell’organigramma aziendale è strettamente funzionale alla massimizzazione del profitto e ad una migliore performance nel mercato che, in via astratta, sarebbe negata a quell’imprenditore che - non avendo magari le capacità economiche di assumere nuove e ulteriori risorse - si vedrebbe obbligato a mantenere, tuttavia, quelle prive di certe competenze.
Il caso ora riportato aiuta forse a comprendere che, talvolta, anche se in presenza di un licenziamento del lavoratore non si verifichi la soppressione del posto di lavoro, può comunque ritenersi sussistente la ragione “inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Il “tallone di Achille” di questa ricostruzione e, dunque, ciò che si potrebbe eccepire, è che la legittimità di questa fattispecie di licenziamento, sebbene possa anche non essere messa in crisi dall’effettiva configurazione della ragione giustificativa, potrebbe vacillare dinanzi all’obbligo di repechage. Questo elemento forse costituisce, nel caso di specie, il vero ostacolo alla scelta imprenditoriale.
Risulterebbe difficile per il datore di lavoro, infatti, provare l’impossibilità di ricollocare la risorsa nell’azienda.

 

 

 

 

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