TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

 

1. La non tassatività dei s.p.e. e il “bilanciamento dinamico” nella complessità sociale.

Come autorevolmente sostenuto, la l. n. 146 del 1990 segna “il passaggio dal diritto al conflitto al governo concertato del conflitto” e, sotto altro profilo, “dall’età dei diritti a quella del bilanciamento” , il quale serve ad evitare che i diritti costituzionali vengano svuotati del loro contenuto essenziale.
Questi, infatti, devono essere garantiti solo nel loro contenuto essenziale e non nella loro piena godibilità, giacché, viceversa, si assisterebbe al primato di un diritto sull’altro senza alcun contemperamento .
Da qui la necessità di un “terzo attore”, “un organismo specializzato super partes” nel conflitto insito alle relazioni industriali, che sia dotato degli strumenti legali idonei a ridurre al massimo grado i vulneranti effetti delle astensioni collettive sulla collettività.
Orbene, si è usato l’espressione “ridurre al massimo grado..” poiché una corretta utilizzazione della tecnica del bilanciamento non può, se non per incidens, portare al perfetto azzeramento di qualsivoglia disagio in costanza di sciopero (nel qual caso si sfocerebbe nella condizione di protèrvia di un diritto costituzionalmente garantito sull’altro ).
Di talché, la Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali è lo strumento tecnico (ma con attribuzioni di respiro politico-costituzionale) al quale il legislatore nel ‘90 ha ritenuto di poter rimettere il bilanciamento tra il diritto di sciopero e le prestazioni minime necessarie alla salvaguardia dei valori fondamentali della persona, che vanno dalla salute alla giustizia, dall’approvvigionamento energetico alla usufruizione del patrimonio storico-artistico, ma anche della libertà di circolazione, dell’assistenza, dell’istruzione e degli asili nido, della libertà di comunicazione e d’informazione radiotelevisiva .
Il presupposto logico-giuridico su cui si fonda il bilanciamento degli interessi, ed, in ultima analisi, anche la ragion d’essere dell’istituzione di un’apposita Autorità di garanzia, è nel concetto che, anche in una società complessa come l’attuale, sia sempre possibile individuare tra i servizi quelli che debbono conservare la necessaria efficienza- e che sono poi quelli essenziali- e quelli suscettibili di essere sospesi o ridotti .
Bisogni sociali che, tuttavia, come a più riprese affermato dal Giudice delle leggi, sono equiordinati in una società complessa come quella attuale .
Essa, per via delle attribuzioni di varia natura di cui è dotata, tende naturalmente a ricoprire una funzione di “guida nella definizione dei comportamenti delle parti” , nonché di fondamentale “collegamento tra l’ordinamento statuale e l’ordinamento intersindacale” .
A tal proposito, basti tener presente il recente dato delle appena 18 aperture di procedimenti di valutazione da parte della Commissione per l’anno 2019, a fronte dell’esercizio, avvenuto 345 volte, del proprio potere di segnalazione preventiva .
Ebbene, essa è tutt’oggi un punto di riferimento per le parti sociali, una “guida nella definizione dei comportamenti delle parti” , grazie essenzialmente al sapiente utilizzo della moral suasion, nelle sue varie forme, nonché del potere di regolamentazione provvisoria .
Del resto sarebbe anche solo impossibile immaginare, oggi, la reviviscenza del precario equilibrio venutosi a creare ante l’entrata in vigore della l. n. 146 e dunque in assenza dell’Authority stessa.
Anche perché, come di recente ribadito dal Professor G. Pino , oltre ai bisogni della collettività e alle caratteristiche delle organizzazioni sindacali, a mutare definitivamente è stato finanche il tessuto produttivo del Paese: con conseguente accentuazione della cd. “terziarizzazione del conflitto” .
Sicché, la funzione “interpretativa”, lato sensu considerata, rappresenta l’attribuzione più significativa di cui è dotata la Commissione di garanzia .
Essa si dipana in una serie di attività, che vanno ben oltre quelle espressamente “nominate” dal legislatore, particolarmente incisive sul governo del conflitto collettivo .
Difatti, l’Autorità garante ha la competenza ad “esprimere il proprio giudizio sulle questioni interpretative o applicative del contenuto degli accordi” sulle prestazioni indispensabili, ai sensi dell’art. 13, lettera b), ed è abilitata a compiere tutta una serie di valutazioni di ampio respiro afferenti il più ampio tema del bilanciamento tra diritti costituzionali.
Quest’ultimo -sulla scia degli orientamenti cristalizzati nella giurisprudenza “creativa” della Corte costituzionale successiva agli anni ‘50 - inevitabilmente finisce per sfociare in un bilanciamento dinamico sensibile ad una pluralità di fattori socio-economici.
Chiarito ciò, ai diritti della persona costituzionalmente tutelati, tassativamente indicati al primo comma dell’art. 1 della l. n. 146/1990, segue una lista esemplificativa dei servizi pubblici essenziali funzionalmente connessi al loro concreto esercizio .
A tal proposito, l’inciso “in particolare nei seguenti servizi” non sembra lasciare alcun dubbio interpretativo circa il carattere esemplificativo dell’elencazione, aperta, dunque, al possibile ampliamento per effetto della “regolazione pluralista” : del legislatore, delle parti sociali o della Commissione di garanzia (che può ritenere “essenziali” servizi “innominati” dalla fonte eteronoma).
Si può richiamare, quindi, quell’orientamento dottrinale secondo il quale il legislatore, nel novellare il citato art.1, abbia optato per una tecnica cd. “composita”, designando, dapprima, il vulnus dei diritti da tutelare ed, in seguito, una esemplificazione dei più importanti servizi pubblici essenziali direttamente connessi al loro esercizio .
Quest’ultimi, teologicamente orientati alla tutela dei diritti tassativamente individuati, rendono il contemperamento “dinamico” e mutevole in relazione all’evoluzione del modelli organizzativi del lavoro e dei bisogni sociali nonché delle peculiarità del caso concreto da risolvere.
Una discrezionalità che porta alla risoluzione del contrasto tra beni di rilievo costituzionale, formalmente (e di fatto) non ordinati dal legislatore in un rapporto gerarchico, e che sono via via considerati in relazione ad un determinato conflitto collettivo.
Si tratta dunque di una discrezionalità sia cd. “pura” (giacché la normativa non predetermina in modo completo tutti i comportamenti dell’amministrazione), sia “tecnica” che spetta alla Commissione e che si sostanzia in un’attività di giudizio a contenuto specifico : essa è chiamata ad esprimersi su fatti complessi che non possono essere giudicati come “esistenti” o “inesistenti”.
L’accertamento da compiersi per il bilanciamento degli interessi, pertanto, lascia inevitabilmente spazio a valutazioni di ampio respiro ancorché limitate da fini ricavabili direttamente o indirettamente dalla carta costituzionale.
Una certa dottrina, a ragion veduta, ha parlato di discrezionalità “politico-costituzionale” per differenziale l’agire dall’Autorità garante per gli scioperi dal più tradizionale e diffuso modello di amministrazione burocratica .

2. L’attività “interpretativa” della Commissione di garanzia ai tempi del Covid-19

Si è detto dell’ampia discrezionalità cd. “politico-costituzionale”, ancorché tecnica-amministrativa, della Commissione di garanzia nell’effettuare il contemperamento dinamico, tra interessi e diritti, affidatogli dal legislatore sin dalla prima stesura della L. n. 146/1990.
Nel compiere questa sua attribuzione, generalmente, ci si avvale di una certa istruttoria contraddistinta, in prevalenza, dal dialogo con le Parti sociali di volta in volta interessate.
Tanto più che la fonte negoziale è indubbiamente quella a cui demanda la legge e la Costituzione nell’istituzionalizzazione consensuale del conflitto .
Tuttavia, la recente emergenza epidemiologica da Covid-19 ha imposto, dall’oggi al domani, nuove valutazioni di contemperamento a 360° in tutti i settori economico-sociali del Paese.
Sicché, forse per la prima volta sin dalla sua istituzionalizzazione, la Commissione di garanzia ha dovuto confrontarsi con una certa “frenesia” indotta principalmente dalla compresenza di due fattori:
- l’esiguità del tempo di “cognizione e risposta”, in ragione del fatto che l’emergenza (soprattutto durante il periodo di lockdown) è stata così diffusa e improvvisa da non lasciare materialmente il tempo di acquisire dati, conoscenza e consapevolezza in modo approfondito;
- una repentina rimodulazione tra diritti costituzionali con conseguente forte limitazione di quelli fondamentali, situazione quasi del tutto sconosciuta anche al nostro ordinamento positivo (ad eccezione delle residuali ipotesi dello “stato di guerra” con conferimento dei pieni poteri al Governo, di cui all’art. 78 Cost., o alla nozione di “eventi emergenziali” contenuta nel “codice della protezione civile”, di cui all’art. 7 del D.lgs. n. 1/2018).
In ragione di ciò si può sostenere che il contemperamento sia stato, al contempo, “dinamico” e “frenetico”.
Inevitabilmente, infatti, la Commissione ha dovuto operare in un anomalo status quo contraddistinto da forti limitazioni ai diritti fondamentali per effetto di una pluralità di fonti testé abilitate a farlo (decreti legge, D.P.C.M., decreti ministeriali ed ordinanze regionali e comunali).
Sennonché, i reiterati inviti (“fermo invito”) del Garante a non effettuare astensioni collettive rivolto “a tutte le Organizzazioni sindacali ed alle Associazioni professionali…al fine di evitare ulteriore aggravio alle Istituzioni coinvolte nell’attività di prevenzione e contenimento della diffusione del virus”, almeno in un primo momento dell’emergenza, ha colpito tutti gli addetti a qualunque titolo impiegati nei servizi già ritenuti essenziali.
In questo contesto e per un limitato lasso temporale (ovvero durante i 69 giorni di “lockdown”, dal 10 al 18 maggio 2020), alcuni servizi sono inaspettatamente diventati forse essenziali, mentre contemporaneamente altri perdevano questa accezione (ad esempio il servizio ristorazione negli aeroporti o l’attività di custodia e portierato presso gli Istituti universitari).
Difatti, nel corso della cd. “Fase 1”, la necessità di promuovere efficaci sistemi di distanziamento sociale di massa ha comportato che il commercio tradizionale -ad eccezione della vendita al dettaglio di generi alimentari- abbia bruscamente lasciato il posto all’e-commerce.
Cambio di passo consentito anche grazie all’incessante lavoro etero-organizzato assicurato dagli addetti al “food delivery” ovvero i cd. “Riders”, oltre che dal “tradizionale” trasporto dei pacchi (a tal proposito, è nota l’annosa e complessa querelle circa l’essenzialità, o meno, del servizio offerto dalla SDA Express Courier, società attiva tanto nella consegna dei pacchi legati all’ e-commerce, quanto nella consegna dei cd. “pacchi universali”).
Di contro, in un periodo -come l’attuale- contraddistinto dalla prudente apertura di tutte le attività commerciali, l’essenzialità di simili “protagonisti” del comparto logistica viene nuovamente a comprimersi.
In questo contesto di “frenetico dinamismo” opera la Commissione, sempre meno come “cinghia di trasmissione verticale tra le decisioni dello Stato apparato e la società” giacché essa è chiamata sempre più a ricoprire le vesti di “organo di garanzia politico-costituzionale di istanze che provengono dal basso e dagli ordinamenti settoriali” .
A ben vedere, mentre i servizi improvvisamente non più essenziali rimangono comunque connotati dalla loro qualifica, si deve ritenere che la nozione di servizio pubblico essenziale –seppur per periodi temporali limitati- sia destinata, per effetto di un possibile intervento amministrativo, ad un necessario ulteriore ampliamento con relativa estensione dell’efficacia soggettiva delle norme di riferimento in tema di sciopero .

3. Lo sciopero ai tempi del Coronavirus: i reiterati inviti del Garante a non effettuare astensioni collettive.

“I diritti fondamentali si pongono a presidio della vita, che in nessuna sua manifestazione può essere attratta nel mondo delle merci” .
Le parole del noto giurista, se rilette alla luce dell’emergenza sanitaria pandemica da Covid-19, rendono ancor più evidente quale sia l’importanza dell’opera svolta dalla Commissione di garanzia per gli scioperi dal momento in cui sarebbe facile cadere nella tentazione di teorizzare un divieto generalizzato del diritto di sciopero.
In altri termini, il diritto di sciopero “va usato con accuratezza, non abolito” perché il lavoratore non è una merce e, specie in un momento così drammatico per il Paese, la sua protesta è comprensibile e non andrebbe soffocata ad oltranza.
Per perseguire tale finalità, tra le attribuzioni della Commissione di garanzia spicca il cd. “potere di influenza”, che si concretizza in un’efficace azione di moral suasion verso una condotta leale ed onesta degli affair esercitato anche con le cd. “Delibere di invito”.
Di talché, sin dai primi istanti dell’emergenza sanitaria l’Autorità garante, soprattutto grazie all’autorevolezza che la contraddistingue nel panorama delle relazioni industriali, ha posto in essere una pressante azione di persuasione dei comportamenti dei sindacati o dei soggetti gestori dei servizi pubblici essenziali.
Andando con ordine, il 24 febbraio 2020, il Garante, preso atto dello stato di emergenza sanitaria proclamato dal Governo sul territorio nazionale, ha rivolto “un fermo invito a tutte le Organizzazioni sindacali ed alle Associazioni professionali affinché non vengano effettuate astensioni collettive dal 25 febbraio al 31 marzo 2020, al fine di evitare ulteriore aggravio alle Istituzioni coinvolte nell’attività di prevenzione e contenimento della diffusione del virus”.
Conseguentemente, il 28 febbraio è stata emessa una Delibera di invito, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera d, della Legge n. 146 del 1990, per la “sospensione” degli scioperi generali proclamati per il successivo 9 marzo 2020 da Usi, Usb, Cub, Unicobas, Usi-Ci .
Di contro, nei confronti delle aziende e delle amministrazioni erogatrici di servizi pubblici, è stato rivolto “un fermo invito ad osservare scrupolosamente quanto previsto dai richiamati provvedimenti governativi, dal momento che eventuali blocchi totali dei servizi (ad esempio trasporto pubblico), non in linea con detti provvedimenti, possono comportare l’aggravamento dell’attuale situazione emergenziale, oltreché essere oggetto di valutazione di questa Autorità” .
Quest’ultimo invito è stato, poi, reiterato in riferimento allo stato di agitazione sindacale del comparto “igiene ambientale” con un “forte appello al senso di responsabilità” rivolto a sindacati, aziende ed enti pubblici circa la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nonché al rispetto degli accordi economici assunti .
Inoltre, sul differente versante delle astensioni collettive dei lavoratori autonomi circa le medesime preoccupazioni in tema di salute e sicurezza, si segnala la mancata celebrazione delle udienze da parte dei magistrati, che dallo scorso 1° dicembre hanno interessato il Tribunale di Palermo con conseguente invito del Garante al rispetto delle norme della legge n. 146/1990: “tutti i soggetti coinvolti hanno condiviso l’impegno per il futuro a svolgere ogni forma di protesta, che si concretizzi in astensioni collettive idonee a provocare una riduzione o disorganizzazione del servizio essenziale, nel rigoroso rispetto della Legge n. 146 del 1990….nell’apprezzare l’impegno da tutti assunto, la Commissione riconosce che l’emergenza pandemica ha contribuito ad aggravare le condizioni di precarietà, fragilità, difficoltà, insicurezza in cui versano molte categorie di lavoratori autonomi tra cui quella dei giudici di pace, magistrati e vice procuratori onorari” .
Non solo, un monito è stato lanciato anche circa i ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni nella “catena degli appalti” e, dunque, sulla necessità che siano liquidate le “necessarie risorse economiche” alle appaltatrici per “poter adottare ogni misura di tutela e continuare a svolgere il servizio”.
Nel medesimo settore, si segnala anche la richiesta alle OO.SS. proclamanti, di una riduzione della durata dello sciopero del 20 aprile, alla luce dell’esito dei chiarimenti richiesti all’azienda municipalizzata per la raccolta dei rifiuti di Roma circa l’asserito mancato rispetto del protocollo nazionale ed aziendale sulle misure per la prevenzione e contrasto del Covid-19 sui luoghi di lavoro .
Un’azione di conciliazione tra le parti, quest’ultima, che probabilmente ha inciso sulla successiva revoca completa dell’astensione proclamata.
Inoltre la moral suasion, unitamente all’opera dell’Esecutivo, ha permesso di scongiurare la chiusura degli impianti di distribuzione del carburante, annunciata per il 25 marzo e poi ritirata .
Sennonché, l’opera di persuasione non si è diretta unicamente nei confronti dei soggetti collettivi, portatori di interessi propri ed in conflitto.
Ebbene, sul ritardo degli emolumenti dei lavoratori e sul rischio di aggravamento del conflitto la Commissione, a fine giugno, ha inviato una missiva ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio, raccogliendo, così, “il grido di allarme” delle Organizzazioni sindacali dei trasporti: “I ritardi nell’erogazione delle retribuzioni, o integrazioni, a categorie di lavoratori particolarmente deboli sotto il profilo contrattuale ed economico-sociale – spesso dovuti ad inerzia delle Amministrazioni – costituiscono la principale causa di insorgenza e di aggravamento del conflitto collettivo…appare fondamentale rappresentare l’esigenza di sollecitare tutte le iniziative coordinate e tempestive a tutela dei lavoratori che subiscono - in taluni casi drammaticamente - gli effetti della crisi in atto”.
Quest’ultimi temi, unitamente ai timori circa una nuova stagione di conflitti come conseguenza della ricaduta occupazionale dell’epidemia da Covid-19, sono stati al centro dell’audizione del Garante presso la Commissione Lavoro del Senato del 2 luglio.
In conseguenza di ciò, la risposta del Garante, innanzi alla descritta “possibile recrudescenza del conflitto collettivo”, non può essere affidata unicamente alla logica della repressione, neanche mascherata dalla reiterazione ad libitum e sine die “dell’invito a non scioperare sino al...”.
Occorre, quindi, fuoriuscire dall’ottica emergenziale per affidarsi nuovamente alla strada maestra del contemperamento degli interessi, tornando a governare il conflitto “affinché si svolga nell’ambito di regole legali e contrattuali adeguate ai mutamenti sociali ed economici” .
E ciò soprattutto perché gli scioperi sembrano tutti direttamente, o indirettamente, connessi con il timore dei lavoratori di esposizione a contagio da coronavirus o con i ritardi nella corresponsione del trattamento retributivo.
La pervicace opera di moral suasion, posta in essere dall’Autorità garante per gli scioperi nei s.p.e. durante l’intero periodo emergenziale, mostra che essa si dipana nei confronti di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel conflitto collettivo e nella sua governance.
E ciò al fine di sollecitare opportune riflessioni e stimolare un costante dialogo, senza dover necessariamente concludere nel senso di un generalizzato invito al differimento degli scioperi.
Non da ultimo, si consideri che in relazione agli scioperi proclamati dai sindacati autonomi nel comparto scuola, del 24 e 25 settembre 2020, la Commissione ha pubblicato i dati di adesione alle astensioni degli stessi soggetti sindacali posti in essere tra il febbraio 2019 e l’agosto 2020 (con una punta partecipativa di appena l’1,84% dei lavoratori interessati).
E’ evidente che una pratica simile possa annoverarsi tra le modalità con cui si può esercitare in concreto pressione: si può ritenere infatti che si sia voluto “lanciare un messaggio” alle istituzioni scolastiche circa la capacità di aggregare consenso dei sindacati pronti allo sciopero e delle relative azioni di risposta- nella speranza che quest’ultime siano congrue e non eccessive- di chi ha la responsabilità degli studenti.
In conclusione, ci si sente di aderire a quell’impostazione metodologica, prima ancora che concettuale, secondo la quale “il diritto non crea lo sciopero ma lo riconosce, lo delimita e lo limita” , perché qualunque diritto soggettivo può essere certamente assoggettato ad una modalità di esercizio.
Ed anzi, pur volendo fugare con decisione qualsivoglia dubbio circa la “sacralità del diritto di sciopero” , l’emergenza epidemiologica in atto dimostra che l’imposizione di limiti che siano al passo della realtà odierna, in settori peculiari per il carattere altamente vulnerante degli scioperi sulla quotidianità dei cittadini, rientra nell’ottica di quella “civilizzazione del conflitto” , tratto distintivo dei positivi effetti della legge 146 sul mondo delle relazioni industriali.

 

4 I “gravi eventi lesivi della sicurezza dei lavoratori” di cui all’art. 2, comma 7, l. n. 146/1990 e il mancato rispetto del Protocollo, nazionale o aziendale che sia, per il contrasto al Covid-19 negli ambienti di lavoro

La drammaticità dei fatti connessi con la diffusione del Covid-19 ha riacceso il dibattito sulla possibilità, ex art. 2, comma 7, l. n. 146 del 1990, di sfuggire alle regole vigenti in materia di preavviso e di indicazione della durata dello sciopero (solo ed unicamente queste ), per le astensioni “in difesa dell'ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori”.
Invero, si tratta di un rivolo della normativa di riferimento mai del tutto esplorato a fondo da dottrina e giurisprudenza e che, potenzialmente, può avere un impatto dirompente sulle vite dei cittadini-utenti.
Uno sciopero improvviso e sine dies ad quem, infatti, può amplificare il normale impatto vulnerante dello sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Ciò nonostante, le conseguenze dell’emergenza pandemica sul mondo del lavoro impongono delle riflessioni ad hoc, che non possono prescindere dalla comprensione dell’umano timore verso un virus silenzioso, subdolo e virulento dalle conseguenze devastanti anche sulle “gravissime condizioni economiche in cui vertono i lavoratori”.
In particolare, è opportuno chiedersi se questo stato di cose possa legittimare, come a più riprese già registratosi, la proclamazione di astensioni collettive senza il rispetto dei termini di preavviso minimo e di indicazione della loro durata massima.
E’ possibile ritenere che le forme di protesta organizzata dei lavoratori ruotino essenzialmente attorno a due macro-motivi intrinsecamente connessi con il virus:
-paura per un possibile contagio, anche in ragione delle mancanze quantitative e/o qualitative dei d.p.i. a disposizione;
-ritardo nei pagamenti e licenziamenti a catena successivi allo sblocco di quelli economici .
Questi motivi devono essere comunque considerati –rectius: bilanciati- anche in riferimento al fatto che lo sciopero senza preavviso aggrava ulteriormente il già notevole disagio degli utenti, causato dalle nuove forme di organizzazione e offerta al pubblico dei servizi essenziali (con conseguenti attese, ritardi e rigide modalità di prenotazione delle prestazioni).
Orbene, mentre la prima delle fattispecie (difesa dell’ordine costituzionale) ha contorni ben definiti , la seconda (gravi eventi lesivi dell’incolumità dei lavoratori) può presentare qualche difficoltà perché non è semplice stabilire se una situazione possa essere considerata talmente grave da giustificare uno sciopero senza preavviso.
Occorre dunque iniziare una disamina pratica di casi reali o altamente possibili.
Anzitutto, nessun dubbio ci si sente di esprimere qualora lo sciopero riguardi motivazioni afferenti alla macro area del “ritardo nei pagamenti e licenziamenti a catena successivi allo sblocco di quelli economici”: gli esimenti di cui al comma 7 dell’art. 2 non potrebbero comunque essere invocati.
E ciò, in quanto:
- si esclude la sussistenza dei “gravi eventi lesivi” ogniqualvolta l’astensione dal lavoro sia motivata da ragioni di tutela dei diritti retributivi .
D’altronde, riguardando il diritto fondamentale e costituzionalmente garantito dei lavoratori ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, ci si troverebbe fuori da entrambe le esimenti legali;
-anche se lo sciopero fosse diretto contro un imminente o già perpetrato “licenziamento di massa” in difesa del diritto costituzionale al lavoro (ante o post blocco dei licenziamenti per g.m.o.), ovvero contro ritardi nella concessione di ammortizzatori sociali , comunque, non potrebbe invocarsi la condizione della “difesa dell’ordine costituzionale”, dal momento che questa tutela solo i cardini del suo assetto (e non qualsiasi diritto riconosciuto dalla Costituzione).
Parimenti, dicasi per i “gravi eventi lesivi..” giacché difetterebbero i connotati tipici dell’immediatezza dell’evento e del verificarsi di accadimenti che mettano fisicamente a repentaglio la sicurezza e l’integrità dei lavoratori .
Discorso ben più articolato per quanto concerne eventuali motivazioni rientranti nella macro area della “paura per un possibile contagio, anche in ragione delle mancanze quantitative e/o qualitative dei d.p.i. a disposizione”.
In tal caso, inevitabilmente, l’indagine della Commissione deve essere condotta caso per caso, facendo riferimento a concreti dati fattuali allegati o richiesti in via interlocutoria alle parti in conflitto.
Sicché, il timore andrebbe circostanziato non potendosi limitare ad eccepire generiche ragioni riguardanti carenze strutturali e/o di equipaggiamento prevenzionistico, ovvero la presenza di focolai, ad esempio, in città o siti produttivi limitrofi.
Ebbene, lo sciopero deve essere, semmai, unico e limitato all’evento dannoso dal quale trae origine , nonché avvenire nell’immediatezza dello stesso (contagio).
E’ la situazione che potrebbe ritenersi sussistente, ad esempio, nel caso paventato dalle O.S. di riferimento per l’azienda RAI, ove si lamentava un “concreto pericolo derivante dalla presenza di focolaio di contagio presso il reparto montatori news di Milano” (pos. 612/2020).
Diversamente, la Delibera 20/89, del 15 luglio 2020, sullo sciopero generale illegittimamente posto in essere il 25 marzo 2020 dall’Unione Sindacale di Base – USB.
In quest’ultimo caso, infatti, vi era stato il mancato rispetto dei termini di preavviso facendo leva sull’art.2, comma 7, della L. 146/1990, in base ad una motivazione che, tuttavia, era poco più che un generico richiamo all’emergenza epidemiologica in atto.
In particolare, si è avuto modo di ricordare che non possa “ritenersi sufficiente il generico richiamo all’emergenza epidemiologica in atto; richiamo, peraltro, che, nel caso di uno sciopero generale (che per sua natura coinvolge tutte le categorie del lavoro pubblico e privato) risulta completamente disancorato da specifiche situazioni lavorative; è necessario, piuttosto, dimostrare la ricorrenza di una concreta e oggettiva situazione di pericolo per la salute e per l’incolumità dei lavoratori affinché possa considerarsi integrato il presupposto richiesto dalla suddetta fattispecie (nel documento di proclamazione non vi è alcun riferimento a concreti eventi lesivi)”.
Ne consegue che “i gravi eventi lesivi dell’incolumità dei lavoratori” potranno essere ritenuti sussistenti solo nel caso in cui sia sufficientemente eccepito ed allegato:
-il mancato rispetto di protocolli nazionali, regionali o finanche aziendali, anche sotto il profilo della giusta consegna di d.p.i., da cui deriva un pericolo reale ed imminente;
-un improvviso focolaio presente in azienda.
Atri eventi e carenze strutturali (una tale situazione protrattasi nel tempo, dunque, non può essere ritenuta “evento” ovvero “accadimento” ), per quanto gravi e comprensibilmente preoccupanti, difficilmente possono essere in grado di integrare i requisiti necessari per la configurabilità delle esimenti normative.
Ciò sempre che non vi sia un improvviso focolaio in azienda, il quale, peraltro, potrebbe giustificare l’astensione improvvisa purché “caratterizzata da una certa immediatezza, motivata, appunto, dalla impellente necessità di difendere l’ordine costituzionale, o l’incolumità dei lavoratori da gravi eventi lesivi” .
Si segnala che il Tribunale di Roma , ha ritenuto infondato il ricorso proposto dalla Confederazione sindacale USB per l’annullamento della Delibera 20/89 con cui la Commissione ha sanzionato il comportamento sindacale in relazione alla proclamazione dello sciopero generale del 25 marzo 2020.
Il Giudice, infatti, aderendo all’interpretazione offerta dal Garante, ha ritenuto non provata la sussistenza di uno specifico e concreto grave evento lesivo dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori essendosi limitato il Sindacato USB a generiche asserzioni di una “mera situazione di pericolo astratto” e di un rischio generico legato alla circolazione del virus, non supportate dalla dimostrazione di accadimenti concreti riguardanti una o più realtà produttive interessate dallo sciopero e del rapporto di causalità con la mancata adozione, da parte di imprese e amministrazioni, di misure preventive e protettive atte a tutelare la salute dei lavoratori .

 

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