Testo integrale con note e bibliografia

La legge 7 aprile 2022, n. 32 contiene deleghe al Governo “per l'adozione, il riordino e il potenziamento di disposizioni volte a sostenere la genitorialità e la funzione sociale ed educativa delle famiglie, per contrastare la denatalità, per valorizzare la crescita armoniosa e inclusiva dei bambini e dei giovani, per sostenere l'indipendenza e l'autonomia finanziaria dei giovani nonché per favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro di entrambi i genitori e per sostenere, in particolare, il lavoro femminile”.
Dai principi e criteri direttivi indicati si ricava, per quanto d’interesse relativamente agli aspetti lavoristici, che: le finalità perseguite sono favorire l’occupazione femminile e incentivare il lavoro del secondo percettore di reddito; gli strumenti individuati sono la promozione della genitorialità e della parità tra i sessi all'interno dei nuclei familiari, l’armonizzazione dei tempi familiari e di lavoro e l’equa condivisione dei carichi di cura tra i genitori, la previsione di strumenti fiscali che favoriscano il rientro delle donne nel mercato del lavoro in particolare dopo la maternità (pur sempre nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di Stato).
Si segnala la singolarità di una delega consegnata mentre è in fase avanzata di discussione lo Schema di decreto legislativo, che attua la Direttiva 2019/1158/UE “Equilibrio fra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza” e che contiene diverse previsioni che si sovrappongono a quelle oggetto dalla delega in esame.
L’art. 3 contiene la delega al Governo ad adottare “entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro per le pari opportunità e la famiglia e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro per la pubblica amministrazione e con l’Autorità Politica delegata per gli affari europei, uno o più decreti legislativi per l’estensione, il riordino e l’armonizzazione della disciplina relativa ai congedi parentali, di paternità e di maternità”.
Si precisa immediatamente dopo che l’opera di estensione, riordino e armonizzazione non deve toccare quanto previsto a favore dei lavoratori e delle lavoratrici, genitori di figli o figlie affetti da disabilità, “dall’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e dall’articolo 42 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, fatte salve disposizioni di maggior favore”. Quest’ultima precisazione lascerebbe intendere che rispetto alla restante disciplina, invece, sarebbero possibili interventi di segno peggiorativo.
Anche le indicazioni relative alla revisione delle misure a sostegno della genitorialità, benchè puntuali, presentano alcuni aspetti critici.
Non destano particolari problemi: la previsione dell’innalzamento fino ai quattordici anni di età dei figli dell’arco temporale entro il quale fruire dei congedi parentali; la previsione dell’introduzione di permessi retribuiti per partecipare ai colloqui scolastici o a iniziative scolastiche; la previsione di permessi per coniuge, convivente o parente entro il secondo grado per assistere la donna in stato di gravidanza durante le visite specialistiche essenziali.
Critica, invece, è l’indicazione in base alla quale l’introduzione di modalità flessibili di fruizione dei congedi parentali deve essere “compatibile” con le forme di utilizzo flessibile dei congedi previste dai “contratti collettivi di lavoro applicati al settore, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente rappresentative sul piano nazionale”; non è chiaro come una norma generale e astratta possa essere compatibile con tutte le eventuali previsioni contenute negli innumerevoli contratti collettivi.
Imprecisa, con il rischio di vedere vanificata l’intera previsione, è l’indicazione relativa alla non trasferibilità di due mesi di congedo parentale, non essendo precisato che si deve trattare di due mesi di congedo indennizzato.
Altrettanto imprecisa l’indicazione di estendere la disciplina dei congedi parentali (ma anche del congedo di paternità) ai lavoratori autonomi e liberi professionisti, dal momento che già sono destinatari di diverse misure e dunque sarebbe stato necessario precisare gli interventi attesi.
La legge delega interviene, non senza criticità, sui congedi di maternità e di paternità.
Relativamente al primo chiede che sia “favorito” l’aumento dell’indennità che oggi è dell’80%. Non è chiaro cosa significhi “favorire l’aumento”. Si deve fare o no? Se sì, in che misura? A carico di chi è il costo, se si considerano i limiti di spesa previsti dall’art. 8?
Con riguardo al sedicente “congedo obbligatorio di paternità” (sedicente perché, come ho già avuto occasione di dire, per il datore di lavoro è obbligatorio concederlo al lavoratore che lo richieda, ma non è obbligatorio per il lavoratore richiederlo, in nulla differenziandosi così dal congedo parentale) si chiede che la sua durata sia “significativamente superiore rispetto a quella prevista a legislazione vigente”, cioè, oggi, dieci giorni. In proposito si segnala che il parametro del “significativamente superiore” è un parametro non quantificabile, il cui contenuto sarà determinato, anziché – come dovrebbe – dalla volontà politica del legislatore delegante, dalle risorse che il legislatore delegato deciderà di mettere a disposizione per finanziarlo.
Appare superflua la previsione secondo la quale il congedo di paternità spetta “a prescindere dallo stato civile o di famiglia del padre lavoratore”: il titolare del congedo è il padre e il padre è padre a prescindere dal legame con la madre.
Mal formulata la previsione relativa al preavviso per l’esercizio del diritto al congedo, che avrebbe potuto più semplicemente disporre la competenza della contrattazione collettiva a fissare il relativo termine.
Attesissima, invece, l’estensione del congedo “obbligatorio” di paternità ai padri lavoratori pubblici rimasti in questi dieci anni irragionevolmente esclusi dalla misura.
L’art. 4 contiene la delega al governo ad intervenire per incentivare il lavoro femminile, la condivisione della cura e l’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro.
Si prevede in particolare che siano adottati uno o più decreti per il riordino e il rafforzamento delle misure volte a incentivare il lavoro femminile e la condivisione della cura e per l’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro”. Saranno oggetto di riordino e rafforzamento anche gli istituti toccati dal decreto legislativo in corso di approvazione testé ricordato, rispetto al quale ci si potrebbe aspettare prima dell’approvazione definitiva una revisione alla luce dei principi espressi nella delega, al fine di evitare discordanze.
Si segnala qualche criticità nei rinvii operati dall’art. 4 alla contrattazione collettiva. In particolare, si prevede che siano disposti degli incentivi per i datori di lavoro che applicano clausole di contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano modalità di impiego flessibile per facilitare la conciliazione vita lavoro. Ma delle due l’una: o il datore di lavoro applica un contratto collettivo e allora sarà obbligato ad applicarlo nella sua interezza e l’incentivo è superfluo, o il datore di lavoro non applica il contratto collettivo e allora difficilmente deciderà di applicare una clausola contenuta in un contratto collettivo (ma poi quale? potrebbe scegliere quello che più lo aggrada?) con il rischio di vedersi richiesta l’applicazione integrale del relativo contratto (art. 4 co. 1 lett. b).
Sono svariate, infine, le misure previste per sostenere direttamente o indirettamente le lavoratrici madri e ridurre il rischio di abbandono dopo la nascita dei figli. Si segnalano in particolare: agevolazioni per coloro che ricorrano a prestazioni di lavoro accessorio a supporto della famiglia in ambito domestico e di cura e assistenza alla persona; sostegno alle imprese nella gestione delle assenze per maternità, per favorire il rientro al lavoro e la riqualificazione delle lavoratrici madri; sostegno all’imprenditoria femminile; rilancio degli incentivi alla contrattazione di secondo livello che contenga misure di conciliazione vita lavoro; incentivi al lavoro femminile nel mezzogiorno; incentivi all’emersione del lavoro domestico sommerso.
Tutto ovviamente condizionato alla disponibilità finanziaria e dunque pericolosamente in bilico.
Si segnala, infine, una delega importante contenuta nell’art. 6. Ivi si impegna il Governo ad adottare misure volte a “favorire la conoscenza sui diritti e sui doveri dei genitori, nonché su quelli inerenti alla vita familiare”. Potrebbe essere una buona occasione per cominciare a educare le nuove generazioni alla condivisione delle responsabilità parentali, e di cura in generale, e far sì che la conciliazione vita-lavoro cessi di essere un problema delle donne, per diventare un’opportunità per tutti, uomini e donne.

 

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