Testo Integrale con note e bibliografia

Se è vero che in ogni processo civile gli avvocati devono porre grande attenzione nella costruzione dei fatti , sembra possibile affermare che nel processo del lavoro tale attenzione deve essere ancora maggiore, per più di una ragione.
La prima ragione ha a che fare con il rigido sistema di preclusioni che caratterizza l’introduzione dei fatti nel processo del lavoro, e per effetto del quale la parte che non abbia correttamente adempiuto, già con il primo atto difensivo del giudizio di primo grado, i suoi oneri di allegazione e di contestazione delle allegazioni avversarie, si espone ad un rischio molto elevato di soccombenza .
Ma vi sono anche ragioni più profonde, e meno evidenti, che hanno a che fare con la cultura e la particolare sensibilità che caratterizza i giudici del lavoro .
Per giustificare le affermazioni che precedono, occorre prendere le mosse dalla considerazione dei motivi per i quali, in generale, la costruzione dei fatti assume fondamentale importanza in ogni giudizio civile, per poi valutare le ragioni più specifiche per le quali tale importanza diviene ancora maggiore nel processo del lavoro.
Va, allora, anzitutto ricordato che in ogni giudizio, al fine di ottenere la convinzione e la persuasione del giudice , gli avvocati sono chiamati ad avvalersi sia di procedimenti di carattere oggettivo diretti ad ottenere la razionale adesione del giudice sulla richiesta interpretazione ed applicazione della norma generale ed astratta ovvero sul prospettato bilanciamento di principi, sia di procedimenti di carattere soggettivo atti a operare nella sfera degli affetti e dei sentimenti e quindi diretti a produrre emozione, commozione e coinvolgimento psichico in generale , così da ottenere anche l’assenso del giudice sulla giustizia della soluzione richiesta rispetto al caso concreto .
La fondamentale importanza che la costruzione dei fatti assume in generale in ogni processo civile deriva quindi da ciò, che essa è destinata a svolgere un ruolo essenziale su entrambi i piani sopra ricordati, oggettivo e soggettivo.
La costruzione dei fatti è, infatti, destinata a svolgere un ruolo essenziale sul piano oggettivo, anzitutto perché in ogni giudizio, il più delle volte è la vicenda fattuale oggetto di causa «la molla dell’interpretazione» , la quale nell’ambito del giudizio è condizionata «dalle irrefrenabili esigenze del fatto, sia pure entro i vincoli di disposizioni, che vogliono contenerlo nel letto di Procuste della fattispecie astratta» .
Pertanto, la costruzione dei fatti assume decisiva rilevanza perché da essa il giudice ricaverà la direzione da dare alla sua attività di interpretazione delle norme o di bilanciamento dei principi, soprattutto quando l’avvocato sarà riuscito, in quella costruzione, a fare dei nudi fatti un caso, attribuendo loro senso e valore .
V’è, poi, una seconda ragione per la quale la costruzione dei fatti assume una fondamentale rilevanza sul piano oggettivo del convincimento razionale.
Ed infatti, alcune ricerche hanno dimostrato che la mente umana, quando è chiamata a ricostruire avvenimenti passati, tende naturalmente ad inserire le informazioni di cui dispone all’interno di una storia dotata di coerenza . Storia che viene infatti istintivamente elaborata operando una serie di astrazioni e stabilendo nessi causali e temporali «anche quando questi non sono immediatamente evidenti» , oltre che «ricostruendo inferenze laddove alcuni elementi non siano disponibili o siano insufficienti» , e in tal senso si parla di «comprensione costruttiva» .
In tale prospettiva, ciascun avvocato, al fine di convincere il giudice «che una storia sia “vera”» , deve dunque narrarla in modo che sia «coerente, organica e, quindi, priva di contraddizioni. In questo senso deve essere accettabile sul piano logico, essere cioè convincente perché credibile» . E ciò, anche in considerazione del fatto che il giudice tenderà «a decidere il caso scegliendo una tra le due storie raccontate in giudizio, di cui è ripresa la narrazione stessa» .
Pertanto, in quella che si presenta come una vera e propria «battaglia delle storie» in cui ciascun avvocato tenta di «far prevalere la sua storia rispetto a quella della controparte» , la costruzione dei fatti diviene lo strumento fondamentale mediante il quale le vicende fattuali che l’avvocato ritiene rilevanti possono essere esposte con uno schema di organizzazione , «con cui elementi di informazione sparsi e frammentari, e “pezzi” di eventi, possono essere combinati e composti in un complesso di fatti coerente e dotato di senso» .
Non meno rilevante è, però, il ruolo che la costruzione dei fatti è destinata a svolgere, in generale, sul piano soggettivo.
Ed infatti, altre ricerche hanno ormai dimostrato che i giudici «non decidono in condizioni emotivamente neutre, ma in base a una valutazione degli eventi associata alla componente affettiva» . Pertanto, gli aspetti fattuali della vicenda oggetto del giudizio, per la loro capacità di operare «come stimolo che determina una cifra affettiva» e quindi di «suscitare emozioni, sentimenti, reazioni affettive», «sono di per sé destinati a influenzare non solo la soluzione del problema giuridico, ma l’intero processo di ragionamento» .
Peraltro, sul piano soggettivo, occorre tenere conto non soltanto dello «stato emotivo tradottosi in consapevolezza da parte del giudicante, che appunto reagisce, in modo cosciente», ma anche della possibilità che il giudice, come ogni uomo, possa essere «influenzato dall’elaborazione emotiva e dalla selezione stessa delle informazioni che la cifra affettiva determina anche inconsciamente», così che le sensazioni-sentimento indotte dalla costruzione dei fatti finiscono per assumere rilevanza anche in relazione alle «sensazioni immediate e viscerali, del tutto inconsapevoli, appunto, innestate dalla vicenda umana, qualunque essa sia, che sta alla base del processo» .
L’esigenza di tenere conto anche di tali sentimenti inconsapevoli deriva, quindi, soprattutto da ciò che essi possono determinare il concreto rischio di errori di giudizio , soprattutto quando un prolungato eccessivo carico di lavoro abbia determinato nel giudice una situazione di «stanchezza mentale», con l’affaticamento delle «aree cognitive di più alto livello coinvolte nello sforzo razionale (per esempio la corteccia prefrontale)» .
Pertanto, l’accurata costruzione dei fatti diviene uno strumento fondamentale anche al fine di aiutare il giudice ad evitare errori di giudizio, perché è con quella costruzione che l’avvocato può richiamare l’attenzione del giudice e fornirgli, anche nelle situazioni di affaticamento mentale, «un apporto emotivo che sa accendere la miccia di un percorso razionale» , innescando i meccanismi della emotività virtuosa .
Se dunque quelli sopra accennati sono i principali motivi per i quali, in generale, la costruzione dei fatti assume fondamentale importanza in ogni giudizio civile, è ora possibile esaminare le ragioni più specifiche per le quali tale importanza diviene ancora maggiore nel processo del lavoro, sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo.
Ed infatti, per quanto riguarda, anzitutto, il piano oggettivo, la maggiore importanza che la costruzione dei fatti assume nel processo del lavoro è conseguenza della «intensa fattualità» che caratterizza il diritto del lavoro e della conseguente maggiore rilevanza che assumono gli aspetti fattuali dei rapporti ai fini della interpretazione ed applicazione delle norme o del bilanciamento di principi.
Questa caratteristica del diritto del lavoro è, infatti, conseguenza sia della particolare tensione verso la realtà dei rapporti sociali che caratterizza tale diritto per l’esigenza di realizzare il programma di trasformazione sociale previsto dall’art. 3 cpv. Cost., in considerazione del quale «il diritto del lavoro si sforza di sollevare il velo della forma giuridica al fine di individuare gli interessi concreti e le dinamiche reali di potere ad essi sottostanti» , sia della maturata consapevolezza che il rapporto di lavoro può coinvolgere l’intera persona del lavoratore il quale, infatti, nello svolgimento di tale rapporto può esprimere e sviluppare, ma può anche compromettere, la sua personalità.
Dunque la particolare attenzione del diritto del lavoro per gli aspetti fattuali dei rapporti si spiega anche con ciò che l’assetto di interessi che caratterizza oggettivamente alcuni rapporti di lavoro viene considerato dalla Costituzione anche come una speciale condizione della persona che giustifica l’attribuzione di particolari diritti dell’uomo , così che tutte le volte in cui nei fatti quella speciale condizione possa dirsi realizzata le norme dirette a tutelare la persona che lavora reclamano attuazione.
Per tali concorrenti ragioni i giudici del lavoro sanno di essere chiamati ad attribuire particolare rilevanza, più che alla forma dei rapporti, alle circostanze di fatto che caratterizzano la vicenda oggetto del giudizio . E ciò, non soltanto quando vi sia un’espressa norma di legge a richiederlo , ma appunto in virtù dei principi del diritto del lavoro e della tradizione culturale che caratterizza tale branca del diritto.
Peraltro, in virtù di tali principi e di tale tradizione, la fattualità del diritto del lavoro è suscettibile di accentuarsi ulteriormente nelle ipotesi in cui i giudici del lavoro sono chiamati a dare immediata applicazione alle norme costituzionali o a specificare il precetto di norme che contengono una clausola generale , quale quella di correttezza ex art. 1375 c.c. In tali ipotesi, infatti, trattandosi di norme che non costringono l’interprete negli stretti limiti della logica sussuntiva, i giudici del lavoro hanno la possibilità di rispondere «ad un appello del fatto concreto» , attribuendo rilevanza «‘immediatamente’, ossia senza mediazioni legislative e tramiti sillogistici, alla ‘concreta realtà di un rapporto vitale’, a quella che diremmo ‘situazione di vita’, giudicata nella sua identità e specificità» .
Per quanto riguarda, poi, il piano soggettivo, va evidenziato che i giudizi lavoristici si distinguono dagli altri giudizi civili anche perché hanno sempre ad oggetto una vicenda umana relativa ad un soggetto c.d. debole, qual è il lavoratore , e che può essere anche particolarmente toccante dal punto di vista umano.
Pertanto, l’impatto emotivo che, come detto, la costruzione dei fatti è inevitabilmente destinata ad avere su ogni giudice può essere ancora maggiore rispetto al giudice del lavoro, perché alcune ricerche hanno dimostrato che i magistrati chiamati a valutare con frequenza fattispecie che involgono vicende umane anche toccanti, relative a soggetti “deboli”, anziché sviluppare una maggiore capacità di distacco possono con il tempo subire più degli altri un «coinvolgimento emotivo» .
Del resto, la possibilità che il giudice del lavoro sia esposto più degli altri giudici civili alla influenza delle emozioni, è conseguenza anche della oralità che caratterizza il processo del lavoro, oltre che del contatto diretto con le parti che tale processo impone fin dalla prima udienza. Anche tali caratteristiche del rito del lavoro possono, infatti, determinare il rischio di un maggiore coinvolgimento emotivo, perché le ricerche dimostrano che questo viene suscitato in maggior grado dal contatto visivo .
V’è, poi, un’ulteriore ragione per la quale la costruzione dei fatti assume particolare rilevanza nel processo del lavoro.
Va, infatti, considerato che nella generalità dei casi i giudici del lavoro hanno una conoscenza approfondita delle norme che devono applicare, anche perché quali giudici specializzati sono chiamati quotidianamente ad applicarle in un numero di controversie di gran lunga superiore a quello che ciascun singolo avvocato ha la possibilità di seguire e trattare personalmente.
Pertanto, nella maggior parte dei casi e salve rarissime eccezioni l’avvocato troverà un giudice del lavoro che, se non per i suoi studi personali, quanto meno per la sua pratica quotidiana si sarà già formato un’opinione sulla corretta interpretazione delle norme che deve applicare.
Né tale particolare condizione del giudice del lavoro è impedita dalle riforme che, soprattutto negli ultimi anni, costantemente mutano anche per aspetti molto rilevanti la disciplina delle materie giuslavoristiche, perché la straordinaria vivacità e la ricchezza dell’immediato dibattito dottrinale che accompagna ogni riforma fa sì che le diverse questioni relative all’interpretazione delle nuove norme vengano tutte discusse e chiarite con largo anticipo rispetto al momento in cui i giudici devono applicare quelle norme per decidere una controversia.
Peraltro, a quel dibattito partecipano spesso autorevoli magistrati, così che anche il dialogo circolare fra i giudici e la dottrina che conduce alla sistemazione delle nuove norme finisce per realizzarsi anch’esso in anticipo rispetto al momento in cui gli avvocati possono invocare in giudizio l’applicazione della nuova disciplina.
Anche per tali ragioni, la circostanza che il giudice del lavoro è chiamato ad applicare quotidianamente, in un numero considerevole di controversie, le stesse norme di legge, riduce grandemente la possibilità di catturare la sua attenzione con discorsi che abbiano ad oggetto l’interpretazione astratta di quelle norme, sulle quali la sua mente sarà già stata chiamata a soffermarsi innumerevoli volte in precedenti occasioni anche quando si tratti di norme introdotte da una recente riforma.
Pertanto, se pure è vero che anche nel processo del lavoro il difensore dovrà anzitutto presentare la soluzione favorevole al suo cliente come quella che è imposta dalla legge , l’avvocato che indugiasse in maniera eccessiva sulle questioni di diritto rischierebbe di non aiutare il giudice ad adottare una giusta decisione , tenendo anche conto del carico di lavoro che ogni giorno un magistrato è costretto inevitabilmente ad affrontare .
Si comprende quindi come l’avvocato giuslavorista debba concentrare la sua attenzione soprattutto sulla narrazione dei fatti se vuole accrescere le sue possibilità di convincere il giudice della bontà delle ragioni del suo cliente.
Ed infatti, da un lato, la mente dei giudici del lavoro è, per i motivi ai quali sopra è stato fatto cenno, una mente allenata, che ha già «ragionato in passato» , così che essi sono generalmente in grado di individuare la soluzione giuridica della controversia anche soltanto sulla base della conoscenza delle circostanze di fatto oggetto di causa e senza alcuna necessità di dover attendere anche l’esposizione da parte degli avvocati delle contrapposte ragioni di diritto.
D’altro lato, e soprattutto, è con la narrazione dei fatti di causa che l’avvocato potrà ottenere l’assenso del giudice sulla giustizia della soluzione richiesta rispetto alle particolari circostanze del caso concreto , così che anche per tale ragione quella narrazione è destinata ad assumere un’importanza fondamentale ai fini della decisione della causa .
Né deve ritenersi che la validità di tali affermazioni sia limitata ai due gradi del giudizio di merito, posto che la mente dei giudici di legittimità è, anche per l’esperienza maturata, allenata in sommo grado e che la funzione di nomofilachia non impedisce certo a giudici così esperti la considerazione dei profili di giustizia del caso concreto anche quando non sono chiamati a decidere la causa nel merito .
Per tutte le ragioni che precedono, l’avvocato giuslavorista, avendo a che fare con giudici che, anche per la loro cultura e sensibilità, sono particolarmente attenti ai fatti, dovrà dunque avere soprattutto cura di illustrare in maniera adeguata tutti gli aspetti fattuali della vicenda oggetto del giudizio necessari a convincere e persuadere il giudice della bontà delle ragioni del suo cliente.

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