Testo integrale con note e bibliografia

Testo del protocollo Amazon

1. Riflessioni introduttive
Lo sviluppo delle nuove tecnologie sta ponendo all’attenzione dei giuslavoristi innovative problematiche sul fronte del ruolo esercitato nelle relazioni industriali e dei sindacati . L’introduzione di strumenti di analisi, controllo e gestione dei rapporti mediante l’implementazione algoritmica, sta spingendo l’evoluzione del rapporto di lavoro verso un imponente rafforzamento della figura datoriale. Tale fenomenologia è tanto più marcata quando se ne osserva l’applicazione dell’ambito di grandi colossi del settore hi tech o dell’e-commerce. Tant’è vero che lo sviluppo di algoritmi, talvolta anche predittivi, permette inquietanti poteri di controllo che, applicati nel rapporto di lavoro, possono generare forti squilibri di potere.
Non può neppure tacersi che, l’inserimento di sistemi efficienti di behavioural advertising , stanno realizzando un forte impatto sulle dinamiche connesse al mercato del lavoro, trasformandolo in modo sostanziale.
Ed invero, questi strumenti permettono di profilare l’operatività dei lavoratori, registrarne le attività ed influenzare le scelte esercitate dal datore di lavoro. Quest’ultimo, in tale ottica, diviene quasi un mero esecutore di scelte aziendali createsi sulla scorta dei report emessi dagli strumenti informatici. Distorcendo, di fatto, la reale percezione del lavoratore e svilendo ogni eventuale interazione umana. Il tutto senza tralasciare che l’algoritmo potrebbe generare una valutazione falsata a causa di una inadeguata programmazione ovvero per l’uso di modelli carenti dal punto di vista dei dati analizzati. Argomento sul quale torneremo più oltre.
All’interno del modello economico ora tratteggiato, il ruolo del sindacato diviene cruciale per garantire la salvaguardia dei diritti del lavoratore. Specie tenendo a mente che, come osservato dal presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali “il digitale ha dimostrato di poter essere al servizio dell'uomo, ma non senza un prezzo di cui bisogna avere consapevolezza: l'accentramento progressivo, in capo alle piattaforme, di un potere che non è più soltanto economico, ma anche - e sempre più - performativo, sociale, persino decisionale. Un potere che si innerva nelle strutture economico-sociali, fino a permeare quel 'caporalato digitale' rispetto ai lavoratori della gig economy, protagonisti del primo sciopero contro l'algoritmo: gli 'invisibili digitali', come da taluno sono stati definiti”.
Dunque, l’innovatività dall’e-commerce, richiede uno sforzo ulteriore per garantire la protezione dei lavoratori, ivi inclusi coloro che operano nell’indotto come i rider.
Sull’argomento si pensi al recente sciopero di quest’ultimi che, sotto la coordinazione di Assodelivery, il 5 ottobre 2022 si sono riuniti a Firenze protestando contro la “dittatura algoritmica” che impone loro di essere veloci e, talvolta, di rischiare la vita, per soddisfare il ranking dell’algoritmo.

2. Il ruolo del sindacato nell'era digitale
Dinnanzi alle sfide ora accennate s’impone il dovere di tutelare i lavoratori e di sperimentare nuovi strumenti idonei a raggiungere gli obbiettivi prefissati dal sindacato.
Si badi che l’intento non può neppure essere circoscritto ad un mero rimedio passivo ma, al contrario, deve essere un intervento sindacale propositivo. Ovvero deve mirare a sviluppare quelle potenzialità che la rivoluzione digitale può favorire e che devono essere interiorizzate dal sindacato.
Il punto di partenza è di mantenere, e se possibile incrementare, il livello di rappresentatività dei lavoratori tramite il sindacato, onde legittimarne la forza e, dunque, garantire la possibilità di elevare le condizioni di lavoro.
Sull’argomento parte della dottrina ha evidenziato che occorre muoversi verso una sperimentazione di forme organizzative circolari in quanto, l’economia digitale, si presta a strutture di cooperazione orizzontale .
La primaria difficoltà sindacale è legata alle modalità operative utilizzate per raggiungere il singolo lavoratore delle piattaforme di e-commerce. Infatti, il lavoro realizzato con operatività esterna all’azienda, come nel caso dei rider e del lavoro agile, permette di eseguire le mansioni in teorica autonomi ma, in realtà, rafforza il disorientamento del lavoratore dalle tematiche sociali e sindacali, generando quello che taluni hanno definito il c.d. lavoro liquido .
Sicché diventa interessante ricordare che “Fra la generazione che conserva parte rilevante della solidità del mondo precedente, che mantiene ancora una condizione di relativa sicurezza permessa dalla vischiosità del mondo passato, delle sue norme e delle sue forme, e la generazione che invece si è ritrovata liquida, mobile, flessibile ma senza protezione, scoperta, autentica” erede dei movimenti che hanno creato la società liquida.
Questo dualismo delle condizioni e delle società è ad esempio facilmente riscontrabile nel mercato del lavoro italiano (e non solo) da molti anni, tanto da spingere il giuslavorista Pietro Ichino (Inchiesta sul lavoro, Mondadori 2011) a parlare di aparthaid”.
Così diventa essenziale riuscire a sviluppare modelli di coinvolgimento sindacale innovativi anche attraverso strumenti digitali.
Second alcuni occorrerebbe “un sindacato contemporaneo, le nuove tecnologie non sono solo strumento di comunicazione ma anche la chiave per svolgere il suo tradizionale compito: organizzare i lavoratori. Questo non significa disintermediare ma anzi rendere più efficace la propria azione di rappresentanza perché la dimensione virtuale è sempre più presente nella vita delle persone e, soprattutto, è sempre più connessa con quella “reale”.
In dottrina è stato ricordato che, il lavoro agile usato nelle piattaforme di e-commerce, può nascondere l’insidia del superamento delle mansioni ripetitive, ciò si combina con la polverizzazione del tratto umano del lavoro, sempre più depersonalizzato e sottoposto a controlli esterni .
Dunque emerge la necessità di un sindacato che realizzi la propria attività seguendo alcune linee direttrici ben chiare. In primo luogo non si può prescindere dal rafforzamento dello strumento della formazione continua, intesa come mezzo per realizzare inclusività e garanzia per lo sviluppo di skills utili a mantenere il passo con l’evoluzione tecnologica .
Ulteriormente il sindacato deve occuparsi di definire l’inquadramento contrattuale del lavoratore che opera esternamente all’azienda, nonché della definizione delle mansioni specifiche del lavoratore . Tutto ciò appare ancor più marcato in riferimento all’individuazione dell’orario globale di lavoro svolto da remoto. Quest’ultimo, infatti, è spesso scollegato da orari prefissati in maniera eteronoma ponendo compressioni al diritto alla disconnessione .

3. La workforce analytics e le implicazioni della contrattazione sindacale con gli algoritmi
Appare interessante rilevare che l’avanzamento tecnologico di cui sopra ha portato allo sviluppo della c.d. workforce analytics. Quest’ultima, si basa sull’analisi di big data e sull’uso di strumenti algoritmici di analisi. La sua peculiarità, nell’ottica di una analisi giuslavoristica, si basa sul potere concesso al datore di lavoro di elaborare le decisioni di gestione delle risorse umane sulla analisi dei big data. In altre parole la workforce analytics “utilizza modelli statistici e altre tecniche per analizzare dati relativi ai lavoratori, permettendo ai leader di migliorare l’effettività delle decisioni relative alle persone e alle strategie di gestione delle risorse umane”.
Per le brevi, un sistema di profilazione dell’attività del lavoratore che permette di monitorare il dipendente in modo subliminale anche in ambiti relativi alla vita privata. Si pensi all’acquisizione di informazioni che il datore può ottenere da fonti aperte come i social network.
La questione nodale riguarda la natura e la quantità dei dati trattati dal datore di lavoro (anche con strumenti automatici) e le implicazioni che ne possono scaturire per il lavoratore. Tant’è vero che quest’ultimo può subire discriminazioni eseguite sulla base di scelte prodotte sulla base di valutazioni algoritmiche.
In siffatto contesto, i rischi che si riscontrano, sono incanalabili in tre filoni distinti. Il primo riguarda l’intrusività dei trattamento dei dati personali. Talvolta anche lecitamente acquisiti poiché resi disponibili erga homnes dagli stessi lavoratori inserendoli nei social network.
Un secondo attiene alle possibili distorsioni che possono incidere sul rapporto di lavoro. Si immagini all’acquisizione di dati, estrapolati da fonti aperte, dunque non verificati o potenzialmente non aggiornati che possono influenzare i modelli decisionali datoriali.
In terzo luogo, ma ancor più importante ai fini dell’attività esercitata dal sindacato, è il pericolo che l’uso di tali dati possa realizzare effetti discriminatori o distorsivi nella gestione del personale.
In ogni caso, allo stato dell’arte, questa pratica resta vietata, nonostante la riformata formulazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
In particolare l’interrogativo principale riguarda il comma 3 di tale articolo laddove permette che, l’utilizzabilità dei dati provenienti dai controlli preterintenzionali o dagli strumenti di lavoro “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”.
Quindi, non può escludersi che ci potrebbero essere anche attività di analisi che rientrano nelle pratiche di workforce analytics. Ad arginare questo pericolo vigono in soccorso i limiti imposti dalla disciplina del GDPR.
In ogni caso, la problematica ora riferita, mostra che questi strumenti tecnologici non sono neutri e, per l’effetto, possono condizionare le scelte aziendali esercitate sul lavoratore.
In siffatte situazioni si suole dire che il ruolo del sindacato dovrebbe essere di “contrattare con l’algoritmo” influenzandone le decisioni . In tal modo il sindacato dovrebbe determinare orari, professionalità, presenze e stabilire i carichi di lavoro. Vi è quindi l’idea di non intervenire solo ex post, attraverso forme di protezione sociale che possano alleviare situazioni di difficoltà, ma operare ex ante. Ovvero attraverso la cosiddetta contrattazione d’anticipo, con cui il sindacato partecipa alla definizione dell’organizzazione del lavoro in un’ottica di co-determinazione.
Quindi deve rimanere ferma l’intenzione di rifiutare la prospettiva di sviluppo di un determinismo tecnologico che regoli il rapporto di lavoro su modelli algoritmici.
Deve accennarsi che i processi di standardizzazione delle attività lavorative, di intensificazione dei ritmi lavorativi imposti, nonché di riconfigurazione delle gerarchie interne, stanno generando nuove problematiche sindacali. Si pensi alla diffusione di sistemi di rewarding (o sanzionatori) sul piano individuale e di monitoraggio della prestazione individuale sempre più stringenti .
Non può neppure tralasciarsi il fatto che la L. 81/2007, introduttiva del lavoro agile, non reca alcun cenno all’esercizio di diritti sindacali. Situazione che indebolisce il sindacato che opera nel settore dell’e-commerce. Anzi, appare incredibile che i lavoratori che svolgono mansioni con lavoro agile da remoto, debbano tornare fisicamente nell’unità produttiva per partecipare ad assemblee o referendum sindacali .
Taluni autori hanno messo in luce una criticità del titolo III dello Statuto dei lavoratori mostrando che, la tradizionale concezione di pensare ai diritti sindacali, come qualcosa legato agli spazi fisici (locali, bacheche, unità produttive ecc.) sia, ormai, obsoleta e limitativa .
In particolare le maggiori censure sono state rivolte all’art. 25 St. Lav. che dispone il diritto di affissione in bacheca di avvisi da parte delle R.S.A. per quanto attiene ai comunicati sindacali. Il problema emerso è che, questi spazi fisici di affissione, utili nel lavoro tradizionale, sono anacronistici e non si coniugano con i lavoratori da remoto.
Inoltre, nonostante la giurisprudenza di merito non sembri di tale avviso , l’invio di comunicazioni sindacali alla e-mail aziendale non può, certo, avere lo stesso effetto di un volantinaggio o del rapporto diretto de visu.

4. Il protocollo d'intesa sindacale di Amazon Italia del 15 settembre 2021
Ai fini della nostra trattazione è utile ricordare che Amazon Italia è stata protagonista di accordo sindacale siglato in Italia il 15 settembre 2021. In tale data, infatti, l’azienda ha sottoscritto un documento che, oltre ad aver riconosciuto un valore rilevante dei sindacati, ha prestabilito un confronto periodico fra le parti sociali. Il Protocollo fra Amazon ed i sindacati nasce dopo accesi scontri sindacali che hanno coinvolto anche il settore della logistica . La questione ha coinvolto anche sigle sindacali particolarmente agguerrite come SI Cobas e ADL Cobas, che hanno realizzato scioperi , cortei e blocchi stradali in tutt’Italia .
Si rileva che tali contestazioni sono state ancor più inasprite dall’ondata pandemica. Essa, infatti, da un lato ha stimolato una espansione del mercato dell’e-commerce, dall’altra ha inasprito lo stress sui lavoratori che si sono riuniti solle diverse sigle sindacali coalizzandosi.
Si ricorda lo sciopero del 22 marzo 2021 che, in piena pandemia, ha coinvolto migliaia di operatori generando un effetto a catena di tutta la filiera di Amazon Italia. Detto sciopero rappresenta un modello innovativo poiché è riuscito, in modo inatteso, a compattare l’azione sindacale di diversi segmenti sociali.
La forza dirompente di questa rivendicazione sindacale, nonostante le ferree resistenze datoriali, ha messo in ginocchio perfino Amazon Italia costringendola ad ammorbidire la propria posizione, da sempre, intransigente. Tant’è vero che sono stati concessi i riconoscimenti economici richiesti infruttuosamente da anni dai sindacati.
Ma vi è più poiché Amazon è stata costretta a sedersi al tavolo negoziale per ascoltare le rivendicazioni dei lavoratori.
Evento che ha avuto una rilevanza anche in ambito internazionale, benché non così marcato come ci si sarebbe aspettati .
Significativa è la sede dove è avvenuta la sottoscrizione dell’accordo sindacale. Tant’è vero che non risulta usuale, nella storia delle relazioni industriali, che un accordo del genere sia stipulato in modo quasi solenne presso il Ministero del Lavoro. Peraltro con la presenza, formalizzata anche nel testo del Protocollo, del Ministro del Lavoro in carica.
Per comprendere la portata di tutto ciò occorre analizzare il contesto. Amazon è una azienda fortemente orientata alla soddisfazione del cliente, il tutto nell’ottica di espandere il proprio core business a settori sempre più vasti. Al fine di realizzare tale crescita, la strategia aziendale ha sempre cercato di mostrare un’immagine con forti valori sociali verso il rispetto del lavoro. Motivo per cui la difesa della immagine reputazionale è l’elemento cruciale della strategia di Amazon.
L’analisi interna dei rapporti di lavoro, tuttavia, evidenzia un bassissimo livello di fidelizzazione dei dipendenti con estremizzazione del turnover. In sostanza un’imposizione di ritmi pressanti e dispotici celati dietro ad un apparente impegno sul welfare aziendale. Per le brevi una azienda che, seppur mettendo in atto tutto quanto strutturalmente necessario per mantenere una spiccata immagine sociale, gestisce i lavoratori con un modello spietato dove solo i più resistenti riescono a sopravvivere. Infatti le promozioni sono legate all’estremizzazione dell’impegno personale e del sacrificio.
Il ritratto che ne emerge è di una azienda che, al pari di altri colossi come Walmart, segue una linea basata sulla low retention HR strategy. Ovvero sulla scelta di disinteressarsi alla prosecuzione dei rapporti con i dipendenti preferendo, al contrario, un costante ricambio degli stessi. Questo meccanismo impone la necessità di un rapido percorso di formazione del dipendente che, tuttavia, culminerà con l’assegnazione a mansioni ripetitive calcolate con strumenti algoritmici calcolati sulla velocità, sulla accuratezza e sull’indicazione di orari di lavoro comunicati last minute. Quindi un sistema di turnover ben congegnato che, nell’ottica delle relazioni industriali, crea una debolezza ontologica del prestatore di lavoro. Infatti, il flusso constante in entrata ed in uscita di lavoratori, rende complessa l’attività sindacale. Spesso non vi è neppure modo di un vero e proprio confronto, soprattutto per i ritmi imposti che, spesso azzerano i rapporti sociali fra dipendenti. Il tutto sommato alla brevità del rapporto di lavoro.
Tuttavia definire Amazon solamente come un colosso del commercio elettronico è riduttivo. Infatti, circa il 70% dell’utile aziendale deriva dai servizi digitali.
Amazon è leader nelle tecnologie e nelle infrastrutture di cloud computing (Amazon Web Services), ha sviluppato una tecnologia proprietaria, sia hardware che software, per la lettura dei libri digitali (Kindle), svolge e offre servizi di Web analytics (Alexa) e ha rivoluzionato il mondo della logistica (Amazon Prime). Le attività principali degli AWS (Amazon web services) sono le vendite globali di servizi, essenzialmente su cloud computing, legati a molte attività .
È proprio grazie ai profitti derivanti dai web services che Amazon può permettersi di vendere prodotti operando praticamente ai limiti della perdita, pur riuscendo a reinvestire continuamente i dividendi.
Infine, il quadro si completa osservando che la logistica è esternalizzata.
Non è difficile fare dei paralleli con la strategia del modello di impresa taylorista per quanto riguarda l’impostazione minuziosa dei comportamenti lavorativi definiti in modo centralizzato dai tecnici aziendali. Tant’è che c’è chi parla di Amazon come di digital neo-taylorism. Nel caso delle imprese taylor-fordiste il management aveva a lungo cercato di evitare il confronto col sindacato. Analogamente Amazon cerca apertamente di resistere alle rivendicazioni dei sindacati ed alla negoziazione collettiva adottando strategie di union avoidance .
Ciò detto, il contenuto del Protocollo, pur incentrandosi sulla asserita volontà di adottare delle linee di cooperazione nell’ambito delle relazioni industriali, lascia non poche perplessità. Infatti nel Protocollo gli argomenti più rilevanti, quali il riconoscimento di un livello aziendale di contrattazione collettiva, turn-over degli addetti in somministrazione, straordinari, turni notturni e domenicali , appaiono molto sfumati. Tant’è che il testo si limita a riferire che le parti si impegnano a trattare le questioni “con metodo partecipativo connotato da sistematicità di analisi, confronto e verifica”. Sull’argomento taluni autori hanno rilevato che non si osservano indicazione sugli strumenti giuridici azionabili dalla controparte sindacale in caso di inadempimento.
Inoltre, l’accordo sindacale dovrebbe portare Amazon ad applicare, in tutti i siti produttivi italiani, il CCNL del settore Logistica, Trasporto Merci e Spedizione. Tale CCNL, oltre ad essere più confacente alle attività aziendali rispetto al CCNL Commercio (già applicato nell’hub di Piacenza sin dal primo insediamento di Amazon in Italia), comporterebbe, a quanto consta, alcuni benefici per i facchini, specie per quanto attiene al lavoro nel fine settimana. Se ne deduce che starà ai sindacati confederali il compito, non facile, di smentire le voci più critiche secondo cui, il Protocollo Amazon, rappresenterebbe solo un tentativo di accreditare organizzazioni sindacali e pubblicizzare un’idea di relazioni sindacali partecipative.

5. Cenni sul potere decisionale degli algoritmi
Rimane da analizzare una seconda questione relativa ad Amazon, ovvero l’adozione di un sistema algoritmico per l’assunzione di dipendenti. In altre parole, Amazon avrebbe utilizzato, ai fini di meglio definire la selezione dei soggetti da assumere, strumenti basati sulla I.A.
Lo scopo era riuscire a selezionare, in modo rapido ed automatizzato, i possibili candidati alle posizioni lavorative aperte in Amazon. Come si è già avuto modo di dire in precedenza, il turnover aziendale è un punto cardine della operatività del colosso dell’e-commerce ed automatizzarne i processi avrebbe giovato all’azienda (anche permettendo di creare una immagine etica della stessa).
Il meccanismo algoritmico in parola era stato predisposto sulla base una corposa quantità di dati estrapolati dai curriculum dei precedenti lavoratori assunti nel corso dell’ultimo decennio.
Sulla base di questi big data, era stato realizzato un algoritmo con capacità predittive, in grado di stimare la produttività aziendale dei candidati. Il progetto puntava ad oggettivare i metodi di selezione, ottimizzando la scelta dei candidati più idonei. Ciò avveniva grazie all’uso di keyword (parole chiave), presenti nei CV ricevuti.
Il risultato fu un metodo di selezione altamente discriminatorio e basato, non su parametri oggettivi ma, bensì, su stereotipi ed a elementi soggettivi. Infatti, l’algoritmo, era organizzato in modo da prediligere i candidati di sesso maschile e scartare, a priori, le candidate donna.
“Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science l’intelligenza artificiale può assorbire i pregiudizi più comuni, come quelli relativi al genere, alla razza, alla religione. Aylin Caliskan, Joanna Bryson e Arvind Narayanan, ricercatori del Center for Information Technology Policy dell’Università di Princeton, hanno usato un software che analizzava i testi pubblicati sul web, legando una parola al suo contesto. Il sistema ha analizzato centinaia di milioni di parole, mettendole in relazione a quelle più vicine nella frase. Interrogato sugli accostamenti di parole, il software rispondeva replicando i pregiudizi impliciti presenti online. Per esempio associava la parola donna, o ragazza, ad arte; e quella di uomo a scienza, replicando uno stereotipo diffuso. I pregiudizi del software riflettevano quelli misurati con test psicologici tra le persone. Secondo lo studio, potrebbe essere possibile correggere i pregiudizi dell’intelligenza artificiale, inserendo correttivi espliciti nel software, per esempio riguardo alla razza. Inoltre, il sistema potrebbe essere usato per studiare alcuni fenomeni, come il rapporto tra il genere e il tipo di occupazione”.
Se ne evince che l’utilizzo di sistemi algoritmici per la selezione dei dipendenti, sta inserendosi nei piani operativi delle principali società di reclutamento online. In tal maniera vengono abbinati candidati qualificati con le posizioni disponibili. Molte piattaforme, per organizzare il matching fra le posizioni disponibili e i candidati, utilizzano algoritmi di “raccomandazione” che elaborano le informazioni ricevute (sia dalle organizzazioni sia da chi cerca lavoro). Quindi redigono un elenco per ciascuno degli attori, svolgendo l’attività di ricerca, in pochi minuti se non addirittura secondi.
Tali “raccomandazioni” sarebbero basate su tre parametri: a) informazioni che l’utente fornisce direttamente alla piattaforma; b) dati assegnati all’utente in base a competenze, esperienze e interessi simili; c) dati comportamentali scaturiti dalla frequenza con cui un utente risponde ai messaggi o interagisce con gli annunci di lavoro.
Per risolvere questi problemi, LinkedIn, a partire dal 2018, ha creato una nuova intelligenza artificiale, progettata per produrre risultati più rappresentativi, attraverso l’uso separato di un algoritmo progettato per contrastare le raccomandazioni distorte verso un particolare gruppo ed assicurare una più equa distribuzione degli utenti per genere.
Monster, invece, incorpora nelle “raccomandazioni” anche dati comportamentali senza correggere i pregiudizi e, per arricchire la diversity durante la selezione, affida al team di marketing il compito di assicurare la presenza di candidati di diversa provenienza.
Tutto ciò, però, non appare sufficiente per regolamentare la questione poiché, in tale prospettiva, è importante una riflessione sindacale per analizzare se, ai sensi delle normative a tutela dei lavoratori, l’applicazione di tali sistemi non possa inasprire i sistemi discriminatori. Si badi bene che, in siffatte situazioni, la discriminazione verrebbe a monte (nella fase precontrattuale) e non a valle (nella fase di regolamentazione del rapporto lavorativo già in essere). Ergo escluderebbe gran pare dei poteri di controllo e tutela concessi a difesa del lavoratore.

 

 

 

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