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Grazie al Presidente della sezione lavoro della Cassazione per l'interessante articolo apparso sull'ultimo numero della rivista. Un avvocato, tra i suoi interessi, normalmente, non coltiva la passione di raccogliere informazioni e conoscenze sull'organizzazione interna di un ufficio giudiziario per di più lontano e al quale ricorre non frequentemente. Ma in questo caso farebbe male a non leggere quell’articolo.
È vero che le informazioni ivi contenute potevano aversi consultando semplicemente gli atti formali adottati dalla Corte ma averne conoscenza con una spiegazione illustrativa, in una rivista giuridica, è cosa ben diversa, perché esplicita in modo efficace gli scopi e i mezzi adoperati per realizzarli. Rendendo pubblici i criteri organizzativi, che si riflettono positivamente sulla nomofilachia della Corte, invece, ci si rende conto che all'organizzazione interna della Corte, come di qualsiasi altro ufficio giudiziario, bisogna prestare attenzione e averne conoscenza perché aiuta a meglio svolgere l’attività forense. L’organizzazione non è un elemento neutro.
Il dramma dell’avvocato di fronte alle decisioni della Cassazione è di doversi trovarsi, su ogni argomento di diritto, sostanziale o processuale, a fare i conti con opposti e inconciliabili indirizzi giurisprudenziali. Su ogni problema c’è sempre A e l’esatto contrario di A. Non è confortante dire al proprio assistito che l’esito di un ricorso in Cassazione dipende alla fine dal caso fortuito, dall'attribuzione della causa a quel collegio e dalle persone fisiche che lo compongono e che saranno chiamate a decidere il ricorso. Se questa logica perversa non dovesse essere combattuta, sarebbe più dignitoso far decidere il ricorso al “testa o croce” della monetina o, in epoca informatica, a un software (peraltro già allo studio). Vi sarebbe la medesima percentuale di probabilità di successo o di sconfitta: 50%. Che cosa cambia se la sentenza, sbagliata o giusta che sia, è pronunciata da un collegio di giudici oppure da un computer o dal classico lancio della monetina, se statisticamente si corre lo stesso paritario rischio? La monetina e il computer hanno almeno il vantaggio di far risparmiare risorse pubbliche.
Proprio perché le decisioni della Cassazione pongono fine alla lite e non ci sono altri giudici a cui potersi rivolgere, quella decisione non può essere frutto esclusivo del “destino baro e cinico” ma deve essere il risultato di una elaborazione assunta da giudici specializzati che trattino da veri esperti quel ramo e quel genere di problema.
Le scelte organizzative che sono state illustrate nell’articolo (la ripartizione delle cause in tre grandi aree specialistiche, il periodico avvicendamento dei consiglieri presso ciascuna area, la specializzazione per materia dei collegi, il superamento del tradizionale criterio della trattazione dei processi secondo l’ordine cronologico di iscrizione del ricorso, il dialogo e il confronto permanente dei giudici sugli argomenti sottoposti all’esame della Corte, per impedire che non si abbia “conoscenza di ciò̀ che ha appena deciso o che sta per decidere il collegio della porta accanto”) sono scelte che concorrono decisamente ad eliminare la mortificazione della funzione nomofilattica della Corte. Queste misure, apparentemente neutrali e di carattere amministrativo, sono capaci di modificare nel merito le decisioni della Corte. Per rafforzare la funzione nomofilattica della Corte, occorre che queste misure siano incrementate, rinforzate, rese assolutamente oggettive e pubbliche per evitare che, particolarmente nelle cause di maggior rilevanza sociale e politica, diano sospetto a manipolazioni o ad assegnazioni di comodo per favorire un certo risultato e non un altro. Tutti devono sapere che quella causa sarà decisa da quel collegio che già fin dall’inizio si sa che è predestinato a doverla trattare quale conseguenza necessaria derivante dall’applicazione di un criterio generale ed astratto, valevole per la generalità delle controversie. La funzione nomofilattica non può che giovarsene, con sollievo generale.
Come avvocato mi auguro di non dover mai più dire che l’esito di un ricorso in Cassazione dipende dalla composizione del collegio che tratterà la controversia per averla avuta con una assegnazione casuale. E sarei ancor più felice se non dovessi mai più dire che le pronunce della Cassazione valgono poco o niente, perché nella stessa giornata si possono trovare sentenze l’una esattamente contraria all’altra, in una babele di linguaggi e di decisioni tra loro inconciliabili e incomprensibili anche per gli stessi addetti ai lavori.
Viene spontaneo, dopo la lettura dell’articolo, augurare al Presidente della Corte e ai suoi collaboratori: buon lavoro!

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