Testo integrale con note e bibliografia

1. Premessa

In qualità di rappresentante dell’unità milanese coinvolta nel “PRIN 2017” dedicato al tema de “WORKING POOR N.E.E.D.S.: NEw Equity, Decent work and Skills”, il mio compito sarà di esporre le linee essenziali di una ricerca ancora in itinere, trovandocisi al volgere della seconda annualità di un progetto triennale. Per tale ragione, nel mio intervento gli interrogativi prevarranno inevitabilmente sulle soluzioni e le prime conclusioni non potranno che avere un carattere provvisorio.
Come ricordato dalla nostra P.I., Prof.ssa Marina Brollo, all’unità milanese è demandato il compito di “individuare la nozione di Decent Work attraverso l’esame delle fonti nazionali e sovranazionali”.
Nel confrontarci con una nozione estranea rispetto alle categorie giuridiche tradizionali (tanto da richiedere un’apposita “individuazione”, come si legge nel progetto iniziale), abbiamo scelto di suddividere gli approfondimenti tematici assegnati ai singoli componenti dell’unità seguendo l’articolazione del sistema delle fonti. Lo scrivente si sta occupando del Decent Work nelle fonti internazionali e nell'agenda dell'OIL e delle Nazioni Unite, il Prof. Alessandro Boscati dell’addentellato costituzionale del lavoro dignitoso, la Prof.ssa Tiziana Vettor del lavoro dignitoso nell'ordinamento euro-unitario, la Dott.ssa Caterina Timellini delle tracce della garanzia del lavoro dignitoso nella più recente legislazione nazionale, la Prof.ssa Alessandra Sartori della promozione del lavoro dignitoso attraverso una rilettura lavoristica dell’art. 603-bis c.p. ed il Prof. Jlia Pasquali Cerioli, ecclesiasticista, del rapporto tra la libertà religiosa, la dignità della persona ed il Decent Work. Il tema, apparentemente più circoscritto, della tutela della salute e della sicurezza degli ormai celebri riders ha visto impegnato il nostro assegnista, Dott. Mattia Tornaghi, il quale, all’esito di una intensa attività di ricerca annuale, ha redatto un interessante saggio che ha trovato collocazione sulla prestigiosa rivista Diritto della Sicurezza Sociale .

 

2. Il Decent Work come imperativo di policy

All’esito di una prima ricognizione, sembra innanzitutto doversi escludere che si possa riconoscere nel Decent Work una fattispecie autonoma e produttiva di effetti a livello di diritto positivo (nazionale e non).
Piuttosto, ci si può riferire ad un imperativo di policy, ovvero ad una prospettiva orientativa di regolazione del lavoro: in sostanza, mutuando un’efficace immagine utilizzata dal Prof. Domenico Garofalo in un recentissimo saggio sulla declinazione lavoristica dello sviluppo sostenibile , il Decent Work fungerebbe da “stella polare” per i successivi interventi del legislatore nazionale e soprattutto sovranazionale, oltre che, naturalmente, da oggetto di approfondimento in letteratura .
Tra le molteplici iniziative, si segnala in particolare l’Agenda dell’Oil sul Decent Work del 1999 e la successiva Dichiarazione sulla Giustizia Sociale per una Globalizzazione Equa del 2008 . Ancora, la promozione del Decent Work viene posta quale specifico obiettivo – Sustainable Devolopment Goal n. 8 – dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta nel 2015 , venendo poi riaffermata nel 2019, in occasione del Centenario dell’Oil , e da ultimo ribadita, nel contesto della transizione post-pandemica, dalla Comunicazione della Commissione Europea del 2022 sul lavoro dignitoso per una giusta transizione ed una ripresa sostenibile . Si tratta, a tutta evidenza, di documenti eterogenei, internamente ed esternamente, ma dai quali traspare chiaramente la centralità della tematica nelle correnti iniziative degli organismi sovranazionali che perseguono, tra gli altri, gli ideali della giustizia economica e sociale.

 

3. La costruzione della nozione di Decent Work: tra etimologia ed istanze di libertà della persona

Alla luce di quanto rilevato, nella discussione sul Decent Work il momento politico risulta al momento largamente prevalente su quello giuridico.
Ciò concorre a rendere particolarmente arduo il compito di “costruire” una nozione tecnica di Decent Work, attraverso l’isolamento dei suoi potenziali elementi discretivi nel variegato sistema di fonti multi-livello che la nostra ricerca intende scandagliare.
Un primo ausilio potrebbe invero giungere dall’etimologia. È infatti interessante notare che l’aggettivo “decent” trova una comunanza di radice con la “dignitas”, tanto è vero che l’aggettivo in parola viene di regola associato ad una persona e/o ad un’attività umana . Se, dunque, “a decent person” è una persona rispettabile e di valore, a “decent job” (o la sua variante astratta “Decent Work”) dovrebbe tradursi in (un) lavoro rispettato e, dunque, protetto: molto più, dunque, a livello qualitativo, di un lavoro meramente “decente”, che invece rimanda a quello che si usa definire, in termini talvolta (e a torto) spregiativi, come “il minimo sindacale”.
Né il riferimento alla persona, prima ancora che al lavoro, può peraltro dirsi casuale. Se si guarda alle già citate iniziative dell’Oil e delle Nazioni Unite, si nota come alla dimensione delle tutele (di base) nel lavoro (compenso minimo; orario di lavoro massimo e ferie; limitazione dei controlli a distanza; sicurezza sul lavoro) si affianchino guarentigie non strettamente lavoristiche – ma sicuramente riconducibili all’idea di uno sviluppo socialmente, oltre che economicamente, sostenibile – come il diritto ad un alloggio confortevole e ad un’assistenza sanitaria adeguata .
Pare dunque che alla radice di questa linea d’azione comune si pongano istanze di affrancamento tanto da una soggezione all’altrui potere (se non dominio), quanto da uno stato di bisogno, ossia entrambi i profili che, nella sofisticata lettura di Hannah Arendt, rimandano all’idea della libertà –liberation – della persona . Chi scrive ha in effetti tentato, in altra sede, di collocare l’attuale aspirazione ad un “Decent Work for All” all’interno delle fasi di evoluzione del diritto del lavoro, rilette attraverso le lenti arendtiane della liberty/liberation e della freedom, da intendersi, la prima, quale assenza di vincoli/condizionamenti esterni ed insieme quale libertà dal bisogno, la seconda, quale concreta possibilità del singolo di incidere nelle determinazioni da assumere in un contesto democratico (in alternativa all’unilateralità del processo decisionale). Se il passaggio dallo status al contratto avrebbe in origine consentito alla persona del lavoratore di superare il giogo schiavistico o feudale (originaria liberation), il successivo consolidamento della legislazione sociale e della contrattazione collettiva ha visto la ricerca di un delicato equilibrio tra le collective freedoms (diritti sociali) e la liberty del datore di lavoro (libertà di iniziativa economica). Tale contemperamento si è invero posto come una necessità ad ogni latitudine. Infatti, ragionando a specchio (ma pur sempre con riferimento ai Paesi dell’Occidente), negli Stati Uniti del rugged individualism lo sviluppo della legislazione sociale ha richiesto il superamento dell’assolutistica visione della liberty caratteristica dell’era lochneriana , giungendo le Corti americane, nell’ammettere che gli obiettivi (e gli effetti) della legislazione lavoristica roosveltiana non fossero di sopprimere la libertà e l’efficienza economica, quanto di promuoverle in armonia con la giustizia sociale , a “capitolare definitivamente al New Deal” e, più in generale, allo stesso diritto del lavoro . Di converso, la Corte di Karlsruhe ha escluso che, nell’economia sociale di mercato tedesca , la valorizzazione della freedom dei lavoratori di partecipare alle determinazioni dell’impresa nel sistema della Mitbestimmung potesse estendersi al punto da obliterare il diritto degli azionisti di esprimere la parola finale (i.e. il voto decisivo) nelle decisioni strategiche delle grandi società di capitali . Ciò non farebbe che confermare come il pendolo tra freedom e liberty nel diritto del lavoro possa muovere variamente a latitudini ed in tempi diversi, ma che non si possa assestare sui poli opposti di una liberty o di una freedom radicale. Oggi, il quadro sembra essere profondamente mutato, nel momento in cui l’incessante avanzamento tecnologico ed i mutati rapporti tra uomo e macchina sembrano evocare nuove e diverse forme di oppressione, senza che peraltro le forme “classiche” di schiavitù possano dirsi superate, come dimostrano, inter alia, i casi di sfruttamento del lavoro in agricoltura dei quali le cronache (anche nazionali) danno conto pressoché giornalmente. In ciò parrebbe trovare ragione la tensione olistica verso il “Decent Work” e, attraverso di questo, verso una (neo)liberation dell’individuo, da intendersi, sempre nella prospettiva arendtiana, quale liberazione tanto dallo stato di bisogno quanto dalle costrizioni e dai vincoli che limitano l’inserimento dell’individuo nella comunità sociale.

4. L’addentellato del Decent Work nelle fonti primarie dell’ordinamento multi-level

La prospettiva o, meglio, l’imperativo del Decent Work trova significativi addentellati nelle fonti di massimo rango dell’ordinamento nazionale ed euro-unitario.
Si pensi, in particolare, all’art. 35 Cost. (che, come noto, tutela il lavoro in ogni forma e applicazione e che costituirà il fulcro dello studio del Prof. Alessandro Boscati nell’ambito del nostro progetto) ed altresì alla funzione della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost. di fornire “adeguati mezzi di sussistenza” a chi lavora , consentendo alla persona di condurre un’esistenza “libera e dignitosa” e di sottrarsi così ad uno stato di bisogno che ne condiziona pure l’esercizio dei relativi diritti politici e sociali (artt. 1-4) .
A livello europeo, non si può certo sottovalutare il riconoscimento del primato della dignità umana da parte dei Trattati, i quali hanno eretto la prima a principio ispiratore di molte delle disposizioni della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea in materia sociale (v. gli artt. 31, comma 1, e 34, comma 3, i quali – come metterà in risalto uno studio in fieri della Prof.ssa Tiziana Vettor all’interno del nostro progetto – mirano a garantire un’esistenza dignitosa ai lavoratori e a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti).
Di notevole interesse ai presenti fini è poi il Pilastro europeo dei diritti sociali , adottato, come ampiamente noto, dal Parlamento Europeo, dal Consiglio e dalla Commissione il 17 novembre 2017 a Göteborg. Per quanto consista tecnicamente in una dichiarazione priva di efficacia vincolante , esso indubbiamente reca i segni di una mutata sensibilità delle istituzioni europee nei confronti dei diritti sociali, in evidente discontinuità con le politiche dell’era Laval ed ancor più della stagione delle restrizioni successive alla crisi economico/finanziaria del 2008 . Del resto, proprio “sullo slancio” dell’iniziativa in parola si collocano, da un lato, la Dir. 1158/2019/UE, in materia di conciliazione vita-lavoro , dall’altro lato, la Direttiva 2019/1152/UE, relativa a “condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’UE”. Quest’ultima assume un peculiare rilievo, in quanto, pur riguardando apparentemente l’informazione al momento della costituzione del rapporto, essa presenta un contenuto agevolmente riconducibile al Decent Work : se si guarda infatti agli artt. 8 ss., vengono contemplate proprio una serie di tutele nel rapporto (durata minima del periodo di prova: art. 8; possibilità di pluralità di rapporti con diversi soggetti: art. 9; prevedibilità dell’impiego a chiamata: artt. 10 e 11), ben oltre, dunque, la dimensione degli obblighi informativi circa le condizioni di impiego . Sempre alla promozione del Decent Work, così come sopra enucleato, si legano le proposte, al momento in discussione, di direttiva i) relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea ; ii) sulla c.d. due diligence ; iii) sulle condizioni di lavoro tramite piattaforma , iv) sul diritto alla disconnessione . Senza potere ovviamente dar conto in questa sede dei contenuti delle singole iniziative de iure condendo, non si può non dare risalto alla notevole effervescenza dell’azione europea in materia sociale a seguito dell’adozione del Pilastro del 2017.

5. Le tracce del Decent Work nella legislazione interna

Del Decent Work si rinvengono pure interessanti e promettenti tracce nella legislazione lavoristica più recente a livello interno.
Se si guarda ai diritti di “seconda generazione” appannaggio dei lavoratori subordinati dalla prospettiva qui adombrata, sembra agevole ricondurre il diritto alla disconnessione ad un ulteriore rafforzamento della liberty dai condizionamenti esterni nella vita privata , ossia ad una delle dimensioni del Decent Work o, se vogliamo, della (neo)liberation arendtiana.
Trattandosi di protezione della sfera personale di liberty , il diritto alla disconnessione è sicuramente un profilo attinente al lavoro dignitoso , situandosi non a caso la proposta di direttiva europea in materia sulla scia delle iniziative legate all’attuazione del pilastro dei diritti sociali fondamentali . Al contempo, la tematica non afferisce necessariamente alla working poverty, al centro invece dell’iniziativa – anche – europea sul salario minimo . Anzi, la disconnessione andrebbe viceversa assicurata in primis ai lavoratori più ambiziosi o comunque dalle maggiori responsabilità operative e/o gestionali, come già da tempo emerso in riferimento all’annosa questione della (non) monetizzabilità delle ferie .
Ancora, muovendo verso il campo del lavoro autonomo, pare arduo negare – lo metterà in luce la Dott.ssa Caterina Timellini – come molte delle tutele riconosciute a riders autonomi dalla la l. n. 128/2019 possano riferirsi all’istanza di liberation tanto dal bisogno (compenso minimo; copertura infortunistica e previdenziale) quanto dall’altrui dominio (libertà di rifiutare le proposte di incarico; divieto di discriminazione) .
Dallo stesso diritto penale potrebbero ricavarsi, attraverso un ragionamento a contrario, utili indicazioni di policy: nel momento in cui tra gli indici del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ex art. 603-bis c.p. il legislatore ha inserito, al comma 3, le ripetute violazioni della normativa in materia di compenso minimo, di orario di lavoro, di controllo sulla prestazione, di salute e igiene sul lavoro, si potrebbe sostenere – ma su questo rimando all’approfondimento della Prof.ssa Alessandra Sartori nell’ambito del nostro progetto – come tali tutele afferiscano proprio a quel un “nucleo” di diritti della persona considerati inviolabili dallo stesso legislatore, a prescindere dalla qualificazione del rapporto contrattuale con il datore di lavoro o committente .

6. L’orizzonte della ricerca

Si è già osservato che la promozione del Decent Work guarda sia all’interno del campo del lavoro subordinato sia al di fuori di questo, coerentemente con la prospettiva di tutela della persona che lavora in una prospettiva olistica.
A livello di tecnica normativa, appare di notevole interesse la scelta compiuta nella menzionata proposta di direttiva sul lavoro tramite piattaforma di ricondurre, attraverso uno schema presuntivo, le prestazioni – a certe condizioni – entro il lavoro subordinato , al contempo riconoscendo innovativi contenuti di tutela (v. il diritto all’informazione sulle modalità di funzionamento dell’algoritmo) sia a favore degli autonomi sia dei subordinati, i quali ultimi sono invece gli unici destinatari della disposizione che contempla il coinvolgimento sindacale .
Per quanto, dunque, la fattispecie di riferimento del diritto del lavoro stia attraversando una fase – verrebbe da dire – di “ripresa e resilienza” , l’apertura verso le aree bisognose di tutela “Beyond employment” costituisce il segno dello spostamento del focus dalla (sola) dimensione qualificatoria a quella dei contenuti delle guarentigie, in linea con la logica rimediale ed universalistica del Decent Work .
Sulle diverse – ma non per forza alternative – strategie da impiegare a tale fine l’unità milanese avrà modo di riflettere e soffermarsi nella seconda fase della ricerca, che dovrà pure riannodare i fili del Decent Work con la più ampia tematica della working poverty la quale costituisce, come rilevato in apertura, il fulcro dell’intero nostro progetto “PRIN 2017”.

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