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Invitato , il 4 novembre 1945 a Tubinga, a commemorare il sacrificio della vita dei ragazzi del gruppo di resistenza al nazismo “ la rosa bianca”, Romano Guardini – uno dei maggiori intellettuali cattolici del Novecento – ebbe a dire : “ Si può ricordare un uomo soltanto dicendo come in verità egli è stato; ma ci sono strade diverse per giungere alla verità della sua vita. La prima via è quella di tentare di comprendere , sotto la guida dell’amore e la vigilanza della riflessione, la sua personalità e il percorso della sua vita, spingendosi sempre più a fondo in ciò che gli è proprio, fino a quando il suo essere ne risulta alla fine chiaramente illuminata.(…) C’è però un’altra via , ed è quella di domandarsi quali idee essi hanno servito e da quali valori si sono sentiti obbligati ad agire; anche questa via conduce alla verità della loro vita”.
Cercherò in questo breve appunto di descrivere quale , dal mio punto di vista e dalla frequentazione con lui, quella che ho intuito essere la verità della sua vita e quali valori e idee ha servito.
Sono trascorsi 18anni dalla morte del giuslavorista Marco Biagi, docente presso l’Università di Modena, ucciso dalle Nuove Brigate Rosse la sera del 19 marzo 2002. Stava rincasando con la sua bicicletta montata alla stazione ferroviaria di Bologna, dopo un viaggio di lavoro in treno per tornare a casa.
Quella sera partecipavo alla trasmissione di Bruno Vespa “Porta a Porta” con il ministro dell’economia Giulio Tremonti e quello del lavoro Roberto Maroni , stavamo discutendo dei provvedimenti sul mercato del lavoro , quando irruppe la notizia dell’assassinio di Marco Biagi: Lo sconcerto fu grande , ma si decise di continuare la trasmissione come forma di resistenza al terrorismo. La commozione e il dolore fu in tutti noi molto grande.
Conoscevo bene Marco Biagi sia perché era consulente del ministero del lavoro che in quel periodo frequentavamo molto, sia perché Marco era un amico della Cisl. Non era un consulente ma un amico dell’organizzazione di cui condivideva i valori e le metodologie di azione e di confronto. Biagi era come tanti di noi un laburista cristiano. Con questa definizione si vuole indicare una modalità di pensiero e di azione, più che una appartenenza politica o partitica, che fa perno sul valore umano del lavoro come mezzo di emancipazione e liberazione delle persone .
Il “laburismo cristiano” è un modello – se così si può definire- di pensiero sociale e politico che valorizzava il ruolo e la funzione dei corpi intermedi e del sindacato e che punta sulla soggettività partecipativa dei lavoratori, cercando di fare in modo che l’economia non si appiattisca su schemi troppo liberisti a cui si vorrebbe piegare l’economia italiana e europea. Rifarsi a questa modalità di pensiero significa uscire dagli schemi ideologici e mantenere costantemente un’attenzione sistematica all’evoluzione dei modelli organizzativo delle realtà produttive e alle ricadute che quest’evoluzione genera sull’organizzazione del lavoro e sulle condizioni di vita dei lavoratori e della società.
L’amicizia di Biagi verso la Cisl nasceva dalle frequentazioni , ma soprattutto dal riconoscere che questa organizzazione era una novità autentica nel panorama del movimento sindacale italiana e che rappresentava il tratto e l’incarnazione più evidente del riformismo sociale; un riformismo impaziente che non ha bisogno di un partito per affermare le sue idee e proposte ma della partecipazione dei lavoratori. Questa è la novità del sindacato di GIULIO PASTORE , di MARIO ROMANI, PIERRE CARNITI.
Grazie al contrattualismo la Cisl , in modo indiretto e tramite l’azione e la mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici, incise sulla cultura politica italiana e produsse una revisione sia dell’ottimismo industrialista di stampo liberale , che della teleologia del lavoro marxiana, e questo senza rifiutarsi di confrontarsi l’insieme dei pensieri e delle proposte che germinavano e agivano dentro il mondo del lavoro. Nella convinzione che solo un’idea evoluzionistica dell’organizzazione del lavoro e la consapevolezza anti-luddista del ruolo che possono giocare sull’organizzazione del lavoro, sulle attività produttive , sul mercato del lavoro e sulle condizioni vita e di lavoro le applicazioni dei ritrovati scientifici nelle nuove tecnologie. Tocca alla negoziazione orientare l’uso.
Marco Biagi da buon intellettuale e da giuslavorista non poteva sottrarsi al cogliere quello che in quegli anni stava mutando nel lavoro e nelle sue modalità organizzative e nelle forme della produzione.
Un tema che si pone anche oggi di fronte alle trasformazioni che la digitalizzazione del lavoro e dell’organizzazione produttiva e che dimostra che la difesa e la stabilizzazione dei diritti, delle tutele e la valorizzazione delle persone al lavoro non può assumere una dimensione statica . Ho l’impressione che oggi lo stesso attore pubblico, cui Biagi assegnava una dimensione dinamica come si evince dal suo “Libro Bianco” - che non era un libro limaccioso ma di forte proposizione come la storia di questi anni ha dimostrato- abbia assunto un ruolo alquanto subalterno rispetto al mercato, alla finanziarizzazione dell’economia e, in particolare, alle trasformazioni che la digitalizzazione sta producendo .
Ritengo che le idee di Marco Biagi , la sua capacità di individuare quando emergeva , con una visione del mondo del lavoro realista e aideologica e con il suo metodo d’analisi comparato possano ancora orientare l’azione di tutela e di garanzie dei lavoratori. Attraverso il diritto comparativo del lavoro secondo Biagi si poteva superare il provincialismo italiano e fare del proprio sistema nazionale uno dei vari ordinamenti da porre a confronto con altri in modo da poter prevedere in anticipo avvenimenti e scenari futuri. Una modalità aperta che rompeva molti schemi e che gli attirò incomprensioni e ostilità da parte di chi faticava ad uscire dagli schematismi ideologici e di partito. Era convinto che bisognava sempre di più avere uno sguardo europeo e globale dell’evoluzione del diritto del lavoro e dei diritti individuali del lavoratore. Non tutto il mondo Sindacale aveva compreso la sua lezione , anzi fu oggetto di critiche feroci e ingiuste . Lo si accusò di esseri allineato a schemi liberisti e di favorire le politiche del Governo di Berlusconi, accuse che nascevano da posizioni meramente ideologiche e da scelte politiche e non da una analisi di merito. Poi nel corso di questi anni le sue idee sono risorte e utilizzate, non sempre in modo corretto, nelle varie riforme del mercato del lavoro.
Un tema che si pone oggi con urgenza innanzi alla grande trasformazione che sta avvenendo. L’innovazione tecnologica è una incursione che sta modificando il mondo degli affari, degli scambi, che incide sulle scelte e le strategie delle aziende, sulle competenze e le professionalità e l’occupazione dei lavoratori che molte volte avviene senza far caso a quanto si incontra nel cammino.
Sono convinto , facendo tesoro da quanto ho imparato nella frequentazione con Marco Biagi , sia venuto il tempo, se non siamo già in ritardo, di fermarsi a riflettere su cosa permane, cosa è stato distrutto, cosa è stato originato dalla trasformazione. C’è, a mio parere, l’urgenza di una riflessione collettiva - anche per vincere le fobie verso la tecnologia- sulle conseguenze che la digital transformation sta producendo e che avrà sulla vita e le relazioni delle persone, oltre che sulla organizzazione della produzione, del lavoro e di quali competenze e professionalità richiede e richiederà.
Oggi il lavoro richiede la declinazione di un nuovo diritto del lavoro. Il metodo comparativo utilizzato da Marco Biagi diventa un modello da praticare con molta attenzione. Sono anche convinto che dobbiamo ridefinire cosa è oggi il lavoro andando oltre i paradigmi che sono sedimentati dentro di noi. Dobbiamo tenere presente che l’innovazione è oggi determinata dalle grandi invenzioni , da nuove scoperte e dalla applicazione delle scoperte scientifiche alle tecnologie, ma anche dalla grande mobilità delle persone , delle imprese e il formarsi di varie e nuove interdipendenze. Come la recente aggressione virale ha evidenziato. Oggi il “prima noi” , il FIRST Trumpiano sta perdendo di senso. Prende corpo una interdipendenza globale cui dobbiamo imparare a gestire. Esiste uno scollamento delle localizzazioni, delle territorialità , della proprietà e del lavoro che richiede una ridefinizione della partecipazione e della democrazia economica e politica.
Difendere, tutelare il lavoro significa anche definire cosa significa essere lavoratore dipendente, autonomo e libero. Vediamo come molti lavori dipendenti stiano scomponendosi e come stiano modificandosi i processi operativi dell’operatore . Da qui la necessità di un vedere dove il digitale permette uno scollamento utile e intelligente in grado di creare utilità e risorse per il benessere per le persone e per la società .
Se siamo innanzi, come afferma il filosofo Luciano Lucidi, al formarsi di un’infosfera in cui i confini tra online e offline sono scomparsi, ci si deve attrezzare per vivere e lavorare in questo nuovo ambiente. In Italia c’è ancora un certo ritardo su questo fronte, forse perché è un Paese frammentato e con realtà diverse tra loro, però ci stiamo arrivando.
L’industria 4.0 prevede luoghi produttivi e servizi totalmente interconnessi e automatizzati che pongono l’esigenza di ridefinire un nuovo diritto del lavoro a modalità contrattuali adeguate alla situazione, ma anche alla distruzione di posti di lavoro che richiederanno nuovi ammortizzatori . sociali e nuove forme di assunzione . Non tutto il lavoro verrà assorbito e si manterranno tutte quelle occupazioni che fanno parte dell’utilità umana, dalla formazione al comparto sanitario fino al turismo
Fare tesoro della lezione di Marco Biagi significa cogliere realmente la verità della sua vita e adempiere alla richiesta che mi fece suo padre al funerale cui ero l’unico sindacalista presente di non dimenticarlo

 

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