Testo integrale con note e bibliografia

Testo della sentenza

 

La politica del diritto non riesce a sciogliere il nodo della rappresentanza e della rappresentatività sindacali e dell’efficacia dei contratti collettivi, talché dubbi e incertezze interpretative persistono su tali fattispecie, non incentivando certamente ordinarie dinamiche delle relazioni industriali nel nostro Paese .
E così, la giurisprudenza del Giudice delle leggi e quella di nomofilachia continuano a svolgere una funzione di supplenza, in ordine, tra l’altro, alla vexata-quaestio dei minimi salariali e del richiamo alla formula del sindacato comparativamente più rappresentativo.
Di recente, con la sentenza n. 4951 del 2019, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in materia di garanzia dei minimi di retribuzione per i lavoratori dipendenti dalle cooperative . Con tale pronunzia la Suprema Corte ha ribadito un principio già contenuto nella sentenza 51/2015 della Corte Costituzionale .
La Cassazione quindi, ha confermato che i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative non hanno efficacia erga omnes ma che i minimi salariali in essi previsti costituiscono il riferimento per garantire la retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all’art 36 Cost.. Conseguentemente, se i contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali non “comparativamente più rappresentative” rispettano o migliorano i richiamati minimi salariali, essi sono legittimi sotto il profilo applicativo, inibendo conseguentemente l’applicazione sic et simpliciter della circolare n. 3 del 2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro .
A tal proposito, alla luce di questa sentenza, va letto e interpretato anche l’art. 1 comma 1175 della legge n. 296/2006, laddove, ai fini della fruizione dei benefici contributivi pubblici, dispone il “rispetto” dei CCNL sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Dopo la sentenza in commento della Suprema Corte si ravvisa l’inderogabile esigenza legale di procedere alla revisione della prefata circolare n.3/2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che pone come condizione per la fruizione delle guarentigie contributive l’“applicazione” dei Contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, piuttosto che il “rispetto” di tali contratti come disposto dallo stesso comma 1175 della L.296/2006. Sulla base di quanto previsto dal decreto-legge n. 248/2007 in materia di retribuzione dei soci di cooperativa , la Cassazione ha confermato che i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative non hanno efficacia generale, ma che solo i minimi salariali in essi contenuti devo essere presi a riferimento ai fini della determinazione della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 della Costituzione. Il risultato sostanziale è che se i contratti collettivi stipulati da associazioni reputate non comparativamente rappresentative rispettino o addirittura migliorino tali trattamenti economici minimi, essi risultano perfettamente applicabili.
Con la sentenza n. 4951/2019 dunque, la Corte di Cassazione, riferendosi alle previsioni dell’art. 3 della legge n. 142/2001 e dell’art. 7 del decreto-legge n. 248/2007, ha previsto che ai lavoratori delle società cooperative deve essere assicurato un trattamento economico complessivo non inferiore ai minimi contrattuali previsti per analoghe mansioni dal CCNL di settore o della categoria affine, sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Con questa pronunzia la Cassazione ha interpretato lo spirito della legge, individuando nella contrattazione collettiva delle associazioni comparativamente più rappresentative un parametro fondamentale ai fini dell’individuazione dei minimi salariali da applicare, in presenza di una pluralità di contratti collettivi nello stesso settore, con parimenti l’imprescindibile rispetto del principio-precetto di natura costituzionale, comma 1 dell’art. 39, del pluralismo sindacale (e di libertà di contrattazione collettiva), in considerazione della facoltà datoriale di applicare ai dipendenti un Ccnl diverso, a patto che siano rispettati i minimi salariali dei contratti stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative.
Il criterio selettivo in materia di contrattazione collettiva, individuato nel sindacato “comparativamente più rappresentativo”, diventa così criterio-guida del trattamento economico complessivo e argine forte contro il dumping salariale generato dai “contratti-pirata” . La Cassazione non sancisce però, l’applicabilità di un unico Ccnl per settore, attribuendo così l’esclusività della contrattazione collettiva solo ad alcuni sindacati, decisione che sarebbe stata in contrasto proprio con le previsioni costituzionali in materia di libertà e pluralismo sindacali.
Il pluralismo sindacale dell’attuale assetto delle relazioni industriali in Italia infatti, ha messo in crisi la “costituzione materiale” dei rapporti capitale-lavoro, fondati sulla rappresentanza generale di imprese e lavoratori da parte delle centrali “storiche” ed all’attribuzione ad esse di una rappresentatività oltre i limiti associativi e, con essa, il tradizionale ricorso agli strumenti legali privatistici per estendere l’efficacia dei contratti collettivi ai soggetti non iscritti ai sindacati stipulanti .

 

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