TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Premessa: il caso Genova.

L’ospedale policlinico San Martino di Genova si è ritrovato con diversi infermieri, circa 15, che hanno rifiutato di sottoporsi al vaccino anti-covid predisposto per essi.
Con unica missiva, la direzione dell’ospedale ha chiesto lumi e direttive al dipartimento salute servizi sociali della regione Liguria, nonché alla sede Inail territoriale, chiedendo se e quali provvedimenti debbano essere adottati nei confronti di quei lavoratori che non abbiano aderito al piano vaccinale anti-covid. Nella missiva si fa notare che da una parte non vi è un obbligo di legge per l’obbligatorietà di tale profilassi anti-covid, dall’altra che vi sono molteplici profili che riguardano la responsabilità del datore di lavoro e dello stesso personale infermieristico, di carattere civilistico, deontologico o altro.
Non risulta che la Regione abbia risposto.
Ha risposto l’Inail, per gli aspetti previdenziali. La sede territoriale ha investito la sede centrale dell’Istituto, da una parte limitando il quesito agli aspetti assicurativi propri della tutela Inail, dall’altra estendendolo ad ulteriori categorie professionali, quali la pubblica sicurezza, trasporti, scuola.
Successivamente ha risposto anche il legislatore, con il decreto-legge 1 aprile 2021 n. 44, il cui articolo 4 ha imposto l’obbligo di vaccinazione al personale sanitario.

2. La risposta dell’Inail.

L’Inail, in persona della Direzione centrale rapporto assicurativo, con nota del 1° marzo 2021, ha affermato che gli infermieri che rifiutino il vaccino hanno diritto a tutte le prestazioni previdenziali, sulla base di tre argomenti:
-l’ azione dell’Istituto è soggetta solo alla legge, costituita dall’art. 65 del testo unico 1124, il quale dà rilevanza solo al dolo dell’assicurato, sì che la colpa nella causazione dell’infortunio non ne esclude la indennizzabilità;
-non sussiste nella specie il rischio elettivo, perché manca quel carattere di arbitrarietà o abnormità che secondo la giurisprudenza di legittimità caratterizza appunto il rischio elettivo;
-non sussiste allo stato un obbligo di legge a vaccinarsi, perché tale non può essere considerato l’art. 279 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il quale sancisce l’obbligo per il solo datore di lavoro di mettere a disposizione vaccini efficaci.
Il percorso argomentativo e le conclusioni dell’Inail meritano qualche riflessione.
Esaminiamo partitamente i diversi argomenti.

3. L’Inail ed il sistema normativo.

L’art. 65 t.u. 1124/1965 esclude il diritto a qualsiasi prestazione nel caso che l’infortunato abbia simulato l’infortunio o abbia dolosamente aggravato le sue conseguenze. La norma si riferisce ovviamente al sistema di tutela esistente al tempo, limitato ai soli infortuni nell’atto lavorativo, e rispecchia la tipologia elusiva praticata allora, tributaria degli atti di automutilazione del periodo bellico.
Questo è il dato della legge, cui l’Inail intende attenersi.
Ma sappiamo che la legge, invocata dall’Inail, è solo lo scheletro, immanente nel dato testuale, ma che si evolve nel tempo come sistema normativo. Per dirla con Paolo Grossi, costituisce una imprescindibile opzione metodologica recuperare la dimensione storica e sociale del diritto, perché mai lo Stato o le sue leggi sarebbero capaci di esprimere tutta la complessità e la ricchezza della società . E c’è sempre la nostra Antigone , la Carta costituzionale, che veglia, ispira e orienta la interpretazione delle leggi, con i suoi doveri inderogabili di solidarietà sociale (art. 2) e di tutela dell’interesse collettivo alla salute (art. 32). Si possono ricordare anche alcuni principi cardine elaborati dalla Corte di legittimità, come il rispetto del minimo etico, costituito nel nostro caso, appunto, dal valore costituzionale della salute collettiva , da cui deriva che il diritto del singolo non può essere esercitato in modo da ledere la salute degli altri.
Il sistema di tutela infortunistica costituisce un esempio mirabile di creazione circolare del diritto, con il concorso di molteplici fattori, sociali e istituzionali: il foro e la dottrina, nel loro ruolo a monte di impulso ed ispirazione della giurisprudenza, ed in quello a valle di interpretazione ed applicazione; la giurisprudenza, che, in tale contesto, ha offerto strumenti concettuali potenti in snodi fondamentali del sistema: il principio di parità di tutela a parità di rischio; il rischio zero nelle macchine elettriche, che ha fatto esplodere l’area delle attività protette, in quanto nessuna attività oggi si svolge senza l’ausilio di un computer; il valore esemplificativo di norme prima ritenute tassative, con il conseguente ampliamento della platea delle persone tutelate ; il movimento corporeo e l’infezione di agenti biologici come causa violenta; l’esigenza di trovare una soluzione attuativa dell’art. 38 “senza condizioni” “nel sistema nel suo complesso”, come si esprime Cass. 1048/2018 sul nuovo infortunio successivo al consolidamento dei postumi. E in questo processo di definizione del sistema di tutela l’Inail, lungi dall’essere mero esecutore di formule testuali, è stato un attore di primo piano, con numerosi strumenti, di cui possiamo ricordare solo alcuni: le circolari e istruzioni operative con cui, in pronto recepimento dei dictamina delle Alte Corti, ha esteso a casi analoghi i principi da esse enunciati nella fattispecie sottoposta a giudizio; è il caso, ad es., degli animatori turistici, cui ha esteso il nuovo concetto di causa violenta, inclusiva del movimento corporeo, enucleato dalla Corte costituzionale a proposito dei ballerini e tersicorei; le circolari con cui ha integrato e dettagliato precetti di legge generici ; in alcuni limitati casi, enunciazione di principi difformi da quelli della giurisprudenza, più coerenti con le finalità di tutela del sistema ; i diversi suggerimenti interpretativi in tema di infortunio in itinere, in punto di deviazioni, interruzioni, bicicletta come mezzo necessitato, luogo di inizio ed estensione della nozione di iter; oppure per gli insegnanti ed alunni, estendendo la nozione di esercitazioni pratiche alle esercitazioni ginnastiche, attività agonistiche e sportive, attività ludico motorie nelle scuole materne, insegnamento con ausili didattici elettronici, insegnanti di sostegno, accompagnatori in gita scolastica, e simili ; l’inclusione tra le persone tutelate di nuove categorie professionali, attraverso l’azione di pretese contributive per situazioni in bilico, poi avallate dalla giurisprudenza; la scelta di non impugnare sentenze di merito sfavorevoli, così contribuendo ad ampliare il raggio d’azione nel caso singolo, ma altresì creando il precedente della res iudicata ; la stessa azione amministrativa, che costituisce la prima linea di intervento dello Stato sociale, e con le sue prassi contribuisce anche essa a creare il diritto. Ultimo esempio: la circolare 13/2020 e gli atti con essa coerenti, con cui ha dettato una disciplina compiuta dell’occasione di lavoro nella infezione pandemica in corso, attraverso una scala presuntiva di rischio categoriale, disciplina originale e più ampia di quella dei Paesi circostanti ; circolare che ha costituito l’unica fonte regolatrice del rischio di contagio nei vari ambienti lavorativi . La mappatura del rischio di contagio così effettuata dall’Inail ha una valenza oggettiva con riflessi normativi che travalicano i confini del campo previdenziale: a causa della modalità interpersonale e bidirezionale di trasmissione del virus, detta mappatura gradua il rischio di contagio per le diverse categorie di lavoratori, ma altresì il rischio che costoro contaggino altre persone, colleghi e terzi, che vengano a contatto con lui in ragione della sua prestazione lavorativa, sicché a questa mappatura bisogna rivolgersi quando si parla di obbligo di prevenzione a carico dei lavoratori, che potrebbe arrivare anche all’obbligo di vaccino.
L’Inail è quindi dotato dei poteri e della capacità di interpretazione e di indirizzo. Peraltro la legge gli ha affidato compiti generali di contrasto alla infezione pandemica, al di là delle storiche competenze in favore degli assicurati, quale soggetto attuatore degli interventi di protezione civile . Per questo l’ospedale genovese, non sapendo a che santo votarsi, si è rivolto supplice a tale Istituto, nel vuoto di direttive e di responsabilità.

4. Come fu che un rischio pandemico divenne rischio lavorativo.

Il covid 19 costituisce una infezione pandemica, e cioè un rischio generico di tutta la popolazione, come tale sottratto alla tutela infortunistica. Questa è la summa divisio dell’art. 2 t.u. 1165: la malaria è esclusa dalla tutela in quanto rischio generico, mentre la infezione carbonchiosa è inclusa perché tipica di determinati ambienti lavorativi .
La chiave di volta per l’inclusione delle malattie infettive nella occasione di lavoro è dunque la nozione di rischio generico aggravato da un fattore attinente al lavoro. E questa nozione è alla base della scala presuntiva di rischio covid elaborata dall’Inail con la circolare 13/2020 citata.

5. Il dolo: dolo specifico e dolo generico.

L’Inail si appella all’art. 65 t.u. 1124. Dobbiamo menzionare anche l’art. 11, comma 3, medesimo t.u., il quale, a sua volta, faculta l’Istituto assicuratore ad esercitare l’azione di regresso contro l’infortunato, ove il dolo sia accertato con sentenza penale o, in caso di morte o di amnistia, nelle forme civili. Coerenza interna di sistema impone di ritenere che il dolo dell’art. 11 è inteso nello stesso senso dell’art. 65, e cioè come dolo specifico, seguendo la definizione dell’art. 43 c.p., e cioè quando l’ agente prevede e vuole l’evento come conseguenza della propria azione od omissione.
Sono quindi esclusi i comportamenti connotati dalla mera coscienza e volontà del fatto materiale, c.d. dolo generico (es. rimozione volontaria di misure di sicurezza) .
In tal modo il dolo del lavoratore può comprendere sia atti sulla propria persona (autolesionismo, più frequenti nel regime del r.d. 31 gennaio 1904, n. 51, che prevedeva la liquidazione in capitale) sia adempimenti amministrativi (simulazione di infortunio, falsa denuncia di un incidente stradale come infortunio in itinere, e simili, tuttora possibili).
Di fatto non risulta giurisprudenza che escluda la tutela di un infortunio per dolo dell’autore.
È stato osservato che l’art. 65 esclude l’indennizzabilità in radice anche di un infortunio effettivamente occorso, ma del quale l’infortunato abbia dolosamente aggravato le conseguenze; ragioni sistematiche avrebbero dovuto escludere l’indennizzabilità delle sole conseguenze dirette dell’aggravamento, facendo salve quelle dell’infortunio effettivamente occorso; la giustificazione di tale scelta drastica del legislatore viene individuata nel giudizio etico su una condotta particolarmente riprovevole . Vi è infatti una dimensione etica nell’ordinamento, non solo penale .

6. La colpa: colpa generica, specifica, cosciente, con previsione.

L’art. 43 c. p. distingue la colpa a causa di negligenza o imprudenza o imperizia (colpa generica) da quella per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica).
E’ ovvio che nessuna rilevanza può avere la colpa per imprudenza (spesso conseguente all’acquisita familiarità con gli strumenti e le situazioni di lavoro), perché l’assicurazione obbligatoria è sorta proprio per coprire anche e soprattutto gli infortuni accidentali, quale portato in un certo senso naturale dell’attività produttiva del tempo.
Nella nozione di colpa è compresa anche la colpa grave quale sarebbe quella di un lavoratore che lavori ad una macchina priva dei congegni di sicurezza , o anche la consapevole inosservanza delle direttive datoriali per l’esecuzione del lavoro, o di uno specifico ordine di servizio .
In conclusione la colpa del lavoratore, anche esclusiva, o il suo concorso di colpa nella causazione dell’infortunio sul lavoro, non esclude la indennizzabilità di quest’ultimo, né si riflette in una corrispondente riduzione dell’indennizzo .

7. Oltre il dolo e la colpa: i rischi elettivi. La nozione di rischio elettivo nel processo produttivo.

Le categorie fin qui viste dei vari gradi di dolo e di colpa non esauriscono i criteri per decidere se un atto compiuto durante l’attività protetta sia meritevole o meno di indennizzo. Vi sono infatti degli atti che per il loro movente e per la loro divergenza dai processi lavorativi normali creano un rischio ulteriore, per scelta del lavoratore, che non merita di essere tutelato, e per questo dottrina e giurisprudenza lo hanno chiamato rischio elettivo; una nozione che ubbidisce a criteri compositi diversi, e che non si deve identificare con il massimo grado della colpa.
Con formula ormai consolidata e tralaticia, la giurisprudenza di legittimità individua il rischio elettivo attraverso il concorso simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti: a) vi deve essere non solo un atto volontario, ma altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali (il che esclude le iniziative, pur incongrue, motivate da finalità produttive); c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe assoggettato, sicché l’evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa .
L’Istituto assicuratore circoscrive il rischio elettivo a due soli casi:
 a) quando l’evento si verifichi nel corso dello svolgimento di un’attività che non ha alcun legame funzionale con la prestazione lavorativa o con le esigenze lavorative dettate dal datore di lavoro;
 b) o l’evento sia riconducibile a scelte personali del lavoratore, irragionevoli e prive di alcun collegamento con la prestazione lavorativa tali da esporlo a un rischio determinato esclusivamente da tali scelte .
Nella giurisprudenza di legittimità più recente, esso viene configurato come l’unico limite che esclude la occasione di lavoro.
La casistica aiuta a capire il concetto.
Casi in cui è stato affermato il rischio elettivo, e quindi l’esclusione della tutela, passati al vaglio della giurisprudenza, e riferiti dalla dottrina: quello del lavoratore che, per mera curiosità, penetri in una cabina elettrica il cui accesso sia palesemente inibito agli inesperti; quello del muratore che si sporga dal cornicione estremo di un fabbricato su cui lavora, per cogliere una nidiata di uccelli; quello del bracciante che, di propria iniziativa e senza alcuna ragione utile, monti su di una trebbiatrice ferma nell’aia, e, pur essendo ignaro, si provi ad azionarne il motore; quello del boscaiolo che si attacchi, per scendere a valle, a quel semplice e rudimentale gancio metallico con cui si fanno scivolare lungo un cavo di acciaio (filovia « a sbalzo ») le fascine di legna dai monti; quello dello sterratore che rinvenga, scavando in una zona già teatro di guerra, un proiettile inesploso e, pur avendolo riconosciuto come tale, anziché lasciarlo sul posto ed avvisarne le autorità, si ponga, per curiosità morbosa, a batterlo o a svitarlo per ricavarne, in proprio vantaggio, materiale da scoppio .
In altri casi la giurisprudenza ha escluso il rischio elettivo, pur in presenza di un atto anomalo, perché finalizzato all’attività produttiva, e quindi privo del requisito della arbitrarietà .
La qualificazione di una condotta del lavoratore come abnorme è diversa al fine di escludere la responsabilità penale del datore di lavoro, ed al fine di configurare il rischio elettivo: la manovra inappropriata per far ripartire un macchinario inceppato, con introduzione della mano negli organi in movimento, può escludere la responsabilità penale del datore di lavoro , ma non configurare rischio elettivo.
Tutto quel che si è predicato finora in tema di dolo, colpa e rischio elettivo si riferisce agli atti posti in essere nell’ambito dell’attività protetta, che incidono sulla sicurezza del lavoratore.
Diversa la valutazione per gli stati in cui il lavoratore si sia volontariamente posto, che riducano la sua capacità di attenzione ed aumentino per questo motivo il rischio di infortunio, quale l’ubriachezza, nei quali l’indennizzabilità è esclusa, anche come riflesso dei principi elaborati in sede penale (art. 92 c.p.) .
E l’esempio della ubriachezza ci introduce ad una diversa nozione di rischio elettivo, che sarà esaminato al par. successivo.

8. Il rischio elettivo negli infortuni in itinere.

Recependo gli approdi della giurisprudenza di legittimità, l’art. 2, comma 3, ultima parte, t.u. 1124, aggiunto dall’art. 12 d.lgs. 38/2000, estende la tutela infortunistica anche agli infortuni in itinere; nel far ciò, esclude dalla tutela gli infortuni cagionati direttamente dall’abuso di alcoolici, di psicofarmaci, o dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni; nonché in caso di guida senza patente .
Nella disposizione si rinvengono due distinte tipologie di comportamenti colposi che integrano il rischio elettivo: la colpa generica nel porsi volontariamente in uno stato di menomata e alterata attenzione; la colpa specifica della inosservanza di una norma del codice della strada.
Quindi è già nella legge una diversa e più rigorosa valutazione dell’elemento soggettivo negli infortuni in itinere, che ha consentito alla dottrina che per prima si è occupata dell’argomento , di dedurre che il rischio elettivo nell’infortunio in itinere ha connotati diversi rispetto all’attività lavorativa diretta.
Mentre l’art. 2, comma 1, testo unico 1124, menziona l’occasione di lavoro senza ulteriori specificazioni, per individuare gli eventi che nell’ambito dell’attività protetta rientrano nella tutela , consentendo con tale ampia formula il processo interpretativo che ha compreso in tale nozione, nella concezione attuale, tutti i rischi attinenti alla condizione lavorativa, il terzo comma, aggiunto dall’art. 12, consapevole di tale elaborazione, ha circondato l’estensione della tutela all’iter casa-lavoro con diverse precauzioni, ad iniziare dal percorso normale, le quali, costituendo dei rischi ulteriori disfunzionali alle ragioni della tutela ed assunti volontariamente dall’assicurato, sono denominati dalla giurisprudenza relativa rischio elettivo.
Non tutto quello che avviene durante l’ iter è in occasione di lavoro .
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che il rischio elettivo nell’ infortunio in itinere deve essere valutato con maggiore rigore rispetto a quello che si verifichi nel corso della attività lavorativa diretta, in quanto comprende comportamenti del lavoratore infortunato di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza. Ne consegue che la violazione di norme fondamentali del codice della strada (o di altre norme di legge, regolamentari, o di comune prudenza) può integrare un aggravamento del rischio tutelato talmente esorbitante dalle finalità di tutela da escludere la stessa .
In applicazione di tale principio la Corte di legittimità ha dichiarato il rischio elettivo, e quindi l’esclusione della tutela, in caso, ovviamente, di guida senza patente , ma anche di guida con patente diversa da quella prescritta per il veicolo condotto ; nonché per la violazione di altre norme fondamentali del codice della strada, come il percorrere spazi interdetti al traffico privato , o il sorpasso vietato .
La fattispecie di guida senza patente esalta la differenza nella nozione di rischio elettivo nell’attività produttiva e nell’infortunio in itinere. Se un lavoratore si infortuna in cantiere nel guidare un mezzo per il quali sia richiesta apposita patente, senza esserne in possesso, non è dubbio che l’evento debba essere ammesso a tutela, per la sua connessione con i fini produttivi; opposta la valutazione legislativa in caso di infortunio in itinere.
Rileva anche la violazione di norme diverse da quelle del codice della strada .
Tali arresti giurisprudenziali implicano un valore esemplificativo dell’art. 12.
Infine il rischio elettivo può sussistere anche in atti di per sé assolutamente leciti, ma che aggravano il rischio dell’ iter, come la scelta del percorso o la sosta al bar .
Perché questa differente valutazione del rischio elettivo nell’attività produttiva e nell’infortunio in itinere? Perché l’infortunio avvenuto a seguito della rimozione dolosa dei congegni di sicurezza di una macchina rientra nella tutela, ed il sorpasso azzardato costituisce invece rischio elettivo e la esclude? La Corte risponde: perché l’evento è esorbitante dalle finalità di tutela. Occorre quindi individuare la finalità di tutela, con due spiegazioni, una di sistema, l’altra di struttura. Nel rischio elettivo durante l’attività lavorativa vera e propria (comprensiva di tutte le categorie di rischio sopra accennate), siamo nel cuore delle ragioni dell’intervento dello Stato sociale a protezione del lavoro; la protezione dell’ infortunio in itinere nella circolazione stradale invece costituisce una derivazione ancillare, a cerchi concentrici, del rischio originariamente protetto, con un rapporto più labile con esso, e per questo definita diversamente, già nel diritto pretorio da cui è gradualmente germinata, e negli stessi termini conservata dal legislatore del 2000 con il famoso art. 55 lett. u) citato a nota 25.
Certo si tratta di una posizione indubbiamente etica, ma questa trova fondamento ordinamentale: non tutti gli atteggiamenti pretensivi dei cittadini (per usare la terminologia della Corte successivamente citata) nei confronti dello Stato sociale sono legittimi, solo quelli più strettamente legati alle ragioni dell’intervento dello Stato stesso. E tra queste non vi è il sorpasso azzardato.
Quanto alla struttura, nell’infortunio in itinere manca un ingrediente essenziale della ricetta riportata al par. 7, la destinazione dell’atto a fini produttivi specifici, che è quello che salva la volontaria rimozione dei congegni di protezione dalla qualificazione di rischio elettivo. Nell’ infortunio in itinere l’ingrediente della formula tralaticia - destinazione a fini produttivi - va sostituito con la destinazione ai fini propri di questa forma di tutela, e cioè il percorso normale abitazione-luogo di lavoro. E’ questo requisito che la maggior parte delle sentenze riportate esclude nelle fattispecie esaminate, affermando che ricorre il rischio elettivo e conseguentemente escludendo la tutela infortunistica.
Infine si tratta di fattori di rischio estranei al processo produttivo ed ai poteri di controllo del datore di lavoro, e pertanto giustamente la Tariffa dei premi approvata con d.m. 12.12.2000 ha disposto (art. 9) che un infortunio del genere non incida sul tasso specifico aziendale, ai fini della determinazione del premio a carico del datore di lavoro , disposizione ripresa poi dall’art. 42 l. 27/2020 ed applicata al rischio pandemico, stante la medesima ratio di estraneità a condotte datoriali.

9. Il rischio elettivo nelle infezioni pandemiche.

L’ultimo argomento dell’Inail è che non esiste un obbligo di legge. L’impiego di tale argomento implica che diversa potrebbe essere la valutazione, se tale obbligo ci fosse.
L’obbligo ora c’è, introdotto dal decreto-legge 1 aprile 2021 n. 44, con cui il legislatore ha risposto allo smarrimento degli operatori, e alle pressioni sempre più forti dell’opinione pubblica, espresse dai mezzi di informazione, imponendo, all’art. 4, un obbligo di vaccinazione per il personale sanitario, latamente inteso , peraltro in un solco consolidato di vaccinazioni obbligatorie , che ha superato il vaglio di costituzionalità e della Corte Europea dei diritti dell’uomo .
Il decreto articola le conseguenze del rifiuto sulla base della sua giustificatezza (art. 4, commi 10 e 11): i liberi professionisti che abbiano controindicazioni mediche possono proseguire la propria attività adottando le migliori precauzioni; i lavoratori dipendenti, se giustificati, vanno adibiti a mansioni anche diverse con conservazione della retribuzione; i dipendenti non giustificati vanno adibiti a mansioni diverse, anche inferiori, con retribuzione corrispondente alle nuove mansioni; in mancanza di mansioni sicure sospensione dal lavoro senza retribuzione.
Questa disciplina è molto importante, perché contiene un giudizio di valore sul rifiuto di vaccino.
Essa inoltre, non prevedendo sanzioni di carattere amministrativo o penale per il rifiuto, costituisce un argomento a favore della tesi che qualifica la vaccinazione come un onere e non un obbligo .
Se nonostante il divieto di legge il soggetto continua a lavorare senza essere vaccinato? Occorrerà distinguere: se per imposizione del datore di lavoro, vi sarà un nesso con l’attività lavorativa che potrebbe discriminarlo; se per propria libera iniziativa (pensiamo ai professionisti ed lavoratori autonomi inclusi tra le persone obbligate al vaccino) non ci pare dubbio che sussista un rischio elettivo per l’aggravamento del rischio pandemico contro una espressa disposizione di legge, per motivi personali valutati negativamente dall’ordinamento.
E siccome l’Inail prende posizione sulla interpretazione dell’art 279 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 escludendone una valenza obbligatoria per i lavoratori, e siccome il problema si pone per i lavoratori non menzionati dal decreto-legge 44, anche noi dobbiamo accennare, brevemente per quanto possibile, alla questione.
La tesi che l’art. 279 disponga un obbligo di vaccinazione non solo per il datore di lavoro, ma anche per i lavoratori, è stata sostenuta per primi da Guariniello e Ichino . Allo stesso risultato sono pervenuti altri Autori con percorsi in parte diversi .
A questa tesi è stato obiettato che la libertà di cura, e quindi la libertà di non vaccinarsi, è presidiata dall’art. 32 della costituzione, e che pertanto la riserva di legge del comma 2, secondo cui nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, può essere attuata solo con un intervento legislativo statale esplicito in tal senso, come ha fatto il decreto legge. Qualsiasi tentativo di conciliare i contrapposti interessi - l’obbligo del datore di lavoro di assicurare la massima sicurezza possibile e la libertà di cura del lavoratore - attraverso il ricorso alle norme ordinarie costituirebbe un aggiramento surrettizio ed inammissibile del santuario dell’art. 32. In definitiva la volontà insindacabile dell’individuo di non vaccinarsi prevale su qualsiasi altro diritto o obbligo previsto dalle norme ordinarie a favore o a carico di altri membri della comunità .
A noi sembra che questo orientamento sia affetto da una duplice illusione cognitiva, per usare la felice espressione di Fabrizio Amendola citato a nota 10: che la libertà di cura, in quanto presidiata dall’art. 32 Cost., prevalga sull’obbligazione di sicurezza prevista da norme ordinarie; che un diritto assoluto, quale la libertà di cura, non debba tener conto dei diritti (eventualmente assoluti) degli altri soggetti collidenti con il primo.
Sul primo punto è sufficiente ricordare che la salute e sicurezza sul lavoro è presidiata da plurime norme costituzionali, tra cui proprio l’art. 32, ed è utile ricordare altresì i principi che la Corte costituzionale ha enunciato sulla portata di tale norma costituzionale, anche in relazione al rapporto di lavoro. Essi sono:
-il precetto dell’art. 32 non si esaurisce nella tutela di posizioni attive pretensive, ma postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura, e quindi di vaccinarsi o meno) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività , e quindi implica il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui e gli interessi essenziali della comunità;
-da questo contemperamento dei diritti alla salute di ciascun individuo deriva la legittimità di un onere a carico del lavoratore di accertamenti sanitari preventivi per poter svolgere determinate attività, che il legislatore deve imporre, nella forma o dell’obbligo o della raccomandazione .
Sulla seconda illusione cognitiva, ci pare che l’art. 32 tuteli la libertà individuale di cura, fatti salvi sempre i diritti dei terzi. Per dirla in parole povere, l’art. 32 tutela in maniera incondizionata la libertà individuale di cura alla Welby, non la scelta di por fine alla propria vita aprendo il rubinetto del gas o dando fuoco alla casa ed al condominio; in tutti i casi in cui la decisione del singolo interferisce con altri soggetti, occorre procedere ad un bilanciamento dei dati valoriali e delle relative norme di presidio, secondo un principio di responsabilità individuale.
Da quanto precede molti autorevoli studiosi deducono che nel sistema della salute e sicurezza sul lavoro esista già una trama normativa che impone l’obbligo di vaccinazione per i lavoratori che possano trasmettere il virus a terzi. La violazione di tale obbligo di legge costituisce, a nostro avviso, un aggravamento del rischio di contagio per motivi del tutto personali, apprezzati negativamente dall’ordinamento, nel che risiede il rischio elettivo, che esclude la tutela infortunistica.
Infine l’Inail parifica la mancata vaccinazione alla mancata adozione dei dispositivi di protezione individuale: comportamenti egualmente colposi e, come tali, egualmente coperti dalla tutela previdenziale.
Tale comparazione non tiene conto della diversa dimensione e direzione del rischio, nonché dell’ampiezza degli obblighi del lavoratore nei confronti degli altri soggetti: con la mancata adozione dei DPI, il lavoratore crea un rischio per la propria persona nell’atto lavorativo; con la mancata vaccinazione, crea un rischio ambientale che ricade su tutte le persone in esso presenti, e della cui salute e sicurezza il lavoratore è responsabile a norma dell’art. 20 t.u. sicurezza, rischio ineluttabile contro il quale il datore, pur obbligato ad eliminarlo, sarebbe impotente (secondo le posizioni che si criticano). Dimensione del rischio che non può non riflettersi anche sulla valutazione della giustificatezza della volontà che lo ha generato e valere nel test di proporzionalità.
Conclude l’Inail: infermieri vaccinati e non vaccinati pari sono, ed hanno egualmente diritto alle prestazioni indennitarie.
Non è esattamente così. I lavoratori vaccinati non si infettano (salvo casi eccezionali), non danno perciò luogo alle prestazioni previdenziali relative, e non gravano sul bilancio dell’Inail. I lavoratori non vaccinati sono quelli che hanno maggiori probabilità di infettarsi, usufruire delle prestazioni sociali, gravare sul bilancio dell’Inail e sugli oneri contributivi ed i costi dei datori di lavoro (anche senza la oscillazione del tasso). L’effetto paradossale della direttiva è di premiare i non vaccinati, come se rifiutare un vaccino raccomandato fosse un valore ed un merito, contro il monito fatto proprio da un insigne giurista, secondo cui la disciplina della vaccinazione non deve essere premiante per coloro che la rifiutano .
È una scelta, perciò si chiama rischio elettivo.

10. Conclusioni.

In conclusione noi riteniamo l’indirizzo dell’Inail in esame non condivisibile perché: -la nozione di rischio elettivo adottata per giustificare la copertura previdenziale degli infermieri che rifiutino il vaccino non è pertinente, perché elaborata dalla giurisprudenza di legittimità per gli atti compiuti nell’ambito lavorativo; -per i rischi estranei a tale ambito, come l’infortunio in itinere, la legge (art. 12 d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38) e la relativa giurisprudenza adottano una nozione molto più rigorosa, che esclude dalla copertura tutti i comportamenti non coerenti con l’oggetto specifico della tutela, costituito dal percorso normale casa-lavoro, illustrati al par. 8;
-a maggior ragione tale criterio di rigore deve essere adottato per il rischio pandemico, rispetto al quale i lavoratori godono di una tutela privilegiata, e contro il quale l’intero Paese è chiamato a combattere. Nel bilanciamento dei contrapposti interessi tutelati dall’articolo 32 della costituzione, il diritto di non vaccinarsi per proprie convinzioni personali deve cedere di fronte all’interesse generale e al diritto alla salute ed alla vita degli altri cittadini che vengano a contatto con i primi. Per dirla con le parole della Cassazione “la ratio solidaristica che informa il sistema della sicurezza sociale impone una lettura delle disposizioni normative che valorizzi l’adempimento di quei doveri inderogabili che sono richiesti ai singoli quale presupposto indefettibile per la tutela dei loro diritti, a norma dell’art. 2 della costituzione” .

 

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