Testo integrale con note e bibliografia

Edoardo Ghera nel suo intervento che ha dato l’avvio al dibattito sulle relazioni di Varesi e Pellacani, con i quali mi complimento per il grosso lavoro svolto, ha concluso auspicando che il sindacato si riappropri della propria identità e del proprio ruolo. L’auspicio del Maestro è in perfetta sintonia con la celebrazione dei cinquant’anni di vita dello Statuto dei Lavoratori (realizzata con un anno di ritardo per la pandemia), ma lo è meno con quanto il sindacato è stato in grado di fare in questo mezzo secolo. La perdita di rappresentatività nei settori fortemente sindacalizzati, con l’emersione di soggetti sindacali “da ultima spiaggia” (Cobas – USB), in una con la scarsa o ritardata presenza nei settori di ultima generazione, figli dei concorrenti fenomeni della globalizzazione, della digitalizzazione, della polverizzazione e smaterializzazione della stessa controparte datoriale, sono non contestabile prova della perdita d’identità e di ruolo da parte del sindacato, a voler usare le espressioni del Maestro.
Il dibattito che è seguito alle due ampie relazioni ha riguardato prevalentemente la materia contrattuale, evidenziandone le caratteristiche ma soprattutto le criticità rinvenienti dai criteri selettivi, profilo sul quale non dirò nulla per evitare inutili ripetizioni.
Piuttosto voglio spendere qualche parola su un profilo che mi sembra essere rimasto in ombra e che sintetizzo nell’interrogativo di quale ruolo intende (ma è anche capace di) giocare il sindacato nei fenomeni di transizione occupazionale, ai quali dense riflessioni ha dedicato Michele Tiraboschi.
Qualche giorno fa abbiamo concluso una serie di incontri ideati da quest’ultimo, ai quali ha partecipato anche l’attuale presidente di sessione, Lorenzo Zoppoli, sui mercati transizionali, chiamando la giovane dottrina giuslavoristica a riflettere sul passaggio da una flexicurity coniugata all’interno del rapporto di lavoro ad una flexicurity situata ed attuata al di fuori di esso. Detto in termini più espliciti abbiamo verificato se sia arrivato il momento di avviare politiche di sostegno ai/alle lavoratori/lavoratrici nel passaggio da un impiego all’altro, che non si riducano ai consueti sostegni al reddito (che hanno fortemente caratterizzato il periodo di pandemia con la pioggia di “ristori”) o alle inefficaci ed ineffettive misure di politica attiva del lavoro come sin’ora concepite ed applicate, ma si sostanzino in misure che ne accrescano la professionalità e l’occupabilità, consentendo al lavoratore di ricollocarsi bene ed in tempi rapidi.
Qualche timido segnale che stiamo andando in questa direzione si può cogliere da alcune norme contenute nella normativa emergenziale.
Le richiamo molto brevemente per fornire al mio dire una base normativa di riferimento.
In primo luogo, va segnalato il “Fondo nuove competenze” istituito presso ANPAL dall’art. 88, comma 1, d.l. n. 34/2020. I criteri e le modalità di applicazione della misura e di utilizzo delle risorse sono stati adottati, giusta la previsione del terzo comma, con il D.I. Lavoro-Mef 9/10/2020, integrato col successivo D.I. 22/1/2021.
*Testo dell’intervento svolto alle Giornate di studio AIDLASS, “Libertà e attività sindacale dopo i cinquant’anni dello Statuto dei Lavoratori”, Lucca, 5-6 maggio 2021, destinato agli atti di prossima pubblicazione.
Per favorire la ripresa nel biennio, che volge ormai al termine, 2020 – 2021 il “Fondo Nuove Competenze” (in sintesi FNC) si prefigge di innalzare il livello professionale del capitale umano, da un lato offrendo ai lavoratori l’opportunità di acquisire nuove o maggiori competenze e di dotarsi delle conoscenze necessarie per adattarsi alle nuove condizioni del mercato del lavoro; dall’altro lato sostenendo le imprese nel processo di adeguamento ai nuovi modelli organizzativi e produttivi, esploso con l’emergenza epidemiologica da COVID-19.

I datori di lavoro possono realizzare specifiche intese (accordi aziendali o territoriali), concordando la rimodulazione dell'orario di lavoro per mutate esigenze organizzative e produttive dell'impresa ovvero per favorire percorsi di ricollocazione dei lavoratori, con le quali parte dell'orario di lavoro viene finalizzato alla realizzazione di appositi percorsi di sviluppo delle competenze del lavoratore. Per favorire tali processi gli oneri relativi alle ore di formazione (retribuzione e contributi) vanno a carico del FNC, con la possibile partecipazione finanziaria di Regioni, PATB, PON, FSE, Fondi paritetici interprofessionali, Formatemp.

Un secondo intervento a sostegno delle transizioni occupazionali è previsto dall’art. 1, comma 324, l. n. 178/2020 con la “Garanzia occupabilità lavoratori” (in sintesi G.O.L.). Questa nuova misura in prospettiva (una volta entrata a regime) è destinata a sostituire l’assegno di ricollocazione, introdotto con l’art. 17, d.lgs. n. 22/2015, poi sostituito dall’art 23, d.lgs. n. 150/2020, al quale la stessa legge n. 178/2020 dedica alcune norme (infra).
Innanzitutto viene costituito l’ennesimo fondo per l’attuazione delle politiche attive del lavoro, rientranti nel programma REACT-UE (Fondo REACT-UE). Per l’anno 2021 viene quindi istituito un programma denominato “Garanzia Occupabilità Lavoratori” (G.O.L.) che prevede l’erogazione di servizi specifici di politiche attive del lavoro nell’ambito del Patto di Servizio Personalizzato (PSP), nei quali far confluire in prospettiva le misure di assistenza intensiva previste dall’Assegno di ricollocazione. Ad un emanando decreto ministeriale è affidata la definizione: delle prestazioni per tipologia di beneficiari; delle procedure per assicurare il rispetto del limite di spesa; delle caratteristiche dell’assistenza intensiva nella ricerca del lavoro; dei tempi e modalità di erogazione da parte della Rete; dei livelli di qualità della riqualificazione delle competenze; della compatibilità delle misure con il programma REACT-UE.
Abortito il tentativo di dirottare tutte le risorse previste per l’Assegno di ricollocazione verso i percettori di Reddito di cittadinanza, l’art. 1, commi 325-328, l. n. 178/2020 torna ad occuparsi dell’istituto, la cui disciplina era contenuta in tre diverse disposizioni a seconda dei beneficiari: l’art. 23, d.lgs. n. 150/2015 per i percettori di NASPI; l’art. 24-bis, d.lgs. n. 148/2015 per i cassaintegrati (previo accordo); l’art. 9, comma 7, d.l. n. 4/2019 per i percettori di Reddito di cittadinanza, con sospensione della misura per le prime due categorie.

La l. n. 178/2020 ripropone lo strumento, abrogando l’art. 9, comma 7, d.l. n. 4/2019, che lo aveva riservato fino a dicembre 2021 ai soli percettori del Reddito di cittadinanza. Si tratta di una disciplina “ponte” in attesa dell’avvio del G.O.L, a valere per il 2021. È prevista l’adozione di una delibera ANPAL per definire tempi e modalità operative di erogazione; ammontare dell’assegno di ricollocazione; procedure per il rispetto dei limiti di spesa. È puntualizzato l’obiettivo dell’AdR, che è “il bilancio di competenze/l’analisi di eventuali bisogni formativi/il piano di riqualificazione necessario per colmare il proprio fabbisogno formativo”. A livello finanziario, l’accesso all’A.d.R. per il 2021 è subordinato al finanziamento nell’ambito del programma REACT-EU previa approvazione da parte delle autorità europee.

Un ultimo riferimento può farsi al contratto di espansione introdotto in sostituzione del contratto di solidarietà espansivo, con la integrale novellazione dell’art. 41 Dlgs. 148/2015.
Orbene v’è da chiedersi quale ruolo può e deve giocare il sindacato in questa nuova stagione e se è pronto, a livello organizzativo e di risorse umane, per questo importante appuntamento. La soggettivizzazione è inevitabile. Marco Bentivogli, citato da Lorenzo Zoppoli nel suo intervento, accreditato dall’opinione pubblica come erede dei “giganti” del sindacato confederale, è stato defenestrato dalla CISL (l’ho appreso seguendo Report nel servizio dedicato ai “vertici” della CISL): troppo alto di statura in un pianeta di nani! Maurizio Landini accusa i vertici di Confindustria di “insolazione” per aver chiaramente detto che chi non si vaccina va a casa senza stipendio, pretendendo che i no-vax siano rispettati e tutelati tenendoli precauzionalmente a casa (durante le ore di lavoro) a stipendio pieno (e magari anche con i buoni pasto), per poter poi sciamare per strada per festeggiare la conquista degli europei di calcio! Insomma se il ruolo del sindacato si impersonifica in chi lo rappresenta e agisce in nome e suo conto non c’è di che stare allegri.
E allora – e concludo – forse è arrivato il momento di discutere anche di capacità rappresentativa che non è solo quella testimoniata dalla sottoscrizione dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva [art. 19, lett. b), Statuto dei Lavoratori], bensì anche e soprattutto quella connessa alle iniziative partecipative che il sindacato mette in campo (potremmo definirla “terza missione” mutuandola dalla nostra esperienza accademica), specie in tema di mercati transizionali.
Un sindacato che non sia capace di giocare un ruolo di primo piano nelle politiche di transizione non ha titolo ad esercitare le prerogative che la legge gli accorda a piene mani nella gestione della flessibilità e delle eccedenze.
A cinquant’anni dall’emanazione dello Statuto dei lavoratori s’impone, pertanto, una ridefinizione della nozione di sindacato rappresentativo, che non è più affidabile al mero dato numerico (degli iscritti e dei contratti stipulati), ma che deve tener conto della capacità dello stesso di gestire i nuovi bisogni collegati alle transizioni occupazionali: un sindacato incapace sotto questo punto di vista non può essere considerato rappresentativo degli interessi dei lavoratori, al più rappresentando l’apparato che lo compone, come Report dimostra!

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