TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

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Estratto del PNRR

L'espressione recovery fund significa letteralmente fondi di recupero. Il Recovery Fund, detto anche Next Generation EU, è un nuovo strumento europeo per la ripresa, ritenuto "necessario e urgente" per far fronte alla crisi provocata dalla pandemia da Covid-19, approvato dal Consiglio Europeo straordinario del 21 luglio 2020.
Si tratta di 750 miliardi, reperiti grazie all’emissione di debito garantito dall’UE, che li ha posti a disposizione per rilanciare le economie dei Paesi membri, suddivisi in:
 390 miliardi di sovvenzioni
 360 miliardi di prestiti
La “quota” italiana è di 191.5 miliardi, ripartiti in 68,9 miliardi in sovvenzioni a fondo perduto e 122,6 miliardi in prestiti.
I Governi sono tenuti ad inviare alla Commissione europea i “Piani di Ripresa e di Resilienza” (RRF) entro fine aprile 2021, da redigere sulla base delle Linee Guida dettate dalla stessa Commissione Europea. Gli interventi devono concentrarsi su:
 digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (il 20% degli investimenti è per finanziare la transizione digitale e il 5G);
 rivoluzione verde e transizione ecologica (non meno del 37% della spesa);
 infrastrutture per una mobilità sostenibile;
 istruzione e ricerca;
 salute;
 inclusione e coesione.
Next Generation UE si pone a contrasto di ogni diseguaglianza, anche di genere, ma il rischio è che a beneficiare dei fondi siano soprattutto settori a prevalente presenza maschile (tali sono di fatto il digitale, così come le grandi opere, l’edilizia, l’agricoltura e i trasporti), benché la pandemia abbia avuto effetti devastanti soprattutto sull’occupazione femminile: in Italia a dicembre 2020 ci sono stati 101mila occupati in meno rispetto al mese precedente, di cui 99mila donne, e l’anno 2020 ha chiuso con una perdita di 444mila posti di lavoro, di cui 312mila di donne e 132mila di uomini .
All’interno degli obiettivi di inclusione può esservi peraltro grande spazio per superare il gender gap e incentivare l’occupazione femminile nel lavoro dipendente così come autonomo, soprattutto favorendo la conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa, con effetti benefici per la società tutta e la produttività. E’ dimostrato, infatti, che l’armonizzazione vita-lavoro e la flessibilità dei tempi di lavoro favoriscono l’equilibrio e la soddisfazione delle persone, le motivano e le fidelizzano, abbattono lo stress, a vantaggio della produttività.
Ad oggi in Italia la strada da fare è ancora tanta, basti pensare che recenti statistiche attestano che 3 donne su 10 in età da lavoro, 5 su 10 al Sud, non sono titolari di conto corrente e dipendono dal partner o altri familiari per la gestione economica; il che determina riduzione della libertà e dell’autonomia della persona e può favorire episodi di violenza domestica, di cui le donne sono ancora troppo spesso vittime. Inoltre, per le donne che lavorano la disparità retributiva rispetto agli uomini a parità di mansioni, soprattutto in posizioni apicali, è tuttora elevata. Dalle ultime rilevazioni (terzo trimestre 2019) il gender pay gap tra uomini e donne è di circa il 10% a favore degli uomini, il che genera conseguenze che vanno oltre la vita lavorativa: le donne, certifica l'Istat, rappresentano il 52,2% dei pensionati, ma ricevono il 44,1% della spesa complessiva.
In Italia sinora si è poco legiferato e deciso in favore delle donne, forse perché è sempre stata minoritaria la loro rappresentanza nelle istituzioni e nei centri di potere e decisionali: in 75 anni di storia della Repubblica le donne al Governo sono state il 6,5% , e lo stesso può dirsi per il settore privato. Il “sistema” - sociale, culturale e lavorativo - è organizzato perciò secondo modelli prettamente maschili, benché le donne siano portatrici di valori quali il senso di giustizia, l’inclusione, la responsabilità sociale, la cura degli altri, ed abbiano in sé la grande capacità di occuparsi di più cose e impegnarsi in più ruoli contemporaneamente con efficacia e flessibilità. Si tratta di valorizzare queste doti e declinarle concretamente in modo che le donne possa realizzarle anche nel contesto sociale e lavorativo, come già fanno in famiglia.
Il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) italiano, presentato dal Governo Draghi, contiene, in coerenza con la Strategia europea, una Strategia Nazionale per la parità di genere 2021-2026, contemplante cinque priorità̀ (lavoro, reddito, competenze, tempo, potere), e punta, tra l’altro, alla risalita di cinque punti entro il 2026 nella classifica del Gender Equality Index dello European Institute for Gender Equality (attualmente l’Italia è al 14° posto, con un punteggio di 63,5 punti su 100, inferiore di 4,4 punti alla media UE).
Il Piano ha perciò ha il merito di riconoscere e attestare espressamente che “la parità di genere”, unitamente alla “protezione e valorizzazione dei giovani e il superamento dei divari territoriali”, costituisce una priorità nella “Missione 5 ”: Coesione e Inclusione”; e che la promozione dell’empowerment femminile e il “contrasto alla discriminazione di genere” sono obiettivi che intersecano trasversalmente pressoché tutte le Missioni del Piano. Ciò nella consapevolezza che la crescita occupazionale e sociale delle donne passa necessariamente attraverso l’adozione di infrastrutture di sostegno all’organizzazione di vita e di presa in carico dei compiti di cura che gravano soprattutto su di loro: innalzamento del tasso di presa in carico degli asili (nel 2018 appena al 14,1%); potenziamento dei servizi educativi dell’infanzia (3-6 anni); estensione del tempo pieno a scuola; sostegno agli anziani e ai disabili non autosufficienti, cure domiciliari. Da qui si deve necessariamente partire per porre le donne in parità di condizioni e competitività con gli uomini, e per metterle in grado di non dovere più scegliere, come oggi molto spesso avviene, tra famiglia e carriera, a ben vedere nell’interesse comune: infatti, l’attuale organizzazione socio-economica, peggiorata con l’avvento della pandemia da Covid-19, ha portato l’Italia ad essere uno dei Paesi europei con la più bassa fecondità (1,29 figli per donna contro l’1,56 della media UE), con il 23% di popolazione oltre i 65 anni, destinato ad aumentare nei prossimi anni, e con una proiezione al 2030 di circa 5 milioni di anziani non autosufficienti. E’ evidente che tale situazione può portare al collasso, anche del sistema previdenziale, e le donne giocano in tutto ciò un ruolo fondamentale.
Posto come base imprescindibile il welfare con i predetti servizi di supporto, il Piano prevede altresì altre importanti linee di azione, tra cui la formazione e il miglioramento delle competenze, in particolare quelle digitali, tecniche e scientifiche; anche considerato che risultano essere ancora troppo poche le donne iscritte alle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), in grande espansione e con maggiori chance occupazionali, nonostante ci siano più̀ donne laureate che uomini.
Per quanto riguarda specificamente il lavoro, è un dato di fatto, e il Piano lo rileva, che le disuguaglianze di genere vi si consolidano: “il tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro è del 53,1 per cento in Italia, di molto inferiore rispetto al 67,4 per cento della media europee. A questo corrisponde una disparità salariale a svantaggio delle donne a parità̀ di ruolo e di mansioni rispetto agli uomini. La maternità̀ impedisce troppo spesso l’avanzamento professionale”.
Ciò premesso, le misure proposte sono molteplici e coinvolgono il lavoro dipendente così come autonomo, e l’imprenditoria femminile.
In tema di lavoro subordinato, sono previsti nuovi meccanismi di reclutamento, la revisione delle opportunità̀ di promozione alle posizioni dirigenziali di alto livello nella P.A., e investimenti per il turismo e il patrimonio artistico e culturale, settori che tradizionalmente annoverano tra il personale un’alta componente femminile; potenziamento della digitalizzazione e del lavoro agile e flessibile; riforma dei congedi parentali con progressiva parificazione tra i genitori; definizione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere (c.d. “Equal Salary”) che accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in tutte le aree maggiormente "critiche" (opportunità̀ di crescita in azienda, parità̀ salariale a parità̀ di mansioni, politiche di gestione delle differenze di genere, tutela della maternità̀). Sistema oggi adottato volontariamente solo da pochissime imprese italiane “virtuose”.
Risorse importanti sono destinate alla imprenditoria femminile, da promuovere “sistematizzando e ridisegnando gli attuali strumenti di sostegno rispetto a una visione più aderente ai fabbisogni delle donne” con i seguenti imperativi:
 “Sostenere la realizzazione di progetti aziendali innovativi per imprese già costituite e operanti a conduzione femminile o prevalente partecipazione femminile (digitalizzazione delle linee di produzione, passaggio all’energia verde, ecc.)
 Sostenere l'avvio di attività imprenditoriali femminili attraverso la definizione di un’offerta che sia in grado di venire incontro alle necessità delle donne in modo più puntuale (mentoring, supporto tecnico-gestionale, misure per la conciliazione vita-lavoro, ecc.)
 Creare un clima culturale favorevole ed emulativo attraverso azioni di comunicazione mirate che valorizzino l’imprenditorialità̀ femminile, in particolare, presso scuole e università̀”.
E’ anche prevista la creazione di un “Fondo Impresa Donna” a sostegno dell’imprenditoria femminile per finanziare sia misure di supporto preesistenti quali NITO (per la creazione di piccole e medie imprese e auto imprenditoria) e “Smart&Start” ( per start-up e PMI innovative calibrate per dedicare risorse specificatamente all’imprenditoria femminile), sia il nuovo Fondo per l'imprenditoria femminile previsto dalla Legge di Bilancio 2021 le cui modalità̀ attuative sono ancora in corso di definizione.
Nota meritevole quella di volere adottare una visione aderente alle esigenze e ai punti di vista femminili, che per realizzarsi presuppone la presenza paritaria di donne negli organismi deputati a gestire i finanziamenti e prestiti del Recovery Found: vedremo se sarà effettivamente così; purtroppo la gestione dell’emergenza pandemica è stata invece governata come noto da commissioni e centri decisionali a larghissima (e talora esclusiva) componente maschile.
Questi gli interventi diretti principali, a cui si affiancano altri indiretti realizzati, appunto, attraverso la trasversalità di finalità e obiettivi che percorre l’intero sistema di riforma: così l’impatto di genere è valorizzato nella riforma del Family Act (disegno di legge organico a sostegno della famiglia); nei processi di digitalizzazione (per formazione e reclutamento, così come per connettività e accesso alle reti ultraveloci sul territorio e facilitazione dei processi lavorativi in presenza e da remoto); nelle misure connesse all’edilizia residenziale pubblica e housing sociale (anche nella carenza abitativa si rivela il gap tra uomini e donne, alle quali sono affidati la maggior parte dei nuclei familiari monoparentali); nella riforma dei trasporti (può facilitare la mobilità femminile, posto che le donne sono le prevalenti fruitrici dei mezzi di trasporto pubblici e collettivi); nel potenziamento di istruzione, ricerca e innovazione (per favorire l’accesso delle donne e dotarle di maggiori competenze STEM); nella riforma della salute (per un approccio che valorizzi la comprensione delle differenze di genere negli effetti delle patologie e favorisca percorsi differenziati di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; per rafforzare i servizi sanitari di prossimità e di supporto all’assistenza familiari, capaci di alleviare le attività di cura fornite in famiglia dalle donne).
Il PNRR contiene perciò un ambizioso progetto di riforma e rappresenta un’occasione unica di rinascita per il nostro Paese, sotto tutti i punti di vista, incluso il gender gap. Ora si tratta di metterlo in opera, e qui sta la parte più difficile. Tra il dire e il fare il passo è molto lungo (“c’è di mezzo il mare”), e non è affatto scontato, soprattutto da noi, che alla proclamazione di sani principi corrisponda una diligente esecuzione: arretratezza culturale, disfunzioni, eccessiva burocrazia, malcostume e corruzione ammorbano il Sistema Italia, e inevitabilmente opporranno resistenza alle riforme.
Per quanto riguarda in particolare il tema delle differenza di genere, le misure e gli obiettivi proclamati – che accolgono le istanze dell’associazionismo femminile – per consolidarsi dovranno necessariamente comportare il superamento di stereotipi, usanze e tradizioni molto radicate nel nostro Paese, e perciò essere accompagnate da una forte opera di rieducazione culturale e di comunicazione di nuovi modelli sociali, che spingano, soprattutto le nuove generazioni, ad una maggiore complementarietà di ruoli tra donne e uomini in tutti i contesti, a partire dalla famiglia.
Siamo perciò solo all’inizio dell’opera. Ma meglio di niente. Nutriamo le speranze, monitoriamo le esecuzioni, e contribuiamo attivamente a un nuovo Rinascimento italiano.

 

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