Testo integrale con note e bibliografia

Testo della sentenza 18 ottobre 2022

1. L’arduo percorso della partecipazione dei lavoratori nella Società europea fino alla Corte di Giustizia.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata di recente chiamata a pronunciarsi su un argomento che per ben tre decadi ha calcato le scene delle istituzioni europee: la partecipazione dei lavoratori nella Società Europea . La disciplina di questo tema è stata caratterizzata da un elevato grado di complessità e i giudici di Lussemburgo sono stati chiamati ad affrontare proprio alcuni aspetti che già durante il lungo iter normativo hanno rappresentato questioni rilevanti e di difficile soluzione. Il percorso esegetico condotto dalla Corte va certamente considerato alla luce dell’iter legislativo europeo che è bene ripercorrere rapidamente perché, come vedremo, ha un suo rilievo nella decisione.
Il tema della partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali delle imprese fa il suo esordio nel contesto del diritto comunitario con la prima proposta di regolamento sullo Statuto di Società per azioni europea risalente al 1970 : da quel momento l’intreccio tra i due istituti diventa inscindibile nonostante le difficoltà connesse. Tuttavia, l’arduo e annoso percorso legislativo originato dalle evidenti difficoltà di disciplinare la partecipazione dei lavoratori nell’impresa attraverso un regolamento, per via della varietà di normative e di prassi presenti negli ordinamenti degli Stati membri, ha indotto il Consiglio, sul finire degli anni ottanta, a presentare una nuova proposta per la prima volta articolata in due atti normativi distinti: un regolamento per la disciplina della materia societaria e una direttiva sulla delicata materia della partecipazione dei lavoratori. La scelta di affiancare al regolamento una direttiva è sembrata la via più idonea quando ha iniziato a far breccia l’idea di lasciare agli Stati membri la facoltà di scegliere tra differenti opzioni di partecipazione il modello più rispondente alle tradizioni nazionali di relazioni industriali, anziché avere un solo modello normativo rigido di matrice tedesca, e in parte olandese, di fatto avulso rispetto a gran parte delle esperienze nazionali.
La scissione in due diverse parti del progetto originario di uno Statuto di Società Europea caratterizzato da una partecipazione forte dei lavoratori rappresenta, di fatto, uno dei compromessi che ha segnato il travagliato percorso regolativo dello Statuto di Società Europea, nel tentativo di renderne più agevole l’approvazione, attraverso modalità più flessibili di adozione da parte dei Paesi membri dell’Unione.
Questa soluzione, seppur utile dal punto di vista dell’impianto formale, venne molto criticata nei contenuti e di fatto non riuscì a porre fine all’impasse normativa. La svolta decisiva verso la conclusione del faticoso iter normativo arrivò solo nel dicembre del 1997 con il noto Rapporto Davignon, realizzato dal gruppo di esperti sull’European System of Worker Involvement costituito dalla Commissione per la gestione del dossier sulla Società Europea e presieduto da Etienne Davignon . Il Rapporto propose una possibile soluzione al blocco in essere anche sulla scorta dei risultati già raggiunti in tema di informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi transnazionali, in seguito all’emanazione della Direttiva n. 94/45 , da cui prese in prestito il metodo basato sul principio di sussidiarietà e il ruolo primario assegnato all’accordo tra partner sociali . Infatti, secondo il gruppo di esperti la direttiva collegata al regolamento sulla Società Europea avrebbe dovuto lasciare ampia discrezionalità alle parti sociali, indicando, anche in questo caso, prescrizioni minime sussidiarie come soluzione alternativa in caso di fallimento delle trattative. La soluzione proposta nel Rapporto definiva i rappresentanti dei lavoratori quali membri a pieno diritto del Consiglio di gestione o del Consiglio di vigilanza della Società Europea e riservava loro una quota di seggi pari al 20 per cento (in ogni caso almeno due). In questo modo il Gruppo Davignon lasciava la libertà di scegliere tra un sistema societario di tipo “monistico” oppure “dualistico” e placava l’annoso conflitto fra i modelli nazionali di codeterminazione, pur ribadendo al contempo il principio che la codeterminazione (o partecipazione forte secondo il modello tedesco) rappresentava un elemento costitutivo e irrinunciabile di una regolamentazione sulla Società europea, prevedendo di fatto standard minimi unitari di partecipazione.
L’accordo politico venne raggiunto nel Consiglio Europeo di Nizza del dicembre 2000, a cui l’anno successivo seguì l’approvazione del regolamento n. 2157 dell’8 ottobre 2001 sullo Statuto di Società europea, completato dalla Direttiva 2001/86/CE sulla partecipazione dei lavoratori nel quadro della Società europea .
Il compromesso della regolazione mediante due atti distinti, l’uno rigido e l’altro flessibile, non fa venir meno l’intento del legislatore comunitario di una Società europea strutturalmente vincolata a meccanismi di partecipazione dei lavoratori: numerosi sono, infatti, i rinvii tra i due atti normativi e le previsioni che assicurano l’applicazione condizionata delle due normative, come ad esempio l’entrata in vigore del regolamento contestualmente all’emanazione delle discipline nazionali di recepimento della direttiva (v. considerando n. 22 e art. 70, reg. 2157/2001) e la necessità di depositare l’accordo sulle modalità di coinvolgimento dei lavoratori al fine di poter registrare una società europea (art. 12, comma 2, reg.) .
Il regolamento accoglie le proposte del Gruppo Davignon prevedendo la possibilità di scegliere tra una struttura monista, fondata sull’organo di amministrazione, e una struttura duale che, accanto all’organo di gestione, prevede un organismo di sorveglianza con la funzione di vigilare sull’operato dell’organo amministrativo. Questa opzione però non ha alcuna ripercussione in ordine all’adozione di meccanismi di coinvolgimento dei lavoratori, la cui definizione è rimessa alla direttiva che, diversamente dal regolamento, riflette il modello procedurale proposto dal Rapporto Davignon, ma non la soluzione accessoria suggerita da quest’ultimo. Infatti, se da un lato le norme accessorie contenute nella direttiva tendono ad escludere il rischio di un peggioramento delle norme sulla partecipazione già in vigore precedentemente a livello nazionale, d’altro canto non sono più previsti diritti minimi di partecipazione, consentendo, di fatto, che una Società Europea possa costituirsi senza prevedere la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali dell’impresa nel caso in cui la nuova società venga fondata da altre società con sede in Stati membri i cui ordinamenti non prevedano alcuna forma di partecipazione dei lavoratori e non si raggiunga un accordo per via negoziale sulla partecipazione negli organi societari .

2. La struttura della Direttiva 2001/86 e il principio del prima/dopo.
La struttura della Direttiva 2001/86, come anticipato, ricalca l’impianto della direttiva sui comitati aziendali europei, in special modo per quanto concerne le procedure negoziali di attuazione delle modalità di coinvolgimento dei lavoratori, l’oggetto dei diritti di informazione e consultazione, la tutela della riservatezza, la protezione dei rappresentanti dei lavoratori e la previsione di disposizioni sussidiarie applicabili in caso di mancato accordo. In particolare, la direttiva prevede l’obbligo di convocare una delegazione speciale di negoziazione in capo agli organi competenti delle società che intendono costituire una Società Europea . Infatti, ai sensi dell’art. 3, comma 1 della direttiva, l’istituzione e la convocazione della delegazione speciale di negoziazione deve avvenire “non appena possibile dopo la pubblicazione del progetto di fusione o creazione di una holding o dopo l’approvazione di un progetto di costituzione di un’affiliata o di trasformazione in una SE”; questo obbligo di negoziare è fondamentale poiché permette di dar vita ad una nuova forma di negoziato transnazionale volto a raggiungere un accordo sul coinvolgimento dei lavoratori, con la finalità di realizzare in via prioritaria modalità volontarie di partecipazione dei lavoratori nella Società europea, in applicazione del principio di sussidiarietà.
L’accordo deve riguardare la costituzione di un apposito organo di rappresentanza dei lavoratori o, in alternativa, prevedere una o più procedure per l’informazione e la consultazione. Sebbene si possa affermare che il nucleo inderogabile dei diritti riconosciuti dalla direttiva sia rappresentato dalla disciplina dell’informazione e consultazione è bene sottolineare che la direttiva impone, alla costituenda società europea, anche la definizione di modalità di coinvolgimento dei lavoratori intese come qualsiasi meccanismo mediante il quale i rappresentanti dei lavoratori possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere adottate nell’ambito della società (art. 2, lett. h) .
L’impianto su cui regge la direttiva, come molte direttive in materia sociale, è la previsione di un principio di non regresso in merito ai diritti di partecipazione spettanti ai lavoratori in base alle legislazioni o le prassi nazionali: si tratta del cosiddetto principio del prima/dopo contenuto in diversi considerando alla direttiva, tra cui il n. 18 recita “la garanzia dei diritti acquisiti dai lavoratori in materia di coinvolgimento nel processo decisionale delle società è un principio fondamentale e l’obiettivo esplicito della presente direttiva” . Il che significa che “i diritti dei lavoratori acquisiti prima della costituzione della SE sono alla base dell’elaborazione dei diritti di coinvolgimento degli stessi nella SE”.
Va precisato però che il principio del prima/dopo è pienamente assicurato nel caso di costituzione di una Società Europea tramite trasformazione di una preesistente società di diritto nazionale: infatti, l’art. 4, comma 4, della direttiva, in questo caso dispone che “l’accordo prevede che il coinvolgimento dei lavoratori sia in tutti i suoi elementi di livello quanto meno identico a quello che esisteva nella società da trasformare in SE”, garantendo di fatto a quei sistemi che prevedono modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese di mantenere gli stessi standard partecipativi applicati precedentemente nella società di diritto nazionale, ovvero, nel passaggio dal regime nazionale a quello europeo, di fare salvi i diritti di partecipazione acquisiti dai lavoratori. In altri termini, la direttiva, nel caso di costituzione di una Società Europea per trasformazione, prevede che le parti convengano su modalità partecipative di livello non inferiore a quelle praticate prima della trasformazione, fatte salve le possibilità di negoziare modalità che prevedano standard più elevati rispetto a quelli precedentemente applicati. Ad ogni modo, in assenza di accordo, le disposizioni di riferimento impongono che si continuino ad applicare le disposizioni nazionali vigenti in materia di partecipazione dei lavoratori, in modo da garantire la “conservazione” dei modelli nazionali.

3. Il caso SAP di fronte alla Corte di Giustizia.
La direttiva sul coinvolgimento dei lavoratori nella Società europea giunge all’attenzione della
Grande Sezione della Corte di Giustizia attraverso un domanda di pronuncia pregiudiziale posta dalla Corte Federale tedesca sull’interpretazione dell’articolo 4, comma 4, relativamente all’accordo sulle modalità di coinvolgimento dei lavoratori, presentata nell’ambito di una controversia tra due organizzazioni sindacali, la IG Metall (Industriegewerkschaft Metall) e la Ver.di (Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft), e la SAP SE, una società europea dotata di un comitato aziendale, anch’esso parte in causa .
La società SAP, prima di essere trasformata in Società Europea, aveva la forma giuridica di una società per azioni di diritto tedesco e, in conformità alla disciplina nazionale, era dotata di un consiglio di sorveglianza composto da otto membri in rappresentanza degli azionisti e otto membri in rappresentanza dei lavoratori, di cui sei erano lavoratori della società e due rappresentanti dei sindacati. Questi ultimi erano stati proposti dai sindacati rappresentati all’interno del gruppo di società cui appartiene la SAP ed erano stati eletti sulla base di una votazione distinta da quella prevista per l’elezione degli altri sei rappresentanti dei lavoratori.
Nella trasformazione della SAP in Società Europea è cambiata la composizione del consiglio di sorveglianza, che ora consta di diciotto membri, di cui nove sono rappresentanti dei lavoratori in attuazione dell’accordo sulle modalità di coinvolgimento dei lavoratori, concluso tra la SAP e la delegazione speciale di negoziazione istituita al suo interno. L’accordo prevede opportunamente le modalità di designazione dei rappresentanti dei lavoratori stabilendo che i sindacati rappresentati all’interno del gruppo cui appartiene la SAP hanno il diritto esclusivo di proporre candidati per una quota dei seggi dei rappresentanti dei lavoratori impiegati in Germania e che l’elezione di tali candidati, da parte dei lavoratori, è oggetto di una votazione distinta da quella in base alla quale vengono eletti gli altri rappresentanti. L’accordo prevede altresì norme sulla costituzione di un consiglio di sorveglianza ridotto a dodici membri di cui sei sono rappresentanti dei lavoratori. I rappresentanti dei lavoratori degli impianti tedeschi sono eletti dai lavoratori occupati in Germania, mentre i sindacati presenti all’interno del gruppo di società cui appartiene la SAP possono proporre candidati per una quota dei seggi assegnati alla Germania, ma per l’elezione di questi candidati non è prevista alcuna votazione distinta da quella in base alla quale vengono eletti gli altri rappresentati dei lavoratori.
Le organizzazioni sindacali ricorrenti nel procedimento principale hanno contestato le norme dell’accordo relative alla designazione dei rappresentanti dei lavoratori all’interno del consiglio di sorveglianza ridotto, senza alcun successo sia in primo grado che in appello, per poi proporre ricorso innanzi alla Corte federale del lavoro tedesca.
Il giudice del rinvio ritiene che in base al diritto nazionale andrebbe accolta la domanda presentata dalle organizzazioni ricorrenti nel procedimento principale di annullamento delle norme dell’accordo sul coinvolgimento relative alla designazione dei rappresentanti dei lavoratori all’interno del consiglio di sorveglianza ridotto. Tuttavia, sollevando una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia, chiede se l’articolo 4, comma 4, della direttiva 2001/86 non preveda un livello di protezione uniforme diverso e meno elevato rispetto a quello previsto dal diritto tedesco che, altrimenti, finirebbe per vincolare tutti gli Stati membri: perché se così fosse sarebbe tenuto ad interpretare la disciplina interna alla luce del diritto dell’Unione e in conformità ad esso. Il giudice del rinvio, in sostanza, chiede se l’articolo 4, comma 4, della Direttiva 2001/86 debba essere interpretato nel senso che “l’accordo sulle modalità relative al coinvolgimento dei lavoratori applicabile ad una Società Europea costituita mediante trasformazione, deve prevedere una votazione distinta al fine di eleggere, alla carica di rappresentanti dei lavoratori all’interno del consiglio di sorveglianza della SE, una determinata quota di candidati proposti dai sindacati, quando il diritto applicabile impone una siffatta votazione distinta in relazione alla composizione del consiglio di sorveglianza della società da trasformare in SE”.

3. La “giusta” interpretazione dell’articolo della Direttiva 2001/86
La Corte di Lussemburgo, prima di procedere nell’interpretazione dell’art. 4, comma 4 della direttiva in esame, richiama la costante giurisprudenza secondo la quale “nell’interpretare una disposizione del diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto del tenore letterale di quest’ultima, bensì anche del suo contesto, degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte e, se del caso, della sua genesi” .
Muovendo così dal dato letterale della norma, pone l’attenzione sulla questione che, nel caso di una Società Europea costituita mediante trasformazione, la direttiva impone che l’accordo sulle modalità di partecipazione dei lavoratori preveda “che il coinvolgimento dei lavoratori sia in tutti i suoi elementi di livello quantomeno identico a quello che esisteva nella società da trasformare in SE”. In particolare, la Corte europea si sofferma sul significato di alcune nozioni contenute nella direttiva: in primis di coinvolgimento, che la direttiva al suo articolo 2, lettera h) definisce come “qualsiasi meccanismo, ivi comprese l’informazione, la consultazione e la partecipazione, mediante il quale i rappresentanti dei lavoratori possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere adottate nell’ambito della società”; in seconda battuta, di partecipazione, che all’art. 2, lettera k) viene definita come “l’influenza dell’organo di rappresentanza dei lavoratori e/o dei rappresentanti dei lavoratori nelle attività di una società” proprio attraverso il diritto di eleggere o designare alcuni dei membri dell’organo di vigilanza o di amministrazione della società, oppure “il diritto di raccomandare la designazione di alcuni o di tutti i membri dell’organo di vigilanza o di amministrazione della società e/o di opporvisi”.
Conformemente a quanto già anticipato dalla dottrina, la Corte di Giustizia ritiene che la partecipazione sia un meccanismo mediante il quale i rappresentanti dei lavoratori possono esercitare un’influenza sui processi decisionali delle società, sia mediante il diritto di eleggere o designare alcuni dei membri degli organi di gestione, sia mediante il diritto di raccomandare tale designazione o di opporvisi. Pertanto si deve ritenere che l’espressione “tutti i suoi elementi”, contenuta nell’articolo 4, comma 4, della Direttiva 2001/86, voglia assicurare che un accordo prenda in considerazione l’insieme degli elementi che caratterizzano la modalità di partecipazione in questione, idonei a consentire all’organo di rappresentanza dei lavoratori, o ai loro rappresentanti, di esercitare un’influenza sulle attività della società quali, in particolare, le modalità di esercizio dei diritti di elezione, designazione, raccomandazione od opposizione.
In merito alla nozione di rappresentanti dei lavoratori, la Corte rileva come il legislatore europeo non abbia fornito una definizione propria, limitandosi a rinviare alle leggi e alle prassi nazionali degli Stati membri, così come è avvenuto per l’espressione “livello quantomeno identico a quello che esisteva nella società da trasformare in SE”: infatti, nella parte in cui si rimanda al livello di coinvolgimento precedentemente esistente, non si fa che rinviare all’ ordinamento dello Stato membro in cui è stabilita la sede della società. Nel caso di specie si tratta della disciplina tedesca: di conseguenza le parti firmatarie dell’accordo sul coinvolgimento dei lavoratori hanno l’onere di verificare e assicurare che il livello di coinvolgimento dei lavoratori sia quantomeno identico a quello stabilito da tale normativa, per tutti gli elementi previsti.
La Corte si sofferma poi sul contesto in cui è inserito l’art. 4, comma 4, della Direttiva 2001/86, ritenendo che avvalori l’interpretazione letterale della norma, poiché l’intenzione del legislatore, a suo avviso, era proprio quella di riservare un trattamento particolare alle Società Europee costituite mediante trasformazione al fine di garantire il mantenimento dei diritti preesistenti in materia di coinvolgimento dei lavoratori, in considerazione del maggior rischio di elusione o riduzione dei sistemi e delle prassi di partecipazione già in essere, come si evince chiaramente dal testo della direttiva a partire dal considerando n. 10. Inoltre, l’interpretazione letterale della disciplina è ulteriormente suffragata dal considerando n. 18 della direttiva, secondo il quale, come premesso, la garanzia dei diritti acquisiti dai lavoratori in materia di coinvolgimento nel processo decisionale delle società è un principio fondamentale e rappresenta al contempo l’obiettivo esplicito della normativa. Nell’interpretare il principio del prima/dopo, i giudici di Lussemburgo, a conferma dell’orientamento già in precedenza delineato , si soffermano sulla parte finale del considerando in questione, secondo il quale i diritti dei lavoratori acquisiti prima della costituzione della Società Europea devono essere alla base dell’elaborazione dei diritti di coinvolgimento degli stessi nella Società Europea, comportando di fatto che, oltre a salvaguardare il mantenimento dei diritti già acquisiti dai lavoratori nella società da trasformare, vi sia anche l’estensione di tali diritti a tutti i lavoratori della Società Europea.
La Corte, infine, a supporto della sua interpretazione “letterale, contestuale e teleologica” della norma richiama la genesi della direttiva, citando a tal fine sia il Rapporto Davignon, nella parte in cui si rileva come il regime applicabile alla Società Europea mediante trasformazione è stato il principale ostacolo nei negoziati per l’adozione della direttiva, sia le osservazione da parte del governo tedesco, in relazione al fatto che la costituzione di una Società Europea mediante trasformazione potesse comportare il rischio di una riduzione del livello di coinvolgimento dei lavoratori della società da trasformare. Pertanto, nel caso di costituzione per trasformazione, solo l’esplicito richiamo al principio del prima/dopo, enunciato nell’articolo 4, comma 4, della Direttiva 2001/86, ha consentito di sbloccare l’iter normativo da tempo in stallo fornendo adeguate garanzie ai paesi, come la Germania, che temevano la fuga dal modello tedesco di partecipazione attraverso la trasformazione in Società Europea.

4. Le conclusioni della Corte di Giustizia.
Dopo l’itinerario esegetico, appena ripercorso, la Corte Europea afferma che l’interpretazione dell’art. 4, comma 4, della Direttiva 2001/86 deve essere finalizzata a garantire che l’accordo sulle modalità di coinvolgimento dei lavoratori nella Società Europea, costituita mediante trasformazione, ricalchi esattamente la condizione preesistente di partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali dell’impresa. A tal fine, laddove nel caso di specie è previsto dal diritto tedesco che vi sia una distinta votazione dei rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza della società da trasformare, l’accordo deve prevedere una votazione distinta per eleggere una determinata quota di candidati proposti dai sindacati, quali rappresentanti dei lavoratori all’interno del consiglio di sorveglianza della Società Europea.
L’applicazione del principio del prima/dopo, inteso dalla Corte nel senso di estendere i diritti acquisiti dai lavoratori della società da trasformare a tutti i lavoratori della Società Europea, nel caso di specie comporta che la totalità dei lavoratori della SAP devono poter beneficiare della procedura elettorale prevista dalla disciplina tedesca, anche in assenza di espresse previsioni in tal senso: ne deriva che nel caso di specie il diritto di proporre una determinata quota di candidati alle elezioni del consiglio di sorveglianza della SAP non può essere riservato esclusivamente ai sindacati tedeschi, ma deve essere consentito a tutti i sindacati rappresentati nell’ambito della Società Europea, in modo da garantire la parità di trattamento tra i sindacati in merito a questa modalità di partecipazione.
La Corte di Giustizia conclude il suo percorso esegetico dichiarando che “l’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2001/86 deve essere interpretato nel senso che l’accordo sulle modalità relative al coinvolgimento dei lavoratori applicabile a una SE costituita mediante trasformazione, di cui a tale disposizione, deve prevedere una votazione distinta al fine di eleggere, alla carica di rappresentanti dei lavoratori all’interno del consiglio di sorveglianza della SE, una determinata quota di candidati proposti dai sindacati, quando il diritto nazionale applicabile impone una siffatta votazione distinta in relazione alla composizione del consiglio di sorveglianza della società da trasformare in SE; nell’ambito di tale votazione, deve essere rispettata la parità di trattamento tra i lavoratori di detta SE, delle affiliate e delle dipendenze di quest’ultima, nonché tra i sindacati ivi rappresentati”.
Come è evidente, la Corte di Lussemburgo attraverso l’interpretazione letterale dell’art. 4, comma 4, della Direttiva 2001/86, restituisce un senso a tutto il difficile percorso normativo affrontato dalla disciplina sulla partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali della Società europea. Ogni tappa viene ripercorsa con l’obiettivo di cogliere fedelmente l’intento del legislatore europeo e dare effettività ad una norma ancora oggi criticata per il fatto di “assicurare una presenza meramente eventuale dei diritti di partecipazione” . La decisione della Corte coglie l’essenza della salvaguardia dei diritti di partecipazione dei lavoratori presenti nel caso di trasformazione di società di capitali in Società Europea e, muovendo dal principio di parità di trattamento dei lavoratori, sul solco dei suoi precedenti orientamenti, offre lo spunto per ampliare i confini dei modelli “forti” di partecipazione anche in uno Stato membro, come il nostro, in cui non sono previste forme di coinvolgimento dei lavoratori, o loro rappresentanti, negli organismi di gestione delle imprese. La ratio di questa interpretazione, che parrebbe estensiva, ma è essenzialmente letterale, è tutta contenuta nel principio del prima/dopo osservato attraverso la lente del principio di non discriminazione: non è legittimo infatti discriminare i lavoratori in ragione del paese in cui sono occupati, se l’ordinamento di quest’ultimo non garantisce loro gli stessi diritti di altri lavoratori appartenenti alla stessa Società Europea. La decisione sembra destinata a cambiare, seppur solo in parte, le regole del gioco.

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